IL DIBATTITO SUL FUTURO DELLA PAC
BENI PUBBLIC
A3. Produzione di beni pubblici differenziati territorialmente
Cofinanziamento degli Stati membri B1. Produzione di alimenti, adeguamento dell’offerta e
promozione di filiere organizzate
Cofinanziamento degli Stati membri e delle imprese
B2. Interventi e regolamentazione dei mercati a livello europeo
100% UE
COMPETITIVITA’
B3. Ammodernamento, innovazione e capitale umano nei sistemi agro-alimentari e rurali
Cofinanziamento degli Stati membri e delle imprese
Fonte: Frascarelli A., Sotte F., 2010
Infine per ciò che concerne la ripartizione delle risorse di bilancio tra i due macro obiettivi e le sei misure fornite per conseguirli, i finanziamenti dovrebbero essere ripartiti in misura eguale tra i due obiettivi più generali, così da poterli conseguire entrambi. Al loro interno le misure dovrebbero invece beneficiare di stanziamenti differenti, in relazione all’importanza assunta da ciascuna (figura 3.2): in tal senso per quel che concerne il primo obiettivo, la fornitura di beni pubblici, dovrebbero essere impiegati rispettivamente il 30% del 50% complessivo di risorse per la misura A1: Produzione di beni pubblici europei; il 10% per la misura A2: Agricoltura in territori con handicap e squilibri naturali; il rimanente 10% per la misura A3: Produzione di beni pubblici differenziati territorialmente.
Analogamente il 50% destinato a rafforzare la competitività dell’agricoltura e dei prodotti agricoli ed agro-alimentari europei dovrebbe essere destinato per il 15% alla misura B1: Produzione di alimenti, adeguamento dell’offerta e promozione di filiere organizzate; per il 10% alla misura B2: Interventi e regolamentazione dei mercati a livello europeo; per il rimanente 25% alla misura B3: Ammodernamento, innovazione e capitale umano nei sistemi agro-alimentari e rurali.
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Figura 3.2: proposta di ripartizione degli stanziamenti per le politiche agricole
Fonte: Frascarelli A., Sotte F., 2010
Un contributo al dibattito più sintetico ma parimenti rilevante viene fornito da Mario Catania, il quale parte da un’analisi delle modalità di risposta adottate dall’Unione Europea per combattere l’attuale crisi economica. A suo dire sono state totalmente inadeguate e non hanno tenuto conto che tale situazione si inseriva all’interno di un contesto già di per sè difficile, venendo il settore agricolo da una sensibile caduta dei prezzi delle commodities avvenuta dal 2007 in poi. L’intervento inadeguato delle Istituzioni comunitarie (in particolare della Commissione e del Consiglio) ha aggravato queste problematiche, traducendosi in una crisi ancor più profonda che non ha risparmiato alcun comparto. La reazione comunitaria è stata troppo blanda ed è stata messa in atto con colpevole ritardo; inoltre si è manifestata attraverso l’istituzione di un dibattito che ha generato soluzioni parziali e di portata decisamente inferiore alle attese.
Le Istituzioni comunitarie hanno gestito le discussioni attraverso due livelli di approfondimento: il primo livello prevedeva il vaglio delle diverse opzioni adottabili con effetto immediato per reagire alla crisi; il secondo livello ha riguardato una riflessione di lungo periodo su quali insegnamenti si possano trarre dall’esperienza di questi anni di crisi negli orientamenti della PAC del futuro.
Quanto alle azioni da attuarsi nell’immediato la Commissione ha proposto una concertazione sulle problematiche e sul miglioramento del funzionamento della filiera agro- alimentare. Nei documenti risultanti tuttavia non vengono fornite risposte soddisfacenti e adeguate alle questioni del settore. Anche a livello di CSA (Comitato Speciale Agricoltura del Consiglio Ue) le discussioni hanno prodotto risultati insufficienti, frutto di un errato approccio al problema: non è stato riconosciuto infatti che la causa principale dello squilibro esistente tra gli agricoltori e gli anelli a valle della filiera è di tipo strutturale, e necessita pertanto di azioni e strumenti di gestione strutturali e non di tipo informativo, onde sopperire alla posizione di subordine nella quale si trovano i produttori.
Una seconda discussione in merito alla gestione della crisi ha riguardato il comparto lattiero- caseario. Anche in questo caso le soluzioni adottate sono state inadeguate, in quanto si è
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ritenuto che fosse sufficiente stanziare circa 300 milioni di euro da distribuire agli agricoltori europei anziché adottare una strategia di sviluppo adeguata alle esigenze del settore. Tale misura si è rivelata dunque un esempio di misura non efficace e di denaro speso male, un errore da non ripetere in futuro. C’è stata in definitiva una sostanziale debolezza ed inadeguatezza delle risorse e delle strategie messe in campo (Catania M., 2010).
Relativamente alle riflessioni sulle misure da attuare per il lungo periodo, il grande limite delle discussioni in atto è che non si è posta sufficiente attenzione a come reagire, e soprattutto a come prevenire le crisi. Il dibattito sul futuro della PAC rimane ancorato ad alcuni elementi di fondo:
- il volume complessivo del sostegno che deve essere erogato; - il dubbio se esso debba essere erogato o meno;
- il futuro dello sviluppo rurale, e in particolare se tale politica debba rimanere collegata alla PAC, oppure se debba essere riposizionata nell’ambito delle politiche regionali. Il tema del come la PAC possa e debba prevedere degli strumenti di gestione delle crisi di mercato riveste invece un ruolo marginale, ed il rischio forte che si corre è che se il cuore del dibattito riguarderà l’entità del gettito per gli aiuti disaccoppiati e lo sviluppo rurale, la discussione sugli strumenti di risposta alle crisi sarà vincolata alle quote residuali del quadro finanziario complessivo, che dovrebbero attestarsi tra il 5 ed il 10% degli stanziamenti, nelle previsioni più ottimistiche il 15%.
Il disaccoppiamento del sostegno introdotto con la riforma del 2003 è stato indubbiamente un utile strumento adottato. Tuttavia va tenuto presente che dopo il 2013 il pagamento unico disaccoppiato risulterà con buona probabilità uniforme su tutto il territorio comunitario, traducendosi in un livello di aiuto per ettaro relativamente basso, pari a circa 180-200 euro. Un importo molto inferiore non solo a quello dell’attuale media nazionale (circa 350 euro/ha), ma soprattutto a quello di molte aziende italiane che attualmente percepiscono fino a 800-1.000 euro/ha. Ne deriva che per gran parte dei produttori agricoli italiani gli aiuti post 2013 risulteranno di relativo interesse.
Occorrerebbe chiedersi pertanto se una massa finanziaria di tale entità da destinare al disaccoppiamento sia spesa bene, o se piuttosto esistano risposte migliori rispetto allo spendere moltissimo denaro per un aiuto che in definitiva non risulta di nessun ausilio per le aziende. Sarebbe auspicabile in tal senso riflettere su soluzioni di integrazione dei redditi, al fine di sostenere le entrate nelle fasi di congiuntura economica negativa, mediante delle erogazioni che risultino compatibili con la green box. Uno strumento utile in tal senso potrebbe essere costituito da soluzioni assicurative o mutualistiche, cioè da integrazioni direttamente erogate dal FEAGA (Catania M., 2010).
Il dibattito sul futuro della PAC dovrà essere incentrato non solo sugli strumenti, ma soprattutto sul peso complessivo della politica agricola sul bilancio comunitario. Per risultare efficace tale dibattito dovrà riguardare anche le modifiche alle regole attuali sulla concorrenza per tener conto del ruolo e delle particolarità del sistema agricolo.
137 3.4.4 Le principali posizioni degli Stati membri
Gli Stati membri propongono diverse modalità con cui dovranno essere erogati i finanziamenti al settore agricolo ed esprimono diversi pareri sul cofinanziamento nazionale e sui meccanismi correttivi.
I Paesi Bassi esprimono la loro posizione attraverso il documento redatto nel 2008 “Dutch Ministry of Agriculture, Nature and Food Quality” dal quale emerge come l’utilità della PAC possa manifestarsi attraverso il rafforzamento della competitività, l’orientamento al mercato del settore agricolo, la promozione di attività agricole che producono valori socialmente desiderabili, che il mercato non è in grado di remunerare adeguatamente. Si propone di investire per rafforzare la competitività e la sostenibilità dell’attività agricola, incoraggiando la conoscenza e l’innovazione. La gestione del rischio dovrebbe essere assicurata da una rete di sicurezza pubblica, che agisce soltanto nel caso di eccezionali crisi produttive dovute a calamità di natura climatica o fitosanitaria. I pagamenti diretti dovrebbero essere gradualmente convertiti tra il 2010 ed il 2020 in pagamenti agli agricoltori e alle altre imprese rurali che svolgono attività agricole aventi natura di bene pubblico, finalizzate cioè a creare valori socialmente desiderabili quali la natura, l’ambiente, il paesaggio, il benessere animale, e che contribuiscono alla sicurezza alimentare, alla qualità e alla salubrità degli alimenti. Andrebbero corrisposti a quei beneficiari che garantiscono dei servizi “di base” nelle aree in cui le condizioni di produzione sono sfavorevoli a causa di svantaggi naturali, ma nelle quali è socialmente desiderabile la continuazione dell’attività agricola, o nelle aree in cui lo sviluppo sostenibile impone l’assoggettamento dell’attività agricola a vincoli stringenti, ma nelle quali essa è necessaria per il mantenimento delle caratteristiche naturali. I finanziamenti verrebbero forniti da un unico fondo di sviluppo rurale europeo, superando l’attuale distinzione della spesa per la PAC nei due pilastri. Diminuirebbe progressivamente anche il ruolo della condizionalità, poichè i nuovi pagamenti verrebbero corrisposti in relazione a comportamenti degli agricoltori socialmente desiderabili, visibili e responsabili. Gli Stati membri dovrebbero condividere parte della responsabilità finanziaria della politica attraverso il cofinanziamento della spesa.
Il Regno Unito assume una posizione all’interno del dibattito in corso sul futuro della PAC che si rifà al documento redatto in maniera congiunta nel 2005 dal Ministero del Tesoro e dal Ministero dell’Agricoltura (HM Treasury e DEFRA). La proposta è quella di ridurre in modo considerevole la spesa europea per l’agricoltura, in primis attraverso l’abolizione del PUA. Gli elementi maggiormente distorsivi del primo pilastro sono considerati la capitalizzazione dei pagamenti diretti ed i costi della condizionalità, che ne legittimano una profonda revisione, se non addirittura l’abolizione. Allo stesso tempo viene proposto un rafforzamento dei pagamenti relativi al secondo pilastro, in quanto le politiche di sviluppo rurale permettono di raggiungere obiettivi realmente in linea con le priorità riscontrate a livello locale. In sintesi la visione britannica è quella di una spesa agricola fortemente ridimensionata e focalizzata quasi esclusivamente sul secondo pilastro.
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La Germania si connota nel panorama comunitario per assumere una posizione attenta a mantenere lo status quo, per la valenza di integrazione economica che la PAC riveste per gli agricoltori. Ne consegue una palese ostilità verso l’introduzione di nuove misure di politica economica, sia per preoccupazioni di bilancio che per considerazioni collegate al dibattito in seno al WTO. Viene difeso il sistema di pagamenti disaccoppiati, sostenendo che la distribuzione attuale delle risorse fra gli Stati membri non debba essere messa in discussione. Quanto agli strumenti di mercato non viene considerata alcuna possibilità di inserire nuovi strumenti finalizzati a contrastare la volatilità dei prezzi e le crisi di mercato. La Finlandia auspica il mantenimento della spesa agricola ai livelli attuali, evidenziando le esternalità positive prodotte sia dal primo che dal secondo pilastro della PAC, ed enfatizzandone il ruolo congiunto nel raggiungimento di importanti obiettivi di interesse comunitario, quali la sicurezza alimentare, un adeguato reddito per gli agricoltori e la sostenibilità ambientale delle attività agricole (Finnish Ministry of Agriculture and Foresty, 2008). Nonostante venga visto con favore il mantenimento dei pagamenti diretti, è al tempo stesso considerata positivamente una semplificazione del sistema, apportando alcune modifiche all’interno del primo pilastro, quali il passaggio ad una modulazione permanente e la regionalizzazione del pagamento unico disaccoppiato.
La Francia difende il ruolo attuale della PAC, proponendo la salvaguardia dell’attuale budget e il mantenimento del “principio incontestabile di preferenza comunitaria”, a difesa del “modello di agricoltura europeo” (Ministere de l’Agriculture et de la Peche, 2006). Viene ribadita la necessità di mantenere un budget rilevante per la PAC, in quanto requisito fondamentale per far fronte alle sfide alimentari, ambientali ed energetiche di cui l’Unione Europea sarà chiamata ad occuparsi nei prossimi anni. La posizione francese si distingue dalle altre per il ruolo centrale che viene attribuito alle misure del primo pilastro, in particolare i pagamenti diretti, ritenuti indispensabili per arginare l’abbandono delle aree rurali e per mantenere un adeguato potenziale produttivo comunitario. Occorre supportare la produzione europea all’interno di un mercato sempre più liberalizzato, nel quale i produttori comunitari sono fortemente penalizzati rispetto agli altri competitors, sottoposti invece a minori restrizioni e controlli di tipo ambientale e igienico-sanitario.
La Polonia rifiuta seccamente l’ipotesi di una maggiore nazionalizzazione della politica agricola, (Centre for International Relations, 2009), dichiarandosi tuttavia disponibile ad un ulteriore disaccoppiamento degli aiuti diretti e ad adottare un sistema più equo per quanto riguarda la loro distribuzione (regionalizzazione).
La Romania auspica una maggiore equità dei pagamenti diretti, enfatizzando la necessità di indirizzare una quota più consistente di aiuti ai Nuovi Stati membri, nei quali l’attività agricola riveste un insostituibile ruolo sociale, soprattutto dal punto di vista occupazionale. Il Governo è favorevole ad incrementare ulteriormente la spesa per la politica di sviluppo rurale, considerata strategica per l’agricoltura nazionale sia dal punto di vista economico che ambientale (Romanian Ministry of agriculture, 2008, Luca, 2009).
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Alla fine del 2009 22 paesi dell’UE sono pervenuti ad un documento comune, la Dichiarazione di Parigi, a cui non hanno aderito Regno Unito, Malta, Olanda, Danimarca e Svezia, nella quale vengono ribaditi i principi guida del futuro della PAC e di una politica alimentare comune. Viene evidenziata la centralità del settore primario nella società contemporanea, a cui esso contribuisce non solo attraverso la produzione alimentare, ma anche mediante una crescente attenzione all’ambiente, alla gestione delle risorse naturali, alla creazione di occupazione e alla vitalità delle aree rurali dell’Unione. Nella conclusione i firmatari sostengono come le varie tappe delle ultime riforme della PAC abbiano contribuito fattivamente a perseguire i seguenti obiettivi:
- sviluppare un modello alimentare europeo, caratterizzato da diversità e qualità;
- mettere nelle condizioni l’agricoltura europea di rispondere ai segnali di mercato, assicurando, al tempo stesso, redditi stabili ed appropriati per gli agricoltori;
- rivolgere maggiore attenzione alle questioni ambientali, attraverso l’individuazione di strumenti efficaci nel ridurre gli effetti del cambiamento climatico, nel garantire un futuro sostenibile e nel difendere il benessere degli animali;
- sensibilizzare la società affinchè si riconosca agli agricoltori il costo sostenuto per la produzione di beni pubblici, quali la sicurezza ambientale e la salubrità degli alimenti, la cura del paesaggio e delle aree verdi, la biodiversità, la variabilità del tessuto aziendale europeo e di un adeguato sistema di remunerazione.
Qual è in questo contesto la posizione assunta dall’Italia?
Il nostro Paese ha fatto pervenire il proprio punto di vista nel documento “Forum sul futuro della PAC”, redatto all’indomani del forum organizzato a Roma nel Febbraio 2011 dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Di seguito una sintesi dei principali aspetti:
Dotazione finanziaria
Il nostro Paese si dichiara contrario ad ogni ipotesi di ridimensionamento della spesa agricola a causa delle ripercussioni negative che questo genererebbe. Senza il sostegno erogato dalla PAC molte aziende sarebbero destinate alla probabile chiusura, perché in un mercato quale quello attuale non sono in grado di fronteggiare autonomamente la concorrenza globale: scontano infatti una minore competitività legata sia a fattori di tipo strutturale (polverizzazione dell’offerta, scarsa adozione di forme integrate di offerta,ecc.), sia ai costi aggiuntivi generati dalla regolamentazione comunitaria in tema di requisiti igienico-sanitari, rispetto dell’ambiente e benessere degli animali. La PAC dovrà contribuire a migliorare la competitività complessiva del sistema agro-alimentare europeo, ma ciò non basta a far venir meno le condizioni per fornire sostegno al reddito degli agricoltori. Il primo obiettivo da perseguire è dunque la salvaguardia della dotazione finanziaria attuale.
Gli obiettivi della PAC
Gli obiettivi definiti dalla Commissione nella Comunicazione del novembre 2010 (sicurezza degli approvvigionamenti alimentari; sostenibilità ambientale; sviluppo dei territori) sono
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condivisibili per l’Italia, al pari dell’assunto secondo cui la PAC dovrà rappresentare un elemento essenziale anche nella strategia Europa 2020. “In tale contesto l’agricoltura deve rivestire un ruolo primario, essendo un’attività economica fortemente radicata al territorio, ma che ha anche un’importante valenza sociale”(Mipaaf, 2011). Per perseguire la sostenibilità economica dell’agricoltura gli strumenti da utilizzare dovranno essere: produttività, competitività, reddito d’impresa. Sempre nell’ottica della strategia Europa 2020 la futura PAC dovrà continuare a porsi quale garante della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti, tutelando al tempo stesso l’ambiente. Gli agricoltori europei in questo senso rivestono un ruolo basilare, non solo come produttori di beni alimentari, ma anche come erogatori di servizi pubblici: è necessaria dunque una PAC forte, che possa fornire una corretta remunerazione agli agricoltori europei, all’interno di un contesto normativo finalizzato a preservare questo modello produttivo.
Il primo pilastro: gli aiuti diretti
Sembra scartata dalla stessa Commissione l’eventualità di adottare un unico flat rate a livello europeo. Permane tuttavia preoccupazione a causa della paventata ipotesi di redistribuire gli aiuti diretti sulla base della superficie agricola di ciascuno Stato. Per il nostro Paese uno scenario del genere sarebbe infatti estremamente negativo, tenuto conto che attualmente, pur realizzando il 12,5% della PLV ed il 17% del VA dell’intera UE, l’Italia riceve appena il 10% circa degli stanziamenti agricoli europei, risultando decisamente sotto remunerata rispetto alla consistenza dell’agricoltura nazionale. Tutto ciò in virtù del contributo nazionale al bilancio comunitario, che ammonta al 13,5%, facendo registrare quindi un saldo negativo per il comparto agricolo pari al 3,5%.
“Il rischio che si corre è duplice: da un lato verrebbe incrementata la posizione italiana di netti finanziatori della PAC, dall’altra di determinerebbe un ingente danno economico per l’agricoltura nazionale”. Un regime dei pagamenti diretti impostato unicamente sul fattore superficie ignorerebbe tutti gli altri fattori che concorrono a realizzare le produzioni, quali il valore e la qualità dei prodotti, il lavoro, gli investimenti. Un ulteriore parametro da annoverare potrebbe essere il potere d’acquisto dei residenti in un determinato Stato membro.
In tema di convergenza degli aiuti all’interno degli Stati membri l’Italia dissente dall’opinione comunitaria: la distribuzione delle risorse tra le aziende italiane è infatti disomogenea perché frutto di differenze esistenti nei precedenti regimi di sostegno accoppiati. Tale criterio di ripartizione si basava sull’esigenza di tenere in vita le imprese di alcuni comparti che, in assenza di aiuti, avrebbero incontrato notevoli difficoltà a conseguire una sufficiente redditività. Pertanto una radicale riduzione di tali aiuti, motivata dall’esigenza di operare un allineamento su base nazionale o regionale, avrebbe delle conseguenze traumatiche per alcuni comparti produttivi. La soluzione proposta è quindi quella di salvaguardare l’autonomia degli Stati membri nella distribuzione degli aiuti, o in alternativa di garantire un periodo di transazione per adeguarsi al dettato comunitario.
141 Il primo pilastro: le misure di gestione dei mercati
Le recenti crisi hanno dimostrato che una politica poco flessibile non è in grado di gestire adeguatamente situazioni di estrema volatilità dei prezzi e della domanda: la PAC attuale è infatti una politica statica, che vanta scarse possibilità di intervenire in presenza di rapide fluttuazioni di mercato che generano forti oscillazioni di reddito per i produttori. L’Italia propone dunque di introdurre strumenti di prevenzione e di gestione delle crisi, agganciati a forme di integrazione del reddito da utilizzare in situazioni di scompenso dei mercati.
In relazione alla qualità dei prodotti viene proposta l’etichettatura obbligatoria di indicazione di origine della materia prima: tale strumento costituisce al tempo stesso una forma di riconoscimento al produttore dei maggiori oneri sostenuti ed un modo per incentivare gli agricoltori a perseguire elevati standard qualitativi. Per l’Italia ciò risulterebbe efficace anche in termini di competitività dei prodotti e di tutela del Made in Italy.
Quanto al tema dei rapporti di filiera le problematiche attuali vengono imputate alla polverizzazione dell’offerta e alla crescente incidenza della distribuzione nella ripartizione del valore aggiunto, che generano forti squilibri nella formazione del valore. Per l’Italia sarà dunque importante perseguire una politica che sia finalizzata a sostenere l’aggregazione dell’offerta ed il miglioramento delle relazioni interprofessionali.
Pur non facendo esplicito riferimento ad una rete di sicurezza, viene tuttavia condivisa la proposta della Commissione di individuare nuovi strumenti per preservare il reddito degli agricoltori contro i rischi derivanti dalla volatilità dei prezzi e dei mercati, in particolare la creazione di un fondo anticiclico da attivare in caso di crisi, affiancandolo a supporti di tipo