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Il benessere organizzativo, il clima organizzativo e la salute organizzativa

LE STRATEGIE OPERATIVE PER IL BENESSERE DEGLI OPERATORI SANITAR

3.1. Il benessere organizzativo, il clima organizzativo e la salute organizzativa

Lavorare in un’ organizzazione in cui vi governa il benessere, in cui il clima lavorativo ed organizzativo è tranquillo e bilanciato, non può che far bene a chi vi opera quotidianamente, come gli operatori stessi e a quanti si relazionano direttamente o indirettamente, con la stessa struttura. Se poi, questa organizzazione si occupa di salute, a maggior ragione non è superfluo ribadire, come il benessere psico- fisico e quindi anche organizzativo è tra i principali obiettivi da ambire.

Con il termine benessere organizzativo intendiamo l’insieme dei nuclei culturali, dei processi che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative. Comprende, inoltre, lo stato soggettivo di coloro che lavorano in uno specifico contesto organizzativo e l’insieme dei fattori che determinano o contribuiscono a determinare il benessere di chi lavora al suo interno.

Mentre il termine clima organizzativo dipende dall’ambiente interno di un sistema organizzativo; è frutto di una percezione soggettiva. E’ un insieme di percezioni oggettive, socialmente condivise dai membri di una organizzazione, il cui contenuto riflette sensazioni, vissuti e stati d’animo presenti nella relazione tra gli individui e l’organizzazione stessa. Come la parte sommersa di un iceberg, che non è visibile ad una prima occhiata ma ne costituisce la porzione più voluminosa, il clima interno rappresenta la dimensione invisibile del sistema organizzativo. Di fatto è l’espressione degli umori delle persone, delle loro motivazioni, del modo e dell’entusiasmo con cui si relazionano ai vari livelli dell’organizzazione. Secondo questa analogia per capire il clima organizzativo bisogna immaginarlo come prodotto da una serie di fattori: partecipazione, calore, ricompense sociali, cooperazione, comunicazione, crescita, innovazione, autonomia, gerarchia, struttura, ricompense estrinseche, archievement (realizzazione). La conoscenza dello stato medio di questi fattori permette di prevedere il comportamento delle persone che compongono l’organizzazione. Alcuni studiosi hanno indicato i fattori che concorrono a costruire un buon ambiente lavorativo ed aumentare fino a sette volte la produttività:

 buone relazioni con i colleghi;

 l’orgoglio e la stima per ciò che si fa;

47 La salute organizzativa rappresenta invece, la capacità di un’organizzazione non solo di essere efficace e produttiva, ma anche di crescere e svilupparsi promuovendo e mantenendo il più alto grado di benessere fisico, psicologico, e sociale alimentando costruttivamente la convivenza sociale di chi vi lavora. Quando il clima di una organizzazione è positivo, a beneficiarne sono sicuramente tutti gli attori in campo: azienda, operatori e utenti.

3.2.La leadership

La leadership è stata definita in vari modi nel corso del tempo: il senso che diamo al termine in questo contesto è di utilizzo delle proprie capacità per attivare le

potenzialità di altre persone affinchè diano il meglio di sé nell’organizzazione per la quale lavorano. Il fenomeno della leadership si può riscontrare in ogni tipo di

aggregazione: una classe scolastica, un partito politico, un’associazione sportiva, un gruppo professionale e così di seguito. L’ambito che qui interessa è quello delle organizzazioni di lavoro, con particolare riferimento alle aziende nelle quali l’esercizio della leadership compete anche agli infermieri dirigenti e coordinatori. La leadership va intesa come complementare al management, due aspetti molto diversi, irriducibili l’uno dall’altro ma entrambi essenziali, dell’azione organizzativa. Un ottimo modo per capire la differenza tra leader e manager è citando una storiella riportata da Covey: si immagini un gruppo di professionisti che creano un sentiero nella giungla a colpi di machete. I leaders si aprono la strada, nel sottobosco, tagliano arbusti e liane. A seguire arrivano i manager, che affilano i loro machete, scrivono manuali organizzativi, implementano programmi per lo sviluppo della muscolatura e fissano orari di lavoro e di svago. Il manager, infatti, amministra, gestisce struttura e sistemi; il leader innova e gestisce persone.

La tabella sotto rappresentata presenta in maniera dettagliata tali differenze.

Leader Manager

non ha necessariamente una nomina ufficiale occupa una posizione di autorità formalmente conferita e riconosciuta

riesce a far mettere in atto le sue decisioni nella misura in cui gli altri sono disposti ad accettarle

ha l’autorità di far mettere in atto le sue decisioni

influenza gli altri verso la realizzazione degli obiettivi in modo formale o informale

responsabile della pianificazione,

predeterminate politiche, norme e procedure per conseguire i risultati del servizio

è disposto a assumere rischi e interessato a esplorare nuove strade

tende a mantenere una struttura razionale, stabile, ordinata e controllata

si relaziona con gli altri sul piano personale in maniera tendenzialmente empatica

si relaziona con gli altri sulla base del proprio e del loro ruolo

si ritiene gratificato delle proprie realizzazioni si ritiene gratificato dal conseguimento dei fini istituzionali

può essere o non essere altrettanto bravo come manager

può essere o non essere altrettanto bravo come leader

48 La qualità del processo di leadership è determinata dal concorso di alcune variabili, che il dirigente deve essere in grado di analizzare: il leader stesso con le sue caratteristiche, un gruppo di persone disposto a subirne l’influenza (seguaci) e le situazioni nel suo insieme. Di seguito esamineremo le singole variabili e le relazioni che intercorrono fra di esse.

Ogni leader ha ovviamente caratteristiche personali, valori, percezioni ed esperienze peculiari, che incidono notevolmente sull’efficacia della sua azione e che egli si deve sforzare di valutare. Tali caratteristiche si traducono in stili direzionali che è opportuno esaminare. Uno stile è un modo abituale di comportarsi, è il riflesso della variabile combinazione delle seguenti componenti:

 la più o meno forte determinazione a “guidare” le persone (comportamento direttivo);

 la maggiore o minore disponibilità ad aiutarle e sostenerle (comportamento relazionale);

 la maturità e il senso di responsabilità che viene richiesto ai collaboratori, o che essi manifestano, nello svolgimento delle attività loro assegnate.

Il tipo di miscela fra le tre componenti è funzione di vari fattori: la personalità dei soggetti coinvolti (leader e collaboratori), il tipo di attività, il momento in cui questa viene svolta e/o i valori espressi dalla cultura d’impresa. La conoscenza dei vari stili può servire all’autodiagnosi del dirigente, la quale partirà dal presupposto che non vi sono stili giusti o sbagliati in assoluto, ma stili più adatti o meno adatti per le varie situazioni e dimensioni potenzialmente efficaci e inefficaci in ogni stile.

Sono state proposte diverse classificazioni degli stili di leadership: una delle più comunemente accettate è quella esposta di seguito:

 autocratico-coercitivo: il leader, che occupa una posizione di autorità in seno all’organizzazione. Sulla base di essa esige un’obbedienza immediata a direttive che impartisce senza impegnarsi a spiegarne le ragioni, né dare sostegno ai collaboratori-subordinati chiamati ad attuarle. Non è prevista per loro alcuna autonomia, perché il leader non li considera sufficientemente maturi per un ruolo più attivo nell’impostazione e nel controllo del loro stesso lavoro. Questo stile gode oggi di un riconoscimento inferiore aquello che ha ottenuto in passato, perché ostacola l’assunzione di iniziative e la comunicazione reciproca, impedisce la critica nei confronti delle idee e delle decisioni del capo, potendo creare un senso di dipendenza, di paura di esporre la propria opinione e, talvolta, di ribellione. Tuttavia vi sono delle situazioni nelle quali è necessario che qualcuno prenda decisioni d’autorità e ne esiga il rispetto, per esempio le situazione d’emergenza;

 paternalistico-prescrittivo: è lo stile tipico del capo che dà ai collaboratori direttive piuttosto precise, utilizzando ad esempio l’espressione “nel vostro

49 interesse”, ma riconosce solo un certo grado di maturità e dà loro un certo sostegno morale nello svolgimento del lavoro;

 affiliativo-direttivo: il leader non ritiene molto capaci i propri collaboratori, tuttavia cerca di ottenere il loro consenso non imponendo direttive precise, ma fungendo da educatore e sollecitandoli a discutere le sue spiegazioni in modo che acquisiscano un certo controllo sulle loro attività. Egli conta sulla comunicazione, con la quale, oltre a tenere informati i collaboratori, cerca di costruire con loro solidi legami emozionali che costituiscano la base di un saldo senso di fedeltà e rafforzino la coesione del gruppo;

 democratico: aperto al confronto e alla discussione approfondita. Sulla base di linee guida, il leader che adotta questo stile valorizza i membri del gruppo, che stimola a sviluppare i loro obiettivi e le loro capacità, a formulare piani e a controllare le loro attività. Egli esercita la propria responsabilità di autore ultimo delle scelte, ma cerca di condividerle con i propri collaboratori, dedicando del tempo alla considerazione delle loro idee proposte. Si può dire che in questo stile vi sia un equilibrio tra le direttive del capo, da un lato, e la fiducia nei collaboratori, unita alla volontà di sostenerli nell’esercizio dei loro compiti, dall’altro. La costante ricerca del consenso può risultare dispendiosa (molto tempo impiegato in riunioni);

 trascinatore-coinvolgente: in cui ha grande importanza il comportamento relazionale. Il capo dà l’esempio e stimola i collaboratori per responsabilizzarli, ma non delega in misura rilevante il proprio potere decisionale;

 allenatore (coach): in un clima di squadra il capo, abile nella comunicazione, spiega ai collaboratori come migliorare i risultati portando le loro prestazioni ai massimi livelli. Essi vengono così educati e stimolati a formulare i loro piani d’azione, pur non avendo quella maturità che consentirebbe loro un completo controllo dei processi che li vedono coinvolti. Oltre a chiarire ai collaboratori che cosa si aspetta che facciano quando è possibile, il coach negozia e decide insieme a ciascuno di loro gli obiettivi da raggiungere, specialmente in presenza di situazioni nuove. Legato al saper fare e al saper essere, l’intervento di coaching riguarda tutte le competenze, dalle manageriali alle relazionali ecc.; esso mira a rendere le persone più autonome, più disinvolte nello svolgimento delle loro funzioni e, soprattutto, più capaci di ottenere risultati. Nell’analizzare il ruolo dell’allenatore, vi sono autori che distinguono opportunamente la figura del coach da quella dell’allenatore-giocatore. Nel secondo caso quest’ultimo è un membro della squadra, sotto molti aspetti al pari con gli altri: non rinuncia alle funzioni del coach e, al tempo stesso, si allena con i compagni, gioca con loro, impara con loro;

 permissivo-orientato alla delega: poiché ha piena fiducia nelle capacità dei collaboratori, il capo non ritiene necessario formulare direttive precise, ma fa uso dell’empowerment e della delega e concede un ampio sostegno alle attività del gruppo di lavoro. Il suo ruolo è importante soprattutto per definire i limiti

50 entro cui il gruppo deve operare, per inviare feedback positivi sui risultati ottenuti e per analizzare i motivi dell’eventuale loro mancato raggiungimento. Vi è anche una versione diversa dello stile permissivo, secondo la quale esso consiste in pratica nell’abdicare alle proprie responsabilità di leadership, lasciando i lavoratori privi di direzione, supervisione e coordinamento. Essi possono pianificare, eseguire e valutare le attività come meglio credono, ma è possibile che non sappiano cosa ci si attende da loro e che la loro motivazione sia scarsa.

E’ buona norma che il leader si interroghi sui propri stili, anche con l’uso di appositi questionari, per identificare lo stile dominante e gli stili secondari, cioè quelli che utilizza solo in circostanze particolari. Se, come talvolta sembra accadere, un dirigente utilizza un solo stile dominante, la sua leadership sarà efficace unicamente nelle situazioni compatibili con tale stile, mentre chi ne padroneggia diversi è potenzialmente efficace in numerose situazioni.

Inoltre, è opportuno ricordare che, le caratteristiche delle persone che compongono il gruppo di lavoro sono importanti quanto quelle del capo nel determinare il successo o l’insuccesso del processo di leadership. Le aspettative dei singoli o dei gruppi sono legate essenzialmente alle esperienze precedenti; l’esercizio di uno stile, infatti, produce il risveglio negli operatori dei ricordi, positivi o negativi, legati ad esperienze passate. Diventa, quindi, fondamentale che il dirigente osservi pazientemente i comportamenti degli altri operatori e i loro feedback rispetto alle sue scelte in merito allo svolgimento delle attività e alle relazioni interpersonali. Oltre alle aspettative, è necessario che il leader esamini, con tutta la prudenza del caso, il livello di

maturità dei singoli collaboratori e del gruppo nel suo insieme; tale concetto si

riferisce alle attitudini tecnico-professionali, così come al livello di motivazione e di autonomia e alla disponibilità ad assumersi responsabilità. Esso non va applicato alla persona come tale, bensì ai suoi comportamenti in relazione a una precisa tipologia di compiti. A titolo indicativo si possono distinguere i collaboratori, a seconda del livello di maturità, nelle seguenti categorie, facendo attenzione a non considerarle rigide e definitive:

 maturità bassa (M1), comprende coloro che hanno carenti capacità tecnico- operative, motivazione e disponibilità;

 maturità medio-bassa (M2), propria delle persone che hanno scarse capacità, ma sono motivate e disponibili alla collaborazione e all’assunzione di responsabilità;

 maturità medio-alta (M3), riferita ai professionisti competenti e capaci, ma poco motivati e disponibili;

 maturità alta (M4), quella delle persone che sono al tempo stesso molto capaci, altamente motivate e disponibili all’assunzione di responsabilità sempre maggiori.

51 Il dipendente che, di fronte a un certo compito, manifesta una maturità di livello M1 richiede al leader un comportamento essenzialmente direttivo, che si esprime con disposizioni precise, regole e procedure. Anche con il dipendente del grado di maturità M2 è necessario un approccio direttivo sul piano funzionale, ma a questo si deve abbinare un supporto relazionale che ne stimoli la motivazione. Sono invece richiesti un elevato supporto emotivo e un atteggiamento poco direttivo, che lasci autonomia operativa, con i dipendenti di livello M3. Infine, il dipendente di livello M4 non ha bisogno né di molte direttive, né di grande supporto emotivo, ma può operare con un ampio margine di autonomia.

Il dirigente che vuole condurre il gruppo alla realizzazione dei fini istituzionali deve prendere in esame la situazione in cui opera nei suoi vari aspetti: fra questi rivestono particolare importanza l’organizzazione, gli obiettivi di essa e delle persone, il tipo di lavoro richiesto, le risorse a disposizione e i processi comunicativi. L’analisi della situazione va effettuata almeno quando il leader assume l’incarico e ogni volta che si produce un cambiamento significativo.

E’ ovviamente diverso operare in un’azienda sanitaria pubblica o privata, in un’azienda ospedaliera o in un’azienda sanitaria locale che dispone di servizi territoriali, in un’organizzazione di dimensioni modeste o in una grande e complessa, in un presidio di vecchia costruzione o in uno edificato con criteri moderni. Varia inoltre da un’organizzazione all’altra, e all’interno della stessa azienda, per esempio, da una categoria professionale all’altra, la cultura organizzativa. Questa consiste in un insieme coerente di idee, linguaggio, valori e modi di agire che deriva dalla storia dell’organizzazione o del gruppo e viene insegnato ai nuovi membri come il modo corretto di percepire e di pensare in relazione ai problemi da affrontare, alle attività da svolgere in maniera più assidua e alle categorie di persone alle quali prestare maggiore considerazione. La cultura dell’azienda in cui operano, soprattutto quella del vertice aziendale, può suggerire all’infermiere dirigente di mettere in atto processi di leadership più orientati in senso autoritario o partecipativo.

La percezione dell’efficacia o meno della leadership è legata, in ultima analisi, alla misura in cui contribuisce a realizzare gli obiettivi dell’azienda e quelli dei seguaci. Il grado di conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione può essere valutato con maggiore o minore esattezza e facilità. E’ relativamente agevole misurarlo per obiettivi ben definiti e a breve termine, quali, per fare esempi l’aumento del tasso di occupazione dei posti letto o la riduzione del costo medio per giornata di ricovero. Più difficile e complessa è la valutazione di scopi a medio-lungo termine riguardanti il sistema organizzativo, per esempio il passaggio di un’assistenza infermieristica per compiti a una personalizzata. Con quelli istituzionali convivono gli obiettivi dei gruppi (per esempio, la diminuzione del numero di conflitti all’interno di un gruppo di lavoro)e dei singoli professionisti: ottenere una retribuzione migliore, svolgere attività più ricche e gratificanti ecc. L’azione del leader è influenzata dal variare di questo complesso di finalità, ma, al tempo stesso, egli è la persona che meglio può identificare i diversi obiettivi e le loro interrelazioni per guidare il gruppo e le singole persone verso la loro realizzazione.

52 Il lavoro richiesto è differente in base al contesto in cui prestiamo la nostra opera; è differente lavorare in un’organizzazione che prevede l’assistenza personalizzata, piuttosto che in una più tradizionale e empirica. Anche il fattore tempo può contribuire a creare differenze che il leader deve prendere in considerazione: un’unità operativa nella quale si verifica un buon numero di situazioni di urgenza, richiederà più spesso decisioni d’autorità, rispetto a una nella quale il lavoro può essere pianificato con sufficiente anticipo.

Le risorse a disposizione sono una delle componenti principali della situazione da analizzare. Cominciando dalle risorse umane, sono importanti il numero di operatori delle varie qualifiche, la loro anzianità di servizio, il loro livello di aggiornamento professionale e così via. Sono inoltre da tenere in considerazione il budget assegnato all’U.O., le attrezzature e il loro stato, i collegamenti con i servizi deputati all’approvvigionamento e alle riparazioni ecc.

I processi comunicativi rappresentano uno dei mezzi principali per dirigere il lavoro del gruppo verso la realizzazione degli obiettivi istituzionali. Essi vengono utilizzati per un duplice scopo: fornire informazioni e influire sui sentimenti e gli atteggiamenti, ad esempio per aumentare il livello di motivazione dei collaboratori. La loro importanza è tale che spesso si ritiene che il processo di leadership sia inadeguato proprio per mancanza di comunicazione.

3.3.La motivazione

L’importanza della motivazione del personale di tutte le categorie e di tutti i livelli è legata alla centralità della risorsa umana nelle aziende che producono servizi.

Il sistema sanitario dovrebbe essere fortemente basato sulle persone, sull’individuo, perché questo è al centro e costituisce la risorsa principale; quindi diventa indispensabile trovare il giusto mix fra gli obiettivi e i bisogni dell’azienda e quelli del personale, che, di fatto, rappresenta la linfa vitale della stessa azienda.

La motivazione, in questo caso al lavoro, è un processo mediante il quale una persona canalizza dell’energia verso il raggiungimento di un meta-incentivo allo scopo di soddisfare determinati bisogni. Si tratta di un fenomeno complesso e multidimensionale: la motivazione è cioè determinata da una molteplicità di fattori correlati, sia personali (bisogni, desideri, volontà, energia, stato emotivo) sia legati all’ambiente lavorativo.

Questo argomento interessa da vicino gli infermieri dirigenti, dato che la motivazione di chi opera nell’azienda sanitaria, come nelle altre, concorre a determinare il comportamento in termini di: direzione verso cui andare, intensità e persistenza nell’impegno. Una gestione accorta delle risorse umane può essere notevolmente incentivante, con presumibili benefici per gli assistiti (morale più elevato, esiti migliori) e per l’organizzazione (maggiore efficienza e adesione alle sue politiche). Questo va tenuto ben presente anche perché una situazione di scarsa motivazione generalizzata renderebbe assai difficile qualsiasi progetto di cambiamento e di miglioramento dell’organizzazione del lavoro.

53 Creare un clima organizzativo atto a mantenere lo stress del personale a un livello gestibile e a prevenire il burnout deve essere una preoccupazione costante dei dirigenti di ogni livello. L’obiettivo è quello di contribuire a ridurre il turnover e l’assenteismo, innalzare il morale e la motivazione propria e dei collaboratori e, indirettamente, mantenere elevata la qualità delle prestazioni. Per realizzare questi obiettivi, occorre in primis che l’infermiere dirigente migliori la propria motivazione, lavorando su se stesso, sulla base, per esempio, di una permanente fiducia, o al contrario, sfiducia nella propria capacità di affrontare e risolvere i problemi.

In alcuni studi, sono stati identificati aspetti comuni, come quelli di seguito indicati. Un leader dovrebbe:

 fissare obiettivi da raggiungere, in modo che il futuro sia carico di attesa e che vi sia la speranza di realizzare qualcosa in cui si crede. Questo fa si che il lavoro del leader non diventi pura routine, ma che sia in grado di mobilitare costantemente le sue energie. La suddivisione degli obiettivi in

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