2 ANALISI RETROSPETTIVA DI ATTIVITA’ ED EFFICACIA DI DUE
2.1 BACKGROUND E RAZIONALE DELLO STUDIO
Negli ultimi decenni la biologia alla base della progressione del carcinoma prostatico verso la fase di resistenza alla castrazione è stata ampiamente studiata e approfondita; gli enormi progressi fatti in termini di ricerca preclinica hanno condotto allo sviluppo di nuovi farmaci, in grado di agire mediante meccanismi di azione differenti, ma accomunati dalla capacità di determinare in questi pazienti un netto prolungamento della sopravvivenza.
I farmaci life-prolonging aventi l’indicazione AIFA per poter essere impiegati nel CRPC sono due chemioterapici appartenenti alla famiglia dei taxani (Docetaxel e Cabazitaxel), un inibitore della biosintesi androgenica (Abiraterone acetato), un antagonista del recettore androgenico di seconda generazione (Enzalutamide) e un radiofarmaco alfa-emittente (Radium-223).
A dispetto della buona disponibilità di nuovi agenti, la carenza di fattori molecolari in grado di predire la risposta a un determinato farmaco rende sostanzialmente impossibile definire l’iter terapeutico ottimale per il singolo paziente. Tuttavia, le ricerche più recenti di biologia molecolare hanno portato alla luce alcuni nuovi biomarker, la cui presenza risulta essere associata con fenomeni di resistenza o sensibilità verso alcuni dei farmaci citati.
La centralità delle modifiche a carico del recettore androgenico durante la progressione a malattia castration-resistant ha permesso la scoperta di una particolare variante dello splicing di tale recettore (AR-V7, Androgen Receptor-Variant 7) in grado di giocare un ruolo cruciale
50
nella resistenza agli ormonoterapici di nuova generazione. Questa variante recettoriale si presenta come una isoforma tronca, mancando del dominio C-terminale sito di legame per gli androgeni (LBD, Ligand-Binding Domain) e mantenendo la porzione N-terminale in grado di legare il DNA (DBD, DNA-Binding Domain): a causa delle sue peculiari caratteristiche molecolari, AR-V7 può traslocare nel nucleo e attivare l’espressione di geni in grado di stimolare la proliferazione cellulare anche in assenza del proprio ligando (a differenza del prototipo del recettore androgenico), risultando perciò costitutivamente attivo101. I livelli di espressione di AR-V7 sono significativamente più elevati nei pazienti con CRPC rispetto ai soggetti aventi una malattia in fase di sensibilità alla castrazione; la presenza (seppur rara) di tale variante nella fase hormone-naive della neoplasia a valori paragonabili a quelli riscontrati nel CRPC si associa spesso a un peggior outcome clinico, con una rapida progressione biochimica di malattia101. Al di là dell’impatto sulla prognosi, è stato evidenziato come il riscontro di livelli elevati di questa isoforma recettoriale nelle cellule tumorali circolanti possa rappresentare un fattore in grado di predire la resistenza nei confronti sia di Enzalutamide che di Abiraterone: studi prospettici condotti su piccoli numeri di pazienti con CRPC e valutati per la presenza di AR-V7 hanno sottolineato l’assenza di risposta nei soggetti positivi (con tassi di risposta del PSA nulli sia nei trattati con un farmaco che con l’altro)102
. Approssimativamente, si stima che il 20-40% dei pazienti affetti da CRPC metastatico non mostri alcuna risposta al trattamento con Abiraterone o Enzalutamide, presentando una resistenza primaria teoricamente riconducibile (almeno in parte) all’espressione di varianti di splicing recettoriali in grado di legare il DNA in assenza di androgeni (rendendo perciò priva di effetti antitumorali l’azione antiandrogenica dell’Enzalutamide e l’inibizione della sintesi ormonale operata dall’Abiraterone)102
.
Differentemente da AR-V7, il riscontro del gene di fusione TMPRSS2-ERG (Transmembrane Protease, Serine 2–Erythroblastosis virus E26 oncogene homolog) potrebbe indicare
51
sensibilità di malattia al trattamento con Abiraterone e resistenza verso i taxani103; si fa riferimento anche in questo caso a studi condotti su piccoli numeri di pazienti e non in grado di fornire conclusioni dirimenti, necessitando perciò di trial validati ben più ampi.
Nonostante esistano le premesse per la definizione in futuro di uno o più fattori predittivi di risposta, l’attuale indisponibilità di studi prospettici validati non consente di fare pieno affidamento su nessuno dei marker citati.
Un altro rilevante punto di domanda che emerge dalla pratica clinica è quello riguardante l’esistenza di una migliore sequenza con cui utilizzare nei pazienti affetti da CRPC i farmaci precedentemente menzionati. Non sono disponibili studi prospettici capaci di indirizzare verso una sequenza terapeutica ottimale, così come non vi sono confronti diretti tra tali agenti terapeutici. I dati oggi disponibili in grado di far luce sull’eventuale vantaggio nell’utilizzo di una determinata sequenza di farmaci sono derivati esclusivamente da studi retrospettivi, condotti su casistiche piccole e selezionate.
Un’analisi retrospettiva condotta su 35 pazienti affetti da CRPC metastatico in progressione dopo trattamento con Abiraterone e successivamente trattati con Docetaxel ha evidenziato tassi di risposta del PSA (definita come una riduzione di almeno il 50% del suo valore basale) in appena il 26% dei soggetti; ancor più rilevante è l’assenza di risposta al Docetaxel in tutti coloro che erano stati classificati come Abiraterone-refractory (ovvero quei pazienti che non avevano ottenuto un declino del 50% del PSA dalla somministrazione di tale ormonoterapico): ciò potrebbe essere ricondotto ad una eventuale cross-resistenza tra i due farmaci, in parte supportata dall’evidenza preclinica di un ruolo centrale dell’iperespressione e/o della mutazione del recettore androgenico nella resistenza tanto all’Abiraterone quanto al Docetaxel104.
52
Per quanto riguarda l’Abiraterone, non esistono studi diretti che confrontino l’attività del suo impiego in fase pre-chemioterapia con quella dimostrata nei pazienti già chemiotrattati; è possibile però estrapolare alcuni dati dai trial COU-301 e COU-302 precedentemente descritti, aventi come materiale di studio rispettivamente pazienti pretrattati con Docetaxel il primo e chemio-naive il secondo. L’OS mediana rilevata nel COU-301 nel braccio di soggetti trattati con Abiraterone è stata nettamente inferiore a quella avuta nei soggetti chemio-naive del COU-302 (15,8 mesi vs 35,3 mesi); è tuttavia doveroso ricordare che un’analisi di questo tipo è affetta da un non trascurabile bias di selezione, in quanto i criteri di eleggibilità del COU-302 hanno determinato l’esclusione dei pazienti con metastasi viscerali e manifestazioni cliniche rilevanti, risultando così come oggetto di studio una popolazione con minor carico di malattia e pauci-asintomatici105. Analizzando retrospettivamente i soggetti reclutati nello studio AFFIRM in progressione di malattia dopo la sequenza Docetaxel-Enzalutamide e successivamente trattati con Abiraterone è stata evidenziata un’attività antitumorale piuttosto scarsa di quest’ultimo in terza linea (solo in 3 dei 38 pazienti inclusi è stata ottenuta una riduzione del PSA di almeno il 50%; ben 31 di essi hanno avuto un’ulteriore progressione di malattia)106.
Similmente all’Abiraterone, anche per Enzalutamide non esistono studi prospettici in grado di valutarne l’attività e l’efficacia in sequenza con altri farmaci; uno studio retrospettivo ha preso in considerazione pazienti trattati con Enzalutamide e ne ha valutato i risultati stratificandoli sulla base delle precedenti terapie: dei soggetti pretrattati con Abiraterone o Docetaxel+Abiraterone, un numero inferiore al 20% ha mostrato un declino del PSA di almeno la metà a seguito della somministrazione di Enzalutamide; la pregressa esposizione al solo Docetaxel ha invece avuto un minor impatto sulla risposta a Enzalutamide (che ha determinato nel 30% dei pazienti di questo gruppo una riduzione del PSA del 50%),
53
suggerendo perciò una più evidente cross-resistenza tra Enzalutamide e Abiraterone che tra Enzalutamide e Docetaxel107.
I risultati di una recente analisi hanno inoltre provato a fare chiarezza su eventuali differenze tra la sequenza Abiraterone-Enzalutamide e quella opposta in pazienti chemio-naive: in termini di OS non sono state rilevate discrepanze statisticamente significative, mentre per ciò che concerne la sopravvivenza libera da progressione biochimica la sequenza Abiraterone- Enzalutamide ha mostrato un vantaggio sulla sequenza Enzalutamide-Abiraterone108. Tuttavia, la natura retrospettiva dello studio e il numero non elevato di pazienti non permette di trarre conclusioni definitive, aprendo però la strada a ipotetici futuri studi randomizzati in grado di dirimere la questione.
Il Cabazitaxel, taxano di nuova generazione in grado di vincere la resistenza al Docetaxel, ha confermato la sua attività anche nei pazienti esposti ad Abiraterone e/o Enzalutamide: una valutazione retrospettiva di 59 pazienti ha messo in evidenza tassi di risposta biochimica superiori in coloro che avevano ricevuto uno o entrambi gli ormonoterapici di nuova generazione rispetto ai soggetti naive per tali farmaci109.
Attualmente, le linee guida italiane ed europee non indicano alcuna preferenza nell’intraprendere una specifica sequenza di farmaci anziché un’altra nei pazienti affetti da CRPC; la scelta è basata sulle caratteristiche della malattia (estensione e sede), sulla sintomaticità, sulla preferenza del paziente (per farmaci somministrati per os, ad esempio), sulla base di eventuali controindicazioni cliniche50 (una riduzione della funzionalità cardiaca o una rilevante ipertensione arteriosa potrebbero sconsigliare l’inizio di una terapia con Abiraterone, mentre un performance status scaduto potrebbe rendere il pazient unfit e inadatto alla chemioterapia).
54
Il nostro studio si inserisce in questa realtà, andando a portare un contributo in un ambito ancor in gran parte inesplorato ma meritevole di grande attenzione: il grande numero di farmaci oggi disponibili per il CRPC ha portato da un lato ad un netto allungamento della sopravvivenza in questi pazienti, ma dall’altro pone la necessità di strumenti e criteri che ne disciplinino l’utilizzo. Pur in mancanza di fattori molecolari in grado di predire la risposta a un determinato farmaco, la possibilità di definire una migliore sequenza per uno specifico soggetto potrebbe avere risvolti enormi nella pratica clinica quotidiana, consentendo di massimizzare il rapporto benefici/rischi per il paziente, controllare meglio la malattia e ridurre i costi, evitando l’utilizzo di agenti che difficilmente porteranno ad una risposta di malattia.