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L’azione di responsabilità

L’art. 38 l.f., al secondo comma, recita testualmente: “Durante il fallimento l’azione di

responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, ovvero dal comitato dei creditori”. Ai fini dell’esercizio

dell’azione di responsabilità è necessario che il curatore non abbia ottemperato a tutti i suoi doveri; l’intento che soggiace al suo esercizio non può essere altro che la persecuzione del risarcimento del danno alla massa creditoria, in ordine alla condotta illegittima della curatela. Seguendo l’obiettivo che contraddistingue questa azione, il nuovo curatore non è legittimato a proporla per i danni causati direttamente a singoli creditorio a terzi estranei alla procedura dal suo predecessore. In tale ipotesi gli unici legittimati sono i creditori o i terzi direttamente pregiudicati, trattandosi di responsabilità aquiliana e precisando che l’iniziativa di questi soggetti possa essere esperita nei confronti del curatore colpevole anche qualora essi sia ancora in carica ed in pendenza di procedura. I creditor,i nel corso della procedura e in caso di inerzia del curatore, non sono abilitati all’esercizio dell’azione ex art. 38, II comma, e pure dell’azione all’art. 2394 c.c. L’azione contenuta nel presente articolo, riguarda esclusivamente la legittimazione di massa del comitato dei creditori, tesi sostenuta anche dall’inciso “è

proposta dal nuovo curatore” dopo la revoca o sostituzione del predecessore, coordinata con

il fine stesso da cui si origina l’azione, ossia il danno cagionato ad un altro organo della procedura e la possibilità dell’organo danneggiato di beneficiare del risarcimento. In dottrina si individua “la ratio sottesa al riconoscimento dell’esclusività della legittimazione attiva in

favore del solo nuovo curatore consistente nell’evitare azioni inocsulte o avventate del fallito o dei creditori che si pretendono danneggiati a seguito delle attività del curatore, ovvero di

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proteggere il curatore da eventuali azioni proposte per finalità intimidatorie”116.

Solo con la sopravvenuta chiusura della procedura fallimentare l’imprenditore ritornato in

bonis, ed ogni singolo creditore è legittimato all’azione, alla stregua dell’art. 2043 c.c.,

esclusivamente nei limiti in cui l’insufficienza patrimoniale sia stata cagionata dal curatore e che abbia dato origine a una generica lesione di natura aquiliana del loro diritto di credito. Qualora l’insufficienza patrimoniale o l’aggravamento dell’insufficienza preesistente derivi da una violazione del curatore nell’adempimento dei doveri del suo ufficio, e alla cui designazione dell’organo di gestione abbia provveduto il tribunale, i creditori sono legittimati seguendo l’impostazione del sistema di disposizioni in cui rientra l’art. 2230 c.c., facendo riferimento all’esercizio dell’ordinaria azione risarcitoria per inadempimento contrattuale. Si desume che al nuovo curatore compete l’iniziativa processuale ma rimane obbligato all’autorizzazione del giudice delegato ovvero del comitato dei creditori. L’autorizzazione rimuoverebbe l’ostacolo tra la legittimazione del nuovo curatore e l’esercizio dell’azione di responsabilità. In dottrina si è disquisito sulla novità inerente la doppia autorizzazione di giudice delegato e comitato dei creditori, in cui da una parte si afferma un piano di parità dei due organi, sulla base della disposizione che la mancata autorizzazione di uno dei due non impedisce l’esercizio dell’azione, e dall’altra parte invece si sostiene che alla difformità di pronuncia si blocchi completamente la possibilità dell’esercizio, con il conseguente obbligo di proposizione del reclamo. Qualora le due autorizzazione venissero interpretate come alternative potrebbero generarsi molteplici disfunzioni: il comitato potrebbe reclamare l’eventuale autorizzazione concessa dal giudice delegato e viceversa, o altrettanto il giudice potrebbe ostacolare direttamente il curatore non accordandogli l’autorizzazione a stare in giudizio. Non vi è poi alcun cenno della legge in cui si possa intendere che il tribunale si riserva la possibilità di autorizzare la promozione dell’azione di responsabilità, quando i rilievi mossi al curatore riguardino atti compiuti con la previa autorizzazione espressa del comitato dei creditori, cioè quando quest’ultimo sia nella posizione di conflitto di interessi. Il comitato dei creditori potrebbe anche non rilasciare l’autorizzazione nel caso in cui fosse preoccupato di tutelare la massa creditoria, adducendo, come motivo, il timore che non ne derivi svantaggio ai creditori, ossia una maggior lentezza nei riparti delle somme determinato proprio dall’incertezza dell’azione. In contrapposizione il giudice delegato potrebbe ritenere che la condotta del curatore debba essere sanzionata affinché egli abbia maggior

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consapevolezza delle possibilità di successo dell’azione117. Questo giustificherebbe la previsione dell’art. 25 l.f., n.6 in cui il curatore viene espressamente autorizzato dal giudice delegato a stare in giudizio. I diversi autori sono giunti a una soluzione di mezzo che consiste nell’accettare la duplice valenza delle due autorizzazioni sulla base del secondo comma art. 38, in cui si individua nell’intento del legislatore l’interesse di ampliare gli spazi per un eventuale esercizio dell’azione di responsabilità, rimettendo la decisione a due soggetti accomunati dall’essere contitolari di poteri di vigilanza, ma di natura diversa e specializzata. Il giudice delegato presidierebbe la vigilanza sulla legittimità degli atti mentre il comitato dei creditori guarderebbe all’opportunità delle scelte gestorie. Seguendo tale dicotomia, l’autorizzazione sembra essere rilasciata da entrambi gli organi. Ciò è ravvisabile anche in materia di diritto societario per l’esercizio delle azioni di responsabilità in cui è riconosciuta la legittimità a diversi organi, in quanto detentori di poteri di vigilanza a diverso titolo. La sovrapposizione dei poteri di vigilanza, nell’autorizzazione del comitato dei creditori e quello del giudice delegato, riprende la tradizionale ripartizione delle funzioni di vigilanza e tutela del patrimonio fallimentare che contraddistinguono i diversi organi. Ne consegue che l’azione risarcitoria contro il curatore cessato si fonda sempre su inadempienze sindacabili dal giudice delegato e dal comitato dei creditori, e che questa debba obbligatoriamente derivare da un controllo di fondatezza, seppur ridotto, del giudice delegato data la particolare delicatezza dell’azione. Seguendo correttamente quando previsto dalla legge, il nuovo curatore che indirizzi la richiesta di autorizzazione dell’azione di responsabilità ad entrambi gli organi agirebbe scrupolosamente, ma all’occorrenza può essere fatta valere anche in forza di una sola autorizzazione, con la condizione che venga sospesa se quest’ultima fosse oggetto di reclamo. In ragione del riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità del curatore all’art. 38 l.f., il termine di prescrizione dell’azione è pari a dieci anni con decorrenza dalla data di cessazione dalla carica del curatore. Il termine resta sospeso per tutto il tempo in cui il curatore rimane in carica e fintanto che il tribunale nona abbia provveduto alla nomina del suo sostituto118. Diverso è il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità avverso il curatore per il risarcimento di danni derivanti da fatti illeciti, che arrechino direttamente pregiudizio ai beni del fallito rimasti estranei alla procedura fallimentare. L’azione è sottoposta alla disciplina dell’art. 2043 c.c. ed il termine quinquennale decorre dalla produzione del danno, in quanto non si rileva applicabile l’art. 2941 c.c., n. 6 relativo

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CATALDO, op. cit., 1028.

118Ai sensi dell’art. 2941 c.c., n. 6 che dispone la sospensione dei rapporti fra le parti al n.6: “… tra le persone i cui beni sono sottoposti per

legge o per provvedimento del giudice all' amministrazione altrui e quelle da cui l'amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato definitivamente il conto …”

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all’amministrazione di patrimoni altrui, poiché il bene è completamente estraneo all’amministrazione concorsuale.

In conclusione, il danno derivante dalla negligente gestione del patrimonio ad opera della curatela, se in mancanza di elementi reali di giudizio, verrà liquidato equitativamente in favore della massa.

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