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La repressione totale di Giustiniano

CAPITOLO IV: L’OMOSESSUALITÀ DALLA

3. La repressione totale di Giustiniano

Con questo imperatore tutti gli omosessuali, indipendentemente dal ruolo, furono condannati a morte. Il concetto di “secondo natura” era ormai del tutto cambiato: l’unico rapporto accettabile era quello eterosessuale.

Giustiniano inizia un nuovo periodo di repressione, in principio collegandosi a quelle che erano le normative postclassiche e richiamando la normativa augustea, per poi allontanarsene ed inaugurare una nuova dimensione di inquadramento, questa volta strettamente motivata dalla trasgressione della legge divina294. Il primo testo che visioneremo è un passo tratto dal Codex, ove si riporta la lex già analizzata in C. Th. 9.7.3:

C. 9.9.30, Impp. Constantius et Constans AA. Ad populum: Cum vir

nubit in feminam, femina viros proiectura quid cupiat? ubi sexus perdidit locum, ubi scelus est id quod non proficit scire, ubi venus mutatur in alteram formam, ubi amor quaeritur nec videtur: iubemus insurgere leges, armari iura gladio ultore, ut exquisitis poenis subdantur infames, qui sunt vel qui futuri sunt rei.

Il testo passa dunque indenne da Teodosio II a Giustiniano. Probabilmente la lex di C. Th. 9.7.3 è stata ripresa per la generica

120 indicazione dei destinatari e delle pene, a differenza della successiva lex di C. Th. 9.7.6, che, invece, non viene accolta da Giustiniano.

La legislazione augustea sull’adulterio è invece richiamata nelle Istituzioni295:

I. 4.18.4: Item lex Iulia de adulteriis coercendis, quae non solum

temeratores alienarum nuptiarum gladio punit, sed etiam eos qui cum masculis infandam libidinem exercere audent.

Nel testo Giustiniano riprende la lex Iulia de adulteriis coercendis, ma, rispetto alla legge di Augusto, contiene una disposizione in più: sancisce, infatti, che vengano puniti con la spada non solo gli adulteri, ma anche chi sfoga la sua libidine con gli uomini.

Rispetto alla legislazione augustea, però, vi è una differenza sostanziale: infatti, anzitutto, Giustiniano non fa più distinzione tra omosessuali passivi e attivi. Anche la forma letterale risulta essere diversa, non vengono più nominati la patienta e lo stuprum ma viene utilizzata una formula nuova e più generica: “infanda libido

cum masculis”, che mette in evidenza l’aggressività sessuale e il

soggetto attivo296.

Giustiniano torna sull’argomento con due Novelle, 77 e 141, di diversa portata, la prima dedicata al crimine di bestemmia e che solo incidentalmente tocca il problema dell’omosessualità, mentre la seconda completamente dedicata all’omosessualità.

La Novella 77 del 538 d.C. risulta essere importante perché spiega le ragioni ideologiche che sollecitano il legislatore:

Nov. 77 praef:

295 D. DALLA, Ubi venus, cit., p. 187; L. SANDIROCCO, Cum vir, cit.,

p. 14; C.A. WILLIAMS, Roman Homosexuality, cit., p. 316.

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Omnibus hominibus qui sapiunt manifestum esse aribtramur omnia nos et studia et vota in eo collocare ut ii qui nobis crediti sunt a domino deo recte vivant et eius clementiae participes fiant, quoniam dei quoque benignitas non interitum sed conversionem et salutem vult, eosque qui peccaverunt et in viam redeunt suscipit deus. Propterea omnes hortamur ut dei timorem in animo habeant et clementiam eius implorent, ac scimus omnes qui deum diligunt et misericordiam eius expectant id facere.

In questa Novella notiamo subito un cambiamento di linguaggio. Giustiniano agisce per fare in modo che venga rispettata la legge di Dio. Il suo impegno, dice nel testo, è che coloro che gli sono stati affidati dal Signore seguano la sua legge e che non si lascino andare alla perdizione, ma si convertano. Esorta, infine, a temere e implorare Dio.

Nel testo, il legislatore si mostra intransigente nei confronti dei delitti contro la religione, ma ammette il pentimento. Giustiniano ricorda, infatti, che Dio non vuole la morte, bensì il pentimento e la conversione297. Non ci sono più motivazioni sociali o politiche a smuovere il legislatore ma religiose e, in questo nuovo contesto, non ci sarà più solo una questione di reato e di pena, ma di peccato e castigo divino.

Nov. 77.1: Igitur quoniam quidam diabolica instigatione

comprehensi et gravissimis luxuriis semetipsos inseruerunt et ipsi naturae contraria agunt, et istis iniungimus accipere in sensibus dei timorem et futurum iudicium et abstinere ab huiusmodi diabolicis et illicitis luxuriis, ut non per huiusmodi impios actus ab ira dei iusta inveniantur et civitates cum habitatoribus earum pereant. Docemur enim a divinis scripturis, quia ex huiusmodi impiis actibus et civitates cum hominibus pariter perierunt.

122 In questa prima parte c’è un evidente riferimento all’omosessualità, considerata come pratica sessuale naturae contraria, che ora viene anche collegata ad una fascinazione del demonio (huiusmodi

diabolicis et illicitis luxuriis). Il legislatore esorta ad astenersi da

tali scostumatezze, senza fare distinzione sul ruolo assunto, onde evitare l’ira divina che si abbatterebbe, oltre che sui peccatori, anche sulle loro città, proprio come nel noto episodio biblico riguardante la storia di Sodoma (Docemur enim a divinis scripturis,

quia ex huiusmodi impiis actibus et civitates cum hominibus pariter perierunt)298.

Nella proseguo della Nov. 77.1. il legislatore si rivolge ai bestemmiatori. Nominare il nome di Dio invano, infatti, sarebbe causa di carestie, terremoti e pestilenze strettamente legati all’ira divina299. I peccatori che persevereranno nel delitto di bestemmia saranno quindi puniti, oltre che dalla legge divina, anche dalle leggi degli uomini.

Nov. 77.2: Praecepimus enim gloriosissimo praefecto regiae

civitatis permanentes praedictis illicitis et impiis actibus et post hanc nostram admonitionem et comprehendere et ultimis subdere suppliciis, ut non ex contemptu talium inveniatur et civitas et respublica per hos impios actus laedi. Si enim et post hanc nostram suasionem quidam tales invenientes hos subtercelaverint, similiter a domino deo condemnabuntur. Et ipse enim gloriosissimus praefectus si invenerit quosdam tale aliquid delinquentes et vindictam in eos non intulerit secundum nostras leges, primum quidem obligatus erit dei iudicio, post haec autem et nostram indignationem sustinere.

298 B. BIONDI, Il diritto, cit., p. 425; D. DALLA, Ubi venus, cit., pp.

200 ss.

123 Nell’ultima parte la costituzione impone al prefetto della città la punizione di coloro i quali si saranno macchiati di tali indegni atti, al fine di evitare che tali loro condotte si riflettano in un castigo divino sulla Città e sullo Stato, che non abbia provveduto a punirli (ut non ex contemptu talium inveniatur et civitas et respublica per

hos impios actus laedi). La punizione, inoltre, viene estesa sia a

coloro che avessero scoperto qualcuno compiere questi atti indegni e li abbiano coperti, sia al prefetto che non abbia applicato la legge contro coloro che avevano peccato.

Per la bestemmia sono minacciate pene corporali (et legibus

constitutis subiciuntur tormentis), mentre per tutti coloro che

perseverano nel commette atti sconvenienti, nel par. 2, si minaccia l’imprigionamento, la tortura e, infine, l’ultimo supplizio (subdere

suppliciis), che sembrerebbe da interpretare come pena di morte300. Ci troviamo di fronte al primo testo normativo che recepisce le nozioni e le espressioni del linguaggio ecclesiastico, che ricollega il reato al peccato e la punizione all’ira di Dio, unendo in una costituzione dell’impero la legge umana e quella divina301.

Nel 559 Giustiniano emana un’ulteriore costituzione sull’argomento. Il ritorno del legislatore al tema è probabilmente da ricondurre agli avvenimenti che colpirono Costantinopoli tra il 15 e il 23 dicembre del 557. In quell’anno un terribile terremoto sconvolse la città, uccidendo moltissime persone, mentre l’anno seguente sopraggiunse la peste. Si diffuse allora l’idea che le calamità che avevano colpito la città fossero dovute alla collera divina302. La risposta legislativa non si fece attendere e, nella Novella 141, si assistette ad un nuovo approccio al problema,

300 D. DALLA, Ubi venus, cit., pp. 202 s. 301 L. SANDIROCCO, Cum vir, cit., p. 14. 302 D. DALLA, Ubi venus, cit., p. 203.

124 evidentemente ancora diffuso, dell’omosessualità: tutti coloro che si ravvedono e smettono di peccare vengono perdonati, sfuggendo alla punizione divina e a quella terrena come “premio” per aver impedito che la collera celeste si abbattesse sulla città:

Nov. 141 praef: Semper quidem humanitate et clementia dei omnes

indigemus, maxime vero nunc cum multitudine peccatorum nostrorum multis cum modis ad iracundiam provocavimus. Et minatus est quidem, et ostendit, quid peccata nostra mereantur, clemens tamen fuit iramque rejecit poenitentiam nostram expectans, et qui nolit mortem nostram, peccantium, sed conversionem et vitam. Quare justum non est, ut omnes divitias bonitatis, et tolerantiae et patientiae clementis dei contemnamus, ne duro et poenitentiam non agente corde nostro accummulemus nobis iram in diem irae, sed ut omnes quidem pravis cupiditatibus et actionibus abstineamus, maxime vero illi, qui in abominabili et deo merito exosa atque impia actione contabuerunt. Loquimur autem de stupro masculorum, quod multi impie committunt masculi cum masculis turpitudinem perpetrantes.

Nel proemio viene spiegato il motivo per cui viene emanata la norma: a causa dei peccati l’uomo ha avuto modo di provare l’ira divina (cum multitudine peccatorum nostrorum multis cum modis

ad iracundiam provocavimus). Essa si era scagliata sul popolo e,

tuttavia, lo stesso era stato risparmiato per concedergli la possibilità di redimersi e di convertirsi, per questo motivo ora non si doveva più indugiare e bisognava astenersi da azioni empie e malvage. Alla fine del proemio, il legislatore disvela il vero bersaglio delle sue prediche e si rivolge direttamente agli uomini che hanno compiuto azioni exosa ed impia, ovvero coloro che avevano rapporti omosessuali (masculi cum masculis turpitudinem perpetrantes).

Nov. 141.1: Scimus enim sacris scripturis edocit, quam justam poenam deus illis, qui Sodomae olim habitarunt, propter insanam

125

hanc commixtionem inflexerit, adeo ut huiusque regio illa inextincto igne ardeat, atque per hoc nos docet, ut impiam illam actionem aversemur. Recursus vero scimus, quid de his sanctus apostolus dicat, quidque reipublicae nostrae leges sanciant, atque ut omnes, qui timori dei intenti sunt, impia et profana actione abstinere debeant, quae nec a brutis perpetra invenitur, atque illi quidem, qui eius rei sibiconscii non sunt, in futurum etiam tempus sibi caveant qui vero hoc affectu iam contabuerunt, non solum in posterum desistant, set etiam verum poenitentiam agant et deo supplicentur, et beatissimo patriarchae vitium indicent, et sanationis modum accipiant, et secundum id, quod scriptum est, fructum poenitentiae ferant, ut clemens deus pro divitiis misericordiae sua nos quoque clementia sua dignetur, et omnes pro illorum, qui poenitentiam agunt, saluti gratias ipsi agamus, in quos etiam nunc magistratiis inquirere jussimus, deum placentes, qui juste nobis iratus est. Et nunc quidem ad sacrorum dierum honorem respicientes benignum deum rogamus, ut illi qui in impiae huius actionis coeno volvuntur, ita resipiscant, ut alia eam puniendi occasio nobis non detur; denunciamus autem omnibus, qui einsmodi peccati sibi conscii sunt, nisi peccare desinant, atque se ipsos beatissimo patriarchae deferentes salutis suae curam agant, propter impias eiusmodi actiones deum intra sanctum festum se non detulerunt, vel in impia illa actione perseveraverunt, ne per negligeniam hac in re commissam deum contra nos irritemus, si tam impiae et prohibitae actioni, quaeque maxime idonea sit ad bonum deum ad omnium perniciem irritandum, conniveamus.

Nel testo si fa un riferimento esplicito alla città di Sodoma303 e alla punizione che l’ha colpita a causa dei comportamenti di coloro che vi abitavano, rivolgendosi, quindi, a tutti coloro che si macchiano

303 B. BIONDI, Il Diritto, cit., p. 469; L. SANDIROCCO, Cum vir, cit.,

126 del peccato di omosessualità. Nella Novella il legislatore vuole a tutti i costi cancellare il peccato, per questo motivo spinge coloro che si sono macchiati di comportamenti empi e scellerati a ravvedersi onde evitare l’ira di Dio e la sua punizione, che si sarebbe scagliata contro tutto il popolo indistintamente. La legge si rivolge a tutti, sia a quelli che non hanno mai commesso nulla di tutto ciò, intimandogli di non scivolare nel peccato, sia a quelli che ormai ne sono consumati (affectu iam contabuerunt), comandandogli non solo di astenersi da simili comportamenti, ma di pentirsi dinanzi al patriarca (atque se ipsos beatissimo

patriarchae deferentes salutis suae curam agant) prima della festa

di Pasqua (sanctum festum): così facendo, saranno perdonati da Dio e dalle leggi. Tutti quelli che, invece, non si saranno denunziati entro tale data e avranno continuato a vivere nel peccato saranno perseguiti e puniti per evitare di continuare a sfidare l’ira divina, arrecando rovina al resto del popolo.

La novità di questa disciplina sta nelle ragioni della repressione, che vengono ricollegate alla penitenza. Non è sufficiente cessare di commettere peccato ma, affinché si venga perdonati e non puniti, bisogna confessarsi dinanzi al beatissimus patriarcha, al fine di iniziare proficuamente il percorso di espiazione304.

Dopo l’intervento legislativo di Giustiniano l’omosessualità non è più considerata un reato contrario alla morale, ma un peccato e viene punita in quanto tale, senza distinzione tra soggetti attivi e passivi, in ogni sua manifestazione, anche perché la diffusione di tali pratiche a livello sociale inimica alla romanità tutta la divinità, esponendola ad un costante rischio di perimento.

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