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Opinando contrariamente e pensando di configurare, viceversa, una responsabilità di chi l’azione illegittima ha posto in essere, vengono alla luce una serie di problematiche di non poca importanza e di non semplice soluzione 114. Pensare che il datore di lavoro possa esperire un’azione per

danni nei confronti della controporte, dovrebbe dirigere tale volontà o nei confronti dei lavoratori o nei riguardi dell’associazione sindacale (che pur sempre di lavoratori è costituita). Nel primo caso, il lavoratore coinvolto in uno sciopero contrario al diritto comunitario si troverebbe esposto al rischio di vedersi comminate una o più sanzioni disciplinare ovvero di essere licenziato, con tutte le conseguenze del caso. Il rapporto di lavoro regolato dal contratto di riferimento verrebbe così travolto dagli effetti devastanti di un’impostazione così pensata.

In Italia le problematiche connesse ai profili della responsabilità “comunitaria” da sciopero illegittimo suggeriscono di rivedere le conclusioni alle quali si era giunti negli anni settanta, sfociate della sentenza n.711/1980 della Corte di Cassazione che, identificando la “produttività” come limite

114 Sul punto cfr. G. ORLANDINI, Viking, Laval e Ruffert: i riflessi sul diritto di sciopero e sull’autonomia collettiva nell’ordinamento italiano. Lo scritto riproduce il testo della

relazione introduttiva al Workshop “The Viking, Laval and Ruffert Cases: Freedom and

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esterno, non fornì alcuna chiara spiegazione in ordine al titolo in base al quale pretendere il risarcimento (responsabilità extracontrattuale o contrattuale?). Nell’ultimo ventennio in merito alla responsabilità per sciopero il dibattito si è esclusivamente concentrato sulle ipotesi contemplate dal legislatore italiano nella legge numero 146/1990 posta a presidio dei servizi pubblici (essenziali).

Il quadro risulta chiaramente complesso, in particolar modo se si fa caso alla circostanza che i danni, nelle sentenze Viking e Laval, sono stati chiesti all’organizzazione sindacale e non ai lavoratori. Il che è accettabile in virtù della natura del diritto di sciopero propria dei sistemi svedese e finlandese. In Italia, occorre ricordare, che il diritto di sciopero è riconosciuto al singolo lavoratore in quanto tale, un diritto soggettivo il cui esercizio avviene collettivamente in virtù dello squilibrio di poteri che esiste tra la parte datoriale ed il lavoratore.

Lo scenario in larga parte descritto fotografa lo status quo non per ciò solo immutabile; anzi i molteplici profili critici impongono un ripensamento delle categorie tradizionali chiamando a sé tutti gli attori protagonisti del processo di integrazione europea di modo da creare un sistema più rassicurante per i lavoratori e più rispettoso dell’autonomia collettiva.

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Gli squilibri esistenti derivano, in primo luogo, da quel bilanciamento

sbilanciato tra libertà economiche e diritti sindacali che i giudici di

Lussemburgo configurano applicando le vigenti fonti comunitarie. Certo è che le criticità fino ad ora rivelate verrebbero meno se si compiesse definitivamente quell’altro, parallelo e fondamentale step, che è il processo di costituzionalizzazione europea. Attribuire un valore, su di un piano assiologico, più elevato ai diritti della persona (ed in tal senso lo sciopero ed il correlativo diritto di intraprendere un’azione collettiva già rientrano nella categoria, in virtù del riferimento nei loro confronti operato dalla Carta di Nizza all’art.28) rispetto alle libertà economiche, permetterebbe di evitare quel pericoloso procedimento di bilanciamento che ha prodotto le due decisioni delle quali si sta ora trattando.

Che ciascuno degli Stati membri si sia impegnato a garantire, entro i propri confini nazionali, l’applicazione del diritto comunitario non v’è dubbio, pertanto dinanzi ad un ingiustificato immobilismo statale, come quello nei casi di specie, non vi è ragione di ritenere che non debba civilisticamente rispondere anche lo Stato che legiferando può comprimere, nei limiti, l’esercizio dell’attività sindacale. Né in Viking né in Laval lo Stato ha ostacolato o vietato, un’attività soggetta al suo controllo che si è svolta in violazione della libertà fondamentale che esso è tenuto a tutelare. Come

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ha avuto modo di osservare la dottrina115 più attenta e sensibile, in tali ipotesi il rimedio orizzontale non può che essere quello indiretto, ossia la responsabilità civile dello Stato. Da quest’ultimo punto di vista, è bene

preliminarmente evidenziare che non sono i contenuti delle libertà fondamentali ad entrare in conflitto con i contenuti dei diritti fondamentali, bensì il motivo che soggiace all’utilizzo della libertà fondamentali. In altri termini può accadere che la libertà venga richiamata per giustificare l’operazione compiuta e nascondere l’intenzione di accedere alla legislazione nazionale più permissiva. Siffatta tesi, stando alle parole degli avvocati generali, trovano conferma nelle tesi sostenute dall’avvocato generale Mischo116 che scrive: “i giudici nazionali devono adempiere il proprio obbligo di garantire un0effettiva tutela dei diritti attribuiti ai privati dal diritto comunitario … disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti dalla legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria…”. Inoltre, la Corte si è trovata ad affermare che non esiste

alcun ostacolo nell’intentare contro lo Stato un’azione risarcitoria, a

115 Sul punto cfr. E. NAVARRETTA, Libertà fondamentali, diritti inviolabili e contratto 116 Conclusioni dell’avvocato generale Mischo, Cause riunite C-6/90 e C-9/90, presentate il

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fondamento della quale risulta sufficiente l’efficacia diretta di una disposizione del diritto comunitario117.

La giurisprudenza sulla quale mi sto abbastanza lungamente soffermando riguarda, sempre, norme di diritto comunitario direttamente efficaci. L’efficacia diretta viene dunque a rappresentare quasi una condicio

sine qua non. Le libertà fondamentali, costitutive, poste alla base

dell’ordinamento comunitario sin dagli albori senza ombra di dubbio sono dotate di efficacia diretta. E, pertanto, indefettibilmente, necessitano di garanze appropriate da predisporre all’interno dei singoli ordinamenti nazionali. È anche vero che può accadere che un ordinamento si doti dapprima di un mezzo piuttosto che di un altro, tuttavia, nessuno può sottarsi dall’obbligo di farsi tramite e garante dell’ordinamento comunitario. Ordinamento che vive e sopravvive in virtù di collaborazioni e relazioni intense con i singoli ordinamenti nazionali. Ove vengano a mancare siffatte sinergie sarebbe l’ordinamento comunitario nella sua totalità a venire meno.

Ad onor del vero la Corte ha anche elaborato una soddisfacente giurisprudenza, enucleando ipotesi di responsabilità dello Stato rispetto a violazioni di norme prive di efficacia diretta. La responsabilità dello Stato può da tale angolo visuale a) supplire all’impossibilità di munire di un effetto

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retroattivo i provvedimenti con cui lo Stato membro inadempiente intenda conformarsi ai proprio obblighi; b) nell’eliminazione effettiva degli inadempimenti e delle loro conseguenze passate e future.

L’inattività dello Stato è idonea a far sorgere una responsabilità a suo carico? Qualsiasi trasposizione non corretta di una direttiva costituisce violazione delle norme fondamentali del Trattato stesso, che obbligano gli Stati membri ad adottare tutti i provvedimenti necessari ai fini della corretta trasposizione delle direttive nell’ordinamento interno. La Corte ha avuto modo di accentuare l’importanza dell’obbligo risarcitorio proprio nelle ipotesi in cui l’efficacia di una norma comunitaria ( nel nostro caso, la facoltà concessa e tacitamente riconosciuta alle imprese di avvalersi, scegliendo la normativa più favorevole anche se meno protettiva verso i lavoratori) sia subordinata al recepimento dell’ordine giuridico nazionale. Recepimento che può o totalmente mancare, ovvero risultare carente in una parte piuttosto che in un'altra.

Non dimentichiamoci che le libertà fondamentali sono state in passato anche vettori di istanza personalistiche attraverso le quali, anche la Corte, ha affermato la preminenza del diritto inviolabile della persona sulla libertà fondamentale economica oppure servono, attraverso la loro

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servizi “della sua qualità di cittadino europeo” 118, come nelle sentenze

Bosman o Roccanelli. È in quest’ambiente che occorre introdurre una

disposizione di carattere generale che possa coprire gli spazi di tutela lasciati privi di protezione dalle norme in vigore, in grado di far applicare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma.