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Valutazione e prevenzione dello stress lavoro correlato: il ruolo del dirigente infermieristico

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e

Ostetriche

Valutazione e prevenzione dello stress lavoro

correlato: il ruolo del dirigente infermieristico

Candidato: Relatore:

Chiara Fantolini Dott.ssa Antonella Perini

Anno Accademico 2016-2017

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Lo stress? Tutti sanno che cos’è eppure nessuno sa che cosa sia!

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Indice

Premessa pag. 3 Introduzione pag. 4 Riassunto pag. 6 1 – Valutazione dello stress lavoro-correlato: modelli teorici e pag. 7 riflessioni sulla norma vigente

1.1. Perchè valutare lo stress lavorativo? pag. 7 1.2. Come si origina lo stress lavoro correlato? pag. 10 2 – Il quadro normativo di contesto pag. 16 2.1. Il Decreto Legislativo 81/08 pag. 16 2.2. I soggetti e i riflessi in ambito sanitario pag. 17 2.3. Il percorso metodologico pag. 21 2.4. Proposta di un percorso metodologico integrato per la pag. 25

valutazione del rischio da stress lavoro-correlato 2.5. Il Centro di riferimento regionale sulle criticità relazionali pag. 41

3 – Le strategie operative per il benessere degli operatori sanitari pag. 46 3.1. Il benessere organizzativo,il clima organizzativo e la salute pag. 46 organizzativa

3.2. La leadership pag. 47 3.3. La motivazione pag. 52 3.4. Il sistema premiante pag. 55 Conclusioni pag. 58 Fonti pag. 60

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2 Bibliografia pag. 60 Sitografia pag. 62

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Premessa

Nella società odierna ci troviamo a dover rispondere a sollecitazioni e stimoli diversi molto complessi, meno correlati rispetto al passato a realtà di pericolo concreto, ma sicuramente più pressanti e continuativi. Le pressioni cui siamo sottoposti nella vita sono, infatti, molto numerose. Così, anche le persone che per loro natura tenderebbero ad evitare il cambiamento, si trovano costrette ad affrontarlo, dovendo quindi superare una serie di “crisi generatrici” di stress.

Possiamo, quindi, affermare che lo stress odierno è causato da un contesto che muta continuamente e che genera un’incertezza continua; è una conseguenza delle situazioni nuove, imprevedibili, in cui ci imbattiamo quotidianamente e che ci mandano in crisi.

È importante, tuttavia, tenere sempre presente che tutti sperimentiamo un po’ di stress e che quest’ultimo è normale e, se adeguatamente gestito, può anche rivelarsi utile. E’ opportuno che ogni individuo riesca a rilevare il livello di stress che è in grado di tollerare, in modo da evitare di sottoporsi a disturbi di natura fisica, psicologica o sociale che non riesce più a gestire.

Nel corso dell’ultimo decennio, in particolare, si è potuto osservare il proliferare di gruppi di ricerca che si occupano dei problemi psicosociali del lavoro e della qualità della vita. I notevoli mutamenti che interessano il mondo del lavoro pongono infatti al centro dell’attenzione lo stress lavorativo che, nei paesi maggiormente industrializzati, rappresenta oggi uno dei principali problemi sanitari correlati al lavoro. Di conseguenza lo stress viene ormai affrontato a livello di organizzazione del lavoro, implementando programmi che privilegiano l’eliminazione delle sue cause piuttosto che il trattamento delle sue conseguenze.

Attraverso questo elaborato, dopo aver illustrato la normativa di riferimento sulla sicurezza del luoghi di lavoro, verranno analizzati gli strumenti pratici necessari per riconoscere lo stress e intervenire efficacemente nell’ambiente di lavoro, prestando particolare attenzione alle differenze individuali e alla valenza del clima organizzativo.

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Introduzione

La gestione efficace della salute e della sicurezza nel luogo di lavoro è un bene per i lavoratori, un bene per l’azienda e un bene per l’intera società.

È particolarmente importante ricordarlo in tempi d’incertezza economica, quando le aziende, per mantenere alti i livelli di produttività, intensificano i ritmi delle attività ed il personale lavora sotto pressione per rispettare le scadenze e diventa quindi più facile commettere errori ed è più probabile che si verifichino incidenti.

L’ obiettivo fondamentale di questa tesi è quello di aiutare i dirigenti, attualmente obbligati giuridicamente, a riconoscere e a gestire lo stress e i rischi psicosociali nel luogo di lavoro. Il presupposto principale da cui è opportuno iniziare è sicuramente creare un ambiente di lavoro sano e sicuro in cui i lavoratori si sentono valorizzati. Questa sensazione di benessere condurrà pure a un miglioramento delle prestazioni dell’azienda.

L’idea di sviluppare questo progetto è nata perché vi sono molti fraintendimenti e vari punti di vista intorno ai rischi psicosociali nel luogo di lavoro, infatti la salute mentale è ancora oggetto di stigmatizzazione. L’indagine europea fra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti (ESENER) ha rilevato che oltre il 40 % dei datori di lavoro ritiene che i rischi psicosociali siano più difficili da gestire rispetto ai rischi «tradizionali» della SSL. I principali ostacoli citati sono la «delicatezza della questione»e la «mancanza di competenze specifiche».Inoltre, da un sondaggio rivolto agli alti dirigenti è emerso che quasi la metà di loro pensa che nessuno dei propri lavoratori avrà mai problemi di salute mentale nel corso della vita lavorativa, quando in realtà una persona su sei soffrirà di problemi di salute mentale. I lavoratori con problemi di salute mentale sono talvolta considerati un «rischio»per l’organizzazione, mentre in realtà anche una persona affetta da problemi di salute mentale non legati al lavoro può, di solito, operare in modo efficace in un luogo di lavoro caratterizzato da un buon ambiente psicosociale.

Inoltre, gli studi suggeriscono che il 50-60 % di tutte le giornate lavorative perse è dovuto allo stress lavoro-correlato e ai rischi psicosociali. Si tratta del problema di salute più frequente legato all’attività lavorativa in Europa dopo i disturbi muscolo-scheletrici. Nell’arco di nove anni, quasi il 28 % dei lavoratori europei ha riferito di essere stato esposto a rischi psicosociali che hanno compromesso il benessere mentale. La ricerca indica che i rischi psicosociali e lo stress lavoro-correlato comportano costi significativi sia per le organizzazioni sia per le economie nazionali. In generale, i lavoratori tendono ad assentarsi a lungo dal lavoro quando soffrono di stress lavoro-correlato e di altri problemi di natura psicologica. Nondimeno, vi sono altri lavoratori che si presentano al lavoro anche quando non sono in grado di svolgere il lavoro in modo efficace (fenomeno noto come «presenzialismo»). I costi complessivi dovuti ai disturbi relativi alla salute mentale in Europa, legati o meno al lavoro, sono stimati a 240 miliardi di euro all’anno. Meno della metà di questa somma deriva dai costi diretti, come le cure mediche, mentre si attesta a 136 miliardi di euro la perdita di produttività,compreso l’assenteismo per malattia. In ambito sanitario lo stress costituisce un tema di primaria importanza, rappresentando un

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5 fattore di rischio significativo e ad elevato impatto sugli operatori e sugli utenti che beneficiano delle prestazioni sanitarie erogate. L’intensità dei rapporti umani e il contatto quotidiano con situazioni ad elevato coinvolgimento emotivo rappresentano la principale ricchezza professionale di ogni lavoratore, ma va vissuta in modo equilibrato. Le conseguenze possono esitare non solo in sofferenze e patologie individuali, ma anche in disfunzioni organizzative che possono deteriorare la qualità delle prestazioni sanitarie erogate. Lo stress occupazionale è la risultante della distorsione del rapporto che intercorre tra le sollecitazioni imposte dal proprio ruolo all’interno del contesto lavorativo e le capacità dell’individuo a farvi fronte attraverso le modalità di risposta (coping). E’ fondamentale un migliore controllo del proprio stress professionale, dato che spesso, se non ascoltato, porta alcuni professionisti alla chiusura emotiva e al rivestirsi di una corazza di insensibilità, o l’opposto, a dedicarsi in eccesso (contagio empatico, coinvolgimento eccessivo), facilitando così circoli viziosi di stress ed avviando alcuni sulla strada del “burnout”.

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Riassunto

Il settore sanitario italiano è stato protagonista di un profondo processo di cambiamento a partire dagli anni Novanta, a seguito di numerosi fenomeni, quali la crescente innovazione organizzativa e tecnologica, l’invecchiamento progressivo della popolazione, l’aumento della domanda di servizi sanitari, l’imposizione normativa di nuovi modelli manageriali e il peggioramento degli scenari economico-finanziari. Ad oggi il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e i Servizi Sanitari Regionali (SSR) si ritrovano a misurarsi quotidianamente con le continue e rigide disposizioni e pressioni istituzionali, che si traducono in tagli cospicui al budget disponibile e inviti perentori alle strutture sanitarie regionali ad adottare modelli manageriali nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità, e a redigere e rispettare piani di rientro per ridurre l’eccessiva spesa e ripianare i disavanzi accumulati nel passato. In questo scenario così complesso, in tempi recenti, il sistema sanitario sta rivolgendo una crescente attenzione a tematiche in passato spesso completamente trascurate, quali l’adozione di efficaci politiche di gestione del personale sanitario, soprattutto con riferimento alla questione del rischio legato all’esercizio delle professioni sanitarie, nonché al fenomeno dello stress lavoro-correlato. A partire dal 2011, le aziende sanitarie, come tutti i settori economici di natura pubblica, sono state sottoposte all’obbligo di attuare un processo di valutazione del fenomeno stress lavoro-correlato per il personale sanitario, medico, paramedico e amministrativo, attraverso l’inserimento di un documento di valutazione dei rischi legati all’esercizio della prestazione da parte dei propri lavoratori, con rilevazione del rischio da stress lavoro-correlato, che può incidere sullo stato psico-fisico di operatori e pazienti. Il fenomeno dello stress diviene particolarmente critico nel settore sanitario soprattutto a causa di fattori contestuali legati ai continui e profondi cambiamenti che generano un’incertezza continua. Nell’ambito sanitario il fenomeno dello stress lavoro-correlato, quale conseguenza delle situazioni nuove e imprevedibili che si affrontano, si veste di maggiori elementi di criticità anche per la natura stessa della prestazione erogata che produce effetti davvero devastanti sulla salute di un individuo. Le pressioni a cui il personale sanitario è quotidianamente sottoposto sono notevoli e possono significativamente, soprattutto in senso negativo, alimentare il fenomeno dello stress incidendo sui livelli di prestazione. Proprio per tale motivo ho ritenuto interessante analizzare e riflettere sull’argomento sia descrivendo la normativa di riferimento che inquadra la problematica che focalizzando la mia attenzione nell’esaminare le strategie che adotta il dirigente per valutare e prevenire il fenomeno, ormai purtroppo sempre più divampante.

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Capitolo 1

VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO-CORRELATO:

MODELLI TEORICI E RIFLESSIONI SULLA NORMA

VIGENTE

1.1. Perché valutare lo stress lavorativo?

Da qualche tempo la valutazione dello stress è diventata in Italia un obbligo di legge, come si evince dall’art.28 del DL.vo 81/2008 e dalle indicazioni della Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro del 17 novembre 2010, pubblicate con lettera Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il 18 novembre 2010. Oltre ad un adempimento obbligatorio, o forse proprio per questo, la valutazione dello stress è diventata anche una preoccupazione di tante realtà lavorative, poco abituate a confrontarsi con questo tema, per alcuni aspetti ancora “oscuri” e di difficile inquadramento.

Può essere utile quindi iniziare tentando a definire lo stress lavoro-correlato. Un aiuto ci arriva dalla definizione presente nello stesso Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004, recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008, dove lo stress lavorativo è definito come una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro. L’Accordo Europeo e quello Interconfederale italiano, riprendono a pieno titolo la definizione di salute che è stata rilasciata dalla Organizzazione Mondiale della

Sanità nel 1948, ovvero stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità; purtroppo questa definizione è troppo spesso dimenticata dagli “addetti ai lavori” chiamati ad occuparsi, a più titoli, solo del benessere delle persone sul posto di lavoro. Proprio per ribadire l’importanza di tale approccio olistico e bio-psico-sociale alla salute, il legislatore italiano ha ritenuto opportuno inserire la medesima definizione nel DL.vo 81/2008, obbligando il contesto italiano ad una apertura rilevante verso dimensioni della salute poco misurabili, ma non per questo meno importanti rispetto a quella fisica. Tale apertura, coatta e spesso mal digerita, è definita da molti utopistica, specie in un contesto italiano alle prese con problematiche che appaiono, e spesso sono, ben più urgenti per il Paese. Personalmente, pur condividendo la difficoltà di garantire per tutte le persone uno stato di salute così globale e onnicomprensivo, penso che sia comunque arrivato il momento di guardare al di là del modello biomedico, con la sua accezione riduttiva della salute e che sia arrivato il momento di dare avvio a modelli di prevenzione e gestione della salute e sicurezza che si occupino davvero di ridurre al minimo gli “effetti nocivi” del processo lavorativo sulle persone che lo svolgono. Ovviamente è chiara la consapevolezza che si tratta di un percorso in salita, con strumenti spuntati, e con risultati sicuramente migliorabili in futuro.

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8 Al di là dell’obbligo normativo, un altro motivo per occuparci dello stress lavoro-correlato è il cambiamento nel lavoro di oggi e nella nostra società più in generale. Il lavoro che svolgiamo oggi nelle nostre organizzazioni pubbliche e private, può essere definito come demograficamente eterogeneo, fluido, socialmente intenso, vario, cognitivamente impegnativo,con forte richiesta di assunzione di responsabilità, disponibilità alla collaborazione, capacità di integrazione di conoscenze diverse. Si comprende facilmente quanto possa essere impegnativo, se non gravoso, in alcuni momenti della nostra vita, rispondere a tutte queste richieste lavorative. Del resto anche studi europei di più largo respiro rispetto alla sola realtà italiana, riferiscono di cambiamenti del lavoro che obbligano ad una nuova attenzione a gli aspetti sociali, relazionali, emotivi, cognitivi del lavoro, così fortemente presenti oggi più che

mai. In particolare i fattori su cui l’Osservatorio Europeo sui Rischi Lavorativi dell’Agenzia Europea (EU-OSHA/European Agency for Safety and Healthat Work) ci fa riflettere sono:

 la diffusione di nuove forme contrattuali flessibili che riducono il rapporto di lavoro ad un arco temporale breve se non brevissimo;

 l’innalzamento dell’età anagrafica della forza lavoro che impatta sulla capacità di adattamento alle richieste esterne;

 una aumentata pressione lavorativa in termini di raggiungimenti di risultati e obiettivi;

 un maggiore coinvolgimento emotivo per la continua esposizione sociale e le responsabilità di ciascuno;

 una evidente e sempre più diffusa difficoltà nel conciliare esigenze lavorative e familiari.

Ma, mentre nel secolo scorso, i cambiamenti del e nell’ambito lavorativo avevano un carattere di eccezionalità e di puntualità che ne facilitava l’adattamento, oggi invece sono diventati un fattor comune trasversale, che abbraccia la quasi totalità dei settori e dei ruoli lavorativi.

Anche l’Osservatorio Europeo fa notare quanto le lavoratrici e i lavoratori siano oggi esposti a continui cambiamenti, spesso non voluti, le cui motivazioni sovente sfuggono a chi li “subisce”. È necessaria, quindi, sul lavoro e nella vita, una nuova capacità: quella di adattarsi, e di farlo in tempi rapidissimi, molto più rapidi rispetto a quando richiesto una volta. Tali cambiamenti, soprattutto quelli strutturali e organizzativi, possono facilitare l’esposizione e l’insorgenza dei rischi psicosociali. È per questo motivo, oltre che per un obbligo di legge, che bisognerebbe impegnare risorse ed energie per sperimentare percorsi efficaci di valutazione, ma anche e soprattutto di intervento, per migliorare le condizioni di salute e di benessere in cui tutti noi ci troviamo a lavorare. Ancora, un aggiuntivo motivo che dovrebbe spingerci a confrontarci sul tema dello stress lavorativo, così come richiesto dall’Accordo Europeo, riguarda la sua innegabile attualità. Un rapporto internazionale del 2011 in cui si fa il punto sull’applicazione dell’Accordo Europeo nei paesi europei aderenti,

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9 sottolinea come recenti dati raccolti nel 2009 a livello europeo,attraverso indagini nazionali, ove presenti, indichino che negli ultimi dieci anni il livello di stress attribuito al lavoro è aumentato in sei paesi membri (Danimarca, Germania, Lettonia,Austria, Slovacchia, Finlandia), rimasto stabile in due (Olanda e Gran Bretagna), diminuito solo in uno (Svezia). Ancora, sempre la stessa fonte riporta un incremento dello stress lavorativo negli ultimi tre anni nei primi nove paesi sopramenzionati, a cui si aggiungono Bulgaria,Estonia, Irlanda, uno stazionamento del livello in Olanda, Gran Bretagna e Belgio; e un decremento solo in Svezia. Anche i dati 2010 della EWCS (European Working Conditions Survey)evidenziano un leggero incremento nell’occorrenza dei fattori che possono condurre a situazioni di stress lavoro-correlato, primi fra tutti: la pressione/domanda lavorativa e l’insoddisfazione legata al vasto tema del “work life balance”.

Al di là delle stime e dei dati di trend rilevati a livello europeo, una testimonianza dell’attuale e precario equilibrio fra le famose e famigerate sfere di cui siamo composti (fisica, psicologica, sociale), viene testimoniato, dal numero di suicidi che si sono contati in Europa negli ultimi anni e che sono stati attribuiti, in numerosi casi, al disagio vissuto dalle persone sul posto di lavoro. È interessante notare come stia cambiando anche l’approccio nell’individuazione delle responsabilità rispetto a tali casi così eclatanti: in alcuni casi è stata riscontrata una negligenza e,quindi, relativa responsabilità, da parte del vertice aziendale che, pur a conoscenza del malessere vissuto dai dipendenti, sembra non aver avviato alcun intervento correttivo. Anche alla luce di tali drammatici episodi, che comunque rappresentano la punta dell’iceberg di un disagio più latente e diffuso, si rende ormai obbligatoria una riflessione più allargata sulle condizioni macro, di sistema e di mercato, in cui ci troviamo a vivere e, quindi, a lavorare. Riflessione che dovrebbe fare da cornice imprescindibile a ciò che la legge richiede oggi,ovvero alle puntuali valutazioni sulle condizioni micro, di contenuto e di contesto lavorativo,specifiche di ciascuna realtà lavorativa. Ciò non significa che il datore di lavoro diventi responsabile di tutte le condizioni che contraddistinguono il proprio settore e/o mercato di riferimento, quanto piuttosto che, nel tentativo di “valutare” e quindi misurare lo stress lavorativo, non possiamo ignorare il fatto che la gravissima crisi economica in cui ci troviamo ed alcune conseguenti scelte del management hanno, senza dubbio, una influenza sulla salute dei lavoratori. Se poi guardiamo al borsellino delle aziende e degli enti pubblici in cui lavoriamo e,contemporaneamente, leggiamo i dati europei sulle assenze per malattie, emerge un terzo motivo per cui occuparci dello stress: i costi. Sentirsi o essere stressati rappresenta un costo, perle aziende, per la società, per le persone. Sempre nel rapporto internazionale sull’implementazione dei contenuti dell’Accordo Europeo si stima che lo stress lavoro-correlato costi alle imprese e ai governi dell’UE, circa 20 miliardi di Euro,derivanti dalle assenze e dai relativi costi per la salute. Si specifica inoltre che tale cifra è stata calcolata sulla base di una stima conservativa che attribuisce allo stress lavoro-correlato almeno il 10% dei costi sostenuti per la salute. Già qualche anno fa, nel 2005 l’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro aveva stimato che circa il 22% della popolazione lavorativa dell’UE si dichiarava affetta da forme di stress e che lo stress contribuisse fra il 50%

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10 e il 60% alle assenze del personale, configurandosi come la seconda causa di assenza dal lavoro nell’UE, dopo i disturbi muscolo-scheletrici. Del resto il legame fra performance lavorativa, anche in termini di risultato economico e livello di stress lavorativo è ben noto anche agli estensori dell’Accordo Europeo che puntano su questo aspetto per incentivare i datori di lavoro ad avviare iniziative di valutazione dello stress lavoro correlato. L’Accordo infatti, nella sua traduzione italiana, recita: “considerare il problema dello stress sul lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme”. Sicuramente la scelta delle parole e degli aggettivi utilizzati, nonché il loro ordine, non è casuale, ma punta proprio ad evidenziare la“convenienza” di tale valutazione per chi detiene la responsabilità dei risultati economici e finanziari di una organizzazione di lavoro.

1.2.Come si origina lo stress lavoro-correlato?

Visti i numerosi motivi per cui avviare la valutazione dello stress,cerchiamo adesso di fare chiarezza su alcuni termini, concetti e modelli riguardanti lo stress lavoro-correlato. Per fare questo, guardiamo soprattutto al contributo ricevuto negli anni passati da autori stranieri che si sono occupati, sia pur in altri contesti culturali e socioeconomici,del tema dello stress legato all’ambito lavorativo e delle implicazioni sulla salute delle lavoratrici e dei lavoratori. All’origine degli studi sul benessere delle persone troviamo il ribaltamento della prospettiva meccanicistica, che metteva l’elemento umano e sociale al pari di quello meccanico e fisico. Solo quando le persone sono state poste al centro delle organizzazioni, riconoscendone “il primato”, rispetto alle strutture e alle tecnologie, ha avuto senso occuparsi delle loro condizioni psicologiche, sociali, relazionali, oltre che fisiche, durante l’esperienza lavorativa. Riportiamo le classiche e più condivise definizioni dello stress lavoro-correlato, molto simili a quella contenuta nell’Accordo Europeo. L’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro ha definito lo stress legato all’attività lavorativa come una condizione che si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle. Specifica chiaramente che non può considerarsi una malattia, ma può causare problemi di salute mentale e fisica, se si manifesta con intensità e per periodi prolungati. Ancora, il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) alla fine degli anni Novanta, ha definito lo stress lavorativo come l’insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità,risorse, esigenze del lavoratore.

È facile immaginare quindi, come è già stato detto da molti, che lo stress lavorativo non è una condizione che va evitata a priori. Esiste, infatti, lo stress positivo, “eustress”, che rappresenta il grado ottimale di tensione e sollecitazione esterna che ci permette di raggiungere i nostri obiettivi. Lo spirito della valutazione dello stress, imposta dal DL.vo 81/2008, non è combattere ogni forma di stress, ma piuttosto

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11 cercare di valutare l’entità del distress, legato a fattori prettamente organizzativi e lavorativi, definibile come sforzo esagerato e innaturale,dovuto a una continua esposizione a stimoli esterni che si rivelano dannosi per il soggetto a cui si rivolgono. Ben consapevoli che lo stress è una condizione legata in buona parte alla soggettività di ciascuno e alla percezione delle proprie risorse a disposizione, l’obiettivo della valutazione dello stress lavorativo dovrà essere quello di analizzare la situazione organizzativa e lavorativa e cercare di soffermarsi esclusivamente sui fattori stressanti legati al lavoro, senza straripare in ambiti extra lavorativi di difficile interpretazione.

Vediamo di seguito alcuni dei più importanti modelli di studio sullo stress lavorativo. Uno dei primi, nonché uno dei più accreditati modelli sullo stress lavoro-correlato, è quello di Karasek, meglio conosciuto come modello domanda/controllo (Karasek, 1979). In base a tale modello lo stress lavorativo è la risultante dell’interazione tra la richiesta lavorativa “jobdemand” e la libertà decisionale “job control”. Con l’espressione richiesta lavorativa si fa riferimento a carichi e ritmi di lavoro, ovvero agli aspetti che richiedono un certo sforzo fisico o psichico, mentre con l’espressione libertà decisionale si indica la possibilità dell’individuo di gestire la domanda, distinta in discrezionalità “skill discretion” e in autonomia di decisione “decision authority”. Nella prima componente rientrano la possibilità di imparare nuove cose e il grado di ripetitività dei compiti, mentre nella seconda componente rientrano la possibilità del lavoratore di controllare la programmazione e l’organizzazione del lavoro, nonché la possibilità di assumere decisioni in autonomia. La classificazione proposta da Karasek prevede quattro tipologie di lavori: i lavori attivi (domanda alta/autonomia alta), i lavori passivi (domanda bassa/autonomia bassa), i lavori ad alto strain(domanda alta/autonomia bassa) e i lavori a basso strain(domanda bassa/autonomia alta) (Avallone, 2011). Studi successivi hanno mostrato come la relazione tra domanda e controllo viene moderata dalla dimensione del supporto sociale, i lsupporto del capo e dei colleghi ad esempio possono aiutare il lavoratore a sviluppare uno stile di coping efficace (Johnson e Hall, 1988). I lavoratori con alte richieste, basso controllo e basso sostegno sono quelli con il più basso livello di benessere (Avallone, 2011). Il nome di Karasek è importante perché ci ha consegnato un questionario di valutazione dello stress, tradotto in vari paesi con una sua versione validata anche per il contesto italiano.

Un altro autore che ha fornito un importante contributo sul tema dello stress è Cooper, che prende in considerazione sia variabili organizzative che caratteristiche individuali .La complessità del modello di Cooper lo rende fra i più attuali soprattutto alla luce delle nuove modalità lavorative di oggi. In tale modello (Cooper e Marshall, 1976; Cooper e Marshall, 1978; Sutherland e Cooper, 1988), le fonti di stress si presentano in termini di pressioni derivate dall’ambiente, le quali possono essere suddivise in cinque macro-categorie: le fonti intrinseche al lavoro, il ruolo dell’organizzazione, lo sviluppo di carriera, le relazioni di lavoro, la struttura e il clima organizzativo. Nelle fonti intrinseche al lavoro, rientrano le condizioni fisiche come la rumorosità, le vibrazioni, l’illuminazione e le carenze di igiene ambientale, le quali agiscono negativamente sulla motivazione, l’efficienza e la concentrazione del

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12 lavoratore. Oltre alle condizioni fisiche Cooper sottolinea le caratteristiche del compito, le cosidette task demands, come possibili fonti di stress. Col termine task demands si fa riferimento alla responsabilità,soprattutto quella concernente la vita di altre persone, alla pressione temporale e al carico di lavoro. Quest’ultimo può essere sovradimensionato o sottodimensionato, inteso in termini quantitativi (work load quantitativo – avere troppe cose da fare) o in termini qualitativi (work load qualitativo– avere compiti troppo complessi). Una delle fonti di stress riconducibili al ruolo dell’individuo nelle organizzazioni è l’ambiguità di ruolo, ovvero quando il lavoratore non dispone di informazioni chiare circa gli ambiti e le responsabilità del lavoro da lui svolto, né circa le aspettative dei colleghi rispetto al suo ruolo. Rientrano nella stessa categoria anche il conflitto di ruolo, ovvero la richiesta al lavoratore di mansioni o competenze incompatibili con il ruolo nell’organizzazione, e la responsabilità nei confronti delle cose e delle persone.

Quest’ultima in particolar modo sembra determinare rischi di cardiopatie croniche, fumo eccessivo e aumento della pressione sanguigna (Wardellet al., 1964, French e Caplan, 1970).Un’altra macro-categoria è lo sviluppo di carriera, infatti un mancato avanzamento può condurre a frustrazione e insoddisfazione così come la paura di perdere il posto di lavoro può scatenare disturbi psicosomatici. Le ultime due aree, possibili fonti di stress, individuate da Cooper, sono le relazioni al lavoro, come le difficoltà relazionali con i colleghi, i capi e i subordinati, e la struttura e il clima organizzativo, come la possibilità di prendere parte o meno alle decisioni.

Come già accennato, il modello di Cooper non prende in considerazione solo le fonti oggettive di stress, quali quelle precedentemente illustrate, ma anche caratteristiche di personalità e comportamentali quali il livello d’ansia, il “locus of control” o ancora la tolleranza verso l’ambiguità. Variabili soggettive che vanno a rendere ancora più difficile la valutazione dello stress effettivamente riconducibile a sole dimensioni lavorative. Cooper riconosce la singolarità degli individui e inoltre comprende la connessione tra vita lavorativa e vita privata: ovvero sottolinea quanto il modo che ha il lavoratore di reagire allo stress dipende anche dalla sua vita familiare e dalla facilità o meno di conciliare le richieste lavorative con quelle personali/familiari. Sempre secondo tale modello gli output dello stress sono suddivisibili in tre categorie, gli effetti fisiologici (es. colesterolo, frequenza cardiaca), gli effetti individuali comportamentali (es. tabagismo, alcolismo) e gli effetti organizzativi (es. assenteismo, turnover) (Gabassi, 2006).Dunque nel considerare gli effetti dello stress lavoro-correlato bisogna prendere in considerazione anche la reattività soggettiva, dato che risposte fisiologiche e comportamentali allo stress sono collegate alle caratteristiche della situazione quanto a quelle di personalità dell’individuo.

Anche il modello teorico proposto dal NIOSH, così come già fatto da Cooper, riconosce l’importanza dell’interazione di variabili individuali e di variabili contestuali. Il NIOSH,responsabile dei rischi per la salute umana sul luogo di lavoro, definisce lo stress lavoro correlato come una reazione fisica ed emotiva dannosa che si verifica quando le richieste del lavoro non corrispondono alle capacità, alle risorse e ai bisogni del lavoratore. Spesso il concetto di stress viene confuso con quello di sfida, ma a differenza della sfida che può motivare il lavoratore ad acquisire nuove

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13 capacità, nonché fornirgli energia dal punto di vista fisico e psichico, lo stress può causare un impoverimento o un danno alla salute. Lo stress sembra derivare dall’interazione delle caratteristiche del lavoratore con le condizioni lavorative. Per alcuni il focus dovrebbe essere sul lavoratore, ovvero sulla personalità e lo stile di coping, i quali predirebbero le condizioni lavorative stressanti per quel determinato lavoratore. Altri spostano il focus sulle condizioni lavorative ritenendo che specifiche situazioni lavorative risultino stressanti per la maggior parte dei lavoratori, sono tra queste il sovraccarico di lavoro e il conflitto di ruolo. Il NIOSH ritiene che condizioni lavorative stressanti abbiano un’influenza diretta sulla sicurezza e sulla salute del lavoratore, sebbene fattori individuali intervengano ad indebolire o rafforzare tale influenza. La malattia di una persona cara, ad esempio, può intensificare l’effetto di condizioni lavorative stressanti, mentre al contrario un buon work life balance e un adeguato supporto sociale possono mitigare le conseguenze dello stress sul luogo di lavoro. Lo stress lavoro-correlato sembra produrre effetti negativi non solo per il singolo lavoratore, ma anche per l’intera organizzazione: non a caso anche per il NIOSH elevati livelli di produttività sono associati ad un basso livello di stress. Fondamentale risulta l’azione di prevenzione primaria allo stress sui luoghi di lavoro. A tal proposito il NIOSH ogni anno pubblica l’elenco delle dieci malattie e infortuni più importanti e la relativa strategia preventiva. Sono quattro le azioni che possono prevenire lo stress da lavoro (Cossero e Ranieri, 2001):

 jobdesign, ovvero mansioni adeguate alle capacità del lavoratore e definizione precisa dei compiti;

 vigilanza sui disturbi psicologici e sui fattori di rischio;

 diffusione dell’informazione, dell’educazione e della formazione;  miglioramento dei servizi di salute mentale rivolti ai lavoratori.

Un nuovo modello interpretativo sullo stress lavoro-correlato proviene dalla riflessione del Nord Europa e introduce l’interessante costrutto della giustizia organizzativa. In particolare, i Paesi Scandinavi sono stati i pionieri di ricerche sulla giustizia organizzativa, nonché i primi ad individuare possibili associazioni tra quest’ultima e variabili organizzative. Studi recenti hanno individuato quattro modi di percepire la giustizia organizzativa, in riferimento all’allocazione degli outcome lavorativi (giustizia distributiva), in termini di correttezza dei processi (giustizia

procedurale), in riferimento alle relazioni interpersonali (giustizia internazionale) e infine intermini di informazioni condivise (giustizia informativa) (Colquitt, 2001). Ricerche mostrano come la giustizia organizzativa sia positivamente associata al benessere organizzativo e in particolar modo al commitment, alla soddisfazione e alla cittadinanza organizzativa. Altre ricerche suggeriscono come, laddove manchi la percezione di giustizia organizzativa, si verifichino conseguenze negative come turnover, burnout, assenteismo e comportamenti contro produttivi (Cohen-Charash e Spector, 2001; Elovainioet al., 2002;Janssen, 2004; Tepper, 2001). Secondo il modello della giustizia organizzativa, il sentirsi trattato ingiustamente all’interno

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14 dell’organizzazione di lavoro può avere un’influenza negativa sulla salute del lavoratore: studi specifici, ad esempio, hanno confermato che lo stress prolungato percepito in contesti di lavoro sentiti come “non giusti” può provocare la comparsa di disturbi del sonno, alterazioni dell’omeostasi cardiovascolari e compromissioni cognitive(Elovainioet al., 2001). In particolar modo, i disturbi del sonno, sempre più frequenti al giorno d’oggi anche fra i più giovani, sono un indicatore di stress che, interferendo sul processo giornaliero di recupero, vanno a danneggiare la salute del lavoratore (Magnavita, 2009). Studi ulteriori mostrano come vi sia una relazione tra giustizia organizzativa e stress e in particolare suggeriscono vi sia una relazione più forte tra quest’ultimo e la giustizia procedurale e interpersonale. Il “work life balance” risulta essere un mediatore di tale relazione e inoltre la percezione della giustizia sembra essere associata a livelli più bassi di stress, ciò faciliterebbe la

gestione del “work life balance” (Judge e Colquitt, 2004).Alla luce dell’obbligo valutativo vigente, rimane centrale il problema di individuare una metodologia valida per la valutazione dello stress lavoro-correlato, la cui difficoltà è legata alla

assenza di indicatori chiari e di indici obiettivi, così come valori di benchmarking nazionali e internazionali. A tal proposito, particolare interesse suscita il modello management standards adottato dall’HSE, il cui questionario è stato validato in Italia su 6.000 lavoratori di aziende afferenti a differenti settori produttivi. Il modello è molto interessante perché si basa su principi supportati dalla letteratura scientifica in piena linea con l’Accordo Europeo del 2004, e fornisce una guida per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato. Il modello individua sei fattori di rischio stress lavoro-correlato: la domanda, il controllo, il supporto, le relazioni, il ruolo e il

cambiamento. Abbraccia quindi dimensioni individuali (controllo), relazionali (supporto,relazioni), organizzative (domanda, ruolo) e di interfaccia fra individuo e organizzazione(cambiamento). Il modello HSE, adottato dalla recente metodologia INAIL (2011-IstitutoNazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro-), riconosce per esempio l’importanza di gestire con la dovuta attenzione e quindi efficacia, i momenti di cambiamento organizzativo strutturale. Sulla base delle dimensioni sopra elencate, il processo di valutazione si articola in sei fasi:

 Preparazione dell’organizzazione: si realizza il pieno coinvolgimento del gruppo di lavoro (datori di lavoro, dirigenti, preposti, medico competente ove previsto,Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione- RSPP -, Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza -RLS) e dei lavoratori, in modo da definire un gruppo di coordinamento e sviluppare un piano di progetto e una coerente strategia comunicativa e di coinvolgimento del personale.

 Identificazione dei fattori di rischio stress: conoscenza dei Management Standards. I Management Standards fanno riferimento alle sei dimensioni organizzative chiave. Il gruppo di coordinamento, così come tutti i soggetti coinvolti nel processo di valutazione, devono essere a conoscenza delle modalità della procedura valutativa attraverso percorsi formativi/informativi ad hoc.

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15  Raccolta dati: valutazione oggettiva e soggettiva. La raccolta dati viene effettuata tramite tecniche di valutazione oggettiva (dati forniti dall’azienda su assenze, infortuni, etc.) e tecniche di valutazione soggettiva (questionario indicatore della valutazione soggettiva dello stress lavoro-correlato). Da notare l’importanza di utilizzare varie fonti di raccolta dati e di investigare anche il vissuto soggettivo dei lavoratori per realizzare un quadro più completo della situazione.

 Valutazione del rischio: esplorare problemi e sviluppare soluzioni. Il gruppo di lavoro per conto del datore di lavoro deve confermare i risultati ottenuti dalle fasi precedenti, analizzandone il significato in relazione a gruppi omogenei di lavoratori e sviluppando possibili soluzioni tramite focus group ad hoc.

 Formalizzazione dei risultati: sviluppare e implementare piano/i d’azione. Consultati i lavoratori ed esplorate le aree di intervento, si individua un percorso per l’adozione di misure preventive e correttive, nonché specifici piani d’azione nei settori dove sono emerse criticità.

 Monitoraggio e controllo del/i piano/i d’azione e valutazione della loro efficacia: il monitoraggio permette la valutazione delle misure adottate, con particolare riferimento alle criticità precedentemente emerse.

Il modello HSE presenta quindi una potenza descrittiva derivante dalla esaustività delle dimensioni investigate, e una potenza investigativa derivante dal ricorso ai diversi strumenti di rilevazione, soggettivi e oggettivi. Molto importante, inoltre, il costante coinvolgimento richiesto nelle diverse fasi valutative, tanto fra gli attori della sicurezza, quanto nei confronti dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.

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Capitolo 2

IL QUADRO NORMATIVO DI CONTESTO

2.1.Il Decreto Legislativo 81/08

Il D.lgs. n. 81 del 2008, c.d. testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, ha

riordinato e coordinato le norme concernenti la salute e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, prevedendone l’applicazione a tutti i settori di attività, privati e pubblici e a tutte le tipologie di rischio. In primis, il Testo Unico, attraverso una tecnica sicuramente apprezzabile, predispone una serie di definizioni atte a delineare e meglio chiarire le varie figure professionali interessate da tale assetto normativo,soprattutto in vista dell’inquadramento del proprio ruolo, in correlazione agli obblighi e conseguenti responsabilità. In particolare, vengono descritte le nozioni di lavoratore (persona che, indipendentemente dalla tipologia

contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine

di apprendere un mestiere, un'arte o una professione), di datore di lavoro, di dirigente,

(queste due figure verranno descritte ampiamente nel paragrafo successivo), di preposto (persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa), di responsabile del servizio di prevenzione e protezione(persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi), di addetto al servizio di prevenzione e protezione (persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32, facente parte del servizio), nonché di medico competente (medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora,secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1,con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto) e di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro).

Questi, dunque, i soggetti investiti dagli specifici obblighi posti al fine di assicurare il rispetto del diritto alla salute e alla sicurezza in ambito lavorativo e, di conseguenza, ad evitare di incorrere,tra gli altri, nel rischio stress lavoro correlato. Per quanto concerne l’istituto in commento, ai sensi dell’art. 28, lo stress da lavoro correlato, quale patologia emergente, viene ad essere considerato uno dei rischi particolari cui i lavoratori possono essere esposti e, in quanto tale, devono essere predisposte le misure idonee a prevenirlo, accertarlo, evitarlo o ridurlo e, se sussistente, a sanzionarlo. Il relativo obbligo di valutazione decorre a fare data dal 31

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17 dicembre 2010. Il 17 novembre 2010 la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro istituita presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha approvato le indicazioni necessarie alla valutazione dello stress lavoro-correlato. Infatti, con la Circolare 18 novembre2010 la stessa Commissione ha formulato le indicazioni metodologiche in ordine al corretto adempimento dell’obbligo, finalizzate a indirizzare le attività dei datori di lavoro, dei loro consulenti e degli organi di vigilanza. Si precisa, pertanto, che il percorso metodologico indicato nel documento rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati. La valutazione dei fattori derivanti da stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e viene effettuata, come per tutti gli altri fattori di rischio, quali ad esempio l’esposizione a sostanze nocive, a batteri, a radiazioni, uso dei macchinari, l’illuminazione, dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP),con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS/RLST).

2.2.I soggetti e i riflessi in ambito sanitario

Le norme in materia di sicurezza sul lavoro, comprese, dunque, quelle relative allo stress correlato, trovano applicazione anche presso le Aziende sanitarie e determinano un sistema di responsabilità coinvolgente diverse figure professionali.

A tal fine è rilevante individuare i soggetti sui quali grava maggiormente la responsabilità della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, ossia il datore di lavoro, in primis, e i dirigenti, in secondo luogo e i rispettivi ruoli nella valutazione e gestione dello stress lavoro-correlato.

Quanto al primo, l’art. 2, lett. b) D.lgs.81/2008 definisce il datore di lavoro quale

“soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto

che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unita' produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.lgs.165/2001, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri digestione. Ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo. Si tratta, in altri termini, di colui che detiene il potere decisionale gestionale e di spesa e la responsabilità nell’organizzazione. Il datore di lavoro dovrà provvedere,tra l’altro, a valutare i rischi, ad elaborare il Documento di Valutazione dei rischi (DVR) e ad adottare le conseguenti misure preventive. A tal riguardo, gli obblighi del datore di

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18 lavoro vengono ad essere distinti in delegabili e non delegabili. I primi concernono gli aspetti gestionali, quali quelli previsti dall’art. 18 del T.U., sui quali ci soffermeremo di seguito; i secondi, invece, ai sensi dell’art. 17 T.U., sono precisamente:

 la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28;

 la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

All’interno delle Aziende della salute tale ruolo viene ad essere rivestito non solo dal direttore generale, come sostenuto anche in dottrina ed in giurisprudenza, in quanto soggetto avente il controllo su tutta l’organizzazione amministrativa e

gestionale dell’ente, ma anche dai dirigenti di struttura semplice e complessa. E questo è un punto di fondamentale importanza. Infatti, il potere datoriale è insito nello status stesso di dirigente di struttura. Invero, andando ad analizzare nello specifico l’incarico e la funzione di direttore di struttura complessa e di dirigente responsabile di struttura semplice, si può affermare, dunque, che in entrambi i casi si tratta di dirigenti ai quali spettano poteri di gestione di risorse umane, tecniche e finanziarie, in conformità alla definizione che l’art. 2 lett.b) dà di datore di lavoro. Ciò precisato, si è già detto che in tema di stress lavoro-correlato una delle maggiori cause è da rinvenirsi nell’organizzazione del lavoro, profilo rientrante proprio nei compiti del dirigente di struttura, ragion per cui il suo ruolo nella prevenzione e nella valutazione del problema in esame è centrale. In tal senso, infatti, egli è tenuto non solo a soddisfare le esigenze di servizio, ma anche a garantire e tutelare la salute del lavoratore; per cui il modello organizzativo dovrà essere gestito tenendo in primaria considerazione l’integrità psico-fisica del prestatore di lavoro. Sicché la valutazione dei rischi viene a configurarsi quale momento di particolare rilevanza nell’attività lavorativa e diventa un’esigenza imprescindibile, connaturata al ruolo stesso di datore di lavoro.

Per quanto riguarda il dirigente, invece,ai sensi dello stesso articolo, lett. d), egli è la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attuale direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa. Svolge, dunque, una funzione organizzativa e di gestione in relazione alle competenze conferite ed alle direttive impartite che, in materia di sicurezza,viene a concretizzarsi nel compito di attuare le misure di prevenzione e protezione considerate necessarie dal DVR. Vale la pena evidenziare, però, che il concetto di dirigente qui menzionato non coincide necessariamente con il “dirigente”secondo quanto stabilito dai CCNL e dal D.lgs. 502/92 e s.m.i..Di talché, egli nella gestione della attività aziendale deve attuare la politica, le linee guida e le indicazioni di carattere generale fornite dal datore di lavoro,nonché organizzare e dirigere l’attività lavorativa secondo le attribuzioni e competenze conferite e vigilare sull’operato dei preposti, restando per altro esposto a

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19 sanzioni per le violazioni degli obblighi a lui imposti in materia di sicurezza del lavoro. In ambito sanitario tale figura è identificabile con il direttore sanitario, il direttore amministrativo, nonché tutti i soggetti che svolgono le funzioni di cui all’art. 2 lett. d).

Da quanto sopra evidenziato emerge chiaramente che a ciascuna figura professionale sono attribuite o attribuibili aree di responsabilità derivanti dalla ripartizione delle competenze, ma la distinzione dei singoli profili di responsabilità può assumere un carattere elastico in virtù dello strumento della delega, meccanismo che può consentire il trasferimento ad altri dell’adempimento delle proprie funzioni. A tal fine si richiede,ai sensi dell’art. 16 D.lgs. 81/2008, ove non espressamente esclusa:

 che essa risulti da atto scritto recante data certa;

 che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

 che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, nonché l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;

 che debba essere accettata dal delegato per iscritto e debba esserle data adeguata e tempestiva pubblicità.

Si precisa, altresì, che l’esercizio della delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte

del delegato delle funzioni trasferite. Inoltre, il delegato può, a sua volta,previa intesa con il datore di lavoro,delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche in questo caso la delega non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante circa l’esatto adempimento delle funzioni trasferite. In tal caso, il soggetto al quale sia stata conferita la delega non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate. Quindi, in virtù di tale potere di delega,il direttore generale o il dirigente di struttura, in qualità di datore di lavoro, può investire delle sue funzioni altri soggetti nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste.

In particolare, tra gli obblighi delegabili del datore di lavoro e del dirigente rientra la nomina del medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria; il tener conto,nell’affidare i compiti ai lavoratori, delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria; adempiere agli obblighi di informazione e di formazione. Su quest’ultimo punto si rileva, infatti,che il datore di lavoro e i dirigenti, ciascuno per le rispettive competenze, devono provvedere affinché ciascun lavoratore riceva un’adeguata informazione sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta e nonché una periodica formazione, anche in relazione all’evolvere o all’insorgenza di nuovi rischi. Infine, il datore di lavoro fornisce al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente informazioni in merito alla natura dei rischi e all’organizzazione del lavoro, alla programmazione e all’attuazione delle misure preventive e protettive.

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20 Appare rilevante, a questo punto, ai fini della nostra indagine accennare a quelli che possono essere considerati i maggiori fattori di rischio in riferimento allo stress lavoro-correlato e, più in dettaglio, quelli connessi ai due particolari aspetti del contenuto del lavoro, da una parte e del contesto di lavoro, dall’altro.

Quanto al primo, emergono i fattori dell’ambiente e degli strumenti di lavoro, i carichi e i ritmi di lavoro, l’orario e i turni,le funzioni, la cultura organizzativa e la corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti. Quanto al contenuto, invece, si segnala il ruolo dell’organizzazione, la progressione in carriera, l’autonomia decisionale e controllo, i conflitti interpersonali sul lavoro, la comunicazione e l’interfaccia casa-lavoro.

Come si anticipava all’inizio del presente commento, in materia di sicurezza vengono coinvolti una serie di soggetti. Infatti,oltre al datore di lavoro e ai dirigenti sono

chiamati a rispettare determinati obblighi anche i preposti, i lavoratori, il medico competente, nonché il responsabile e gli addetti al Servizio Prevenzione e protezione (RSPP e ASPP) e i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Si può, dunque, affermare che ai fini di una maggiore garanzia di tutela della integrità psico-fisica dei lavoratori il legislatore ha inteso configurare un sistema di responsabilità allargato considerando importante la partecipazione di tutte le varie figure professionali, ognuno con i propri specifici compiti.

In conclusione, si porta, peraltro,l’attenzione sui soggetti maggiormente esposti al rischio stress lavoro-correlato. Dalle indagini effettuate sul tema è risultato che tra le categorie più a rischio risultano proprio gli operatori sanitari, dai medici agli infermieri, ai semplici portantini e, in maniera più accentuata le donne; la causa principale viene rinvenuta nella carenza di organico e, quindi,nell’eccessivo carico di lavoro, ed in secondo luogo nei comportamenti prepotenti e nelle discriminazioni. In particolare, è emerso, ad esempio, un livello molto alto di disagio psico-fisico in riferimento ai medici e agli infermieri impiegati nei turni di notte a causa del sovraccarico lavorativo, in quanto proprio nelle ore notturne si registra sia la riduzione di personale, sia una maggiore pressione psicologica dei ricoverati che chiedono l’intervento sia del medico di turno che degli infermieri, anche per mere informazioni. Ancora più significativa è la situazione dei medici; infatti, l’intensa attività lavorativa, i crescenti adempimenti burocratici, le maggiori attese dei pazienti e le forti responsabilità gravanti su di loro producono un enorme stress al personale medico, che a sua volta viene a causare,pertanto, un brusco aumento di rischio errori; in particolare, nelle donne medico viene riscontrata una grande difficoltà a conciliare professione e famiglia.

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2.3.Il percorso metodologico

Come riportato nella nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di accompagnamento alle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, le linee di indirizzo che hanno guidato l’elaborazione delle stesse sono:

 “brevità e semplicità”;

 “individuazione di una metodologia applicabile ad ogni organizzazione di lavoro”;

 “applicazione di tale metodologia a gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress lavoro-correlato”;

 “individuazione di una metodologia di maggiore complessità rispetto alla prima, ma eventuale” da utilizzare nel caso in cui la conseguente azione correttiva non abbia abbattuto il rischio;

 “valorizzazione delle prerogative e delle facoltà dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei medici competenti”;

 “individuazione di un periodo transitorio per quanto di durata limitata per la programmazione e il completamento delle attività da parte dei soggetti obbligati”.

Premessa indispensabile che la Commissione Consultiva opera è quella di precisare che “il documento indica un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro”,sottolineando così che l’approccio per fasi alla valutazione (percorso metodologico)viene vincolato a prescrizioni minime (livello minimo) non precludendo,quindi, la possibilità di un percorso più articolato e basato sulle specifiche necessità e complessità delle aziende stesse.

Nelle indicazioni elaborate dalla Commissione Consultiva viene ribadito che la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è “parte integrante della valutazione dei rischi”ed è effettuata dal datore di lavoro (obbligo non delegabile ai sensi dell’art. 17, comma1, lett. a), in collaborazione con il RSPP ed il MC (art. 29, comma 1), previa consultazione del RLS/RLST (art. 29, comma 2); la data di decorrenza dell’obbligo, il 31 dicembre2010, è da intendersi come “…data di avvio delle attività di valutazione…” la cui programmazione temporale e l’indicazione del termine “…devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi”(DVR). Viene altresì precisato che la valutazione va fatta prendendo in esame “non singoli, ma gruppi omogenei di lavoratori…esposti arischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale…” e che “…le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti”.

L’intero percorso metodologico individuato dalla Commissione Consultiva è riportato nella figura 1 di pagina seguente.

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22 Fig.2.1. Il percorso metodologico per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato

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23 La valutazione preliminare consiste nella rilevazione, in tutte le aziende, di “indicatori di rischio da stress lavoro-correlato oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili”, a solo titolo esemplificativo individuati dalla Commissione Consultiva, appartenenti “quanto meno”a tre famiglie distinte: 1) eventi sentinella; 2) fattori di contenuto del lavoro; 3) fattori di contesto del lavoro. Relativamente agli strumenti da utilizzare, in tale prima fase “possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione…”.Per quanto concerne il ruolo delle figure della prevenzione presenti in azienda, viene precisato che “in relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto…occorre sentire i lavoratori e/o il RLS/RLST. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori”; la modalità attraverso cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro “anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata”. È proprio tale marcato coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti che caratterizza e rende peculiare la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato rispetto a quella degli altri rischi che, al momento, si limita a prevedere solo una consultazione preliminare degli RLS.

Se la valutazione preliminare non rileva elementi di rischio da stress lavoro-correlato e,quindi, si conclude con un “esito negativo”, tale risultato è riportato nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) con la previsione, comunque, di un piano di monitoraggio. Nel caso in cui la valutazione preliminare abbia un “esito positivo”, cioè emergano elementi di rischio “tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi…”; se questi ultimi si rilevano“inefficaci”,si passa alla valutazione successiva, cosiddetta “valutazione approfondita”.

Tale fase va intrapresa, come approfondimento, nel caso in cui nella fase precedente, a seguito dell’attività di monitoraggio, si rilevi l’inefficacia delle misure correttive adottate e relativamente “ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche”.A tal fine, le indicazioni della Commissione Consultiva prevedono la “valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori… sulle famiglie di fattori/indicatori…” già oggetto di valutazione nella fase preliminare con la possibilità, per le aziende di maggiori dimensioni, del coinvolgimento di “…un campione rappresentativo di lavoratori”.Gli strumenti indicati per la suddetta valutazione della percezione soggettiva sono individuati a titolo esemplificativo, tra “…questionari, focus group, interviste semistrutturate…”,fermo restando che, per le imprese fino a cinque lavoratori, in sostituzione, il datore di lavoro “può scegliere di utilizzare modalità di valutazione, come ad esempio riunioni, che garantiscano il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia”.

Il “percorso metodologico” per il rischio da stress lavoro-correlato così come individuato dalla Commissione Consultiva, prevede il sostanziale coinvolgimento dei lavoratori e/o degli RLS/RLST, soprattutto in alcuni specifici momenti della valutazione quali quelli relativi alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto, ma non preclude la possibilità del loro coinvolgimento anche nell’individuazione e

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24 valutazione dei cosiddetti “eventi sentinella”. La “collaborazione” del MC e del RSPP dettata dall’art. 29 c. 1 del D.Lgs.81/08, nella valutazione del rischio qui trattato, non può che, naturalmente, trasformarsi in una partecipazione attiva e fondamentale. Allo stesso modo, si ritiene che tutte le figure della prevenzione presenti in azienda e gli stessi lavoratori possano portare un valido contributo, ad esempio, nell’individuazione dei “gruppi omogenei” su cui procedere alla valutazione del rischio anche se essa può essere “autonomamente effettuata dal datore di lavoro”. In effetti, l’articolazione delle indicazioni della Commissione Consultiva basata, come già detto, su un percorso metodologico vincolato a prescrizioni solo “minime” non preclude e non è in contraddizione con un percorso più articolato, scientificamente più corretto. Le indicazioni delineano, quindi, un percorso preciso che pone innanzitutto il datore di lavoro e le figure della prevenzione quali chiari destinatari della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato. Alcune riflessioni sono, comunque, necessarie, particolarmente in riferimento ad alcuni passaggi delle indicazioni della Commissione Consultiva, dal momento che la brevità e la semplicità delle stesse potrebbero dare origine a criticità applicative ed interpretative.

La fase preliminare prevede un processo valutativo relativo alla presenza del rischio da stress lavoro-correlato, all’identificazione delle sue cause e delle misure correttive da adottare. L’approccio preliminare, proprio per le sue caratteristiche di semplicità e del coinvolgimento di un numero limitato di attori, può non sempre rendere chiara la necessità di adottare misure correttive ovvero il tipo di misure da adottare. In tale ottica, la discrezionalità del datore di lavoro e di chi lo coadiuva nel processo valutativo,di passare ad una fase di approfondimento, anche limitatamente ad alcune partizioni organizzative, può essere un ragionevole approccio da adottare.

Altro punto di criticità è il coinvolgimento dei lavoratori e/o degli RLS/RLST e le relative modalità dello stesso che sono lasciate al datore di lavoro. È chiaro che, proprio per le peculiarità degli indicatori di contesto e contenuto, è importante

un’accurata informazione/formazione dei lavoratori al fine di fornire un contributo affidabile al processo valutativo. Va altresì valutata la possibilità, dove non sussista, un consenso tra lavoratori e/o loro rappresentanti coinvolti e datore di lavoro nell’identificare la presenza o meno del rischio stress lavoro-correlato e/o le eventuali misure correttive da intraprendere, di adottare,anche in tale contesto, la fase di approfondimento è una misura a garanzia della qualità del processo.

Le indicazioni della Commissione Consultiva sono, altresì, estremamente sintetiche nel passaggio sulla previsione del piano di monitoraggio, carente delle relative modalità di effettuazione e sulla verifica dell’efficacia delle misure correttive adottate. È da rilevare, inoltre, che le indicazioni della Commissione Consultiva non riportano il termine di validità della valutazione del rischio, rimandando così tacitamente alla previsione normativa dell’art. 29 c. 3 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.“La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata,…in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità…”;si può

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25 ragionevolmente ritenere corretta una nuova valutazione trascorsi due/tre anni dall’ultima effettuata.

Senza dubbio la novità e la complessità introdotte dalle “indicazione minime”, nonché la consapevolezza delle criticità applicative quali, ad esempio, quelle sopra riportate,hanno giustamente indotto la suddetta Commissione Consultiva a prevedere un periodo di monitoraggio di ventiquattro mesi sull’efficacia e l’applicabilità delle indicazioni stesse.

2.4.Proposta di un percorso metodologico integrato per la valutazione

del rischio da stress lavoro-correlato

Il percorso metodologico di seguito illustrato, si propone di attuare la valutazione dello stress lavoro-correlato, nel rispetto delle indicazioni minime della Commissione Consultiva,anche nell’ottica della modularità e delle diverse specificità delle realtà produttive del Paese.

I parametri di riferimento adottati nello sviluppo del presente percorso metodologico si basano sulla revisione dei principali modelli scientifici di riferimento, delle esperienze negli altri Paesi dell’Unione Europea e delle principali proposte metodologiche pubblicate a seguito dell’emanazione del D.Lgs. 81/08 e s.m.i., con l’obiettivo di dare vita ad un percorso integrato che, seguendo i vari passaggi previsti dalle indicazioni della Commissione Consultiva, in modo semplice e sintetico, possa iniziare e concludersi con il coinvolgimento prioritario delle figure della prevenzione presenti in azienda.

Tale percorso è frutto di un’attività di ricerca iniziata nel Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’ISPESL e conclusa in INAIL dopo l’entrata in vigore del D.L. 78/10 e sua conversione in L.122/10; esso è basato su solide esperienze scientifiche condotte alfine di sperimentare e validare sia il modello teorico dei sei Management Standards, sia gli strumenti utilizzati nel percorso.

Il processo di traduzione, contestualizzazione dell’adattamento italiano della metodologia dell’HSE e di validazione del questionario-strumento indicatore è stato frutto di un lungo lavoro di ricerca che ha coinvolto un campione di oltre 6.300 lavoratori provenienti da tutto il territorio nazionale, con il contributo attivo di numerose aziende,istituti universitari e strutture del Servizio Sanitario Nazionale.

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