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G LI INDIZI NORMATIVI NECESSARI PER LA RICOSTRUZIONE DELLA NATURA GIURIDICA DEI FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO

Nel documento I fondi comuni di investimento (pagine 107-135)

SOMMARIO: § 1. Premessa metodologica. § 2. Il fondo comune di investimento è «l’O.I.C.R. costituito in forma di patrimonio autonomo» e «raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote». § 3. L’O.I.C.R. è «gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi […], in base a una politica di investimento predeterminata». § 4. Le limitazioni alle azioni sul fondo comune. § 5. Le disposizioni contenute nell’art. 37 T.U.F. § 6. L’impossibilità di trarre dall’art. 37, comma 3, la dimostrazione o la negazione della soggettività del fondo. § 7. Il fondo non è un patrimonio separato della S.G.R. § 8. Il fondo non è un soggetto, ma un patrimonio acefalo. § 9. L’art. 38 T.U.F. conferma che il fondo non è né un soggetto, né un patrimonio imputato alla S.G.R. § 10. Critiche metodologiche alla dottrina concernente i fondi comuni d’investimento. § 11. Il fondo comune è distinto, «a tutti gli effetti», da ogni altro patrimonio.

§ 1. Premessa metodologica.

Il Testo Unico della Finanza dedica diverse disposizioni alla società di gestione del risparmio e al fondo comune. Analizzeremo partitamente queste norme, di cui, tra le molte ambiguità e contraddizioni, soltanto alcune offrono indizi univoci.

Man mano che procederemo, saremo in grado di cogliere il significato globale della normativa, così da risolvere le aporie degli inquadramenti sinora ipotizzati e dare un fondamento solido alla nostra teoria processuale.

Una volta acclarata la natura sostanziale degli istituti e dato un significato d‟insieme alla disciplina del Testo Unico, potremo sfruttare i concetti revisionati nel capitolo precedente (legitimatio ad causam, legitimatio ad processum e capacità di essere parte) per delineare le posizioni fondamentali – in termini di „soggetto‟ o „oggetto‟ – della S.G.R., del fondo e dei partecipanti, nel processo civile.

Da ciò trarremo quei corollari che ci consentiranno di descrivere esaustivamente i profili processuali di questi istituti.

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§ 2. Il fondo comune di investimento è «l’O.I.C.R. costituito in forma di

patrimonio autonomo» e «raccolto tra una pluralità di investitori mediante

l'emissione e l'offerta di quote».

La prima disposizione che il T.U.F. consacra al nostro tema è quella dell‟art. 1, lett. j), che definisce il fondo comune come l‟organismo di investimento collettivo del risparmio, «costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore».

La lett. k) del medesimo articolo completa tale norma, offrendo la seguente definizione dell‟O.I.C.R.: «l‟organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l‟emissione e l‟offerta di quote o azioni, gestito in monte nell‟interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi da consumatori, a valere sul patrimonio dell‟O.I.C.R., partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata».

Esaminiamo, allora, la prima norma: il fondo comune è un patrimonio autonomo. Poiché non esiste alcuna disposizione che definisca tale concetto, occorre rifarsi alle elaborazioni dottrinali, secondo cui il patrimonio autonomo è il «fondo costituito con i contributi di una pluralità di soggetti e connotato dall‟indivisibilità e dalla funzione di garanzia per i debiti coordinati allo scopo con esso perseguito. Si indica, cioè, il distacco di una massa patrimoniale da più patrimoni di provenienza, una species del patrimonio separato (anzi, secondo taluno, una somma di più patrimoni separati)»365.

Non bisogna però trarre automaticamente da questa nozione dottrinale le conseguenze ricostruttive che stiamo ricercando.

La definizione appena offerta, infatti, è una formula verbale che è stata elaborata alla fine del XIX secolo per ridurre in termini oggettivi il fenomeno dei gruppi organizzati privi di personalità. Si insegnava, infatti, che l‟associazione non è una persona, né un soggetto, ma un rapporto, il quale stringe i singoli in una unità di persone. Così, il patrimonio dell‟associazione non era imputato ad alcun ente, ma ai patrimoni personali da cui proveniva, benché tale patrimonio sociale fosse separato da quello dei membri stessi. Pertanto, l‟autonomia era data da ciò che i beni, pur continuando a far parte dei patrimoni degli associati, costituivano un punto di riferimento giuridico distinto366.

Successivamente, chiarito che poteva darsi soggettività senza personalità, si comprese che il patrimonio autonomo realizza un più forte distacco rispetto a quello separato, giacché il conferimento in vista di uno scopo trasferisce al gruppo unitario e soggettivamente complesso la titolarità e disponibilità del fondo, dando così luogo a una comunione germanica. «Ma, essendo i gruppi organizzati regolati alla stregua di un soggetto solo quantitativamente diverso dalla persona giuridica, non può riguardarsi il fondo patrimoniale come appartenente a più soggetti e,

365 DURANTE, voce Patrimonio (dir. Civ.), cit., par. 2.2. 366 DURANTE, voce Patrimonio (dir. Civ.), cit., par. 2.2.

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comunque, separato rispetto al loro patrimonio. La formula verbale, invero, vale solo a descrivere l‟insensibilità del patrimonio del gruppo ai debiti dei membri»367. Il patrimonio autonomo, dunque, è costituito da un complesso di situazioni giuridiche imputate a un unico soggetto. Conseguentemente, l‟autonomia indica soltanto l‟ovvia conseguenza per cui il patrimonio autonomo di un soggetto (es. associazione) non risponde dei debiti di altri soggetti (es. associati), i quali, recedendo, non possono chiedere la restituzione del proprio contributo sino a quando quell‟unitario soggetto perdura (art. 37 c.c.).

Il fondo comune di investimento, allora, dovrebbe essere imputato a un solo soggetto: o alla S.G.R., o al fondo stesso. In ogni caso, per essere davvero un patrimonio autonomo, dovrebbe essere insensibile ai debiti gravanti sui partecipanti.

L‟autonomia legislativamente attribuita al fondo è impropria. Essa, come detto, impone, ove tecnicamente intesa, che il fondo sia un soggetto, titolare delle situazioni giuridiche trasferite da una pluralità di soggetti (partecipanti) che hanno contribuito alla sua formazione. Tuttavia, l‟art. 36 attribuisce l‟autonomia anche al comparto, e mai si potrebbe immaginare che questo sia un soggetto. Pertanto, l‟autonomia, non potendo avvalorare la soggettività del comparto, non può dimostrare nemmeno quella del fondo.

L‟autonomia, allora, è utilizzata in modo improprio dal Legislatore368 e non se ne può trarre alcuna precisa indicazione.

A conferma di queste improprietà terminologiche, si pensi che, secondo l‟art. 35 bis, comma 6, «nel caso di S.I.CA.V. e S.I.CA.F. multicomparto, ciascun comparto costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti». Se i diversi comparti sono imputati a un solo soggetto, ad esempio la S.I.CA.V., allora dovrebbe parlarsi di patrimonio separato, non di patrimonio autonomo.

La dizione «patrimonio separato», inoltre, è assente nel T.U.F., e il concetto di separazione patrimoniale è utilizzato in riferimento a tutti gli O.I.C.R., anche a quelli che hanno struttura societaria (art. 168 T.U.F.). Il fatto poi che anche al fondo sia attribuita, a norma del medesimo art. 168369, la separazione patrimoniale, non significa che il fondo sia un patrimonio separato in senso tecnico e che quindi sia imputato a un soggetto. La separazione patrimoniale indica, infatti, la limitazione delle azioni esecutive sul fondo, regolata dall‟art. 36, comma 4 T.U.F., secondo il quale il fondo medesimo è distinto a tutti gli effetti da qualsiasi

367 DURANTE, voce Patrimonio (dir. Civ.), cit., par. 2.2.

368 L‟improprietà del linguaggio legislativo è stata criticata da Cass., sez. I, 15 luglio 2010, n. 16605,

cit. e, nella dottrina, da: SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, 1, pp. 837 ss.; CALAIORI, La destinazione intrasoggettiva, cit., pp. 11

ss.

369 L‟art. 168 T.U.F. punisce «chi, nell'esercizio di servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del

risparmio, ovvero nella custodia degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide di un O.I.C.R., al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, viola le disposizioni concernenti la separazione patrimoniale arrecando danno agli investitori».

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altro patrimonio. Ciò è compatibile, secondo quanto abbiamo evidenziato nel Capitolo II, anche con un patrimonio entificato o acefalo370.

Come anticipato, allora, le qualificazioni offerte dal Testo Unico sono ambigue. Tutto ciò non significa che quel corpus normativo non permetta di addivenire a un inquadramento preciso dei fondi comuni. Le qualificazioni contraddittorie e ambigue, infatti, sono precisate dall‟art. 36, comma 4. La disposizione, dopo aver ribadito che il fondo è un patrimonio autonomo, aggiunge che esso è «distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società».

Il Legislatore, data l‟anomalia del fenomeno, ha sentito quindi la necessità di manifestare la propria volontà esprimendo sia una qualificazione, sia le conseguenze di questa. Tale tecnica normativa è rara, tanto da riportare alla mente soltanto un altro caso, quello dell‟art. 490 c.c., il quale, dopo aver stabilito che «l‟effetto del beneficio d‟inventario consiste nel tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell‟erede», utilizza, all‟inizio del secondo comma, l‟avverbio «conseguentemente», con il quale si apre l‟elenco delle ricadute di quella qualificazione. È significativo, peraltro, che, anche nel caso dell‟art. 490 c.c., il tema sia quello della separazione patrimoniale.

L‟art. 36, comma 4 T.U.F. consente un‟osservazione. Se il fondo fosse un soggetto e non un mero patrimonio, che necessità si avrebbe di spiegare che esso è distinto dai patrimoni degli investitori, della S.G.R., nonché da «ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società»?

La disposizione, allora, pur nell‟anomalia del linguaggio, contiene un‟indicazione precisa: il fondo è un patrimonio, non un soggetto. Inoltre, la disposizione non afferma affatto che quel patrimonio è imputato alla S.G.R.: il fondo è «gestito […] dalla società», e viene quindi strutturalmente distinto dal «patrimonio della società». La norma, pertanto, contiene elementi che contraddicono, oltre alla teoria della comunione ordinaria, anche quelle che vedono nel fondo un soggetto o un patrimonio separato imputato alla S.G.R.

È alquanto indicativo, a tale proposito, che ben diversa sia la formulazione dell‟art. 35 bis, comma 6, secondo cui «nel caso di S.I.CA.V. e S.I.CA.F. multicomparto, ciascun comparto costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti». Qui, non a caso, non si aggiunge che quel patrimonio autonomo, che è il comparto, è distinto, oltre che dagli altri comparti, anche dai patrimoni personali degli investitori. Il comparto è imputato alla società, di modo che è evidente che esso sia distinto dai patrimoni degli investitori. L‟imputazione è diversa, cosicché è impossibile che il comparto e il patrimonio personale siano confusi. Al contrario, per i fondi, l‟art. 36, presupponendo che vi sia un rischio di confusione, è costretto a specificare la distinzione rispetto ai patrimoni degli investitori, il che dimostra che l‟imputazione in favore di soggetti diversi, quale la S.G.R. o il fondo stesso, non

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esiste. Poiché non è ipotizzabile nemmeno l‟imputazione del fondo agli investitori, allora le situazioni giuridiche incluse nel fondo sono prive di titolare.

Tuttavia, questo approdo è soltanto parziale, giacché deve essere confrontato con il resto delle disposizioni in materia, così da verificare se ve ne siano delle altre che impongano delle soluzioni di segno diverso.

Pare opportuno, però, concentrarsi sulla ricostruzione del fondo comune quale mero patrimonio e mettersi alla ricerca di altri indizi che la confermino, per procedere soltanto in seguito all‟analisi degli eventuali elementi normativi difformi.

L‟art. 1, lett. k), definisce l‟organismo di investimento collettivo del risparmio, di cui il fondo comune costituisce un esempio, come «l'organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni».

Il riferimento alle «quote» è neutro: si può essere titolari di quote di S.R.L. (soggetto giuridico), come pure di quote delle parti comuni del condominio (oggetto giuridico). Anche il termine «organismo» non sembra dirimente, essendo sconosciuto al linguaggio normativo e indicando un quid unitario, non necessariamente coincidente con un soggetto. La funzione dell‟O.I.C.R., «istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio», è anch‟essa equivoca: lo scopo può giustificare la costituzione di una società, come l‟istituzione di un patrimonio separato o acefalo.

Il termine «patrimonio», tuttavia, si ritrova anche in questa definizione, mentre nessun riferimento è fatto alla presunta soggettività degli O.I.C.R. e quindi del fondo. In senso contrario si potrebbero addurre le lettere i) e i-bis) dello stesso articolo 1, secondo cui la S.I.CA.V. e la S.I.CA.F. – che costituiscono altri due esempi di O.I.C.R. – sono costituite in forma di società per azioni, ossia di soggetto. Replicando in questa maniera, però, non si farebbe altro che rafforzare il nostro sospetto. La forma societaria e quindi la soggettività sono attribuite a questi due organismi di investimento collettivo, mentre la lett. j), relativa al fondo comune, ha una formulazione completamente diversa, che discorre unicamente di «patrimonio autonomo».

La stessa lett. j), peraltro, stabilisce che il fondo è suddiviso in quote, ed è «istituito e gestito da un gestore», ma non afferma affatto che le situazioni giuridiche incluse in esso siano imputate al gestore o agli investitori.

§ 3. L’O.I.C.R. è «gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi […], in base a una politica di investimento

predeterminata».

Il titolo di questo paragrafo è tratto dall‟art. 1, lett. k).

La norma è ribadita dall‟art. 36, comma 1 T.U.F., secondo cui «il fondo comune di investimento è gestito dalla società di gestione del risparmio che lo ha istituito o dalla società di gestione

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subentrata nella gestione, in conformità alla legge e al regolamento». A norma del secondo comma: «il rapporto di partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal regolamento del fondo». Infine, ai sensi del terzo comma: «la S.G.R. che ha istituito il fondo o la società di gestione che è subentrata nella gestione agiscono in modo indipendente e nell‟interesse dei partecipanti al fondo, assumendo verso questi ultimi gli obblighi e le responsabilità del mandatario».

Tutte queste norme disciplinano unicamente la gestione del fondo comune, senza attribuire a quest‟ultimo la soggettività giuridica e senza imputarlo alla S.G.R.

Anche quando l‟art. 36 fa riferimento, per ben due volte, alla S.G.R. subentrante, il subentro è riferito alla gestione del fondo, non alla titolarità di esso. E il potere di gestire un bene non ne implica la titolarità.

La gestione in monte, l‟autonomia dagli investitori e il perseguimento del loro best interest, pur essendo fondamentali per la ricostruzione dei rapporti che legano la S.G.R. e i partecipanti e culminando nella previsione per cui la società assume gli obblighi e le responsabilità del mandatario, nulla dicono riguardo alla natura giuridica dei fondi. Anzi, la circostanza per cui l‟unico interesse è quello degli investitori, e l‟unico rapporto giuridico sussiste tra questi e la S.G.R., conferma che il fondo è privo di soggettività giuridica.

Il «rapporto di partecipazione», disciplinato dal regolamento dell‟art. 37, non impone che il fondo sia un soggetto. Oltre al rilievo, svolto pocanzi, per cui l‟attribuzione della forma societaria e quindi della soggettività è effettuata soltanto a favore delle S.I.CA.V. e delle S.I.CA.F., il concetto di partecipazione è compatibile anche con i semplici oggetti, potendo essere utilizzato anche per la partecipazione a un‟attività economica non organizzata in forma di soggetto giuridico (es. contratto di associazione in partecipazione; artt. 2447 bis ss. c.c.).

Secondo l‟art. 33 T.U.F., inoltre, «le S.G.R. gestiscono il patrimonio e i rischi degli O.I.C.R. nonché amministrano e commercializzano gli O.I.C.R. gestiti». Anche in questo caso la relazione tra il fondo e la S.G.R. è limitata alla gestione, senza che nulla alluda a un‟imputazione. Né è possibile affermare che il discorrere di patrimonio e rischi degli O.I.C.R. imponga che le situazioni giuridiche siano imputate ai fondi, i quali sarebbero quindi dei soggetti. Infatti, per semplicità, si è soliti parlare di «diritti dell‟eredità giacente», dove il complemento di specificazione indica l‟inclusione in un patrimonio, non l‟imputazione a un soggetto371.

Tutto ciò risulta in modo ancor più evidente se si confronta il citato art. 33 con l‟art. 35 bis, comma 6, a mente del quale «nel caso di S.I.CA.V. e S.I.CA.F. multicomparto, ciascun comparto costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti». Stando alla lettera di questa disposizione, il patrimonio è del comparto, ma nessuno ha mai

371 BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., p. 645: «nella dizione della legge si riscontra a

volte il riferimento a diritti e obblighi dell‟eredità o verso l‟eredità […]. Queste indicazioni potrebbero fare pensare all‟eredità quale ente giuridico […]. Nel nostro ordinamento è tuttavia sicuramente escluso che l‟eredità sia un ente dotato di una propria soggettività. Il riferimento a diritti ed obblighi dell‟eredità è un‟espressione meramente descrittiva per indicare diritti ed obblighi ereditari, cioè diritti ed obblighi già dell‟ereditando».

Ben diversa è la formulazione dell‟art. 2447 septies, comma 1 c.c., che discorre di beni e rapporti «compresi nei patrimoni destinati» a uno specifico affare della società per azioni.

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immaginato che i comparti siano dei soggetti giuridici372. Eppure, si perverrebbe proprio a tale conclusione ove si applicasse il criterio dell‟imputazione, che, come abbiamo visto nel Capitolo II373, è logicamente viziato e, non a caso, dà luogo a conseguenze abnormi come quella appena prospettata.

L‟art. 35 decies, infine, stabilisce che «le S.G.R., le S.I.CA.V. e le S.I.CA.F. che gestiscono i propri patrimoni: a) operano con diligenza, correttezza e trasparenza nel miglior interesse degli O.I.C.R. gestiti, dei relativi partecipanti e dell'integrità del mercato; b) si organizzano in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse anche tra i patrimoni gestiti e, in situazioni di conflitto, agiscono in modo da assicurare comunque un equo trattamento degli O.I.C.R. gestiti».

Oltre a proclamare il principio del perseguimento del best interest, il richiamo a questa norma è necessario per fugare ogni dubbio intorno all‟interpretazione del suo incipit. L‟espressione «che gestiscono i propri patrimoni», infatti, è riferita esclusivamente alle S.I.CA.V. e alle S.I.CA.F. che, ex art. 38, possono designare per la gestione del proprio patrimonio un gestore esterno. L‟imputazione del patrimonio gestito, pertanto, non riguarda i fondi comuni di investimento.

§ 4. Le limitazioni alle azioni sul fondo comune.

Ex art. 36, comma 4, sul fondo comune «non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell'interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell'interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi».

Queste disposizioni sono tra le più ambigue e quindi tra le meno decisive nell‟indagine che stiamo conducendo.

La limitazione di responsabilità rispetto ai creditori della S.G.R., infatti, è immaginabile sia che il fondo costituisca un patrimonio separato della società, sia che esso sia un soggetto giuridico gestito dalla S.G.R. L‟argomento fondato sull‟impossibilità, per la S.G.R., di rivalersi sul fondo è parimenti inconcludente, in quanto discende dalla circostanza per cui la gestione deve essere finalizzata al solo best interest degli investitori, cosicché deve escludersi che la società di gestione possa far proprie delle situazioni giuridiche incluse nel fondo.

Lo stesso va ripetuto per l‟esclusione delle azioni del depositario e del sub depositario. Tutte queste norme, infatti, mirano a garantire il principio sancito dall‟incipit del quarto comma dell‟art. 36, secondo cui il fondo è distinto, «a tutti gli effetti», da qualsiasi altro patrimonio.

372 Né in questo senso depone l‟art. 35 quater, comma 6, lett. c), secondo cui lo statuto della S.I.CA.V. può prevedere «l'esistenza di più comparti di investimento per ognuno dei quali può essere emessa una

particolare categoria di azioni». Le azioni, infatti, rappresentano la partecipazione nella società, benché

conferiscano diritti patrimoniali e amministrativi riferiti soltanto a uno dei comparti della stessa. Lo stesso dicasi per l‟identica norma contenuta nell‟art. 35 quinquies, comma 4, lett. c).

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La limitazione dell‟azione esecutiva dei creditori dei partecipanti è parimenti irrilevante ai fini della nostra ricerca. Essa può spiegarsi sia mediante un parallelo con l‟espropriazione della partecipazione in una società (soggetto), sia ricorrendo a un‟analogia con l‟espropriazione della quota della comunione ordinaria (oggetto).

Infine, la norma secondo cui «la società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell'interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti», espressa dall‟art. 36, comma 4, in fine, è involuta in un modo che, sebbene non decisivo, deve essere portato all‟attenzione dell‟interprete. Invece di parlare di «beni dei fondi» – ciò che avrebbe potuto far sospettare, secondo quanto detto al paragrafo precedente, un‟imputazione – la disposizione discorre dei «beni di pertinenza dei fondi», con una formulazione che fa scorgere la semplice inclusione del bene nel patrimonio374, piuttosto che la sua attribuzione a un soggetto.

§ 5. Le disposizioni contenute nell’art. 37 T.U.F.

Nel documento I fondi comuni di investimento (pagine 107-135)