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Non è semplice ricostruire l’effettiva disponibilità libraria di LC durante la stesura della Spositione. E questo a fronte delle note vicende del modenese, che si vede costretto ad abbandonare ben due biblioteche di rilievo: la prima fuggendo da Modena religionis causa (1561), la seconda scappando da Lione (1567), dove sono andati letteralmente in fumo ben 400 volumi, alcuni dei quali portati in esilio o spediti da Modena280. A Modena peraltro erano rimasti alcuni testi a contenuto ereticale, che nel 1566 il fratello Giovanni Maria aveva prudentemente murato nella villa della Verdeda, una tenuta di proprietà della famiglia Castelvetro. Per inciso, anche a questa biblioteca è toccato un rogo seppur – per dirla con Ugo Rozzo – postumo, in quanto secondo la testimonianza di Tommaso Sandonnini, buona parte delle carte e dei volumi castelvetrini, poi ritrovati nel 1823, è andato distrutto a opera di Don Antonio Torricelli, Arciprete del Finale: nel Documento VIII, datato 3 Marzo 1825, allegato da Sandonnini come attestato di acquisizione dei

suddetti volumi da parte della Biblioteca Estense, sono riportati solo trentasei titoli dei cinquanta o sessanta originari281.

A Chiavenna, nel 1571, LC conferma le disposizioni testamentarie del 1553, lasciando erede di tutti i suoi libri il fratello Giovanni Maria, che morirà nel 1575. Un rogito notarile, restituito dalle spigolature d’archivio di Sandonnini, attesta la divisione tra Giacomo e Lodovico, figli di Giovanni

279 CANTIMORI, Eretici italiani del Cinquecento cit., p. 344.

280 Cfr. CASTELVETRO Jr, Vita cit., p. 72; FRASSO, Per Lodovico Castelvetro cit., pp. 453-78, alle pp. 467-78; MOTOLESE, Per lo scaffale cit., pp. 107-21, a p. 106.

281 Cfr. ROZZO, Il rogo postumo cit., pp. 159-86, alle pp. 116-86; T. SANDONNINI, Lodovico Castelvetro e la sua

famiglia, Zanichelli, Bologna, 1882, pp. 161-2 e pp. 306-09; CAVAZZUTI, Lodovico Castelvetro cit., p. 219 n. 1 e

54 Maria, di ben 540 volumi, «un patrimonio al quale Lodovico senior» avrà «ampiamente contribuito»282. Si tratta di testi che, con tutta probabilità, non sono mai usciti da Modena o che forse vi sono rientrati da Chiavenna grazie a Giovanni Maria283. L’elenco di questi volumi, allegato dal Sandonnini, è tuttavia molto generico e cursorio, e non aiuta nell’identificazione dell’esemplare in uso dal modenese284. Più utile è invece la lista che Giuseppe Frasso ha individuato tra le carte appartenute a Vincenzo Pinelli conservate alla Biblioteca Ambrosiana285.

La lista, non autografa ma probabilmente redatta da un personaggio molto vicino al modenese – Frasso azzarda il nome di Giacopo, il nipote esule in Danimarca – restituisce circa trenta titoli tra stampe e manoscritti, talora accompagnati da preziose indicazioni sul formato, sul luogo di stampa e sulle chiose contenute negli esemplari: si tratterebbe di «scritti di Castelvetro», ma anche di «libri d’altri autori appartenuti al medesimo Castelvetro, che il modenese doveva aver portato con sé nell’esilio: e che dell’esilio avevano condiviso, con il loro autore e proprietario, le travagliate vicende»286. L’ipotesi formulata è corretta, giacché in due casi i riscontri individuati nella Spositione corrispondono con i titoli dell’elenco ambrosiano: si tratta dell’edizione del Decameron, che il prezioso rinvio alfanumerico a Inf. III, 53 «Boccaccio, N. 67 a 7 [Dec. II ix, 75]»

identifica con la Giunti, stampata a Firenze nel 1527 [STCI, p. 110]287, e dell’edizione, sempre Giunti, della Cronica di Giovanni Villani, che nella lista risulta «tutto in quarto, di stampa vinitiana»288. Il discorso qui è più complesso e merita un approfondimento.

Della Cronica di Giovanni Villani esistono l’edizione Zanetti del 1537 (Z), in folio, e la Giunti del 1559 (G), in quarto, entrambe veneziane [STCI, p. 726]. Presso la Biblioteca Estense di Modena è conservato, con segnatura a.Z.4.24, un esemplare fittamente postillato da LC; si tratta però dell’edizione Zanetti che, per formato, non coincide con la nota ambrosiana. Le due stampe differiscono, a una prima occhiata, per numero di capitoli – dieci in Z, dodici in G – e distribuzione della materia. Pur riferendosi spesso a Villani, il modenese offre la citazione completa di libro e capitolo solo in quattro occasioni: nel proemio (IX, 135), a Inf. X, 49-50 (VI, 44), a Inf. XV, 67 (II, 1)

e a Inf. XXII, 4-5 (VII,139). I quattro rinvii coincidono perfettamente in tutte e due le edizioni. Sarà

282 ROZZO, Il rogo postumo cit., p. 172.

283 Ibidem; MOTOLESE, Per lo scaffale cit., p. 108 e n. 3. La lista del Sandonnini presenta tuttavia qualche inesattezza, cfr. notato S.DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento e Tre secoli di studi provenzali. Edizione riveduta, con integrazioni inedite a cura e con postfazione di C. Segre, Padova, 1995, p. 84.

284 Cfr. SANDONNINI, Lodovico Castelvetro cit., pp. 314-34. Si tratta del Documento XII: Elenco di libri che

appartenevano a Lodovico Castelvetro ed la sua famiglia, diviso in Libri di Legge, libri latini, libri a penna, libri greci,

volgari, libri volgari a penna. Segue la ripartizione dei suddetti volumi tra gli eredi. 285 Cfr. FRASSO, Per Lodovico Castelvetro cit.,pp. 467-78.

286 Ivi, p. 472.

287 La nota ambrosiana va di pari passo con la testimonianza di Giacomo Castelvetro, figlio di Giovanni Maria, che nella prefazione alle Rime, uscite a Basilea nel 1582, parla di «opere del Boccaccio sopra i testi stampati da’ Giunti di Firenze, ciò è le novelle nell’anno 1527 in quarto», cfr. Le rime del Petrarca brevemente sposte per Lodovico

Castelvetro, Basel, Pietro Perna ad istanza di Pietro de Sedabonis, 1582, cc. 3r-3v.

55 da notare che, per errore di stampa, sia in Z che in G il capitolo 44 del libro sesto è numerato 43. Il riferimento corretto sarà frutto dunque di una correzione dello stesso LC che però non si rileva dirimente per la scelta dell’edizione. Un aiuto in questo senso viene da Inf. X, 118-20. Qui LC

contesta la testimonianza di Villani secondo cui a Firenze, prima di Ottaviano degli Ubaldini, sarebbe stato nominato un altro cardinale. L’informazione è contenuta in G, XII 7 (Come Papa

Clemente vi fece più cardinali, tra’ quali fu nostro Fiorentino) e non in Z dove a VIII 81 – Della

coronatione di Papa Clemente quinto et de’ cardinali che fece – non si fa neppure un accenno a Ottaviano degli Ubaldini. Inoltre a Inf. XXI, 94-102, i fanti che hanno combattuto nella battaglia di

Caprona sono duemila, come in G, e non 7000 come in Z. Il testo utilizzato da LC era dunque l’edizione Giunti, in accordo con la nota ambrosiana.

Ancora, sullo scrittoio del LC erano presenti con tutta probabilità le Novelle antiche nell’edizione Gualteruzzi, la princeps inclusa nella lista Pinelli: «Le Novelle antiche, in quarto, stampate a Bologna, ammendate in assai luoghi di testa» [STCI, p. 470]289.

Quanto a Petrarca, l’elenco di Frasso riporta un’aldina del 1514290. L’indicazione coincide con i risultati dell’indagine di Paolo Trovato, secondo cui per il commento alle Rime LC si sarebbe servito di un’aldina del 1514, ‘stato B’291. Ma per ammissione dello stesso studioso, i rinvii permettono di risalire anche a un’aldina del 1521, edizione che pertanto non può essere esclusa a priori nemmeno per la Spositione.

La lista non fornisce altre indicazioni utili sugli stampati; sicché per altre opere l’edizione può essere identificata per altra via, con attento vaglio da effettuarsi caso per caso. Ad esempio, il documentato utilizzo di specifiche edizioni prima dell’esilio, se da una parte informa sulla consistenza della biblioteca di LC, dall’altra non autorizza ad affermare con assoluta certezza che tali testi, citati senza rinvii alfanumerici, fossero sul tavolo di LC durante il soggiorno viennese. Con questa consapevolezza va considerato il dato relativo alle edizioni del Convito e della Vita di Dante scritta dal Boccaccio, che il LC leggeva rispettivamente nell’incunabolo Bonaccorsi, pubblicato a Firenze nel 1490 [IISTC, 36] e nell’edizione di Vendelin da Spira, La Commedia di Dante Alighieri col commento di Benvenuto da Imola, stampata a Venezia nel 1477 [IISTC, 27]292. Va detto che la lista Pinelli attesta solo il Convito, peraltro senza indicazioni tipografiche: sicché Frasso ha giustamente ipotizzato il riferimento a un manoscritto293.

289 Ibidem. 290 Ibidem.

291 Cfr. P. TROVATO, Il frammento di Chicago e altre schede su Lodovico Castelvetro, in Vetustatis indagator. Scritti

offerti a Filippo di Benedetto, a cura di V. Fera e A. Guida, Messina, 1999, pp. 253-76, alle pp. 262-63.

292 Sull’edizione di Vendelin da Spira, contenente in realtà il commento di Iacomo della Lana, cfr. BELLOMO,

Dizionario dei commentatori danteschi cit., p. 299. Il richiamo alla Vita di Dante è in CASTELVETRO, Inf. I, 101.

293 Cfr. FRASSO, Per Lodovico Castelvetro cit.,pp. 473-74. Si deve allo studio del postillato estense alla Ragione [segnatura α. &. 2. 10], condotto da Elisabetta Arcari, e all’esame di Motolese dei rinvii marginali all’esemplare

56 Lo stesso discorso va fatto anche per l’edizione del Filocopo, stampata da Iacopo da Lecco a Venezia nel 1527, in ottavo [STCI, p. 111], usata per il commento a Bembo e non registrata nell’elenco ambrosiano294. Si tratta di testimonianze relative all’attività di LC ante 1561, prima cioè che egli prendesse la via dell’esilio: la Ragione era stata da poco pubblicata (1559) e la Giunta era ancora in cantiere. Tra Vienna e Chiavenna, la disponibilità libraria poteva anche essere diversa.

Resta indeterminata l’edizione dell’Epistola a Pino de’ Rossi del Boccaccio. Spesso edita insieme al Laberinto d’Amore, l’epistola ha avuto anche circolazione autonoma295, soprattutto nei territori d’oltralpe come Lione, terra di esuli e dunque perfettamente in sintonia con i temi della consolatoria296. Il che aprirebbe la suggestiva, e peraltro verosimile, ipotesi di un patrimonio librario arricchitosi dei prodotti dell’attiva e scaltra editoria lionese.

Talora è lo stesso spessore critico di LC ad aprire un significativo squarcio sulla sua biblioteca:

Di che è uno epigramma tra l’opere giovinili di Virgilio, che si crede essere di Ausonio, che comincia «Ter binos deciesque novem super exit in annos etc.»297 al quale forse Dante hebbe riguardo298.

Il rilievo del modenese non è di poco conto giacché chiama in causa due tradizioni manoscritte estremamente complesse: quella dell’Appendix vergiliana, cui non sono estranei problemi di autenticità, di attribuzione e di datazione, e quella di Ausonio, la cui vastità rende difficile una sicura ricostruzione dei rapporti tra i testimoni. Dei dodici componimenti dell’Appendix gli ultimi tre, il De institutione viri boni, il De est et non e il De rosis nascentibus, facevano parte del perduto Iuvenalis ludi libellus, il Libretto di scherzi giovanili (l), attribuito a Virgilio e databile al IX secolo. I tre componimenti in questione, che non compaiono né nella lista del codice del monastero di Murbach, attestante l’attuale fisionomia dell’Appendix, né nei codici più antichi della tradizione delle operette attribuite a Virgilio, né in altri testimoni fino al IX secolo, sono presenti invece con diversa distribuzione in alcuni testimoni della tradizione di Ausonio insieme all’ecloga citata da LC, il De aetatibus animantium. Di notevole rilievo è il Vossiano 111

palatino delle Prose, l’identificazione dell’edizione del Convito, cfr. ARCARI, Ludovico Castelvetro cit., pp. 168-69; MOTOLESE, Per lo scaffale cit., p. 111; ID., L’esemplare delle Prose cit., pp. 509-51; ID., Introduzione, in

CASTELVETRO, Giunta, p. XXVII. Mentre per la Vita di Dante a informarci è lo stesso LC nella Ragione, che del

trattatello dice di avere anche un manoscritto, cfr.CASTELVETRO, Ragione, cc. 13v-14r.

294 Cfr.MOTOLESE, in CASTELVETRO, Giunta, p. XXXVIII; ID., L’esemplare delle Prose cit., p. 517;

295 È insieme al Laberinto nell’edizione F. Giunta, in ottavo, del 1516 [STCI, p. 107] o nella veneziana Zoppino, del 1525. Edizioni singole note sono l’Epistola mandata a Pino de’ Rossi confortatoria, in quarto, stampata a Firenze nel 1487, e la veneziana Pistola bellissima per messer Pino de’ Rossi, per i tipi di T. Gaetano del 1528 [STCI, p. 108]. 296 L’epistola è stata addirittura tradotta in francese, nel 1556, da Margherita de Cambis, figlia di Luigi de Cambis, barone di Alez, cfr. L.SOZZI, Boccaccio in Francia nel Cinquecento, Genève, 1999, pp. 67-8.

297 AUSONIO, De aetatibus animantium, 22, cfr. Introduzione, § 6. 298 Cfr. CASTELVETRO, Inf. I, 1.

57 (V), codice membranaceo del IX secolo, in scrittura visigotica, vergato da Teodulfo d’Orléans in piena rinascita carolingia. Questo testimone riporta nell’ordine il De viro bono, il De est et non e, con il titolo Hesiodion, anche il De aetatibus animantium. Il codice fu scoperto nel 1557-1558 da Étienne Charpin in un monastero benedettino presso Lione299. Su questo testimone si basa l’edizione lionese tornesiana del testo di Ausonio del 1558 a cura di Guglielmo de la Barge, che rispetta l’ordine dei componimenti attestati nel codice300. LC era evidentemente a conoscenza dello stato delle due tradizioni manoscritte: essendo il De aetatibus animantium tramandato insieme ai componimenti dell’Appendix, agli occhi di LC non poteva essere che opera di Virgilio.

Veniamo ora al settore dei classici latini e greci. L’uso del titolo Trasformationi, con cui il modenese fa spesso riferimento ai Metamorphoseos libri di Ovidio, fa pensare a un volgarizzamento del testo latino. Potrebbe trattarsi di quello di Ludovico Dolce, di cui esistono più edizioni presso il Giolito (1553, 1555, 1557, 1561), tutte in quarto [STCI, p. 482; p. 222]301. E sempre a un volgarizzamento del testo ovidiano pare riconducibile la citazione «del primo libro del Metamorphosi d’Ovidio» a Inf. XXIII, 18. In questo caso l’edizione sarebbe quella a cura di

Giovanni Andrea dell’Anguillara, stampata a Venezia presso Griffio nel 1561 e nel 1563, in quarto [STCI, p. 482].

Analogamente, il titolo Atlantico con cui viene richiamato il Crizia di Platone, potrebbe far pensare alla traduzione di Marsilio Ficino, Critias vel Atlanticus302.

Quella di LC è dunque una biblioteca di tutto rispetto, fatta di edizioni prestigiose, comprensiva dei più grandi autori delle letterature classiche e volgari. Spazio è riservato però anche ai cosiddetti minori, come Pietro Crescenzio: il testo dell’Opera di agricoltura – volgarizzamento dei Ruralia commoda – citato a Inf. XVI, 1-3, orienta sia per l’edizione veneziana in ottavo per i tipi

di Bernardino de Viano de Lexona vercellese, pubblicata nel 1536 [STCI, p. 203], sia per quella del 1542, stampata a Venezia per Bernardino Bindoni. E non manca nemmeno il dizionario bilingue (italiano-zergo, e viceversa) di Antonio Brocardo, Nuovo modo de intendere la lingua zerga, cioè parlare forbesco, di cui purtroppo non si riesce a stabilire l’edizione303.

299 Cfr. Appendix virgiliana,a cura diW.V.CLAUSEN,F.R.D.GOODYEAR,E.J.KENNEY,J.A.RICHMOND,Oxford, 1967;F.DELLA CORTE, Analisi – Appendix virgiliana, vol. II, Tilgher-Genova, 1975, pp. 7-17; Appendix virgiliana, prefazione di L. Canali, a cura di M. G.IODICE, Mondadori, Milano, 2002, pp. IX-XXXIII;DECIMI MAGNI AUSONII

BURDIGALENSIS, Opuscula, a cura di S. PRETE, Teubner, 1978; DECIMI MAGNI AUSONII, Opera, a cura di R.P.H.

GREEN, Oxford, 1966.

300 Cfr. D. Magni Ausonii Burdigalensis poetae, Augustorum praeceptorii, virique consularis opera … Cum Indice

rerum mermorabilium, Lugduni, apud Ioan. Tornaesium, 1558, p. 95.

301 Né va dimenticata la veneziana Farri del 1570 [STCI, p. 482].

302 Cfr. ad esempio Critias vel Atlanticus in Omnia divini Platonis Opera traslatione Marsilii Ficini emendatione, et ad

Graecum codicem collatione Simonis Grynaei, summa diligentia repurgata, Froben, Basileae, 1561.

303 Per la citazione nel testo critico, mi sono servita di A.BROCARDO, Nuovo modo de intendere la lingua zerga, cioè

parlare forbesco, in Venetia, per Francesco Rampazetto, 1558. La princeps è del 1545, Ferrara, Michieli e Sivieri. Alla

58 Quanto ai commenti danteschi, gli interlocutori privilegiati di LC sono il Landino e il Vellutello304. Un’edizione in uso a LC potrebbe essere quella curata da Francesco Sansovino, edita a Venezia nel 1564 per i tipi di G. Marchiò Sessa e fratelli, che vede uniti i due commenti305. Indirizza a questa ipotesi l’elenco del Sandonnini dove leggiamo: «Dante col commento del Landino et del Vellutella»306. In assenza di riferimenti che orientino ad altri testi – tacciono la lista Pinelli e pure la Spositione, priva di rinvii – mi sembra questa l’unica possibilità che possa essere cautamente avanzata.

La conoscenza dei commentatori danteschi non si esaurisce qui. A disposizione di LC, anche commenti tramandati da manoscritti. Lo spositore antico senza nome di Inf. IV, 13-24 è infatti

Iacomo della Lana, che LC leggeva evidentemente in un testimone adespoto307. È lo stesso LC a documentare la presenza di manoscritti sul suo scrittoio: egli dichiara di avere «una pístola di Dante scritta a mano latina» che «comincia “Dantes Aligerius, natione florentinus non moribus magno Cani etc.”». La variante Aligerius è attestata nel subarchetipo a dello stemma Cecchini, cui appartengono M (München, Bayer, Staatsbibl., clm 78) e soprattutto A (Milano, Bibl. Ambrosiana, C 145 inf.), codice che risulta appartenuto al Pinelli, ma che non è compreso nel catalogo dei codici pinelliani di Adolfo Rivolta308. Di nuova fa capolino l’erudita attività del bibliofilo padovano, con il suo marcato interesse per gli scritti castelvetrini.

L’estrema vaghezza dei riferimenti con cui LC rimanda alle opere classiche e volgari, non consente di azzardare ulteriori ipotesi. Tanto più che, di autori come Virgilio e Lucano, il mercato editoriale dell’epoca forniva una scelta più che vasta. Con tutta probabilità, per la maggior parte dei riferimenti, LC avrà attinto al grande libro della memoria; una memoria che solo ogni tanto difetta309, e che lo assiste fedelmente dalla prima all’ultima chiosa. Certamente il suo vasto patrimonio librario, fatto anche di più edizioni della medesima opera, restituisce il ritratto di un

del Nuovo modo non è però chiaro. Per l’intera questione, cfr. R.RENIER, Svaghi critici, Bari, Laterza, 1910; F.AGENO,

A proposito del «Nuovo Modo de intendere la lingua zerga», in «Giornale storico della letteratura italiana», 135 (1958),

pp. 370-391; T. CAPPELLO, Saggio di un’edizione critica del «Nuovo Modo de intendere la lingua zerga»; A. F.

CATERINO, Nuovo modo de intendere la lingua zerga, scheda TLIO <http://tinyurl.com/bn6g57j>, direttore del progetto

C.CIOCIOLA.

304 Espressamente citati in CASTELVETRO, Inf. IX, 61-3; XVI, 94-9; XIX, 16-8; XX, 64-6 e 67-9. 305 Cfr. Introduzione, § 1 e n. 25.

306 SANDONNINI, Lodovico Castelvetro cit., p. 322.

307 Alla Biblioteca Estense di Modena è conservato un codice cart., metà sec. XV.con la Commedia e chiose desunte da Iacomo della Lana [segnatura Ital. 1664 (Alpha Z. 3. 16)], entrato a far parte del patrimonio dell’Estense nel 1817 come parte del lascito della marchesa Coccapani Imperiali, cfr. A.MAZZUCCHI in Censimento dei commenti danteschi, a c. di

E.MALATO e A.MAZZUCCHI, voll. I-II, Salerno Editrice, Roma, 2011, p. 887.

308Cfr. E.CECCHINI, Introduzione, in DANTE ALIGHIERI, Epistola a Can Grande, Firenze, Giunti, 1995; A.RIVOLTA,

Catalogo dei codici pinelliani dell’Ambrosiana, con una presentazione del prof. Giulio Bertoni, Milano, Tipografia

pontificia arcivescovile S. Giuseppe, 1933.

59 intellettuale poliedrico e dai vasti orizzonti culturali. Un patrimonio funzionale alla sua prassi esegetica, fatta di confronti e recupero di varianti.

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