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L’EVOLUZIONE DELLA PAC

STATO MEMBRO

Massimali nazionali di cui all’art. 40 Reg.

(CE) n. 73/2009

Superficie agricola utilizzata

Importo unitario per ettaro (A/B)

Effetto della redistribuzione del budget all’interno di ciascuno Stato membro

Ha A B C D Belgio 614.855.000 1.385.580 443,75 369.316.349 Danimarca 1.049.002.000 2.589.800 405,05 690.292.498 Germania 5.852.908.000 17.035.220 343,58 4.540.614.939 Irlanda 1.340.869.000 4.219.380 317,79 1.124.645.286 Grecia 2.216.533.000 3.983.790 556,39 1.061.850.472 Spagna 5.139.444.000 24.855.130 206,78 6.624.955.510 Francia 8.521.236.000 27.590.940 308,84 7.354.165.920 Italia 4.370.024.000 12.707.850 343,88 3.387.185.699 Lussemburgo 37.084.000 129.130 287,18 34.418.670 Malta 5.102.000 10.250 497,76 2.732.064 Paesi Bassi 897.751.000 1.958.060 458,49 521.906.761 Austria 751.606.000 3.266.240 230,11 870.592.698 Portogallo 605.962.000 3.679.590 164,68 980.768.157 Slovenia 144.236.000 485.430 297,13 129.387.863 Finlandia 570.548.000 2.263.560 252,06 603.335.581 Svezia 770.906.000 3.192.450 241,48 850.924.506 Regno Unito 3.987.922.000 15.956.960 249,92 4.253.212.519 Bulgaria 814.295.000 2.729.390 298,34 727.499.205 Rep. Ceca 909.313.000 3.557.790 255,58 948.303.246 Estonia 101.165.000 828.930 122,04 220.945.309 Cipro 53.499.000 151.500 353,13 40.381.232 Lettonia 146.479.000 1.701.680 86,08 453.570.522 Lituania 380.109.000 2.792.040 136,14 744.198.110 Ungheria 1.318.975.000 4.266.550 309,14 1.137.218.109 Polonia 3.044.518.000 14.754.880 206,34 3.932.806.771 Romania 1.780.406.000 13.906.700 128,03 3.706.730.513 Slovacchia 388.176.000 1.879.490 206,53 500.964.494 TOTALI 45.812.923.000 171.878.310 FLAT RATE EU 266,54

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat, 2005

Il confronto quantitativo tra i risultati frutto delle due diverse opzioni adottate evidenzia (tabella 2.10) come gli esiti siano profondamente diversi per gli Stati membri:

- alcuni Paesi (Spagna, Romania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Lussemburgo, Belgio, Austria e Lettonia) presentano delle contrazioni percentuali consistenti nell’ipotesi di operare una valutazione basata sulle superfici agricole utilizzate piuttosto che sulle superfici ammissibili, che vanno da oltre il 35% di Spagna, Romania, Italia e Portogallo a poco più del 10% della Lettonia;

- altri (Slovenia, Lituania, Regno Unito, Cipro, Francia, Polonia, Lussemburgo) rivelano delle riduzioni percentuali di minore entità, comprese tra l’8,56% della Slovenia ed il 4,69% del Lussemburgo;

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- ci sono anche coloro che beneficerebbero di un tale sistema, su tutti la Grecia, il cui importo incrementerebbe del 44,94%, ma anche Bulgaria (17,01%), Ungheria (16,02%) ed in misura minore Irlanda e Danimarca (5,28% e 3,18% rispettivamente);

- i Paesi rimanenti presentano delle situazioni pressoché stabili, con delle variazioni in positivo o in negativo di lieve entità.

Tabella 2.10-Confronto tra pagamento forfettario su superfici ammissibili e pagamento forfettario su superfici utilizzate

Confronto tra massimali e superfici ammissibili (€)

Confronto tra massimali e superfici agricole utilizzate (€) Importo unitario per

ettaro

Importo unitario per ettaro Scostamento % del flat rate tra le due opzioni

Stato membro A B (B-A)/A

Belgio 537,09 443,75 -17,38% Danimarca 392,56 405,05 3,18% Germania 350,08 343,58 -1,86% Irlanda 301,85 317,79 5,28% Grecia 383,86 556,39 44,94% Spagna 342,92 206,78 -39,70% Francia 325,98 308,84 -5,26% Italia 541,13 343,88 -36,45% Lussemburgo 301,31 287,18 -4,69% Malta 718,71 497,76 -30,74% Paesi Bassi 669,78 458,49 -31,55% Austria 278,19 230,11 -17,28% Portogallo 254,81 164,68 -35,37% Slovenia 324,93 297,13 -8,56% Finlandia 249,48 252,06 1,03% Svezia 247,43 241,48 -2,40% Regno Unito 268,61 249,92 -6,96% Bulgaria 254,97 298,34 17,01% Rep. Ceca 259,03 255,58 -1,33% Estonia 119,23 122,04 2,36% Cipro 376,30 353,13 -6,16% Lettonia 97,24 86,08 -11,48% Lituania 148,47 136,14 -8,31% Ungheria 266,45 309,14 16,02% Polonia 217,44 206,34 -5,11% Romania 211,16 128,03 -39,37% Slovacchia 208,90 206,53 -1,14%

Fonte: nostre elaborazioni su dati CIRCA-SPS 2008 e dati Eurostat 2005

Di seguito (tabella 2.11) un confronto quantitativo tra gli importi destinati a ciascuno Stato membro ottenuti con le due prospettive sopra analizzate e i risultati derivanti da uno studio della Commissione, il quale prevede l’adozione di un flat rate corrispondente a 265,00 euro/ha.

Le conclusioni che si possono trarre rispecchiano abbastanza fedelmente quanto emerso nel confronto tra le prime due opzioni analizzate, con dei risvolti sui singoli Paesi che non mutano rispetto a quanto sopra descritto.

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Tabella 2.11: confronto tra le diverse tipologie di flat rate

Confronto tra massimali e superfici ammissibili (€)

Confronto tra massimali e superfici agricole utilizzate (€)

Commission staff working document STATO

MEMBRO

Importo unitario per ettaro Importo unitario per ettaro Importo unitario per ettaro

Belgio 537,09 443,75 458,00 Danimarca 392,56 405,05 405,00 Germania 350,08 343,58 350,00 Irlanda 301,85 317,79 315,00 Grecia 383,86 556,39 560,00 Spagna 342,92 206,78 200,00 Francia 325,98 308,84 300,00 Italia 541,13 343,88 345,00 Lussemburgo 301,31 287,18 290,00 Malta 718,71 497,76 500,00 Paesi Bassi 669,78 458,49 452,00 Austria 278,19 230,11 230,00 Portogallo 254,81 164,68 165,00 Slovenia 324,93 297,13 299,00 Finlandia 249,48 252,06 252,00 Svezia 247,43 241,48 240,00 Regno Unito 268,61 249,92 250,00 Bulgaria 254,97 298,34 298,00 Rep. Ceca 259,03 255,58 255,00 Estonia 119,23 122,04 125,00 Cipro 376,30 353,13 340,00 Lettonia 97,24 86,08 85,00 Lituania 148,47 136,14 135,00 Ungheria 266,45 309,14 309,00 Polonia 217,44 206,34 205,00 Romania 211,16 128,03 128,00 Slovacchia 208,90 206,53 206,00

Fonte: nostre elaborazioni su dati CIRCA-SPS 2008; dati Eurostat 2005

Cosa comporterebbero le diverse prospettive per l’Italia?

Per il nostro Paese l’adozione a livello comunitario di un flat rate di 265,00 euro/ha sarebbe fonte di pesanti perdite in termini di importo unitario: considerando infatti il dato relativo al rapporto tra massimale nazionale e superficie ammissibile, si giungerebbe al dimezzamento dell’importo, passando da 541,13 euro/ha a 265,00 euro/ha.

Si otterrebbe un risultato pressoche’ analogo anche nell’ipotesi di impiegare un flat rate pari a 309,13 euro/ha: la variazione sarebbe infatti minima e si passerebbe da un importo unitario per ettaro pari a 345€ a 343,88€.

Una valutazione simile va effettuata anche in relazione al volume finanziario che rientrerebbe complessivamente in Italia: rispetto all’attuale massimale per i pagamenti diretti di 4.370 milioni di euro, adottando un flat rate europeo l’Italia vedrebbe diminuire i propri introiti ad un massimale di 2.496 milioni di euro nell’ipotesi di effettuare una valutazione basata sulla superficie ammissibile, con una flessione percentuale del 42,88%; il valore aumenterebbe a 3.387 milioni qualora si adotti invece l’opzione della superficie

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agricola utilizzata, ma segnerebbe comunque una significativa riduzione percentuale (- 22,49%).

L’Italia subirebbe in definitiva un impatto fortemente negativo dall’applicazione della regionalizzazione sulla base di un flat rate unico europeo calcolato prendendo come unico parametro di riferimento le superfici agricole, siano esse ammissibili o utilizzate.

Nel dibattito inerente il futuro della PAC e gli strumenti che dovranno contribuire a perseguire i più ampi obiettivi dell’approvvigionamento dei prodotti, dell’eco-sostenibilità e della competitività sui mercati dei prodotti europei, non ci si può limitare unicamente a confrontare le possibili conseguenze che si avrebbero optando per uno piuttosto che per un altro modello di determinazione del pagamento disaccoppiato. E’ necessario ampliare la prospettiva, interrogandosi sulla validità di un sistema di sostegno basato su un flat rate europeo: uno strumento di questo tipo finirebbe infatti per assorbire buona parte delle risorse finanziarie disponibili, rischierebbe di risultare poco efficace e soprattutto iniquo. Se per una parte delle aziende agricole europee un aiuto per ettaro di ammontare inferiore a 300€ potrebbe risultare scarsamente incidente sui redditi, per altre potrebbe invece essere eccessivo. È bene pertanto chiedersi se sia corretto non attribuire la giusta importanza al fatto che, a parità di superficie, potrebbero essere ben diversi, a seconda della modalità adottata nella gestione dello strumento dei pagamenti agli agricoltori, i costi, i ricavi, gli investimenti di capitale e l’intensità di lavoro. Tutto questo alla luce del fatto che il regime disaccoppiato, per come è stato impostato, è uno strumento statico, che non presenta alcuna possibilità di manovra relativamente all’andamento del mercato. Ecco perché è necessario vagliare altre alternative.

Risulterebbe più logica e soprattutto più equa l’integrazione del fattore superficie con altri parametri, così da tenere in considerazione anche altri valori economici. Un indicatore idoneo potrebbe essere il valore della produzione, poiché nella sua determinazione influiscono altri fattori, in particolare il capitale, il lavoro e la capacità imprenditoriale.

La redistribuzione del sostegno fra le varie regioni comunitarie dovrebbe essere quindi impostata tenendo conto del valore della produzione agricola (Inea, 2010).

Anche il Parlamento nella relazione adottata sul futuro della PAC dopo il 2013 chiede un’equa distribuzione dei fondi della PAC tra gli agricoltori e ritiene che sia necessario trovare criteri oggettivi per stabilire un sistema equo di distribuzione. Nello specifico per ridurre le disparità nella ripartizione tra gli Stati membri dei fondi per il sostegno diretto, nonchè per riflettere l’ampia diversità che contraddistingue l’agricoltura europea, il criterio basato sugli ettari non sarà sufficiente. Per poter beneficiare di una distribuzione delle risorse più equilibrata la Commissione dovrà quindi proporre ulteriori criteri di tipo oggettivo e valutarne l’impatto potenziale, tenendo conto della complessità che caratterizza il settore agricolo e delle differenze esistenti tra gli Stati membri.

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2.8.2 Le politiche di mercato e gli strumenti di gestione delle crisi

Il nuovo indirizzo assunto dalla PAC prevede un ruolo attivo da parte degli agricoltori, tenuti a monitorare con maggiore attenzione tutti i segnali provenienti dal mercato, modificando sulla base di tali informazioni le proprie strategie. A causa della progressiva riduzione del sostegno comunitario, “il reddito derivante dall’attività agricola risulta essere sempre più legato alla capacità degli operatori di “saper vendere” nel modo più conveniente i propri prodotti” (Inea, 2010). Questo aspetto è tanto più importante in un periodo come quello attuale in cui le imprese agricole si trovano a dover operare all’interno di un mercato globalizzato, nel quale:

- è aumentata la concorrenza fra Paesi esportatori di materie prime agricole;

- sono più frequenti e amplificate le oscillazioni dei prezzi dei principali prodotti agricoli; - è mutata divenendo più complessa la domanda di prodotti agricoli da parte dei

consumatori;

- è cresciuto il livello di concentrazione della domanda di prodotti agricoli espressa dall’industria di trasformazione e, soprattutto, dalla grande distribuzione.

Tuttavia lo sforzo di adattamento richiesto agli agricoltori non è sufficiente a conseguire gli obiettivi della PAC del futuro. Il contesto attuale si caratterizza per la continua evoluzione e la crescente instabilità dei mercati. È importante pertanto individuare degli strumenti di mercato in grado di fornire delle risposte certe alle sfide del futuro, indirizzandoli nel perseguimento di tre finalità principali:

- garantire una maggiore stabilità ai redditi agricoli, rispondere alla crescente volatilità dei mercati;

- riequilibrare i rapporti di mercato fra gli attori della filiera agroalimentare;

- rendere maggiormente competitiva l’agricoltura.

Per fronteggiare le nuove sfide gli strumenti della vecchia PAC ancora in vigore, in particolare l’intervento pubblico, sono inadeguati e in alcuni casi finiscono per generare addirittura degli effetti distorsivi. Occorre dunque un nuovo approccio, in grado di generare un sistema compatibile con le regole internazionali (WTO in primis) e soprattutto progettato per fronteggiare le crisi, attivando meccanismi di prevenzione; qualora questi non si dimostrino sufficienti, le nuove misure definite dovranno anche essere in grado di gestire in maniera ottimale le crisi stesse.

Il dibattito sul futuro della PAC costituisce dunque un’occasione utile per trovare soluzioni specifiche ai problemi attuali del comparto agricolo ed agro-alimentare. Per affrontare un percorso di questo genere occorre l’impiego di strumenti innovativi di mercato, tra i quali rientrano gli strumenti di coordinamento della filiera, che sono riconducibili a tre ambiti strategici legati tra loro:

1) l’associazionismo: è un importante strumento di governo della produzione agricola, in quanto svolge contemporaneamente le funzioni di aggregazione e di concentrazione produttiva, nonché quelle di programmazione e valorizzazione dell’offerta. Inoltre fa sì che i produttori possano appropriarsi delle leve strategiche (differenziazione e

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riconoscibilità dei prodotti, informazione,ecc.) che consentono di acquisire competitività sul mercato e quindi una maggiore quota di valore aggiunto che si genera lungo la filiera. Tali funzioni non solo rispondono all’esigenza di controbilanciare il potere contrattuale della GDO, ma anche a quella di governare il mercato, contribuendo a svolgere, attraverso la programmazione della produzione, un’efficace azione di prevenzione nei confronti delle crisi di mercato. Allo stesso modo nella strategia di differenziazione della qualità l’associazionismo produttivo vanta un ruolo centrale poiché possono essere gli stessi produttori associati a guidare, anziché subire, il processo decisionale. Tale aspetto è importante soprattutto per l’agricoltura italiana, fortemente orientata alle produzioni di qualità ma caratterizzata da aziende di piccole e medie dimensioni, scarsamente aggregate e con un peso contrattuale marginale nei confronti degli altri attori della filiera (Inea, 2010). In Italia al 30 giugno 2009 si contavano appena 142 Organizzazioni riconosciute, di cui 7 revocate, che operavano nei più disparati settori produttivi. L’unica realtà di rilievo è rappresentata dal comparto ortofrutticolo, le cui Organizzazioni dei produttori sono sottoposte alla disciplina comunitaria dell’OCM. Il caso dell’ortofrutta è un esempio importante di crescita del sistema produttivo: si è sviluppata infatti una componente più avanzata di Organizzazioni dei Produttori (OP), attivamente impegnate nelle attività di valorizzazione del prodotto. Queste realtà coesistono tuttavia con altre caratterizzate da una minore dimensione produttiva e da una più attenuata attenzione verso i problemi del mercato, che si connotano per difficoltà di tipo strutturale nelle varie fasi del processo di aggregazione, di concentrazione e di programmazione dell’offerta. E’ dunque auspicabile che l’azione che attualmente svolgono le Organizzazioni dei Produttori venga ulteriormente stimolata.

2) la contrattazione collettiva: è uno strumento estremamente utile perché portatore di una serie di vantaggi di tipo economico quali la creazione di massa critica del prodotto, la possibilità di effettuare una programmazione dell’offerta tarata sulle esigenze della domanda, il possesso di maggiori e migliori informazioni di mercato, che si traducono in costi di acquisizione decisamente inferiori, migliori condizioni di accesso al credito, la possibilità di effettuare investimenti collettivi che consentono alle imprese agricole di acquisire, anche se indirettamente, un potere di mercato impossibile da raggiungere con l’azione individuale. Per come sono definiti attualmente i rapporti di mercato, il contratto collettivo è uno strumento di coordinamento della filiera estremamente efficiente, in quanto si basa sull’accettazione di un sistema di regole condivise tra i diversi attori.

3) l’interprofessione: è uno strumento creato per favorire la collaborazione tra le diverse fasi della filiera. La sua azione è fondamentale sia per fare acquisire all’associazionismo produttivo un ruolo realmente attivo sul mercato, sia per conseguire un effettivo livello di concentrazione e di controllo dell’offerta. L’interprofessione permette di definire le condizioni necessarie affinchè il mercato possa funzionare in maniera più efficace, con maggiore trasparenza e attraverso una migliore ripartizione dei rischi. Tuttavia deve

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essere attuata nel rispetto della libertà individuale, per evitare che contrasti con il dettato comunitario in materia di concorrenza. In questo senso la mancanza di un quadro normativo europeo che delimiti il campo d’intervento dell’interprofessione ha prodotto negli anni numerosi contenziosi: la Commissione europea ha riconosciuto l’interprofessione nel 1990 ma, anziché adottare un regolamento generale da applicare alle varie tipologie di mercato agricolo, ha proposto un adattamento settoriale dei principi interprofessionali attraverso le organizzazioni di mercato (OCM tabacco ’92, ortofrutta ’96, vino ’96). La politica comunitaria al contrario ha sempre attribuito la dovuta attenzione all’associazionismo produttivo, perché ritenuto un veicolo in grado di garantire l’adeguamento dell’offerta ad una domanda in costante mutamento. L’Inteprofessione in Italia non ha usufruito di un particolare sviluppo, pur potendo beneficiare di un quadro normativo di riferimento ben definito: i decreti legislativi 173/98 (art.12), 228/01, 102/05 e il decreto Mipaaf 8 agosto 2003 definiscono le organizzazioni interprofessionali e ne disciplinano gli accordi, introducendo i contratti quadro in sostituzione degli accordi interprofessionali. Sono comunque scarsi gli esempi riconosciuti ad oggi: il primo nel 2004 nel settore ortofrutticolo, più di recente un altro nel settore olivicolo.

Stante la situazione descritta in futuro dovranno essere perseguiti i seguenti obiettivi:

- rafforzamento del ruolo delle organizzazioni dei produttori, ispirandosi agli aspetti più positivi dell’esperienza acquisita con l’OCM ortofrutta;

- incentivazione per la costituzione e la valorizzazione della funzione degli organismi interprofessionali;

- revisione della normativa sulla concorrenza per consentire la regolazione della produzione e l’adeguamento dell’offerta alla domanda, al fine di contrastare la flessione dei prezzi;

- individuazione di interventi volti a migliorare le relazioni tra gli attori, ad incentivare meccanismi più trasparenti di formazione dei prezzi lungo la filiera e a rimuovere le distorsioni del mercato che permettono l’abuso di posizione dominante da parte di alcuni attori su altri;

- estensione dell’etichettatura di origine e tutela delle indicazioni geografiche a livello comunitario e nella trattativa internazionale sulla liberalizzazione del commercio. Ciò permetterebbe alle produzioni italiane, particolarmente apprezzate sui mercati esteri, di beneficiare del differenziale di prezzo di cui godono i prodotti made in Italy ponendo termine, nel contempo, alle perdite finanziarie e di immagine causate dall’agro-pirateria; - revisione del sistema di rete di sicurezza. Occorre rivedere gli strumenti adottabili nei

casi di crisi di mercato, prevedendo forme complementari di intervento, quali schemi assicurativi pubblici sulle perdite di reddito o di profitto ed un sistema di risposta rapida alle crisi che preveda anche interventi diretti ad integrazione del reddito;

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- valorizzare il riconoscimento del modello agro-alimentare europeo e, all’interno di questo, il made in Italy, per migliorare la competitività internazionale dei nostri prodotti. Va riconosciuto il maggiore costo sostenuto dai produttori comunitari per attenersi alle norme in materia di sicurezza alimentare, qualità, ambiente, benessere degli animali, che si traduce in uno svantaggio competitivo nei confronti di chi può vendere all’interno dei confini comunitari senza sottostare al medesimo impianto normativo. Una soluzione idonea potrebbe essere l’accettazione di un disciplinare che preveda il rispetto reciproco di standard minimi che le produzioni comunitarie devono soddisfare. Tale formula andrebbe collegata ad un corretto funzionamento del mercato che non può prescindere da una corretta informazione del consumatore, al fine di renderlo consapevole del valore aggiunto che acquista assieme al prodotto (Inea, 2010).

2.8.3 L’articolo 68 del Reg. (CE) 73/2009

L’Italia è stata tra i Paesi membri dell’UE che hanno usufruito della possibilità offerta dalla normativa comunitaria, a seguito dell’attuazione dell’Health Check, di attivare apposite misure di sostegno per alcuni settori: lattiero, carni bovine, carni ovi-caprine, seminativi, tabacco, ortofrutta, zucchero, agro-ambiente, olio d’oliva, coltura proteiche.

I fattori che hanno contribuito a condizionare la scelta italiana di adottare verso l’art.68 sono:

- la crisi economica e finanziaria, unita all’accentuarsi di fenomeni quali la volatilità dei prezzi, che hanno evidenziato come fosse necessario reperire risorse aggiuntive a favore dei settori più duramente colpiti dalla crisi, su tutti il lattiero-caseario;

- la necessità di mantenere un determinato livello di produzione in alcuni comparti, per fornire la certezza dell’approvvigionamento all’industria agro-alimentare locale, che causa il disaccoppiamento degli aiuti rischia di dover fronteggiare la riduzione dei rifornimenti di materia prima, soprattutto per le produzioni di qualità;

- la necessità di indirizzare il sostegno specifico, al fine di incentivare gli agricoltori a migliorare gli standard qualitativi dei loro prodotti, per incrementare la competitività delle aziende sui mercati internazionali.

Le risorse attivate nel 2010 sono state pari a 420 milioni di euro (circa il 10% del massimale dei pagamenti diretti, che in quell’anno per il nostro Paese corrispondeva a 4,207 miliardi di euro). Di queste 147,25 milioni di euro (3,5%) erano destinate a una misura rimasta accoppiata, il miglioramento della qualità dei prodotti agricoli; i rimanenti 273 a misure disaccoppiate: attività agricole che generano benefici ambientali, aiuti disaccoppiati nelle aree soggette a ristrutturazione o programmi di riconversione, contributi per il pagamento di premi di assicurazione per il raccolto, per gli animali e per le piante.

Le principali criticità che riguardano il nostro Paese sono:

- l’esiguità del budget associato alle misure accoppiate. Il limite di utilizzo corrisponde infatti al 3,5% del massimale dei pagamenti diretti, quantificabile per l’Italia in circa 147

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milioni di euro. Tale disponibilità non consente di attuare delle politiche incisive, volte a sostenere efficacemente la competitività e la qualità dei nostri prodotti;

- condizioni di eleggibilità del sostegno specifico non dettagliate, specie per quel che concerne il miglioramento della qualità e la commercializzazione dei prodotti. Se questo da un lato ha lasciato una certa discrezionalità agli Stati membri nella scelta delle singole tipologie di intervento, garantendo un minimo di flessibilità come richiesto dagli organismi territoriali e nazionali, dall’altro si è tradotto nel conferimento alla Commissione di poteri troppo ampi, dovendo giudicare ex post la compatibilità degli aiuti con il quadro normativo comunitario;

- la mancanza di una normativa unitaria ed omogenea che definisca il campo di applicazione dell’art.68 e quello delle analoghe misure previste nei Programmi di Sviluppo rurale, che ha generato confusione tra i soggetti interessati.

Quali le misure da mettere in atto quindi in futuro? Nella prossima riforma è auspicabile che al disaccoppiamento degli aiuti possa essere abbinato un sistema finalizzato ad incentivare il mantenimento di un determinato livello di produzione agricola in quei settori specifici che altrimenti cadrebbero in disuso. Nel contempo dovranno essere reperite anche ulteriori risorse, indirizzate a far acquisire un maggiore grado di competitività alle nostre aziende. Il tutto deve essere realizzato compatibilmente con la disciplina economica internazionale e nel rispetto delle regole del WTO in materia di sostegno specifico.

Una dotazione finanziaria maggiore diviene una prerogativa indispensabile per poter delineare un adeguato quadro strategico nazionale, che permetta di coniugare l’incentivazione verso politiche improntate sulla qualità e sulla tutela del territorio rurale, con il conseguimento di una maggiore competitività delle aziende sui mercati internazionali. Per ovviare alla sovrapposizione delle normative con le misure contenute nel secondo pilastro, che in molti casi si sono rivelate fuorvianti, è opportuno realizzare un processo di razionalizzazione, definendo in maniera dettagliata le misure adottabili, per permettere agli Stati membri di attivarle in modo chiaro e senza creare equivoci.

2.9 La situazione attuale della politica di sviluppo rurale in Italia

In Italia la programmazione della politica di sviluppo rurale è curata dal Mipaaf, che si occupa di redigere il Piano Strategico Nazionale (PSN). L’attuazione delle misure contenute al suo interno spetta alle Regioni e alle Provincie Autonome di Trento e Bolzano, ognuna

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