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CAPITOLO IV: L’OMOSESSUALITÀ DALLA

2. Il basso impero

Le fonti giuridiche che trattano l’argomento sono costituite dalla

Collatio, una raccolta di norme giuridiche romane e di testi mosaici,

e da due costituzioni recepite nel Codice Teodosiano278.

Nella Collatio279 il termine di riferimento è la legge mosaica, il che, certamente, implica l’intromissione delle basi ideologiche della

277 Per un approfondimento sulla “naturalità” dei rapporti si rimanda a E.

CANTARELLA, Secondo natura, cit., pp. 239 ss.; C.A.WILLIAMS,

Roman Homosexuality, cit., pp. 235 ss.; J. BOSWELL, Christianity, cit.,

pp. 14 ss.

278 D. DALLA, Ubi venus, cit., p. 165.

279 F. LUCREZI, La violenza sessuale in diritto ebraico e romano,

113 cristianità nella normativa, fino a quel momento sempre stata laica. Il dettato che prenderemo ora in considerazione è quello sotto il titolo V de stupratoribus:

Coll. 5.1.1: Moyses dicit: Qui manserit cum masculo mansione muliebri, aspernamentum est: ambo moriantur, rei sunt.

Il testo, citato anche nel Levitico 20.13, condanna espressamente gli uomini che hanno relazioni sessuali come se fossero delle donne, saranno oggetto di disprezzo e verranno condannati a morte.

Coll. 5.1.2. Paulus libro senten. 2 sub titulo de adult: Qui masculum liberum invitum stupraverit, capite punietur. 2.Qui voluntate sua stuprum flagitiumque inpurum patitur, dimidia parte bonorum suorum multatur nec testamentum ei ex maiore parte facere licet.

Coll. 5.1.3. Hoc quidem iuris est: mentem tamen legis Moysi imperatoris Theodosii constitutio ad plenum secuta cognoscitur.

Nella seconda parte del testo viene inserito il testo di Paolo, riportato anche nelle Pauli Sententiae 2.26.12, in cui si parla dello

stuprum nei confronti del maschio libero consenziente, punito con

la pena capitale, e del rapporto omosessuale passivo, punito con la privazione della metà dei beni.

Nell’ultima parte di questo testo viene citata una costituzione di Teodosio I che segue espressamente quella che è l’intenzione della legge mosaica. Si tratta di una lex del 390 d.C. riprodotta con modifiche nel Codice Teodosiano, C. Th. 9.7.6.

Entrambi i testi verranno analizzati più avanti nella nostra trattazione, poiché esamineremo precedentemente un’altra

114 costituzione in materia, databile al 342 d.C., riportata dal Codice Teodosiano, C. Th. 9.7.3, antecedente a entrambe280:

C. Th. 9.7.3 Impp. Costantius et Costans AA. Ad populum: Cum vir

nubit in feminam, femina viros proiectura quid cupiat, ubi sexus perdidit locum, ubi scelus est id, quod non proficit scire, ubi Venus mutatur in alteram formam, ubi amor quaeritur nec videtur, iubemus insurgere leges, armari iura gladio ultore, ut exquisitis poenis subdantur infames, qui sunt vel qui futuri sunt rei.

Il disposto prevede che, quando un uomo si unisce, letteralmente si “sposa” (nubit), come fosse una donna, facendo perdere al proprio sesso la sua funzione biologica e commette un delitto che è meglio non conoscere, quando l’amore cambia aspetto (ubi venus mutatur), allora dovrà intervenire la legge e applicare le pene prestabilite (ut

exquisitis poenis subdantur infames).

La lettura di questa costituzione non è però unanime tra gli studiosi. Dalla281 ritiene che dal testo non emerga quale comportamento omosessuale debba essere sanzionato, escludendo che possa riferirsi ai matrimoni omosessuali. Se così fosse, aggiunge l’autore, si dovrebbe supporre che vi fosse stata una qualche considerazione legislativa di tali unioni, quando invece non furono mai considerate giuridicamente rilevanti. Il motivo di tale interpretazione va ricercato nella traduzione, che egli propone, di vir qui nubit in

feminam che, secondo l’Autore, indica chi si sottomette in un

rapporto omosessuale e non vuole indicare un rapporto matrimoniale. Seguendo questa traduzione, allora, il vir qui nubit

in feminam sarebbe l’omosessuale passivo, ovvero la forma di

280 D. DALLA, Ubi venus, cit., p. 167; L. SANDIROCCO, Cum vir, cit.,

p. 11.

115 omosessualità che la legislazione romana ha sempre voluto sanzionare282.

Secondo Boswell283, invece, la legge voleva vietare proprio i matrimoni omosessuali che, fino a quel momento, erano considerati, almeno de facto, legali. L’autore ritiene, infatti, che la norma voglia vietare questo genere di rapporti e che il termine

nubere si riferisca, appunto, al matrimonio. Nubere, osserva

l’autore, veniva usato dagli autori latini284 per descrivere anche i

matrimoni tra persone dello stesso sesso. Dello stesso parere risulta essere Pharr285, che non ha dubbi sulla traduzione del testo e sul suo significato: quum vir nubit in feminam viris porrecturam significa senza dubbio “quando un uomo si sposa come una donna che si offra agli uomini286”.

Anche se non siamo in grado, in questa trattazione, di capire quale fosse il vero significato della costituzione dei due imperatori, certo è che volessero punire i rapporti omosessuali. Un altro punto ambiguo di questo testo è la punizione inflitta ai colpevoli. Secondo Sandirocco 287 , la locuzione generica poenae exquisitae si riferirebbe a delle sanzioni appositamente stabilite in considerazione della specifica fattispecie, senza chiarire se si tratta o meno di pena capitale. Diversamente, altri Autori288 ritengono che i rei vengano minacciati con la pena di morte e, in particolare,

282 Dello stesso parere D.S. BAILEY, Homosexuality and the western

christianity tradition, Londra, 1955, cit., pp. 70 ss.; L. SANDIROCCO, Cum vir, cit., p. 11, per il quale: “Il termine “nubere” sembrerebbe essere

usato in senso estensivo per indicare il rapporto omosessuale passivo”.

283 J. BOSWELL, Christianity, cit., pp. 159 s.

284Tra gli altri MARZIALE, Epig. VIII, 12: Uxorem quare locupletem

ducere nolim, Quaertis? Uxori nubere nolo meae. Inferior matrona suo sit, Prisce, marito: Non aliter fiunt femina virque pares.

285 C. PHARR, The Theodosian Code and Novels and the Sirmondian

Constitution, Princeton, 1952, pp. 231 s.

286 J. BOSWELL, Christianity, cit., p. 173 nt. 9. 287 L. SANDIROCCO, Cum vir, cit., p. 11.

116 puniti con la vivicombustione, così come era previsto nelle Pauli

Sententiae 5.4.14 e come ci dice anche il seguente testo della Collatio:

Coll. 5.3. Imppp. Valentinianus, Theodosius et Arcadius Auggg. ad Orientium vicarium urbis Romae:

1. Non patimur urbem Romam virtutum omnium matrem diutius

effeminati in viro pudoris contaminatione foedari et agreste illud a priscis conditoribus robur fracta molliter plebe tenuatum convicium saeculis vel conditorum inrogare vel principum, Orienti k(arissime) ac iuc(undissime) nobis.

2. Laudanda igitur experientia tua omnes, quibus flagiti usus est

virile corpus muliebriter constitutum alieni sexus damnare patientia nihilque discretum habere cum feminis, occupatos, ut flagitii poscit inmanitas, atque omnibus eductos, pudet dicere, virorum lupanaribus spectante populo flammae vindicibus expiabit, ut universi intellegant sacrosanctum cunctis esse debere hospitium virilis animae nec sine summo supplicio alienum expetisse sexum qui suum turpiter perdidisset.

Gli imperatori, in questa costituzione, ritengono insopportabile il decadimento della città di Roma e dei suoi costumi dovuto ai comportamenti effeminati degli uomini che offendono i fondatori della città. Per questo motivo, tutti coloro che sono accusati di assoggettare il loro virile corpus alla passività verranno portati via dai bordelli e puniti con il rogo davanti al popolo.

La repressione viene motivata dalla necessità di difendere la città di Roma, cercando di tutelare le virtù degli uomini e richiamando quegli elementi che erano legati alla tradizione antica.

Se mettiamo in parallelo questa costituzione con la già citata legge del C. Th. 9.7.3, di cui sopra, sembrerebbe chiaro che i destinatari

117 non siano gli omosessuali in generale, si tratterebbe infatti di una norma diretta a reprimere l’omosessualità passiva289. Il legislatore

guarda con sdegno il gran numero (plebs fracta) di individui effeminati che sottopongono il loro corpo alla patientia, tipica delle donne. La punizione, inoltre, non viene applicata a chiunque, ma solo agli humiliores, ovvero agli schiavi e alle persone di basso rango.

Per la seconda costituzione dobbiamo attendere che Teodosio I, nel 380 d.C., emani l’editto di Tessalonica e il Cristianesimo divenga religione di Stato: dieci anni dopo la legislazione imperiale si occupò di nuovo del fenomeno omosessuale.

Nel giugno del 390, a seguito di una rivolta della popolazione repressa con la forza, Teodosio I ricevette una lettera dall’allora vescovo di Milano, Ambrogio, che indusse l’imperatore a pentirsi e a chiedere pubblicamente scusa per il suo gesto. Dopo questo evento la politica dell’imperatore si inasprì sensibilmente.

Lo stesso anno, infatti, l’imperatore Teodosio I emanò una costituzione contro gli omosessuali, concentrandosi sull’omosessualità passiva e punendo con il rogo chiunque la praticasse:

C. Th. 9.7.6: Omnes, quibus flagitii usus est virile corpus

muliebriter constitutum alieni sexus damnare patientia, nihil enim discretum videntur habere cum feminis, huiusmodi scelus spectante populo flammae vincibus expiabunt.

289 D. DALLA, Ubi venus, cit., p. 174; C.V. DAREMBERG, E. SAGLIO,

Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, Parigi, 1877-1919, p.

1547; U. BRASIELLO, La repressione penale in diritto romano, Napoli, 1937, p. 229; A. PETRUCCI, Lezioni, cit., p. 29.

118 Anche per quanto riguarda questa costituzione le interpretazioni non sono uniformi. Alcuni Autori290 ritengono che la legislazione

si riferisca alla prostituzione omosessuale, in quanto “somma espressione del crimine di sodomia”291, mentre per Bailey292 da

questa legge si potrebbe dedurre una generale legislazione contro gli omosessuali. Boswell però rimprovera a Bailey di ignorare il testo completo della legge conservata nella Mosaicarum et

Romanarum legum Collatio, in cui si specifica che le persone

accusate di ciò dovevano essere trascinate fuori dai bordelli in cui lavoravano.

Anche Dalla293ritiene che la norma non si riferisca nello specifico alla prostituzione, problema che, secondo l’Autore, era già stato superato. Secondo Dalla, infatti, la norma si riferiva agli uomini “prostituti o meno, che siano usi soggiacere nei modi dell’altro sesso”.

L’opinione di Dalla e Bailey, a mio avviso, non è condivisibile. Se la norma avesse avuto una portata generale, come essi pensano, non si capirebbe perché Giustiniano non l’avrebbe ricompresa nella sua compilazione, preferendole, appunto, la C. Th. 9.7.3 che ha una portata più ampia.

La situazione a Roma era sicuramente cambiata, gli omosessuali passivi venivano puniti con il rogo e la prostituzione maschile veniva repressa con crescente durezza; del resto, il rispetto della morale cristiana richiedeva una condanna decisa a ogni tipo di

290 A. PETRUCCI, Lezioni, cit., p. 30; J. BOSWELL, Christianity, cit., p.

160; T. HONORÉ, Law in the crisis of Empire, 379-455 AD: The

Theodosian dynasty and its quaestors with a palingenesia of laws of the dynasty, Oxford, 1998, p. 69; M. MASTERSON, N. S. RABINOWITZ,

J. ROBSON, Sex in antiquity: Exploring gender and sexuality in the

ancient world, Londra, 2018, p. 501.

291 A. PETRUCCI, Lezioni, cit., p. 30. 292 J.M. BAILEY, Homosexuality, cit., p. 72. 293 D. DALLA, Ubi venus, cit., p. 183.

119 omosessualità, attiva o passiva che fosse, poiché chi ne era colpevole commetteva un peccato imperdonabile, che più di ogni altro offendeva il Signore. Bisognava punire in maniera decisa chiunque agisse “contro natura”, e Giustiniano lo fece.

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