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A ben vedere, l’art 30 detta una norma di favore per l’amministrazione 261 ,

danneggiato da un provvedimento amministrativo debba porre in essere tutti gli

strumenti di tutela posti a sua disposizione, e, in particolare, deve impugnare il

provvedimento e chiederne l’annullamento; altrimenti non avrà il ristoro dei danni

che l’annullamento avrebbe evitato

259

.

Traendo le ulteriori, logiche conclusioni, dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria,

pare che non sia sufficiente nemmeno che il danneggiato proponga l’azione di

annullamento: occorre, altresí, che egli richieda la tutela cautelare, poiché di per

sé la domanda di annullamento non pone termine alla produzione degli effetti

dannosi riconducibili all’esecuzione del provvedimento.

La necessità di impugnare il provvedimento dannoso per evitare di perdere, in

tutto o in parte, il risarcimento dovrebbe allora non essere necessaria soltanto

quando l’annullamento del provvedimento si appalesi inutile; quando, ad esempio,

l’esecuzione del provvedimento abbia prodotto una modificazione di fatto

irreversibile

260

.

A ben vedere, l’art. 30 detta una norma di favore per l’amministrazione

261

,

onerando il danneggiato di richiedere prima del risarcimento dei danni (o almeno

259 Di recente, il Consiglio di Stato ha confermato che: «A seguito della sentenza dell’Adunanza

Plenaria 23 marzo 2011, n. 3, è rimasto completato, a livello giurisprudenziale, il superamento del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa, con l’affermazione dell’autonomia, sul versante processuale, della domanda risarcitoria rispetto al rimedio impugnatorio. La citata decisione ha affermato che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 cod. civ., sicché, pur non sussistendo una pregiudizialità di rito già nel quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, deve (e doveva) ravvisarsi immanente nell’ordinamento il principio che la mancata impugnazione del provvedimento amministrativo poteva essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede, qualora fosse stato accertato che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno». Così, Cons. Stato Sez. VI, Sent., 21 maggio 2014, n. 2610, sul sito istituzionale della giustizia amministrativa.

260 Per la verità, suscitano perplessità alcuni passaggi della motivazione, secondo cui, ad

esempio, la condotta non collaborativa del danneggiato incide sul nesso causale che lega la condotta della danneggiante alle conseguenze dannose, anziché influire sulla misura del danno ingiusto; cosí ancora è quantomeno opinabile l’idea che la condotta processuale, inadeguata per mancata impugnazione del provvedimento, si risolva (anche) in abuso del processo e perfino in «violazione del canone del giusto processo»; allo stesso può dubitarsi della prospettazione della condotta non collaborativa come possibile comportamento opportunistico, che trae «occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi».

261 Si tratta, in altri termini, di ragionevolezza nella valutazione della condotta del danneggiato; e

rispondere al principio di buona fede ed al parametro della diligenza) della amministrazione danneggiate.

Può,infatti, osservarsi che la seconda parte del terzo comma dell’art. 30 riguarda la determinazione (della misura) del risarcimento, sí che dovrebbe ritenersi che la valutazione del comportamento del danneggiato-creditore rilevi a proposito della misura del giusto risarcimento e non sul nesso di causalità tra condotta illecita e conseguenze dannose.

In particolare, la disposizione citata stabilisce che il giudice deve escludere «il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti». Orbene, secondo l’Adunanza Plenaria, l’ordinaria diligenza comporta l’esperimento di tutti gli strumenti di tutela, sia sostanziali (ricorsi amministrativi, richiesta di esercizio dell’autotutela) sia processuali (impugnazione, con richiesta di annullamento e, bisogna ritenere, di sospensione cautelare) del provvedimento ritenuto produttivo di danno. Per quanto, quindi, la disposizione ripeta sostanzialmente - come la stessa sentenza riconosce - l’art. 1227 del codice civile, sul quale esiste una consolidata linea interpretativa, l’Adunanza Plenaria riconosce di spingersi oltre «l’orientamento interpretativo tradizionalmente prevalente». Ciò è sicuramente consentito, dato il potere nomofilattico di cui è titolare, ma forse - anche data l’assenza di un controllo da parte della Cassazione - si dovrebbero evitare interpretazioni tra loro contrastanti. Infatti, attualmente il comportamento di ordinaria diligenza che si richiede al danneggiato da condotta illecita dell’amministrazione pubblica, è diverso e piú rigoroso di quello cui è tenuto il danneggiato da qualsiasi altro soggetto. Non si tratta, infatti, del caso regolato dal primo comma dell’art. 1227 c.c. perché in questa ipotesi il danneggiato non concorre a cagionare il danno: l’unica danneggiante è l’amministrazione e al creditore si richiede soltanto di non aggravare i danni cagionati dall’amministrazione.

Al riguardo, si ritiene che: «l’esperimento di uno solo degli strumenti di tutela previsti, o anche una semplice comunicazione che ponga sull’avviso l’amministrazione danneggiante, sia sufficiente ad integrare un comportamento di ordinaria diligenza.

Va sottolineato a questo proposito che l’amministrazione adotta unilateralmente i suoi provvedimenti e li porta ad effetto senza dover previamente far verificare in sede giurisdizionale la loro legittimità. Anche a voler credere che l’amministrazione non sia in grado di conoscere da sé medesima il carattere illecito e dannoso della sua condotta, occorre rilevare che il danneggiato niente altro può fare per evitare o ridurre il danno, tranne chiedere (e ottenere) la sospensione della efficacia dei provvedimenti nel caso che il danno dipenda dalla loro esecuzione.

Pertanto, ove il danneggiato avverta (in qualsiasi modo) l’amministrazione (che dovrebbe già saperlo) della dannosità della sua condotta, null’altro gli si può chiedere di fare in nome della “ordinaria diligenza”.

In particolare risulta non dovuto, e comunque inutile e superfluo, l’esperimento dell’azione di annullamento. Per varie ragioni: in primo luogo perché, una volta comunque avvertita l’amministrazione con mezzi di diritto sostanziale, nulla può aggiungere alla sua conoscenza del problema la notificazione del ricorso diretto all’annullamento del provvedimento; in secondo luogo perché la proposizione del ricorso non incide affatto sulla (cessazione della) produzione del danno: si dovrebbe allora pretendere la richiesta di tutela cautelare; in terzo luogo perché il termine per la proposizione dell’azione risarcitoria (autonoma) è soltanto piú lungo di 60 giorni rispetto al termine per l’esercizio dell’azione di annullamento: come può incidere una differenza temporale cosí limitata sulla condotta del danneggiato, rendendola conforme o difforme dal comportamento di buona fede? Il danno che l’esperimento dell’azione demolitoria può evitare è, a tutto voler concedere, quello prodottosi nell’arco di tempo che va dalla scadenza del termine per la proposizione dell’azione demolitoria al momento della proposizione dell’azione risarcitoria.

Si può ribattere: l’annullamento del provvedimento equivale ad una sorta di risarcimento in forma specifica, eliminando del tutto o eventualmente in parte il danno provocato dalla sua adozione.

Questo è certamente vero, e va tenuto presente. Va peraltro rilevato che l’annullamento viene pronunciato alla fine del processo instaurato con l’azione demolitoria; e soprattutto va aggiunto che il comportamento di ordinaria diligenza, che il terzo comma, riferendosi alle “parti”, impone anche all’amministrazione danneggiante, dovrebbe costringere quest’ultima, in costanza di una richiesta risarcitoria, ed anche in assenza di una domanda demolitoria, a verificare se il provvedimento da essa adottato sia legittimo e, nel caso in cui non lo sia, la dovrebbe orientare vero il suo annullamento d’ufficio.

contestualmente, sempre che sia ancora possibile) un provvedimento demolitorio