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FISIONOMIA ATTUALE, OGGETTO E LIMITI DEL COMPARTO PENALE DELLA NAVIGAZIONE

SOMMARIO: Premessa. Un inquadramento generale della materia. 1. Il di-

ritto penale della navigazione dal punto di vista sistematico. 1.1. Reati «pro- pri» e «impropri» della navigazione: aporie e antinomie nella contrapposizio- ne tra classiche categorie penalistiche e peculiari tipi di illecito. 1.2. Spunti per un più attuale inquadramento di una controversa partizione: profili defini- tori e sostanziali. 1.2.1. L’inidoneità dell’accezione «reato proprio» nel conte- sto del sistema navigazionista e l’individuazione di una autonoma classifica- zione per esprimere l’originalità della tutela. 1.2.2. I reati funzionalmente «propri» previsti nel Codice della Navigazione e il concorso dell’extraneus: distinguo e deroghe nella disciplina speciale rispetto all’articolo 117 c.p. 1.2.3. I reati «impropri» della navigazione, rectius «non esclusivi» della navi- gazione. Fattispecie autonome di reato tra peculiarità e indicazioni normative censurabili. 2. I caratteri distintivi del diritto penale della navigazione. 2.1. Complementarietà, specialità e autonomia. 2.2. Il divieto di analogia in materia penale e in relazione alle «eccezionalità» della normativa nel contesto della navigazione. 2.3. L’unitarietà di visione, di sistema e di sanzione.

Premessa. Un inquadramento generale della materia

L’analisi storica ha già permesso di cogliere i tratti distintivi del di- ritto penale della navigazione quale comparto “speciale”, preposto alla tutela di una molteplicità di beni giuridici, al cui interno spicca un’omo- geneità nella disciplina sanzionatoria, con tipizzazioni comuni alle di- verse ipotesi di esercizio della navigazione.

Invero, il Codice della navigazione esprime una più generale “visio- ne unitaria” (con un impianto caratterizzato dalla fusione di aspetti civi- listici, amministrativistici, processuali e penalistici) che impone la co- stante riferibilità dei precetti contenuti nella parte III alle norme prece- denti, regolanti il fatto tecnico del “navigare”, anche in virtù della pre- senza di alcune importanti “norme penali in bianco”.

Ma la codificazione legislativa estrinseca, altresì, una sostanziale “autonomia” del diritto penale della navigazione, le cui principali di- sposizioni sono collocate emblematicamente in un corpus normativo separato, che, tuttavia, non abdica ai principi ed alla dogmatica del- l’ordinaria materia penale e, dunque, ai contenuti del codice penale.

Una più ampia autonomia, invero, si riflette nel principio di autore- golamentazione sancito dal primo articolo del Codice della navigazio- ne, nel quale si rinviene un postulato analogico in grado di subordinare l’operatività del diritto comune al pregiudiziale coinvolgimento delle fonti proprie della materia, anche se gerarchicamente di rango inferiore, con una serie di interessanti rilievi proprio rispetto alla disciplina pena- le ed “eccezionale”.

Oltre all’“autonomia” ed alla “specialità” il diritto penale della na- vigazione manifesta, come premesso, un ulteriore carattere, ovvero una stretta “complementarietà” rispetto all’ordinaria materia penale, i cui principi fondamentali vengono integrati da prescrizioni di analoga por- tata generale, aventi, tuttavia, non di rado, natura derogatoria.

La medesima tradizionale sistematica dei reati nella navigazione, pur richiamando formalmente classificazioni in uso alla dogmatica pe- nalistica, se ne discosta con opzioni interpretative difformi che impon- gono un ripensamento di tali categorie per una nuova e diversa loro de- nominazione.

Poiché il comparto penale della navigazione presente nel Codice non ha subito, in oltre settanta anni di storia, mutamenti significativi (salvo interventi di depenalizzazione) ed il raccordo con la disciplina penale ordinaria si è rivelato, e si conserva, a tratti “ambiguo”, si è qui tentata una prima “rilettura” della parte III del Codice in una chiave ermeneutica quantomeno attualizzante.

Il diritto penale della navigazione, peraltro, non si esaurisce nel no- vero delle disposizioni presenti nel Codice della navigazione e nel Co- dice penale e, dunque, nel continuo, stimolante, intreccio tra i due testi legislativi, ma si compone anche di una normativa esterna realmente “eccezionale”, integrante un sottosistema interno al diritto della naviga- zione, che sarà oggetto di separata trattazione.

1. Il diritto penale della navigazione dal punto di vista sistematico

Il diritto penale della navigazione è un ramo del diritto pubblico del- la navigazione (che comprende anche il diritto amministrativo, interna- zionale, processuale e del lavoro), in cui si rinvengono norme a caratte- re sanzionatorio poste a tutela di importanti beni giuridici quali la sicu- rezza della navigazione, la tranquillità della vita a bordo, il rispetto de- gli ordini dell’autorità e della legge di bandiera, l’incolumità delle per- sone, la salvaguardia dell’ambiente circostante, ma non solo.

La materia può avere un duplice inquadramento in quanto partecipa, al contempo, del diritto penale e di quello della navigazione, ma al suo interno i reati non sono artificialmente distinti, poiché godono di un riconoscimento universale, essendo intimamente caratterizzati “dal fatto tecnico del navigare”.

A livello sostanziale l’illecito si traduce in un atto che offende gra- vemente il regolare e sicuro svolgimento della navigazione e delle atti- vità connesse1 e tutte le norme penali che traggono ragione della loro

esistenza dalla navigazione rientrano nel novero del diritto penale della navigazione, la cui fonte principale è costituita, come visto, dalla parte terza del Codice del 19422.

Non si tratta, tuttavia, dell’unico testo cui poter fare riferimento, in quanto la materia tende allo sconfinamento e riconosce ulteriori fonti regolatrici (codicistiche ed extra codicistiche): il diritto penale della navigazione, infatti, si compone anche di quelle disposizioni che, pur essendo collocate nel codice penale, hanno nella navigazione il proprio elemento catalizzatore: si pensi, per esempio, alla fattispecie di naufra- gio o disastro aviatorio (la cui ipotesi base è descritta nell’art. 428 c.p., mentre quella colposa deriva dal combinato disposto degli artt. 428- 449 c.p.); senza dimenticare le disposizioni penali contenute nei rego-

1 S. CORRIERI, Il sistema penale della navigazione, cit., p. 11.

2 Parte rubricata «Disposizioni penali e disciplinari», a sua volta divisa in due libri.

Mentre il secondo libro individua le disposizioni disciplinari, il primo libro concerne propriamente le disposizioni penali ed è ripartito, a sua volta, in quattro titoli: il primo è dedicato alle disposizioni generali, il secondo ai delitti, il terzo alle contravvenzioni e il quarto alle disposizioni processuali.

lamenti che si occupano esclusivamente della navigazione marittima, interna e aeronautica3.

I reati della navigazione possono essere intesi secondo due diverse accezioni, l’una di tipo «formale», l’altra di carattere «sostanziale»: in base alla prima, che si fonda sulla collocazione topografica unitaria, i reati della navigazione sono quelli previsti nella parte terza (titolo II e III) del Codice della navigazione e regolati dalle disposizioni generali dettate nel titolo I; in senso sostanziale, invece, rientrano nel comparto in esame tutti quegli illeciti penali che – disseminati nei codici e nella legislazione speciale – presentano un’offensività riconducibile al feno- meno della navigazione4.

In ciò si concreta il diritto penale della navigazione, comprensivo, quindi, di tutti i reati che hanno per teatro la navigazione aerea, marit- tima o interna e che, dunque, sono necessariamente localizzati in un preciso ambiente e non sarebbero concepibili altrove.

1.1. Reati «propri» e «impropri» della navigazione: aporie e antinomie nella contrapposizione tra classiche categorie penalistiche e peculiari tipi di illecito

Nell’indagare la tipologia delle singole fattispecie, esiste una tradi- zionale distinzione, elaborata dagli studiosi del diritto della navigazio- ne: quella tra «reati propri» e «reati impropri»; tale duplice inquadra- mento non è una novità per il penalista, ma acquista autonomo signifi- cato nell’ambito di cui ci stiamo occupando.

Numerosi reati della navigazione sono “propri” in senso funzionale, potendo essere commessi solo da chi possiede una data qualifica od occupi una certa posizione giuridica o di fatto, idonee a fondare una speciale relazione tra il soggetto agente e l’interesse tutelato (si pensi

3 La materia è integrata dalle norme contenute nel libro quinto del Regolamento per

la navigazione marittima (artt. 498-514 del d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328) e nella parte terza del Regolamento per la navigazione interna (artt. 150-156 del d.P.R. 28 giugno 1949, n. 631). In passato rilevava anche il Regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione aerea (R.D. 11 gennaio 1925, n. 356), in seguito abrogato, che conteneva alcune disposizioni penali (artt. 279-284).

all’armatore, al comandante, ai membri dell’equipaggio); ma il concetto di «reato proprio» assume, qui, anche una diversa connotazione, indi- cando figure di illecito specifiche della navigazione, alle quali non cor- risponde alcuna fattispecie prevista dal codice penale o da altra legge penale (ad esempio, il delitto di diserzione ex art. 1091 cod. nav.; il de- litto di falsa rotta ex art. 1140 cod. nav. e quello di sbarco o abbandono arbitrario di persona ex art. 1155 cod. nav. o, ancora, l’ammutinamento dell’equipaggio ex art. 1105 cod. nav. e l’abbandono di nave o aeromo- bile in pericolo ex artt. 1097-1098 cod. nav.).

L’assoluta mancanza di previsione, da parte del diritto penale, degli elementi materiali del fatto costitutivo sta a indicare che l’interesse tu- telato dalla norma è un interesse particolare ed esclusivo della naviga- zione ed è, quindi, in quest’ottica che rileva l’accezione di “proprio”. Per contro, sono reati «impropri» quelli che coincidono con fattispecie delittuose già previste nel codice penale o desumibili dalla legge pena- le, ma che rappresentano una specializzazione della tutela, con conse- guente modifica sul piano sanzionatorio, in ragione delle particolari esigenze della navigazione5.

Si pensi all’art. 1104 cod. nav. che tipicizza l’offesa in danno del comandante, di un ufficiale, di un sottufficiale o di un graduato: tale complessa fattispecie costituisce una forma di oltraggio al pubblico uf- ficiale e intende salvaguardare la gerarchia di bordo6; oppure al caso di

5 G. LEONE, Considerazioni sulla sistematica del diritto penale della navigazione,

cit., p. 116; P. MANCA, Studi di diritto della navigazione, cit., p. 126; D. VIDALI, Diritto

penale della navigazione, cit., p. 987; P.P. RIVELLO, Diritto penale della navigazione, cit., p. 88; E. SPASIANO, Diritto penale della navigazione, cit., p. 239. Tale classifica- zione è stata recepita anche dalla dottrina penalistica: per tutti v. T. PADOVANI, Reati

della navigazione, cit., p. 1196.

6 Art. 1104 cod. nav. (Offesa in danno del comandante, di un ufficiale o sottufficia-

le o di un graduato):

«Il componente dell’equipaggio della nave o dell’aeromobile, che offende l’onore o il prestigio di un superiore, in presenza di lui e a causa o nell’esercizio delle di lui fun- zioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafi- ca o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al superiore, e a causa delle di lui funzio- ni.

rapina od estorsione sul litorale della Repubblica da parte dell’equi- paggio (art. 1137 cod. nav.) che delinea, per dettato normativo, un’ipo- tesi speciale rispetto ai fatti previsti negli artt. 628 e 629 cod. pen., pu- nita con le stesse pene previste per la pirateria (art. 1135 cod. nav.)7.

Invero, anche quest’ultima, che sanziona pesantemente atti di depreda- zione in danno di una nave nazionale o straniera e del suo carico, ovve- ro atti di violenza contro persone imbarcate a scopo di depredazione, è correlabile, a seconda delle note modali descritte, al furto, alla rapina o all’estorsione.

La distinzione dottrinale tra «reati propri» e «reati impropri» della navigazione si coglie, dunque, dal punto di vista sistematico ed espri- me, in relazione al contenuto tipico delle incriminazioni, l’originalità della tutela predisposta e la matrice esclusiva dell’interesse tutelato8.

Invero, tale inquadramento (finora mai messo in discussione) risulta assai problematico ed esprime una evidente disarmonia nel rapporto tra

La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate fino a un terzo quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l’offesa è recata in presenza di una o più persone.

Se il fatto è commesso da un passeggero contro il comandante, un ufficiale o un sottufficiale della nave ovvero contro il comandante o un graduato dell’aeromobile, qualora non costituisca un più grave reato, si applicano le disposizioni precedenti, ma le pene sono diminuite in misura non eccedente un terzo».

Da notare che, se ricorre la minaccia, la norma si allinea a quella contemplata nel- l’art. 189 del codice militare di pace, relativo all’insubordinazione. L’ultimo comma, invece, identifica quale soggetto attivo il passeggero e, in tal caso, il reato è sussidiario, in quanto la sua azione, se rivolta contro il comandante nelle sue funzioni di pubblico ufficiale, può integrare gli estremi del più grave reato di cui all’art. 341 bis c.p.

7 L’art. 1137 cod. nav. punisce fatti di rapina od estorsione commessi sul litorale

dall’equipaggio, che si avvale della sua esperienza facilitando così l’esecuzione del delitto e rendendo più difficile la difesa pubblica o privata. Il rinvio alle ipotesi di cui agli artt. 628 e 629 c.p. fa sì che la fattispecie in commento condivida i medesimi ele- menti costitutivi dei reati richiamati, dai quali si distingue per le qualità personali degli autori e per il particolare ambiente fisico in cui il fatto viene commesso. L’ipotesi base, posta a carico del comandante o dell’ufficiale, prevede la reclusione da dieci a venti anni; pena diminuita in misura non eccedente un terzo se il soggetto attivo è un altro membro dell’equipaggio e ridotta fino alla metà se si tratta di estranei.

8 T. PADOVANI, Reati della navigazione, cit., p. 1196; C. DE VINCENTIIS, Reati ma-

le classiche categorie penalistiche e quelle elaborate in ambito naviga- zionista; problemi evidenti si pongono nel caso del reato di diserzione (art. 1091 cod. nav.), che ‒ alla luce di quanto detto ‒ manifesta una doppia natura “propria”, sia sotto il profilo del soggetto agente, che del- l’obiettività giuridica (ma lo stesso dicasi nei casi in precedenza ri- chiamati di falsa rotta e sbarco o abbandono arbitrario di persona ‒ fat- tispecie che identificano, entrambe, quale unico soggetto attivo il co- mandante della nave o dell’aeromobile).

È, dunque, il caso di riconsiderare la distinzione «reato proprio» / «reato improprio» ed ideare classificazioni meno ambigue, per evitare fuorvianti coincidenze terminologiche; più in generale, pare comunque censurabile l’elaborazione di una partizione sistematica così netta, in quanto la complessità che contraddistingue l’interazione tra reati della navigazione e legge penale comune offre poche certezze ed impone catalogazioni meno riduttive.

La dottrina ha, infatti, rilevato che, in alcune ipotesi, il carattere «proprio» non dipende tanto dalla peculiarità del bene giuridico sotteso, ma dal fatto che il reato reprime atti normalmente irrilevanti; così, ad esempio, la fattispecie di complotto contro il comandante (art. 1108 cod. nav.) sanziona – in deroga all’art. 115 c.p.9 – il mero accordo di tre

o più membri dell’equipaggio per commettere un delitto contro la vita, l’incolumità personale, la libertà individuale o l’esercizio dei poteri del comandante10.

Analoga previsione si rinviene all’art. 1139 cod. nav. «Accordo per impossessarsi della nave o dell’aeromobile», che punisce, per l’appun- to, il pactum sceleris siglato fra tre o più componenti dell’equipaggio al fine di compiere il delitto di impossessamento della nave o dell’aero- mobile. Da notare che, in entrambe le fattispecie, la tipizzazione sog- gettiva è circoscritta, riguardando, oltre ai partecipi dell’accordo, coloro che ne furono promotori, organizzatori o capi (per i quali la pena è au- mentata fino a un terzo). Nel solo caso di complotto contro il coman- dante, se un componente dell’equipaggio, avendo notizia dell’accordo, omette di darne avviso, verrà punito con la reclusione fino a un anno.

9 Si tratta di deroga ammessa stante l’espresso incipit del citato articolo («salvo che

la legge disponga altrimenti»).

Nondimeno, la pena da applicare sarà in ogni caso inferiore alla metà di quella stabilita per il delitto al quale si riferisce l’accordo.

Le fattispecie in esame, quali reati di pericolo a consumazione anti- cipata, hanno finalità spiccatamente preventive, sanzionando la volontà convergente, di almeno tre persone, verso l’obiettivo di realizzare l’im- possessamento del mezzo oppure un delitto in danno del comandante. Ambedue i reati si consumano nel momento in cui le soggettive deter- minazioni si traducono in una concorde risoluzione d’agire idonea a ledere il bene protetto, senza che il delitto venga poi commesso11.

È indubbio che, in questi casi, il legislatore ha ritenuto il contesto della navigazione un fattore di rischio particolarmente significativo, tanto da giustificare una anticipazione della tutela penale normalmente esclusa.

Rispetto al controverso tema della “classificazione”, vi è anche da dire che alcuni reati «impropri» identificano ipotesi criminose che, sep- pur riconducibili a fattispecie già esistenti, assumono una connotazione offensiva non solo speciale, ma spiccatamente originale che ne condi- ziona l’applicabilità: l’omissione di soccorso ex art. 1113 cod. nav. e l’omissione di assistenza a navi o persone in pericolo (art. 1158 cod. nav.) si sovrappongono all’omissione di soccorso di cui all’art. 593 c. 2 c.p., ma sono, al contempo, caratterizzate da peculiari presupposti dell’omesso intervento assistenziale, che rendono la condotta punibile

11 Si tende a negare l’ammissibilità del tentativo di cui all’art. 56 c.p. in considera-

zione del fatto che, in questi casi, la configurazione tipica dell’illecito determina una significativa anticipazione della soglia di punibilità. Diversamente opinando, verrebbe incriminato “il pericolo di un pericolo”, con un inaccettabile arretramento della tutela ad una fase che non realizza ancora l’offesa (in merito alla natura dei reati-accordo quali ipotesi derogatorie dell’art. 115 c.p. e alla loro incompatibilità rispetto alla forma tentata, cfr. F. BRICOLA, Cospirazione politica mediante accordo o associazione, in

Enc. dir., XI, 1962, p. 124; P.P. RIVELLO, L’incriminazione del militare della guardia

di finanza responsabile dei reati di cui all’art. 3 l. 9 dicembre 1941, n. 1383, in Cass. pen., 11, 1999, p. 3294. Amplius B. ROMANO, Le apparenti deroghe all’art. 115

c.p. alla luce del principio di specialità e le differenze tra accordo non punibile, con- corso di persone e reato associativo, in Cass. pen., 12, 1997, p. 3391 ss. In giurispru-

denza, da ultimo, Cass. pen., I, 6 giugno 2019, n. 37820, in Diritto & Giustizia dd. 13 settembre 2019).

anche a titolo di colpa (cfr. artt. 1113-1124 cod. nav. ed art. 1158 c. 3 cod. nav.)12.

12 A tal proposito può essere necessario un raffronto testuale tra fattispecie.

L’art. 593 c.p. (Omissione di soccorso) prevede che:

«Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a sé stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 2.500 euro.

Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occor- rente o di darne immediato avviso all’Autorità.

Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumen- tata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata».

Secondo l’art. 1113 cod. nav. (Omissione di soccorso):

«Chiunque, nelle condizioni previste negli articoli 70,107, 726, richiesto dall’auto- rità competente, omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo, ovvero al- l’estinzione di un incendio, è punito con la reclusione da uno a tre anni». L’ipotesi col- posa è espressamente sanzionata dall’art. 1124 cod. nav. (Delitti colposi) con la ridu- zione della pena alla metà.

Per contro, l’art. 1158 cod. nav. (Omissione di assistenza a navi o persone in peri- colo) stabilisce quanto segue:

«Il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionali o stranieri, che omette di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’ob- bligo a norma del presente codice, è punito con la reclusione fino a due anni.

La pena è della reclusione da uno a sei mesi, se dal fatto deriva una lesione persona- le; da tre a otto anni, se ne deriva la morte.

Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a sei mesi; nei casi indicati nel comma precedente, le pene ivi previste sono ridotte alla metà».

L’obbligo di assistenza a nave o aeromobile in pericolo è un obbligo giuridico al quale può derogarsi solo ed esclusivamente se la nave soccorritrice corre grave rischio per sé stessa, il suo equipaggio e i suoi passeggeri; l’accorrere per prestare assistenza è condizionato dal prevedere un utile risultato e salvo che l’assistenza sia prestata da altri in situazioni più idonee o simili (cfr. art. 489 cod. nav. ‒ Obbligo di assistenza).

1.2. Spunti per un più attuale inquadramento di una controversa parti- zione: profili definitori e sostanziali

1.2.1. L’inidoneità dell’accezione «reato proprio» nel contesto del si-

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