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La disposizione, inoltre, contribuisce a rimuovere le residue incertezze 249 poiché precisa i limiti (sostanziali e processuali) dell’azione di esatto adempimento.

249 Anche dopo l’intervento nomofilattico della Plenaria, invero, si sono registrate talune

resistenze culturali nell’ambito di una giurisprudenza piú tradizionalista, la quale persisteva nel ritenere che l’azione di condanna sarebbe stata estranea al tessuto del processo amministrativo. In particolare, secondo il T.A.R. Palermo, sez. I, sentenza 14 marzo 2012 n. 559 «L’azione proposta è di accertamento con finalità propulsive rispetto alla mancata adozione di atti specificamente indicati nell’articolo 1 del medesimo testo legislativo. Si tratta, allora, di ben delimitare l’ambito operativo dell’azione di accertamento come disciplinata nell’invocato testo legislativo. Tale azione è, invero, ammissibile, nel giudizio amministrativo, nei limiti di una previsione esplicita e coerente al dettato costituzionale, pur se non enunciata espressamente. Non si può, in ogni caso, predicare la generalità della stessa, come è proprio dei giudizi civili. La Sezione, infatti, non condivide, l’affermazione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, oltre che di alcune sparse pronunce di primo e secondo grado, tutte favorevoli a un pressoché generale riconoscimento dell’azione di accertamento, pur in carenza di espressa previsione nel c.p.a. Giova rammentare che la delega recata nell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 prevedeva, tra gli altri principi e criteri direttivi, al comma 2, sub b) al n. 4) “le pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa”. Ritenendo che con la formula “pronunce dichiarative” il legislatore delegante si riferisse alle azioni di accertamento, la Commissione incaricata della redazione del testo aveva inserito nello schema sottoposto al vaglio del Governo e delle Commissioni parlamentari una norma sull’azione di accertamento. L’autorità politica (in particolare il Governo) non ha condiviso, in sede di approvazione, la proposta recata nello schema e, per questo, la relativa norma è stata cassata dal testo che ha, poi, visto la luce come decreto legislativo n. 104 del 2010. Quella eliminazione sarebbe stata sicuramente incongrua e contestabile (indi- pendentemente dalla coerenza sistematica ai principi costituzionali della previsione) ove la formula usata dal legislatore delegante fosse stata diversa, se cioè il riferimento fosse stato alle azioni e non alle pronunce, come in effetti è stato.

Non sussiste, in sede teoretica, corrispondenza biunivoca e continua tra azioni e pronunce dichiarative, ben potendo le seconde essere rese in esito a procedimenti attivati per l’esercizio di azione diversa (costitutiva, di condanna e finanche esecutiva), come è agevole avvedersi anche nell’ambito delle decisioni rese dal giudice amministrativo a far tempo dalla sua istituzione.

Basti il richiamo a quelle meramente processuali (declaratoria di improcedibilità, di irricevibilità e di inammissibilità, tanto per limitarsi al genus piú ampio).

Proprio in considerazione di questi ben noti presupposti l’Adunanza Plenaria ha preferito confortare il proprio assunto con il lodevolissimo richiamo all’esigenza di completezza della tutela anche per gli interessi legittimi alla stregua delle norme precettive dettate dalla Carta fondamentale (art. 24, 103 e 113), con il principio di ordinaria atipicità delle azioni purché sorrette da un adeguato interesse suscettibile di tutela ex art. 100 c.p.c., nonché con l’interpretazione sistematica desumibile da alcune norme dettate dal codice del processo amministrativo (31. c. 4, 34, c. 2, 3 e 5, 114 c. 4 lett. b).

Rispetto al primo aspetto si osserva che l’affermazione, certo animata dall’ammirevole intento di ricercare e fornire maggiori strumenti di tutela per gli amministrati, parrebbe condurre ad una dequotazione della giurisdizione generale di legittimità esercitata dal 1889 ai giorni nostri poiché sarebbe mancata la completezza di tutela che si raggiungerebbe, in tesi, solo con l’introduzione dell’azione di accertamento. Il che potrebbe forse apparire ingeneroso con una giurisdizione che si è evoluta e rafforzata nel corso dell’ultimo quarantennio grazie all’istituzione del giudice di primo grado e all’efficace risposta in termini di giustizia che il plesso intero ha saputo dare pur in carenza di quello strumento.

Rispetto al quadro delle azioni consentite o previste dall’ordinamento processuale di settore, poi, è bene chiarire che la nozione di atipicità è, in definitiva, coerente al concetto di azione.

Quest’ultima, come potere o situazione giuridica comunque idonea a chiedere ai giudici l’attuazione della legge, non ammette altra classificazione se non quella che si fonda sulla diversa natura del provvedimento giudiziale la cui produzione è il suo oggetto immediato, cosí che il problema si sposta sui contenuti propri della statuizione giurisdizionale, senza alterare l’ampiezza dei beni della vita conseguibili in esito al processo.

La tripartizione o quadripartizione delle azioni è frutto di esigenze espositive e definitorie (anche tenendo conto di precetti quale l’articolo 2908 del codice civile), sempre superabili alla luce di una piú completa disamina del quadro normativo: essa non presenta, per questo, alcuna inalterabilità sotto il profilo teoretico.

Relativamente, infine, alle disposizioni che costituirebbero traccia e sintomo dell’esistenza dell’azione d’accertamento, è certo che alcune di esse sono state confezionate sul presupposto che il precetto generale sussistesse e operasse, mentre il governo ha proceduto alla sua eliminazione così creando disarmonie e incongruenze. L’ulteriore problema se quei precetti, pur parzialmente avulsi dal contesto originario, possano tuttavia operare è risolto positivamente in base al criterio della realistica e dell’effettività. Proprio a cagione di questa indubbia considerazione, la Plenaria ha preferito isolare una disposizione, conferendole il maggior rilievo dimostrativo in ordine alla presenza non subliminale, nel testo, dell’azione di accertamento. A questo proposito viene indicato l’articolo 34 c. 2 c.p.a. laddove si afferma che “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (formula pienamente coerente con quella soppressa dedicata all’azione generale di accertamento).

Di solito l’argomentazione a contrariis muove dalla regola che positivamente disciplina un caso per escludere l’esistenza di identico o consimile precetto per vicende in antitesi o netta contrapposizione con la prima; ma inclusio unius est esclusio alterius vale soprattutto per singole fattispecie e non certo per affermazioni di sistema, come pretenderebbe l’Adunanza Plenaria.

Pur volendo ammettere identica metodica per un testo configurato in senso negativo, la conseguenza non sarebbe comunque né certa né assoluta. La finalità che presiede il precetto (giustamente individuata in quella sentenza nell’evitare la sostituzione alla p.a. da parte del giudice che eserciterebbe una cognizione diretta sui rapporti amministrativi non ancora sottoposti al vaglio della stessa) permane indipendentemente dal riconoscimento, obliquo modo rispetto alla formula normativa, di un’azione generale...in realtà non prevista e per questo non regolamentata.

Rileva la Sezione come, indipendentemente da quanto sin qui osservato, sia difficile ipotizzare che una innovazione cosí ampia e decisiva, non presente nel testo perché eliminata da decisione governativa, possa riapparire all’improvviso come un reduce bellico già dato per disperso. La questione vera non riguarda, tuttavia, gli aspetti sopra considerati e rispetto ai quali la tensione ad una piú ampia ed intensa protezione giudiziale da parte del plesso può costituire ideale motivazione, bensí l’ambito ed i contenuti di questa azione. Occorre invero rammentare che qualsivoglia sentenza (civile o amministrativa) presenta un nucleo centrale di accertamento di situazioni di fatto e di diritto rispetto alle quali, ove si formi il giudicato, si producono gli effetti previsti dall’articolo 2909 c.c. Se cosí non fosse, opporrebbe deciso un seguace del cavalier di La Palisse, non si spiegherebbe l’actio iudicati nel giudizio di ottemperanza.

Il problema sul quale riflettere, pertanto, non è la praticabilità dell’accertamento nel giudizio amministrativo (posto che anche quest’ultimo è preordinato a determinare la certezza dei rapporti giuridici), ma l’attendibilità di un accertamento che presupponga esercitati, ma non completati, o sfavorevolmente esercitati i poteri amministrativi.

L’utile esperimento di quell’azione consentirebbe al giudice di affermare, nel caso concreto, la sussistenza dell’interesse legittimo non realizzato dal provvedimento o dall’arresto dell’amministrazione nella sequenza procedimentale. A tale accertamento conseguirebbe la formazione del titolo in capo al soggetto richiedente, eventualmente tutelabile con l’azione di adempimento.

Se l’azione di accertamento presentasse un’utilità inferiore a quella qui ipotizzata, la questione autorevolmente sollevata dall’Adunanza Plenaria non avrebbe ragion d’essere, limitandosi il tutto a una generica e teorica contrapposizione sulla portata dell’articolo 2909 c.c. nel processo amministrativo, senza alcuna conseguenza nel contesto dispositivo della sentenza.

Si configura un’azione di accertamento perché si intende munire la pronuncia di una valenza che comporti la diretta ed immediata acquisizione del bene della vita (inteso come piena individuazione e realizzazione dell’interesse legittimo per il quale è vertenza).

La sentenza, in questa prospettiva, dichiara il titolo di Tizio a edificare, di Caio a esercitare il servizio di trasporto e via elencando.

È difficile immaginare che ciò avvenga senza una sostanziale sostituzione da parte del giudice nei confronti dell’amministrazione: il limite che l’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011 ha posto è costituito dalla “cognizione diretta di rapporti amministrativi non ancora sottoposti al vaglio della stessa” (sub 6.5.1.) con l’ovvia conseguenza che, superata quella barriera ideale, l’azione di accertamento possa essere dispiegata senza determinare indebite ingerenze.

Rispetto a questa tematica si contrappone quanto segue.

L’accertamento costituisce, di norma, esito del dictum giurisdizionale con riferimento alle situazioni e stati di fatto sussistenti al momento della domanda (art. 5 c.p.c. sicuramente applicabile al processo amministrativo ex art. 39 c. 1 d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Quanto meno per l’ipotesi che il procedimento amministrativo sia iniziato, ma non concluso, l’azione di accertamento finirebbe per traguardare lo stato di fatto al momento della domanda, inserendo nella statuizione un quid pluris costituito dalla decisione del giudice amministrativo che surroga quanto la p.a. non ha potuto o voluto disporre. L’esercizio della potestà discrezionale e l’eventuale completamento della fattispecie ad opera della sentenza finirebbero per operare in un campo temporalmente ed ontologicamente diverso da quello sul quale, d’ordinario, si cristallizza la situazione oggetto del giudizio di accertamento (nel processo civile, quanto meno). La fattispecie più facilmente accostabile a quella in esame appare, a questa stregua, quella dell’articolo 2932 c.c. Ma qui sorgerebbe una seria difficoltà, posto che la sentenza che accoglie la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ha natura costitutiva ed efficacia esclusivamente “ex nunc” e non - pertanto - effetti retroattivi (Cass. civ. II, 3 gennaio 2011, n. 71).

Configurando la vicenda come effetto costitutivo si fuoriesce, evidentemente, dalla nozione di accertamento in senso dichiarativo, per forgiare una diversa natura della pronuncia: questa opererebbe come alternativa all’ordinario esercizio della metodica di accertamento collegata alla richiesta di demolizione giuridica di un atto. Si avrebbero così due diverse modalità di funzione giurisdizionale costitutiva: da un lato quella che ha tradizionalmente contrassegnato la giurisdizione generale di legittimità e che individua l’effetto costitutivo nell’annullamento dell’atto invalido e, dall’altro, quella che, attraverso l’accertamento, punta a una pronuncia costituiva della situazione giuridica fatta valere o richiesta nel processo.

In quest’ultimo caso, la sostituzione del giudice all’amministrazione nel senso prospettato dall’azione di accertamento, desumibile anche nell’arresto dell’Adunanza Plenaria, finisce per configgere non solo con il principio di divisione dei poteri, certamente non salvaguardato tutte le volte che il giudice si sostituisca alla p.a. senza essere legittimato dalla richiesta di esecuzione del giudicato, ma anche con struttura e funzione ontologica della giurisdizione amministrativa nonché con disposizioni e principi presenti nel decreto legislativo n. 104 del 2010.

Il collegio intende sottolineare come la previsione di un’azione generale (o quasi) di accertamento, con l’evidente sostituzione del giudice alla p.a. confligga in modo irrimediabile con le limitate previsioni di giurisdizione di merito quali fatte proprie anche dal c.p.a. e, in particolare con quanto dispone l’articolo 7, comma 6, che autorizza il giudice amministrativo a sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio della giurisdizione di merito solo nelle controversie indicate dalla legge e dall’art. 134 c.p.a.

Una vicenda del tutto omologa e senza alcuna copertura normativa (anzi: in perfetto contrasto con le previsioni assai limitative recate nel c. 6 dell’articolo 7 e nei precetti allo stesso collegati) si realizzerebbe ove si intendesse concedere cittadinanza all’azione di accertamento in discorso.

Perché delle due l’una: o la giurisdizione di merito è astrattamente estensibile al di là delle fattispecie specificamente previste (ed allora non si comprenderebbe neppure l’utilità di una distinta azione di accertamento) o quella giurisdizione non può estendersi oltre i limiti prescritti nell’impianto normativo (ed allora l’azione di accertamento, per la sua asserita generalità costituirebbe una irrimediabile contraddizione non fornita neppure di espressa previsione normativa).

Si prevede, infatti, un primo limite di ordine sostanziale dato dalla inutilità del