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Il bilanciamento operato dalla Corte in occasione del caso Laval

6.1 La competitività come strumento per creare un mercato unico anche a

6.2.1. Il bilanciamento operato dalla Corte in occasione del caso Laval

Con Laval , la Corte conferma il percorso intrapreso con Viking.

È il caso di segnalare che, le rivendicazioni dell’impresa edile lettone, coinvolta nella vicenda Laval, sembrano avere a cuore più che la tutela dei lavoratori, il fine di evitare che, attraverso il distacco di lavoratori low cost, società straniere possano usufruire di un illecito vantaggio competitivo determinando così una situazione di dumping sociale, penalizzante per i lavoratori maggiormente tutelati, quali ad esempio quelli svedesi. È possibile sostenere, come molti a ragione fanno, che, il dispositivo della sentenza

Laval suona come una cruda condanna. La sentenza, di fatto, non lascia

all’autorità giudiziaria nazionale alcun margine di valutazione autonoma. Confrontando le sentenze Viking e Laval, M.V. Ballestrero sottolinea che mentre il dispositivo della prima appare più aperto e possibilista (…) quello

di Laval (…) giudica senz’altro l’azione collettiva intrapresa dai sindacati svedesi come ingiustificata restrizione della libertà di circolazione41. Mi

preme sottolineare che in entrambe le occasioni la Corte riafferma il fatto che seppur l’Unione non abbia competenza diretta in materia di sciopero e serrate ciò non comporta che questo tipo di azioni (come quelle contestate

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in Laval) possano legittimamente violare altre previsioni comunitarie. A prescindere dai dettagli anche il caso Laval conferma l’idea di un

bilanciamento sbilanciato in favore delle libertà economiche.

Concretamente i giudici subordinano un diritto sociale alla libertà di impresa, preoccupandosi di garantire la pre - determinabilità economica degli effetti della contrattazione collettiva, fattore per nulla trascurabile ove assumessimo il punto di vista dell’impresa e non più quello dell’organizzazione sindacale, e dimenticando che le peculiarità dell’autonomia sindacale non sopportano l’equiparazione con le regole che governano il mercato ed il settore pubblico. È evidente che la contrattazione collettiva, dunque, e l’azione esercitabile dalle organizzazioni sindacali ne escono fortemente ridimensionate dopo le sentenze della Corte, riducendo, sensibilmente la capacità dei sindacati di agire a tutela dei diritti dei lavoratori, specie di quelli distaccati.

La Commissione, dal canto suo, in data 21.3.2012, ha formulato una proposta di Regolamento sull’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel quadro della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

Nonostante gli strumenti pertinenti non facciano esplicito riferimento al diritto o alla libertà di sciopero, il diritto di intraprendere un’azione

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collettiva, corollario del diritto di contrattazione collettiva, è riconosciuto da diverse Carte internazionali. In questo contesto, l’art.28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconosce espressamente il diritto di concludere contratti collettivi e di ricorrere, nella difesa degli stessi, anche allo sciopero. Tuttavia, come sancito dalla Corte di giustizia e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo42, il diritto di sciopero non è un diritto assoluto

e il suo esercizio può essere soggetto a restrizioni, che possono anche dipendere dalla costituzione, dal diritto o dalle prassi nazionali. Di conseguenza, i sindacati, devono avere la possibilità di continuare ad agire per tutelare i diritti dei lavoratori.

È evidente che il caso Laval, più che rispetto al caso Viking, pone questioni di carattere istituzionale in ordine al rapporto tra il diritto comunitario e il diritto del lavoro interno agli Stati membri. Essa pare innanzitutto fornire ai giudizi nazionali, chiamati ad applicare le norme sulla libera circolazione al caso concreto, il potere di rivedere gli standard regolativi interni, non solo laddove essi risultino particolarmente restrittivi e, dunque, ostativi al raggiungimento del mercato unico, ma più

42 Cfr. , ad es., la sentenza CEDU del 21 aprile 2009, causa Enerji Yapi-Yol Sen c. Turchia,68959/01

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concretamente dove essi superino gli standard applicati nello Stato membro “meno regolativo”.

In secondo luogo sembra esserci una sorta di diritto dell’agente economico nell’accesso alla disciplina dello Stato membro più favorevole, senza tener conto della esatta localizzazione delle sue attività.

La prima questione da analizzare è il carattere della restrizione necessaria per attivare l’art.49. Nel corso di una lunga sentenza la Corte ha dedicato all’argomento poche battute alla discussione43 di un punto, a

parere di chi scrive, fondamentale. L’Avvocato generale Mengozzi era stato poco più prodigo di argomentazioni tornando sul punto senza di fatto stravolgere le conclusioni della Corte44. La questione è stata affrontata in

43 Corte di Giustizia, in sentenza del 18 dicembre 2007, Causa C-341/05, Laval un Partneri Ltd c. Svenka Byggnadsardetareforbundet, scrive al punto 99 : “si deve osservare che il diritto delle organizzazioni sindacali di uno Stato membro di intraprendere azioni collettive mediante le quali le imprese stabilite in altri Stati membri possono essere obbligate a sottoscrivere il contratto collettivo dell’edilizia, del quale talune clausole si discostano dalle disposizioni legislative stabilendo condizioni di lavoro e di occupazioni più favorevoli per quanto riguarda le materie di cui all’art. 3, n. 1, primo comma, lettere a) g), della direttiva 96/71, mentre altre riguardano materie non previste da tale disposizione, è in grado di scoraggiare o rendere più difficile per tali imprese l’esecuzione di lavori di costruzione sul territorio svedese, e costituisce pertanto una restrizione alla libera prestazione dei sevizi ai sensi dell’art. 49 Ce”.

44 Paolo MENGOZZI, nelle conclusioni presentate il 23 maggio 2007, ai punti 230-233 aveva

detto: “E’ innanzitutto a mio parere innegabile che, nonostante l’assenza di un vincolo

contrattuale fra le parti convenute nella causa principale e la Laval, e nonostante il fatto che le azioni collettive fossero direttamente indirizzate nei confronti dei membri delle organizzazioni convenute, i quali dovevano astenersi dal rispondere ad ogni offerta di assunzione o di lavoro per la Laval, l’avvio delle azoni collettive ha avuto l’effetto di obbligare la Laval a rinunciare all’esecuzione del contratto per il cantiere di Vaxholm e al distacco dei lavoratori lettoni in tale cantiere (…) Lo svolgimento di una simile azione collettiva, anche se

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modo egualmente succinto nel primo caso che ha dato seguito a Laval, sulla cui causa mi dilungherò a breve, ossia Ruffert45.

A questo punto non posso esimermi dal domandarmi in che senso l’azione collettiva come quella nella causa principale ha imposto costi che, stando alla Corte, hanno reso più difficile o meno attrattivo per Laval operare in Svezia?; ma soprattutto, più difficile o meno attrattivo rispetto a cosa?.

Simon Deakin individua tre diverse possibilità46: 1. Più difficile rispetto

all’ipotesi in cui non fosse esistita la legge che consentisse lo sciopero; 2. Più difficile rispetto al contesto fronteggiato dalle aziende svedesi; 3. Più difficile rispetto alla situazioni in cui non fosse stata applicata la legge lettone e/o i contratti collettivi lettoni.

Consideriamo la prima possibilità. Il contesto è il seguente: lo sciopero rende inevitabilmente più costoso per il datore di lavoro lo svolgimento della propria attività commerciale; la legislazione svedese prevede la possibilità

condotta altresì nei confronti delle imprese stabilite nel territorio dello Stato membro in questione, può comportare costi rilevanti, cosicchè essa costituisce, a mio avviso, una restrizione alla libera circolazione dei servizi”.

45 Corte di Giustizia, sentenza del 3 aprile 2008, Causa C-346/06, Dirk Ruffert c. Land Niedersachsen.

46 Simon DEAKIN in, La concorrenza fra ordinamenti in Europa dopo Laval, saggio pubblicato

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che contro prestatori di servizi, anche stranieri, possano esercitare un’azione come quella in commento; dalle parole della Corte risulta che Laval fosse soggetta ad una restrizione solo perché la legge svedese permise che fosse intrapresa contro di lei un’azione collettiva ( il che equivarrà per caso a dire che è l’esistenza dell’azione collettiva a generare la restrizione? Lo sciopero viola l’art.49 CE?).

Avverte il Deakin che, “qualora si applicasse questa definizione di

restrizione, ciò equivarrebbe a dire che un prestatore di servizi straniero, solo in quanto straniero, aveva diritto a che la legislazione del lavoro locale fosse disapplicata in suo favore”47. Questa linea di pensiero sembra essere

presente in Laval, certamente, e sembra essere confermata in Ruffert. Il che equivale a dire che l’art.49 tutela il prestatore di servizi e gli garantisce il diritto di applicare la legge e/o il contratto collettivo dello Stato di origine, ossia la legge del proprio paese. Ma quando? , certamente, in tutti quei casi in cui la legge dello stato ospitante preveda costi o oneri, legati alla prestazione di lavoro più alti rispetto a quelli previsti dalla legislazione dello Stato d’origine. Stando così le cose, l’effetto Laval sarebbe quello di far rivivere il principio dello Stato d’origine, eludendo la direttiva servizi, e giustificando l’errore di prospettiva attraverso il richiamo all’art.49 che,

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potenzialmente, è in grado di avere effetto orizzontale contro organismi di regolamentazione privati, tra cui i sindacati.

Va detto che gran parte delle giurisdizioni nazionali osservano il principio di territorialità che viene attuato mediante un insieme di criteri, fra cui, ad esempio, quello del luogo di lavoro (abituale o normale). Il diritto comunitario non osta a che gli Stati membri estendano le loro leggi o i contratti collettivi di lavoro a qualsiasi persona che svolga attività di lavoro subordinato, anche di carattere temporaneo, nel territorio, eccezion fatta per l’ipotesi del distacco temporaneo che si colloca al di fuori del principio di territorialità del diritto del lavoro. Ne consegue che i lavoratori distaccati possono godere solo ed esclusivamente delle tutele nella direttiva- servizi previste (che a dire il vero sono ben poche)48. Se l’obiettivo della direttiva è

quello di cercare un punto di incontro fra gli interessi, naturalmente e

48 Ci si può allora chiedere perché i lavoratori distaccati non beneficiano della tutela di cui

agli artt. 12 e 39 del Trattati sui principi, rispettivamente, di non discriminazione e di parità di trattamento dei lavoratori. In proposito cfr. REICH, in Free Movement Varsus Social Rights

in an England Union: The Laval and Viking Cases Before the European Court of Justice,

pubblicato in German Law Journal, 2008, pp. 133- 134, scrive: “ i lavoratori assunti da Laval

non stanno cercando un lavoro nel mercato svedese ma saranno mandati

indietro una volta il lavoro di costruzione sarà portato a termine. In linea di principio, essi sono sotto la giurisdizione lettone. Perciò nel contesto descritto, le disposizioni in materia di circolazione dei lavoratori e di non discriminazione possono venire disapplicate”. Nella

soluzione di Norbert REICH, il diritto comunitario è, chiaramente, più sbilanciato sul piano della libertà fondamentale.

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fisiologicamente contrapposti, dei datori di lavoro e dei lavoratori (distaccati), salvaguardando il mercato unico, non sembra cogliere nel senso.

La deroga al principio di territorialità, come viene indirettamente ricostruita dalla Corte, sembra dare il la ad una vera e propria corsa al ribasso fra ordinamenti e, le specifiche tutele individuate nella direttiva non sembrano sufficienti a tutelare il lavoratore che esercita la sua attività lontano dai confini nazionali.

7.2.1. (segue) Il contratto collettivo nel mercato dei servizi e

l’impatto sull’ordinamento italiano

I limiti all’esercizio dell’azione sindacale che indirettamente la Corte di giustizia configura nell’ambito del mercato dei servizi hanno, come è facilmente intuibile, ricadute importanti anche sull’efficacia del contratto collettivo49. La funzione della direttiva 96/71, come si è cercato di

evidenziare anche nelle pagine che precedono, è quella di identificare degli

standards minimi di tutela applicabili ai lavoratori temporaneamente

distaccati sul territorio di uno Stato membro, oltre i quali la Corte riconosce una ingiustificata limitazione della libertà di prestazione dei servizi. Dal

49 Sulla questione cfr. anche Giovanni ORLANDINI, Viking, Laval e Ruffert: i riflessi sul diritto di sciopero e sull’autonomia collettiva nell’ordinamento italiano,2008.

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combinato disposto degli artt. 3.1 e 3.1050 si ricava, chiaramente, che al

contratto collettivo è affidata una funzione del tutto residuale tra le fonti del diritto chiamate a disciplinare, parimenti alle altre, il (corretto) funzionamento del mercato dei servizi. Lo stato è chiamato a valutare con attenzione di quali contratti può chiedere il rispetto da parte delle aziende straniere e, quindi, conseguenzialmente, quali contratti dotare della efficacia erga omnes, generalizzata, che la direttiva richiede. In generale, comunque, il rispetto del contratto collettivo può essere imposto alle aziende ospitanti solo rispetto a quelle clausole minime inderogabili su tutto il territorio nazionale ed esclusivamente rispetto alle materie elencate dall’art.3.1 della direttiva. In Italia, non essendo i contratti collettivi dotati, alcuno di efficacia generalizzata, per via della mancata, ed inspiegabilmente, attuazione dell’art.36 Cost. (prima parte), quelle imprese straniere, poche, che decidano di stabilirsi temporaneamente nel nostro territorio nazionale sono tenute al rispetto delle sole clausole che determinano i minimi

50 L’art. 3.1 della direttiva 96/71 recita: “gli stati membri provvedono affinché qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’art.1, paragrafo 1, garantiscano ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie in appresso indicate che, nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, sono fissate: … (segue un lungo elenco) …”; l’art.3.10, invece,

prevede: “ La presente direttiva non osta a che gli Stati membri, nel rispetto del trattato,

impongano alle imprese nazione ed a quelle degli altri Stati, in pari misura: a) condizioni di lavoro e di occupazione riguardanti materie diverse da quelle contemplate laddove si tratti di disposizioni di ordine pubblico; b) condizioni di lavoro e di occupazione stabilite in contratti collettivi o arbitrati riguardanti attività diverse da quelle contemplate nell’allegato”.

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retributivi, le sole dotate, per legge, di efficacia generalizzata in forza del combinato disposto degli artt. 36 cost. e 2099,2° comma c.c.

La funzione residuale riconosciuta al contratto collettivo dalla direttiva e dalla Corte di giustizia, si riflette inevitabilmente sugli spazi di manovra del conflitto sindacale, comprimendoli drasticamente. Inoltre, il riferimento alle disposizioni di ordine pubblico dell’art.3.10 nasconde dietro un apparente linearità una precisa volontà: preferire la via legislativa e non lo strumento contrattuale nella regolazione di quegli interessi (molti) che si innestano sul rapporto di lavoro (subordinato e non).