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Biotecnologa e divulgatrice scientifica

20 marzo 2018

Dall’analisi della copertura del “Corriere della sera” negli ultimi due anni dei temi agricoltura, biotecnologie e clima emerge che, quando si parla di questi temi, in particolare di OGM, intervengono spesso persone che non sono dei veri e propri esperti, come per esempio la Cattaneo, che difende gli OGM, rispetto ad altri come Slow Food o altre associazioni che sono contrari. Secondo lei perché?

Bella domanda… dovresti farla al direttore. Intanto è una cosa che capita dappertutto. Se tu avessi visto “Repubblica” o qualche altro quotidiano avresti trovato una situazione simile, analoga. Poi magari ognuno ha i suoi esperti di riferimento, però si vanno sempre a prendere più degli opinionisti che degli esperti. Questo non capita solo con gli OGM, capita in generale; anche nel caso dei vaccini, se vai a vedere, hai sempre e comunque delle interviste a scienziati o personaggi legati in qualche modo alla scienza o a quel tipo di scienza, a cui si chiede un’opinione. In Italia sugli OGM in particolare c’è l’aggravante che, di fatto, oggi nessuno fa ricerca sugli OGM, perché non hai chi li produce. Hai chi fa ricerca di base, hai delle aziende che lavorano, magari delle multinazionali che hanno delle sedi in Italia, quindi conoscono l’argomento, però non hai più una ricerca pubblica sugli OGM di interesse per l’agricoltura nazionale, per cui effettivamente è difficile andare a intervistare “l’esperto” di OGM visto che di fatto non si possono studiare. Rispetto ad altri temi c’è forse questa aggravante, che si aggiunge al discorso degli opinionisti, che invece ci sono sempre. Però non mi sembra che quello di andare a intervistare la Cattaneo – una volta era Veronesi – oppure Slow Food sia un problema specifico degli OGM. È un problema del giornalismo in generale, quello generalista, che ha una serie di approcci sbagliati: quello di andare a intervistare persone che non sono esperte di quella materia specifica, e poi quello di fare il gioco delle due campane, che porta ad avere sempre le due posizioni contrapposte. Quindi, se intervisti la Cattaneo, poi devi intervistare anche Greenpeace con l’idea di dar voce a tutte le opinioni in ballo.

In effetti io avevo ipotizzato che dipendesse anche dalle dinamiche interne alle redazioni, da questioni sia di tempi che di notiziabilità.

Sì, anche di mancanza di una redazione scientifica all’interno dei quotidiani, perché mancano proprio le conoscenze, i contatti, e anche la conoscenza del metodo del giornalismo scientifico, che è diverso da quello del giornalismo politico o economico. Il giornalista scientifico non si sognerebbe mai di fare l’intervista doppia a Greenpeace e al biotecnologo, invece un giornalista generalista vede come una cosa dovuta il far sentire tutte le opinioni.

Sì, è proprio un altro lavoro. Sono metodi abbastanza incompatibili ed è difficilissimo far capire ai giornalisti generalisti che il metodo giusto per il giornalismo scientifico è questo, cioè farsi carico dell’analisi dello scenario e trasmettere un disegno il più possibile realistico e veritiero dello stato dell’arte dell’argomento di cui stai scrivendo, chiaramente senza nascondere le verità sotto il tappeto, però senza necessariamente dare voce a tutte le opinioni. Le opinioni in teoria sono importanti da un punto di vista di costume, in generale, di interesse culturale su quell’argomento, però quando parli di questioni legate ai risultati della ricerca scientifica… Ad esempio, se esce lo studio in cui si dimostra che dalle ricerche fatte il mais BT non è dannoso per la salute, dovrebbe uscire un articolo che racconta quello studio e quali sono le conclusioni. Invece quello che succede è che magari c’è una notizia su quello studio, però poi c’è l’opinione dello scienziato pro e l’opinione di Assobio piuttosto che Greenpeace, che dice che non ci crede. E uno dice: “Va bene, sono contento che tu non ci creda, però chi se ne frega in fondo”.

Riguardo al rapporto tra ricercatori e agricoltori nei progetti di miglioramento genetico, in base alla sua esperienza, gli agricoltori possono essere considerati degli esperti? Che rapporto hanno con il mondo della ricerca?

Io sto lavorando da qualche anno insieme a Confagricoltura, che è un’associazione di categoria degli agricoltori. Organizziamo un festival a Mantova che si chiama Food and Science Festival, promosso quindi da agricoltori. Il programma lo facciamo noi comunicatori della scienza e invitiamo a parlare scienziati con l’idea di cambiare il racconto dell’agricoltura, di raccontare la vera agricoltura, la vera ricerca scientifica in agricoltura. Passo molto tempo a stretto contatto con loro, in questi anni abbiamo incontrato centinaia di ricercatori che lavorano direttamente in campo agricolo e ci siamo resi conto che in realtà c’è una collaborazione costante tra agricoltori e scienziati. Non viene tanto fuori, non si racconta mai, però c’è. Da un lato, mi rendo conto che se vai a prendere certi scienziati che si occupano magari più di ricerca di base, è chiaro che non hanno alcun tipo di interazione con gli agricoltori. Probabilmente hanno un’idea degli agricoltori ancora molto dei primi del Novecento, quindi un po’ bifolco… Se però vai a prendere quelli che lavorano sulle piante per esempio, o sugli animali d’allevamento, che quindi conoscono gli agricoltori, perché raccolgono le loro esigenze, oppure li usano per raccogliere dati, oppure stabiliscono assieme quali possono essere le caratteristiche che deve avere una determinata pianta per essere coltivata meglio, oppure per rendere di più, alla fine se parli con questi, loro hanno ben chiaro che gli agricoltori nel corso degli anni sono cambiati molto. Io dialogo con giovani agricoltori che hanno lauree, dottorati, e che la ricerca non solo la conoscono, ma spesso l’hanno anche fatta. Quindi bisognerebbe raccontare di più questi aspetti, far vedere quali sono le possibilità concrete di interazione tra queste due categorie, che già ci sono ma che potrebbero essere rafforzate. Poi è chiaro che ci sono ancora quelli che stanno lì, mandano avanti l’aziendina e non si interessano di niente, però gli agricoltori più

smart, che una volta erano una nicchietta, adesso iniziano a essere tanti, e sono molto

interessati alla ricerca scientifica, seguono il dibattito scientifico, leggono i papers, cercano di stare al passo con i tempi e con il progredire della conoscenza.

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