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I componimenti per musica

1.2 Le ballate di Sacchetti

Le ballate contenute nel Libro sono 55, di cui 33 monostrofiche, 8 bistrofiche, 10 composte da un minimo di tre fino ad un massimo di sei strofe e 2 “eccezionali” di cui si darà conto nel corso della trattazione.

Gli schemi primari principali impiegati da Franco Sacchetti sono due e vengono riportati qui di seguito con schema endecasillabico; per una conoscenza precisa delle misure versali di ciascun componimento si rimanda alla “Tavola metrica” alla fine di

questo lavoro.6 Il primo tipo riguarda trentuno componimenti su cinquantacinque (56,4 %): sono ballate minori con mutazioni distiche su rime alternate, concatenatio e

volta di due versi di cui l’ultimo recupera la rima della ripresa: XX ABAB BX.7 Come anticipato poco sopra, quindi, nella maggior parte dei casi il nostro poeta non esula dalla prassi contemporanea, sicuramente influenzato nella pratica poetica dall’attiva partecipazione alla poesia per musica. Sebbene le notazioni relative agli intonatori dei componimenti riguardino solo una minoranza di testi (29%), significative sono le personalità con le quali il poeta si trovava a collaborare, quali Ottolino da Brescia o Francesco Landini, nonché la personale intonazione di due ballate (134 e 151).

Il secondo schema primario, di ascendenza cavalcantiana, interessa quindici testi sul totale (27,3%) ed è costituito da ballate mezzane con mutazioni distiche a rima alternata, concatenatio e combinatio finale: XYY ABAB BYY. Ad un primo sguardo

5 Gorni 1984, p. 488;

6 cfr. p. 159;

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appare parzialmente riconducibile a questo modello la ballata 177, articolata secondo lo schema XyX ABAB BcX: differisce nella gestione delle rime nella ripresa, alternate e non XYY, e della volta, con inserzione di rima irrelata al posto della combinatio finale. Tuttavia, procedendo a una lettura del componimento si può notare che la morfologia di 177 vada intesa come espansione del primo tipo e non variazione del secondo schema primario, poiché le rime “y” e “c” si trovano negli unici due settenari del componimento, in modo da funzionare come raccordo tra i due endecasillabi che li racchiudono.

Un terzo gruppo, comprendente i componimenti 148, 151, 152, 156, è caratterizzato da mutazioni tristiche a rima replicata. A loro volta i testi sono legabili a due a due: le ballate 148 e 152 sono mezzane e non prevedono né combinatio né concatenatio, mentre 151 e 156 presentano combinatio e sono accomunate da uno specifico uso dell’endecasillabo: in un contesto prevalentemente di settenari, l’endecasillabo è utilizzato per l’inizio o la fine di periodo, quindi come segnale sintattico forte. Si tratta di una macchia sfaccettata di testi, eppure coesa, singolare non solo, o non tanto, per la morfologia, ma per numero e concentrazione nella distribuzione del Libro. Questo perché, partendo dal presupposto che i componimenti siano stati trascritti dall’autore per mezzo di criteri sì cronologici, ma anche di armonia nella prima porzione del manoscritto,8 nel panorama metricamente compatto delle ballate di Sacchetti non si verifica altrove una sequenza di testi che riveli un momento, a me sembra, di precisa sperimentazione di un tipo metrico diverso, più complesso da gestire a causa delle mutazioni tristiche; non a caso la ballata 151 è unanimemente considerata dagli studiosi una delle più belle e riuscite dell’autore.9

Poco prima di questo piccolo gruppo si trova la ballata 135, unica ballata grande del Sacchetti. Lo schema metrico prestilnovistico era stato utilizzato da Cavalcanti per la sua ballata più accentuatamente descrittiva e narrativa: Era in penser d’amor. Forse a parziale spiegazione di questo avvenimento metrico ci viene in soccorso il tema trattato, ovvero il topos dell’allontanamento dell’io lirico dalla donna amata e la sua conseguente sofferenza, che era già stato tratteggiato nella ballata monostrofica 82, ma che viene qui riproposto in un componimento ben più articolato, debolmente narrativo, eppure sviluppato in modo vagamente cavalcantiano attraverso l’insistenza sul dolore. Anche

8 cfr. p. 10;

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qui, come nelle ballate 151 e 156, in un contesto a maggioranza di settenari, l’endecasillabo viene utilizzato come marcatore di fine periodo.

Da ultimo è necessario dare conto delle ballate 106 e 109, che costituiscono una sorta di caso nel caso per ciò che concerne le ballate per musica del “Libro” e sono dotate di organismi metrici peculiari. Il primo dei due componimenti è stato oggetto di studio approfondito da parte di C. Vela, che parallelamente alla trattazione ha dato, di riflesso, una interpretazione metrica della ballata 109, giungendo a conclusioni accolte nella mia tavola metrica.10Anche in questa circostanza si trovano due testi affini trascritti estremamente vicini, divisi tra loro da una canzone-invettiva contro le nuove mode e da una ballata monostrofica dal tono moraleggiante.

La ballata 106 è designata da Sacchetti come “canzonetta da ballo”, unica nomenclatura di questo tipo in tutto il Libro. La ripresa ha posto numerosi problemi agli studiosi e viene di seguito riportata come si trova stampata nella edizione critica di riferimento:11

- Così m’aiuti Dio com’io cantar non so. Già mai i’ non cantai, e non sapre’ cantare, e son poco uso ancora di ballare,

sì che per certo io non canterò -.

Solo attraverso le notazioni di Chiari, che ha avuto modo di fondare la propria edizione da una visione diretta del manoscritto, è stato possibile a Vela darne una strutturazione quanto più fedele alle indicazioni d’autore; cito:

Per la canzonetta - poesia CVI - è da notare che il primo rigo contiene, senza segno di divisione, il primo ed il secondo verso della edizione; il secondo rigo contiene il terzo e quarto verso distinti da una lineetta; il terzo rigo il verso quinto […].12

Per l’autore, dunque, la ripresa consisteva unicamente nel doppio settenario iniziale, sprovvisto di qualsiasi divisione interna e quindi sentito come unitario. Questo tipo di interpretazione non è stata accolta nell’edizione Puccini, così come quella avanzata per la ballata 109. L’irregolarità è interamente a carico della ripresa, l’unica di tutto il repertorio sacchettiano a mostrare una tipologia di un solo verso, ma comunque in linea con le coordinate trecentesche e affine a certi testi del repertorio ballatistico del secolo di poesia per musica. La ballata 109, Benedetta sia la state, è una ballata in ottonari

10 Vela 1996;

11 Puccini 2007a, p. 184;

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denominata dall’autore “canzonetta balatella”. Tutti gli editori del Libro hanno interpretato la ripresa come composta da quattro versi secondo lo schema “xyzy”. Tuttavia anche in questa circostanza giunge in soccorso un’attenta lettura dell’autografo da parte di Chiari:

I primi quattro versi della canzonetta, a c.18v, sono su uno stesso rigo con un segnetto di divisione dopo solazare, v.2, e dopo tornare, v.4; poi i versi sono a due a due per rigo, ma distinti con una lineetta preceduta da un punto, come di solito.13

Si deve perciò concludere che anche la ripresa di questo componimento sia da intendersi composta da versi doppi, ottonari, e non da quattro, come indica il segno divisorio rilevato da Chiari: le ballate 106 e 109 si illuminerebbero a vicenda. Osservando i contenuti è possibile constatare l’appartenenza di entrambi i componimenti ad un tipo di rimeria di tono marcatamente popolareggiante: per la prima ballata rimando al saggio di Vela già citato, che ha orientato il testo, a partire dalla didascalia stessa dell’autore e in virtù di motivi metrici, retorici, linguistici, nella direzione di una poesia pensata per un certo tipo di musica e di ballo. Per la seconda è necessario focalizzare l’attenzione sul tipo di verso utilizzato, cioè l’ottonario. Il nostro componimento è una “canzonetta”,

nomenclatura atta a designare un complesso di forme della poesia musicale tre-quattrocentesca il cui metro principale è la ballata, come nel caso di Benedetta sia la

state. Nella poesia delle Origini l’ottonario è presente in alternanza con il novenario in

composizioni giullaresche e religiose, come nella lauda del Laudario di Cortona di Jacopone da Todi. Caduto in disgrazia con la messa al bando dei parisillabi da parte di Dante, l’ottonario ritroverà un certo utilizzo nel Quattrocento, riportato alla ribalta da Lorenzo il Magnifico nella Canzona di Bacco e dal Poliziano in numerose canzoni a ballo. Le due ballate, quindi, si configurano come dei componimenti di intrattenimento, borghesi, pienamente aderenti alla definizione che un anonimo grammatico trecentesco dà nel Capitolum de vocis applicatis verbis: «Ballade sunt verba applicata sonis, et dicuntur ballade quia ballantur».14

13 ibid., p. 438;

76 1.3 Metro e sintassi

Schedando le ballate di Sacchetti è stato possibile notare delle costanti nella gestione dello spazio metrico. Solo in tre componimenti si rintraccia trapasso sintattico tra ripresa e prima mutazione:

46, vv. 1-5:

Così potess’io, Amor, da te partirmi, X come da me partito hai tua pietate, Y usando io fé, e tu pur crudeltate; Y perché tu solo mi conduci in parte A che niente esser vorrei come ma’ fui … B 79, vv. 1-4:

Di tempo in tempo e di martìro in pena X questo fallace Amor mia vita mena: X però ch’amar mi fa in parte tale, A che mi dà doglia, e non posso dolermi … B 82, vv. 1-5:

Amor, p‹oi che co›nvien ch’io sia lontano X da questa donna che mi tien sugetto, Y serba il m‹io cor n›el suo gentile aspetto; Y e col va‹go disi›o ch’io lascio in lei, A tienla ferma, signor che far lo puoi … B

I primi due casi prevedono un legame sintattico di tipo subordinativo, espresso mediante proposizione causale, mentre il terzo di tipo, copulativo, è più forte.

Più numerosi, per ovvie motivazioni morfologico-strutturali intrinseche al metro, gli scavalcamenti sintattici tra mutazioni e volta, registrati in ventidue testi (nel caso di componimenti di più di una strofa è da intendersi che il fenomeno avvenga almeno una volta). Seguendo la numerazione delle ballate in cui ricorre tale circostanza, si può agilmente notare che la consuetudine aumenta nel tempo: fino alla ballata numero 131 i trapassi sintattici si verificano solo in tre testi, numeri 51, 58 e 86, mentre tutti gli altri si trovano posti successivamente, nella fase di produzione ballatistica matura. Le modalità di valicamento metrico-sintattico più ricorrenti si verificano in presenza di dialogo:

86, vv. 33-38:

‹Ballata›, truova tutti gli avoltoi A ed orsi e lupi ch’abian forti artigli; B

77 ch’a questa vecchia vo’ diate di pigli, B

e chi ne porti il cuore e chi’ ventrigli, B e’corbie’ nibbi s’abian le budelle. X 176, vv. 9-14:

E per star fermo sempre a tal disio, A Amor mi fe’ trovar sua ghirlandetta; B

dove benigna mi domandò s’io A

l’avea, ed io rispuosi: - O giovinetta, B chi l’ha, dintorno al core la porta stretta, B pensando a quella che già l’ebbe in testa-. X

o di subordinata causale:

136, vv. 27-32:

Vattene ad Amor, mia balatella; A digli ch’alquanto aggia di me merzede, B punendo sì questa malvagia e fella, A ch’assempro sia a qual donna la vede: B ché m’ha tradito sanza alcuna fede, B come nessun fosse tradito mai. X 171, vv. 15-20:

Non è innamorato per mostrarsi A alcuno in atti, o per spander sospiri, B o con sue veste di novo adornarsi, A parendo disoneste a chi le miri: B

ché per li suo’ desiri b

l’effetto mostra spesso chi l’uom fia. X

o, infine, di subordinata introdotta da pronome dimostrativo o dimostrativo-relativo:

51, vv. 6-10:

Ma chi è que’ che vive in alto core? A Chi vertù segue e di ciò non s’atrista: B costui ispecchia in fama la sua vista B

per quel che dè’ venire, y

e ’l viver drieto a vita fa salire. Y 171, vv. 3-8:

Non vuol Amor se non il cor gentile; A e quello è cor gentil, che perfetto ama, B fugendo ognora dalla cosa vile A per seguir quel valor che sempre brama: B

chi amante si chiama, b

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Nel complesso, la sintassi impiegata dall’autore è tendenzialmente paratattica e laddove si verifichi ipotassi raramente si raggiungono subordinate di secondo grado. La tensione metrico-sintattica è debole, perché gli enjambements non sono frequenti e riguardano principalmente la sequenza verbo-complemento, sicché gli esiti stilistici devono essere analizzati caso per caso. Poco incisiva anche la presenza di fenomeni di perturbazione dell’ordine degli elementi della frase, quali anastrofi o iperbati. Si può, quindi, concludere che la sintassi utilizzata da Sacchetti nelle ballate sia fluida e semplice. 1.4 Strutture testuali ricorrenti

L’articolazione argomentativa delle ballate sacchettiane segue una disposizione geometrica e lineare: la ripresa contiene una introduzione, le mutazioni racchiudono lo sviluppo della tematica prescelta, mentre la volta dà la chiusura. All’interno di questo ordine si rendono evidenti delle tendenze.

In alcune ballate la ripresa è il luogo deputato all’introduzione di uno specifico soggetto, come accade, ad esempio, in certi componimenti moraleggianti, prevalentemente monostrofici o di lunghezza non superiore alle tre stanze:

56, vv. 1-2:

Chi, quando può, dottrina in sé non usa, incolpa sé s’altrui che sé n’accusa. 60, vv. 1-2:

Donne, per tempo alcuna donna non sia, che già mai fede a suo amante dia. 108, vv.1-2:

Chi più crede fare, colui men fa, perché, vivendo, niun contento sta.

A questa seguono le due mutazioni articolate in un unico periodo coordinato al suo interno e dedicate al momento argomentativo o edificante:

56, vv. 3-6:

Liber arbitrịo Dio a ciascun porge, e ’l tempo e ’l modo d’acquistar vertute; ma tal per gentil animo si scorge, e tal per vizio fugge sua salute. 60, vv. 3-6:

79 di donna, perché donna non è mai;

e se col pentér poi di ciò s’atrista, donna non torna per mover di guai. 108, vv. 3-6:

Disia ciascun d’esser più che non è, vorrebbe chi non ha, chi ha vuol più: per questo mancar veggio amor e fé, e ‘l pensier della morte cader giù.

Infine la volta contiene la conclusione che può essere gnomica o accogliere una riflessione di carattere conclusivo più generico, in linea con quella vocazione alle chiusure incisive già riscontrata nella produzione sonettistica.

56, vv. 7-8:

Folle è chi drieto al tempo ha tal pentute: chi non appara, non ha buona scusa. 93, vv. 7-8:

Così nel fallo sto, ma sento ch’io lasciar nol posso, e questo più mi dole.

La ripresa può anche contenere il motivo, che offre l’occasione per la composizione del testo:

86, vv. 1-2:

Tra 'l bue e l’asino e le pecorelle per un boschetto van due pastorelle. 134, vv. 1-2:

Mai non serò contento immaginando, il tempo e 'l loco e dov’io fui e quando.

Si riscontra con frequenza l’attacco con frase ipotetica di tipo controfattuale:

32, vv. 1-2:

Se ferma stesse giovenezza e tempo, donna, dagli occhi mie’ il tuo fugire non mi faria la mente sì languire. 113, vv. 1-2:

Se la mia vita con vertù s’ingegna, da donna vien che sovra il mio cor regna.

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Attacco ipotetico che può presentarsi anche in forma interrogativa:

20, vv. 1-2:

Se crudeltà d’amor sommette fé, qual è che ami, che trovi merzé? 145, v.1:

Se io son vecchio, donna, e tu che se’?

Un’altra tipologia testuale ricorrente è costituita da ballate narrative, in cui cioè le varie stanze si articolano come piccole scene di una vicenda da raccontare. È il caso della ballata 134, in cui l’io lirico incontra la donna amata intrappolata dai pruni in una selva e procede alla sua liberazione, salvo poi constatare amaramente nella terza stanza:

134, vv. 15-20:

Così quel giorno foss’io anzi morto ch’esser, com’era d’uno accompagnato, però che sol per questo mi fu corto il mio pensier, che tanto avea bramato; sì che, per esser tre, venne fallato il dolce don che io disïava amando.

o, seguendo il filo rosso dell’albero di pruno, è il caso della ballata 151 in cui la donna amata combatte contro l’albero:

151, vv. 6-10:

Quando pigliava il prun le chiome bionde, ella da sé il pignea

con bianca mano e bella, spesso tornando a quella,

ardito più che mai fosse altro pruno.

Accade che la narrazione possa procedere attraverso dei dialoghi, specificamente nelle ballate 30 e 131. Le partizioni metriche danno struttura allo scambio di voci: nel caso della ballata monostrofica 30 la ripresa include una domanda dell’io lirico ad Amore, mentre le mutazioni la risposta; la volta di tre versi, invece, è bipartita:

30, vv. 8-10:

- Ed io, da te costretto,

che fo, se 'n questa sta la mente mia? – - Amando segui, e diveratti pia -

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nel caso del componimento 131, articolato in cinque strofe, le prime quattro stanze includono, in modo alternato, botta e risposta del dialogo tra io lirico e le “montanine pasturelle”, mentre la quinta funge da congedo.

Si registra nella produzione delle ballate un aumento del numero delle stanze in progressione al trascorrere delle pagine del Libro, che è certamente sintomo di una maggiore sicurezza da parte dell’autore dei propri strumenti e che porta con sé una tendenza, via via crescente, all’impiego di artifici retorici. La presenza di anafore che strutturino un componimento dall’inizio alla fine si registra solo in tre casi: nella ballata monostrofica 104 in cui l’aggettivo “crudel” apre ogni verso, nella 106 in cui il susseguirsi di frasi ipotetiche scandisce vari momenti della canzonetta da ballo, nella 109 in cui l’anafora di “e” congiunzione copulativa è funzionale all’accumulo di personaggi via via elencati. La scansione orientativa dell’anafora viene sfruttata molto più a fondo nei sonetti e nelle canzoni, mentre nelle ballate è piuttosto la figura retorica speculare a questa ad essere impiegata con costanza, ossia l’epifora. L’espediente retorico non è raro nel metro ballatistico: precisi richiami di scrittura tra ripresa e volta, seppur rigidi, si possono individuare già in componimenti delle origini fino ad arrivare al massimo di cura formale con il «procedimento circolare» di alcune ballate petrarchesche.15 L’epifora viene utilizzata da Sacchetti, non a caso, nei componimenti più lunghi. Un esempio compatto è costituito dai testi 134, 135 e 136, che fanno macchia tra di loro: composti da quattro o cinque stanze sono ballate a tutti gli effetti, eppure designate dall’autore nella didascalia incipitaria dall’appellativo “canzonetta”, giustificabile, qui come altrove, dal numero delle stanze pari o superiore a quattro.16 In 134 il primo verso della ripresa «Mai non serò contento immaginando» viene riproposto nell’ultimo verso dell’ultima volta. Più complesso il sistema di epifore in 135, di cui si riportano primo verso della ripresa e le volte delle prime due stanze:

v. 1:

Ma’ non senti’ tal doglia … vv. 9-12:

Il mare e ’l monte e ’l piano non so com’io trapassi, che’ mie’ dogliosi passi

15 Bigi 1989, pp. 29-47;

82 non mi mettan ognora a mortal doglia.

vv. 17-20:

Lasso, ch’al tutto fia distrutta mia valenza, quando la sua presenza

mi vedrò alungar con grave doglia.

La parola “doglia”, enunciata nel primo verso della ripresa, conclude ogni stanza, congedo compreso; il medesimo espediente retorico si ravvisa nella ballata 136, in cui l’espressione «tradito m’hai» conclude ripresa e stanze, mentre nel congedo si trova impreziosita dalla rima equivoca contraffatta «tradito mai».

Caso unico del suo genere nel repertorio sacchettiano è, infine, la ballata 172 articolata in un sistema di anafore ed epifore: ogni stanza comincia con “che val” e si conclude con la parola “morte” e di seguito si riportano ripresa e prima stanza:

vv. 1-8:

Perché virtù fa l’uom costante e forte, a virtù corra chi vuol fuggire morte. Che val fugir quel che sempre s’appressa e che ci guida ognora a mortal fine? Corre la nostra vita, e mai non cessa infin che giugne a l’ultimo confine; chi più combatte contro a tal ruine, più tosto è vinto e più s’appressa a morte. 1.5 Lessico e motivi

Laddove, come si è detto, il sonetto nel corso del Trecento si configura sempre più come forma polivalente, adibita ad uso lirico così come alla corrispondenza poetica o a prove sul versante realistico, la ballata si spende, prevalentemente, verso la rappresentazione della consueta casistica amorosa di stampo stilnovistico. Tra i componimenti sacchettiani si contano alcune prove sul versante moraleggiante, come si è avuto modo di leggere sin qui, che tuttavia per la loro natura opaca sono privi di interesse da un punto di vista strettamente lessicale. La maggior parte dei componimenti sacchettiani, in linea con le tendenze del secolo, si muove nella direzione del lamento d’amore. Si legga la ballata 39:

83 Qual fèro volto fia già mai ch’io miri,

da po’ che la mia luce

timida guarda donna ov’Amor luce? Amor dagli occhi al cor suo valor spira,