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L E BENEFICIARY DISPUTE

Nel documento I fondi comuni di investimento (pagine 183-200)

SOMMARIO: § 1. Introduzione: summa divisio delle controversie concernenti i fondi comuni d’investimento. § 2. Le beneficiary dispute. § 3. La class action contro la S.G.R. di gestione. § 4. La class action contro la banca depositaria e la S.G.R. di promozione. § 5. Le conseguenze della sostituzione di S.G.R. e della separazione tra le funzioni di promozione e quelle di gestione. § 6. Le esecuzioni.

§ 1. Introduzione: summa divisio delle controversie concernenti i fondi comuni d’investimento.

Non sarebbe scientificamente corretto porsi l‟interrogativo di quali siano, in assoluto, le situazioni processuali del fondo, dei partecipanti e della S.G.R. La situazione giuridica è l‟estremo di una relazione, cosicché la sua natura dipende dal soggetto o dal patrimonio rispetto al quale è correlativa. Così, ricalcando la classificazione inglese delle controversie concernenti il trust, dovremo distinguere tra due tipi di processi, ovverosia tra third party dispute e beneficiary dispute526.

526 La sistematica inglese è stata elaborata nel caso Alsop Wilkinson v. Neary and others, in [1995] 1 All. Engl. Law rep., 431. Oltre alle due tipologie di procedimenti ricordate nel testo, la Corte individuò anche le friendly dispute, in cui il trustee chiede al giudice un‟interpretazione autentica dell‟atto istitutivo del trust, domanda di colmarne le lacune o di correggerne gli errori quando il settlor non possa provvedervi, o ancora richiede istruzioni su come amministrarne il fondo. Si tratta, dunque, di procedimenti di giurisdizione volontaria, inerenti all‟atto istitutivo del trust.

Le third party dispute consistono nei procedimenti che siano avviati dal trustee contro i terzi o da costoro contro il trustee, ad esempio per responsabilità da illecito contrattuale o extracontrattuale che il

trustee abbia subito o commesso durante la gestione del trust.

Nelle beneficiary dispute, la controversia è introdotta dal beneficiario nei confronti del trustee e ha ad oggetto la violazione dei fiduciary duty incombenti su quest‟ultimo. In tali controversie, è richiesta la

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Con la prima espressione indichiamo le controversie sorte tra la società di gestione (omologa del trustee) e i terzi, mentre con la seconda ci riferiamo ai processi che i partecipanti al fondo (omologhi dei beneficiary) avviano contro la S.G.R. di gestione.

§ 2. Le beneficiary dispute.

È opportuno iniziare lo studio dei profili processuali partendo dalle controversie riguardanti il rapporto, sistematicamente centrale, intercorrente tra gli investitori e la S.G.R.

Le beneficiary dispute concernono l‟enforcement degli obblighi gravanti sulla società di gestione nei confronti dei partecipanti. Sono quindi prospettabili due oggetti processuali: diritto alla best execution – consistente nell‟aumento del valore del fondo secondo i canoni del duty of care e del duty of loyalty – e diritto alla liquidazione della quota.

Difatti, esaminando i rapporti che legano la S.G.R. agli investitori527, abbiamo rilevato le peculiarità dei fondi (previsione normativa dell‟interesse alla massimizzazione del valore globale del fondo; impossibilità di ripristinarne il valore mediante la compensatio) e ne abbiamo tratto la conclusione per cui gli investitori vantano un autonomo diritto di credito, avente a oggetto la best execution, il cui mancato assolvimento integra un inadempimento già prima della liquidazione della quota.

Pertanto, se la S.G.R. cagiona una diminuzione del valore del fondo violando il duty of loyalty o il duty of care, allora ogni singolo investitore, ancor prima della liquidazione della propria quota individuale, può convenire in giudizio la società al fine di sentirla condannare al risarcimento del danno in favore del fondo.

Le beneficiary dispute, soprattutto nel processo di cognizione, non pongono particolari problemi, giacché sussistono tra due o più soggetti (S.G.R. di gestione e partecipanti).

I partecipanti fanno valere propri diritti di credito. Sono quindi parti sostanziali, parti che stanno in giudizio col nome e, salvo che abbiano designato un rappresentante, parti che stanno in giudizio con l‟attività.

Le situazioni giuridiche della società, correlative ai due crediti dei partecipanti, sono degli ordinari debiti. Pertanto, la S.G.R. sta in giudizio con l‟attività e col nome. Essa, inoltre, è parte sostanziale, giacché i debiti che saranno incisi dal giudicato sostanziale le sono imputati.

Di conseguenza, tutti i corollari che discendono dalle tre accezioni del termine „parte‟ sono quelli ben noti. Abbiamo quindi offerto ai pratici un criterio solido per risolvere i dubbi applicativi che dovessimo dimenticare di trattare nel corso dell‟opera. Sarebbe quindi inutile

revoca del trustee e inoltre la sua condanna al risarcimento dei danni cagionati al trust, o ci si duole del carattere non paritetico della distribuzione dei proventi tra i beneficiari oppure dell‟illegittimità di un‟alienazione.

Per l‟approfondimento di questa classificazione e per il carattere contenzioso di queste due ultime categorie di controversie, v. CORSINI, Il trustee nel processo di cognizione, Torino, 2012, pp. 9 ss.

527 Capitolo V, § 4. Gli oggetti delle due obbligazioni gravanti sulla società di gestione nei confronti dei partecipanti.

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elencare tali conseguenze operative. Possiamo comunque offrire degli esempi. Poiché la società sta in giudizio col proprio nome, essa, ove soccombente, sarà tenuta alla corresponsione delle spese processuali. Inoltre, poiché è parte che sta in giudizio con l‟attività e col nome, gli amministratori che la rappresentano in giudizio sono incapaci a testimoniare ex art. 246 c.p.c.528.

Riprendendo il parallelismo con il contratto a favore di terzi, ricordiamo che, secondo la giurisprudenza, lo stipulante può agire contro il promittente per sentirlo condannare all‟esecuzione dell‟obbligazione in favore del terzo529. Lo stipulante non deduce un diritto altrui, ma un diritto proprio alla soddisfazione del diritto del terzo. Pertanto, l‟art. 81 c.p.c. è rispettato. Per la stessa ragione, parte sostanziale è solo lo stipulante, non anche il terzo. Difatti, la prestazione è unica ed è oggetto di due diritti di credito di cui solo quello dello stipulante è dedotto in causa.

Parimenti, l‟azione, esercitata dal partecipante, per sentir condannare la S.G.R., responsabile di mala gestio, all‟esecuzione della prestazione risarcitoria in favore del fondo, ha a oggetto il diritto di credito del partecipante medesimo. Il fondo, invece, non include un diritto risarcitorio nei confronti della S.G.R. di gestione. Il credito, diversamente dal contratto a favore di terzi, spetta unicamente al partecipante.

Si obietterà che, allora, all‟interno del fondo non dovrebbero esistere nemmeno le situazioni giuridiche sottoposte alla gestione della S.G.R. Così, o all‟interno del fondo non esistono situazioni giuridiche, oppure vi è ricompreso anche il credito risarcitorio verso la S.G.R.

In realtà, il credito risarcitorio contro la S.G.R. sussiste in capo ai partecipanti, mentre il diritto al risarcimento contro qualsiasi altro danneggiante è incluso nel fondo.

Difatti, se il diritto risarcitorio contro la S.G.R. non sussistesse in capo ai partecipanti, allora dovremmo ammettere che esso è incluso nel fondo e la S.G.R. lo può (e lo deve) esercitare in quanto gestore.

Tale ipotesi configura in capo alla S.G.R. un «istituzionale» conflitto d‟interessi530: essa dovrebbe agire contro se stessa per farsi condannare alla reintegrazione del valore del fondo.

528 Per l‟incapacità a testimoniare degli amministratori che rappresentano in giudizio le società: Cass., sez. lav., 19 aprile 1980, n. 2580, in Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 4; Cass., sez. II, 11 novembre 1996, n. 9826, in Giust. civ. Mass. 1996, 1497.

529 A tale proposito, abbiamo citato Cass., sez. I, 1 marzo 1993, n. 2493: Capitolo V, § 5. Le relazioni tra S.G.R., partecipanti e terzi, con brevi digressioni sul rapporto giuridico e sulla rilevanza del soggetto quale criterio (non necessario) di identificazione delle situazioni giuridiche.

530 Abbiamo già utilizzato quest‟argomentazione per escludere che i partecipanti possano agire, ex art. 1394 c.c., contro la S.G.R. e contro gli aventi causa dal fondo, in vista dell‟annullamento degli atti di disposizione compiuti dalla società, in conflitto d‟interessi: nel Capitolo V, § 9. I rimedi contro gli atti traslativi viziati dal conflitto d‟interessi.

Quest‟argomentazione fa sì che il profilo della gestione dei diritti incida su quello della loro attribuzione a questo o a quel patrimonio. Quando la gestione della S.G.R. comporta necessariamente un conflitto per cui la società agirebbe contro se stessa, allora, per l‟effettività dei diritti, essi devono essere imputati ai partecipanti. Quando tale conflitto può non sussistere, allora i diritti sono inclusi nel fondo e, stante l‟autonomia gestionale della società, quest‟ultima è l‟unica legittimata a farli valere.

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L‟assurdità di tale conclusione non può essere eliminata ricordando la possibilità, che noi stessi abbiamo riconosciuto alla S.G.R., di agire contro i propri amministratori per il risarcimento dei danni cagionati al fondo. Agendo contro costoro, la società non conviene in giudizio se stessa e non versa in un istituzionale conflitto d‟interessi. È vero che la S.G.R. può eseguire sua sponte il risarcimento in favore del fondo, ma ciò integra l‟adempimento di un obbligo e non, invece, l‟esercizio di un diritto, incluso nel fondo, che la società eserciterebbe contro se stessa.

Nemmeno si può immaginare che il diritto risarcitorio contro la S.G.R. sia incluso nel fondo e i partecipanti lo possano esercitare.

Questa ricostruzione violerebbe gli artt. 1, lett. k) e 36 T.U.F., consentendo ai partecipanti di esercitare una situazione che esisterebbe all‟interno del fondo e che, dunque, dovrebbe essere affidata alla legittimazione esclusiva della S.G.R.

È parimenti insostenibile che l‟anzidetto credito risarcitorio esista all‟interno del fondo, ma non sia esercitabile da alcuno. La tesi, infatti, è una contraddizione in termini.

Se il diritto esiste, ma nessuno ha il potere di esercitarlo, allora non è possibile pretendere dalla S.G.R., nemmeno in via giudiziale, l‟adempimento dell‟obbligo di reintegrare il fondo. Questo significa che la S.G.R. non assume gli obblighi e, soprattutto, le responsabilità del mandatario.

Ciò comporta una violazione dell‟art. 36, comma 3 T.U.F., salvo che si voglia sostenere che il diritto alla reintegrazione del fondo non esiste, sussistendo soltanto il diritto al valore della quota individuale, imputato ai singoli investitori. Questa conclusione, però, è contraddetta dagli approdi cui siamo giunti: esiste un interesse giuridicamente tutelato dei partecipanti alla best execution, prima ancora di quello alla liquidazione integrale della quota individuale; dalla violazione della best execution, sorge un obbligo secondario, in capo alla S.G.R., di reintegrare il valore del fondo medesimo531.

Per tentare di comporre l‟antinomia tra l‟esistenza dell‟obbligazione risarcitoria in capo alla S.G.R. e l‟inesistenza di un diritto degli investitori, si potrebbe sostenere, infine, che la S.G.R. abbia (non un obbligo, ma) un dovere di risarcimento, di fronte al quale non esiste alcun diritto dei partecipanti. Ciò si scontra col fatto che la S.G.R. è titolare di un ufficio privato, non di un ufficio pubblico: essa, ex artt. 1, lett. k), 35 decies e 36, deve agire nell‟interesse dei partecipanti, rispetto ai quali assume gli obblighi e le responsabilità del mandatario532.

Il diritto risarcitorio a favore del fondo, sussistente nei confronti della S.G.R. che si sia resa responsabile di mala gestio, è dunque imputato ai partecipanti. Pertanto, l‟azione, con cui

531 Capitolo V, § 4. Gli oggetti delle due obbligazioni gravanti sulla società di gestione nei confronti dei partecipanti. Si veda, all‟interno del medesimo Capitolo V, anche il § 12. Apologetica in merito all‟indipendenza della S.G.R. e al credito dinamico dei partecipanti. Osservazioni sull‟applicabilità degli artt. 2391 ss. c.c.

532 Capitolo V, § 3. La natura del rapporto giuridico intercorrente tra i partecipanti e la S.G.R. di gestione.

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il partecipante agisce contro la S.G.R. per ottenere il risarcimento a favore del fondo, rispetta l‟art. 81 c.p.c.

Tutto ciò non significa che all‟interno del fondo non esista il diritto al risarcimento dei danni cagionati dai terzi. Abbiamo detto che il diritto risarcitorio contro la S.G.R. non può esistere all‟interno del fondo, perché ciò implicherebbe un istituzionale conflitto d‟interessi in capo alla società. Tuttavia, nel caso in cui il danneggiante sia un terzo, la S.G.R. non agisce contro se stessa.

Pertanto, non sussistendo alcun conflitto, il credito risarcitorio nei confronti dei terzi esiste all‟interno del fondo comune d‟investimento.

§ 3. La class action contro la S.G.R. di gestione.

Poiché le beneficiary dispute possono avere ad oggetto la best execution o la liquidazione integrale della quota, allora anche la class action potrebbe avere i medesimi oggetti533.

Invece di consumare pagine e pagine nel ripercorrere il travagliato cammino di quest‟istituto di origine anglosassone534 nell‟ordinamento italiano535 o la questione – a nostro

533 La giurisprudenza non considera la class action come un nuovo diritto sostanziale, ma come una speciale forma di tutela giurisdizionale, alternativa al processo ordinario di cognizione: App. Firenze, 14 dicembre 2011, in DeG online, 2012, 19 gennaio; Cass., sez. I, 14 giugno 2012, n. 9772, in Foro It., 2012, 9, I, 2304, con nota di De Santis.

Lo stesso art. 140 bis, comma 1 chiarisce che i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 nonché gli interessi collettivi sono tutelabili «anche» attraverso l‟azione di classe.

534 Per un raffronto tra l‟esperienza italiana e i modelli della class action americana e della group action inglese: DE SANTIS, La pronunzia sull‟ammissibilità della „„class action‟‟: una „„certification‟‟ all‟italiana?, in Class action, a cura di Lener e Rescigno, in Analisi giuridica dell‟impresa, 2008, pp. 143 ss.; RENZI, Il

modello statunitense di class action e l‟azione collettiva risarcitoria, in Resp. Civ. e Prev., fasc. 5, 2008, pp. 1213B

ss.; FRIGNANI-VIRANO, Le class action nel diritto statunitense: tentativi (non sempre riusciti) di trapianto in altri

ordinamenti, in Diritto ed economia dell‟assicurazione, 2009, 1, pp. 5 ss.; CONGEDO-MESSINA, European „„class‟‟ action: British and Italian points of view in evolving scenarios, in Europa e Dir. Priv., fasc. 1, 2009, pp. 163 ss.; MACARIO-STAZI, L‟azione collettiva risarcitoria: profili di diritto comparato, in Riv. Dir. Priv., 2009, pp. 65.

535 La letteratura in materia è oramai vastissima. Per la dottrina riguardante la formulazione originaria dell‟art. 140 bis: CONSOLO, L‟art. 140-bis: nuovo congegno dai chiari contorni funzionali seppur,

processualcivilisticamente, un poco „„opera aperta‟‟, in Foro It., 2008, V, pp. 205 ss.; CAPONI, Il nuovo volto della class action, in Foro It., 2009, V, pp. 383 ss.; CONSOLO, Come cambia, rivelando ormai a tutti e in pieno il suo

volto, l‟art. 140-bis e la class action consumeristica, in Corriere Giur., 2009, pp. 1297 ss.; SANTANGELI -PARISI, Il nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria: l‟azione di classe dopo le recenti modifiche all‟art. 140 bis

cod. cons., in www.judicium.it; DE SANTIS, L‟azione di classe a tutela dei consumatori, in Chiné-Miccolis (a cura di), La nuova class action, Roma, 2010, pp. 105 ss.; GIUSSANI, Il nuovo art. 140 bis c. cons., in Riv. Dir.

Proc., 2010, pp. 595 ss.; MEZZASOMA-RIZZO, L‟art. 140 bis del codice del consumo: l‟azione di classe, Napoli, 2011; BOVE, L‟oggetto del processo „„collettivo‟‟ all‟azione inibitoria all‟azione risarcitoria (articoli 140 e 140-bis del

codice del consumo), in www.judicium.it; ROSSI CARLEO, Class action e pratiche commerciali scorrette: spunti e

riflessioni a margine dell‟ordinanza del Tribunale di Milano 20 dicembre 2010, in www.judicium.it; SANGIOVANNI, Class action e tutela contrattuale degli investitori, in www.judicium.it; MENCHINI-MOTTO, Art. 140 bis, in

www.judicium.it.

In merito al riformato art. 140 bis, introdotto con il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27: CESARO-BOCCHINI, La nuova class action a tutela dei consumatori e degli utenti, Padova, 2012; CARRATTA, La „„semplificazione‟‟ dei riti e le nuove modifiche del processo civile, Torino, 2012, p. 161; DE

SANTIS, La tutela giurisdizionale collettiva, Napoli, 2013, p. 532; DONZELLI, Art. 140 bis c. cons., in DE

CRISTOFARO-ZACCARIA, Commentario breve al diritto dei consumatori, Padova, 2013, p. 1039; DE SANTIS,

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avviso sistematicamente centrale – della natura dell‟atto di adesione, conviene concentrare l‟attenzione sulla stessa esperibilità dell‟azione di classe nell‟ambito dei fondi comuni.

La class action è regolata dall‟art. 140 bis del Codice del Consumo, che ne fissa, oltre all‟oggetto536, l‟ambito ratione personarum: «i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 nonché gli interessi collettivi sono tutelabili anche attraverso l'azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni»537.

Il primo requisito per l‟applicabilità della citata disposizione, dunque, è soggettivo: l‟attore deve essere un consumatore o un utente, ex artt. 3 e 140 bis cod. cons.

Dobbiamo allora domandarci se il partecipante al fondo comune di investimento rientri in questa categoria.

La giurisprudenza538 esclude costantemente, e giustamente, che si possa adottare, agli effetti della class action, una nozione sostanzialistica di „consumatore‟, cui potrebbe essere ricondotto ogni soggetto debole, anche non sussumibile nella definizione dell‟art. 3, lett. a) cod. cons. La sedes materiae, che è il codice del consumo e non quello di procedura civile, dimostra, infatti, che la nozione di consumatore non è economica, ma giuridica, dovendo ricavarsi dal richiamato articolo, secondo cui è tale «la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta».

Innanzitutto deve escludersi che possa avviare una class action il partecipante che abbia forma societaria. Solo la «persona fisica» può essere consumatore.

In secondo luogo, la nozione sostanzialistica di consumatore è stata esclusa dalla giurisprudenza in relazione ai piccoli azionisti. Se è indiscutibile che costoro, essendo dei risparmiatori, acquisiscono partecipazioni societarie consci della impossibilità di incidere effettivamente sulla gestione dell‟impresa, è altrettanto chiaro che, ex art. 2247 c.c., l‟entità

SANTIS, La prima sentenza di accoglimento di una azione di classe a tutela dei consumatori, in www.treccani.it; IACUMIN, Azione di classe e tutela degli azionisti, in Giur. it., 2015, I, pp. 89 ss.

536 Circa la tassatività delle ipotesi di illecito che possono dar luogo, ex art. 140 bis, a una class action: App. Torino, 27 ottobre 2010, in Giur. Comm., 2012, 2, II, 315, con nota di Lupoi; Trib. Firenze, 15 luglio 2011, in Foro It., 2012, 6, I, 1910, con osservazioni di Palmieri e De Santis.

537 Ai sensi del secondo comma, «l'azione di classe ha per oggetto l'accertamento della responsabilità e la

condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori. L'azione tutela:

a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;

b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;

c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali».

538 Sulla nozione di consumatore utilizzata dall‟art. 140 bis, che si rifà evidentemente a quella dell‟art. 3 Cod. cons.: Trib. Torino, 4 giugno 2010, in Foro It., 2010, 1, 2523; in Banca Borsa, 5, 2010, 619, con nota di Cerrato; in Giur. Comm., 2012, 2, II, 315, con nota di Lupoi; in Danno e Resp., 2011, 67, con nota di Frata; in Nuova Giur. Comm., 2010, I, 869, con nota di Libertini e Maugeri; in Giur. It., 2010, 12, 2601, con nota di Ronco e Zuffi; in Riv. Dir. Proc., 2010, 1487, con nota di Ruggeri; Trib. Milano, 20 dicembre 2010, in Giur. di Merito, 2011, 7-8, 1789, con nota di Gorgoni, e in Resp. Civ. e

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della partecipazione societaria è irrilevante ai fini dell‟identificazione della causa “imprenditoriale” del negozio di sottoscrizione delle azioni539.

Occorre pertanto rifarsi alla definizione contenuta nell‟art. 3 del Codice del Consumo540, come confermato dall‟introduzione dell‟art. 141 del medesimo codice, intervenuta con l‟art. 1, comma 2, D. Lgs. 6 agosto 2015, n. 130. Secondo la novellata disposizione, ai fini dell‟applicazione della Parte V, titolo II (artt. 139-141), dedicato all‟«accesso alla giustizia», «si intende per: a) consumatore: la persona fisica, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a)541; b) professionista: il soggetto, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c)542; c) contratto di vendita: il contratto di cui all'articolo 45, comma 1, lettera e)543; d) contratto di servizi: il contratto di cui all'articolo 45, comma 1, lettera f)544 […]».

In senso contrario non si potrebbe sostenere che lo scopo per il quale il piccolo risparmiatore sottoscrive l‟azione sia diverso e vada individuato nell‟interesse di far fruttare i propri risparmi. Questo scopo, seppur innegabile, non è giuridicamente rilevante. Esso non è presente in ogni negozio di questo tipo e non è oggettivamente posto a fondamento dello stesso dalle parti. Pertanto, lo scopo suddetto non integra la causa (in astratto o in concreto) del contratto545, ma un motivo unilaterale ed è quindi irrilevante546.

539 Sia concesso di rinviare a IACUMIN, Class action, cit., pp. 92-93.

Questo approccio ermeneutico “sostanzialistico” era già stato tentato in un‟azione di classe dichiarata inammissibile da Trib. Torino, 4 giugno 2010, cit. Un correntista aveva sostenuto che il rito speciale previsto dall‟art. 140 bis potesse essere percorso anche da soggetti deboli che non fossero consumatori, giacché l‟endiadi «utenti e consumatori» escludeva il ricorso alla definizione contenuta

Nel documento I fondi comuni di investimento (pagine 183-200)