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La Blessure (2004) e Le silence de Lorna (2008): corpi feriti, corpi venduti Il percorso di due donne.

Parte Seconda

6.1 La Blessure (2004) e Le silence de Lorna (2008): corpi feriti, corpi venduti Il percorso di due donne.

<< Si impara a guardare in un certo modo per resistere. >>

(bell hooks, Reel to real: race, sex and class at the movies)

La protagonista nera e lo sguardo “oppositivo”

Sia La Blessure che Le silence de Lorna, come molti film europei dei primi anni Duemila, esplorano la condizione attuale delle società occidentali, e lo fanno attraverso la rappresentazione della marginalità, ovvero attraverso figure che ricoprono la posizione di outsiders rispetto all’economia e alla ricchezza di un paese. Nei casi in questione, si tratta di due figure di donne, entrambe immigrate in un paese straniero, che lottano per essere integrate nel dorato mondo del benessere economico e sociale.

Come ha descritto la studiosa Martine Beugnet a proposito del cinema francese degli ultimi vent’anni, << the experience of being human in an ecomically “developed” society appears irremediably reduced to the participation in an almost entirely controlled and rationalised mode of existence shaped into a profitable, productive form of trade (…) >>215, così che gli

stessi esseri umani diventano, inevitabilmente, degli oggetti di scambio e consumo al pari di altri, e vengono privati della propria dimensione intima e soggettiva.

La storia di Blandine e Lorna, in effetti, è una storia di corpi sfruttati e ridotti a merce, segnati da una violenza e da un’esclusione sociale che, come ha denunciato Rosi Braidotti, non hanno a che vedere con la metafora ma sono incise fisicamente sul corpo, insieme alla dura esperienza dell’immigrazione; i segni sul corpo, allora, sono quelli tangibili dell’alienazione e del maltrattamento, dello sfruttamento presente in ogni macchina del progresso, che elimina tutto ciò che non risulti produttivo.

La violenza e il dominio, tuttavia, hanno a che vedere anche con lo sguardo, con chi lo conduce e con chi lo subisce silenziosamente oppure lo rilancia, modificandone la natura e la traiettoria: lo sguardo, infatti, per utilizzare i termini di bell hooks, <<è sempre stato

215

M. Beugnet, Cinema and Sensation. French Film and the Art of Transgression, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2007, p. 152.

politico >>216. La studiosa femminista afroamericana ha insistito proprio sulla questione

della visione all’interno delle dinamiche tra sfruttatori e dominati, studiando le possibilità, per questi ultimi, di rilanciare uno sguardo oppositivo, capace di ribaltare o comunque cambiare le condizioni di subordinazione che legano i due poli opposti degli attori sociali. Il concetto di “sguardo oppositivo” è fondamentale soprattutto se inserito e applicato al cinema e all’analisi della rappresentazione di personaggi che ricoprono un ruolo subalterno; per bell hooks, infatti, la cui attenzione si è focalizzata sulla questione del colore della pelle, e quindi dell’essere nero in una società in cui il potere è gestito prevalentemente dai bianchi, lo sguardo può essere veicolo di prevaricazione e dominio ma anche di resistenza per coloro che sono dominati. Esiste quindi uno sguardo << critico, che “guarda” per documentare >>217 e che prevede, da parte del dominato, l’aver assunto una consapevolezza che “politicizza” le relazioni di sguardo, e permette di affermare la propria iniziativa.

Al cinema ci sono sia film che permettono all’interno della loro struttura diegetica la costruzione di uno sguardo oppositivo, e così facendo scardinano un immaginario (soprattutto femminile) esclusivamente bianco, sia film in cui tale sguardo è assente, e vi è una netta separazione tra chi è guardato e chi invece sostiene lo sguardo attivamente. La

Blessure si situa da questo punto di vista in una posizione ibrida e ambigua, che denuncia

criticamente, a un primo livello, uno status quo politico e sociale, ma lo riconferma a livello profondo, negando, nella rappresentazione offerta dei personaggi, la possibilità di uno sguardo sovversivo.

Il film presenta sin da subito una netta divisione tra persecutori e vittime: i primi sono i poliziotti dell’aeroporto di Roissy, che si dimostrano dall’inizio violenti e intolleranti, mentre le vittime sono rappresentate da un gruppo di immigrati africani che cerca invano di oltrepassare la dogana ed entrare in Francia; tra di loro si distinguerà una donna, Blandine, ferita a una gamba durante uno scontro con la polizia, la quale verrà rilasciata solo successivamente grazie all’intervento e all’intermediazione di un avvocato temerario che sposerà la sua causa e deciderà di aiutarla.

Blandine è l’esponente di una parte sociale totalmente esclusa dal benessere economico, oltre che la vittima e la testimone di un grave abuso di potere e di violenza fisica e psicologica, consumato nel silenzio e nell’indifferenza collettiva; eppure, è anche la

216

bell hooks, op. cit., p. 117. Il discorso dell’autrice si riferisce, in questo caso, all’importanza dello sguardo nelle dinamiche sociali e politiche dello schiavismo dei neri.

217

Ivi, p. 119. Qui il riferimento è sia allo sguardo delle spettatrici nere, che a quello dei personaggi neri rappresentati sullo schermo.

protagonista di un riscatto personale e sociale, di un desiderio di libertà che si potrà ottenere solo alla fine di un percorso doloroso. Se si analizza il comportamento di Blandine durante il corso del film, tuttavia, si può osservare che non c’è quasi mai spazio per un atteggiamento di resistenza né per uno sguardo oppositivo verso chi tenta di sfruttarla, e che sussiste una rigida ed evidente distinzione tra chi domina e chi subisce.

Nella prima parte, girata prevalentemente negli uffici della polizia dell’aeroporto, la protagonista si chiude in un mutismo che continuerà anche successivamente, fino al momento in cui, in una sorta di monologo, la donna riuscirà a raccontare nel dettaglio tutto ciò che le è accaduto precedentemente; il suo sguardo tuttavia, anche in quel caso, non subirà delle variazioni e resterà più o meno lo stesso fino alla fine, a prescindere dai suoi interlocutori.

Nelle prime sequenze in cui appare, Blandine ha spesso il volto fuori campo, tagliato del tutto dall’inquadratura, o mantiene comunque uno sguardo rivolto verso il basso, e non parla quasi mai, limitandosi a rispondere alle domande che le vengono fatte. Anche quando riesce ad uscire e si dirige finalmente a casa con il marito, la donna si copre la testa e il viso con un foulard, che indossa addirittura come se fosse un burka, così da essere irriconoscibile. Il suo è uno sguardo spesso schivo, anche quando si rivolge a suo marito: nelle scene girate negli squat, infatti, Blandine è spesso in penombra, o voltata dalla parte opposta rispetto a quella del suo interlocutore. In una delle sequenze più lunghe del film, quella del racconto-confessione, è ripresa in primissimo piano e ha lo sguardo rivolto in camera ma totalmente assente, e sembra fissare il vuoto; anche in questo caso, quindi, non riesce a sostenere uno sguardo attivo e consapevole, ma sembra piuttosto subirlo.

Per utilizzare i termini di bell hooks, si potrebbe dire che questi elementi formali e diegetici confermano l’assenza di uno sguardo oppositivo e anzi dimostrano come << il dominio razziale dei bianchi sovradetermini la rappresentazione >>218. Se è vero, infatti, che << persino nelle peggiori condizioni di subordinazione, la capacità di manipolare il proprio sguardo in barba alle strutture di dominio che lo reprimono, sottrae alla passività >>219, nel film questa capacità sembra mancare del tutto, e i ruoli delle vittime non vengono mai ribaltati né minimamente modificati, anche quando i due protagonisti ottengono la libertà. Nelle lotte di resistenza, continua la hooks, << il potere del dominato di affermare la propria iniziativa rivendicando e coltivando la “consapevolezza”, politicizza le relazioni di “sguardo” (…) >>220; raggiungere la consapevolezza, quindi, significa riuscire a 218 Ivi, p. 120. 219 Ivi, p. 118. 220 Ivi, p. 119.

rivendicare uno sguardo ribelle e oppositivo, in grado di ribaltare la propria posizione. Lo sguardo di Blandine, invece, non è uno sguardo di interrogazione della realtà o di ribellione, ma rimanda piuttosto alla rassegnazione, all’accettazione passiva dello stato di cose; il suo corpo ferito e umiliato, infatti, non diventa mai, neanche successivamente, il luogo della sua iniziativa e delle sue attività.

In questo senso il modo in cui il film si chiude è particolarmente emblematico, poiché nega ai personaggi uno spazio di vera riconquista personale e lascia lo status quo sostanzialmente immutato. Blandine, come si è detto, viene rilasciata ma riprende la sua vita quotidiana negli squat di Parigi, fatta di povertà, miseria, e totale emarginazione sociale; verso la fine, la coppia sembra aver comunque raggiunto un nuovo equilibrio personale, dato soprattutto dall’amore che li lega e dalla libertà duramente conquistata. Le ultime sequenze del film, tuttavia, ci mostrano una prospettiva non migliore rispetto a quella di partenza: Papi è intento a prepararsi per un nuovo lavoro per il quale è stato “assunto” insieme ad altri immigrati africani come lui, un impiego che lo costringerà a lasciare Parigi e che sarà sottopagato. Il futuro, quindi, non si prospetta diverso rispetto al passato, e i protagonisti restano condannati a una posizione di subordinazione culturale ed economica, che non lascia spazio all’autodeterminazione.

Corpi e non soggetti: la questione etica

Il percorso di Lorna, la protagonista del film dei Dardenne, è simile per certi versi a quello di Blandine: entrambe ricoprono il ruolo di immigrate in un paese straniero di cui percepiscono l’estraneità ma in cui vorrebbero anche essere integrate economicamente e socialmente. Anche Lorna, come Blandine, subisce uno sfruttamento sia fisico che psicologico, essendo costretta a usare il proprio corpo come uno strumento per poter ottenere e far ottenere ad altri la cittadinanza belga.

Il teatro di questo sfruttamento è Liège, in particolare i suoi spazi industriali in declino nella periferia della città, in cui le realtà della disoccupazione, del degrado e della marginalità sociale sono particolarmente evidenti. Lo sfruttamento denunciato dai registi belgi è innanzi tutto uno sfruttamento dei corpi, concepiti come forza-lavoro monetizzabile e spendibile economicamente, in cui non c’è posto per la dimensione soggettiva poiché il soggetto è ridotto a merce di scambio con l’unico fine del profitto.

Le silence de Lorna, come spesso accade nel cinema dei Dardenne, mette al centro tali

questioni descrivendo, in particolare, la morte del soggetto in alcune delle odierne società occidentali, ma lasciando anche intravedere la possibilità di un riscatto e di una rinascita interiori che passano proprio attraverso il corpo e la dimensione della corporeità.

Come è stato giustamente messo in evidenza221, quasi tutti i film dei due registi vertono su un’unica grande questione, quella di dover uccidere o no, e in particolare il dover scegliere se morire o uccidere; si tratta, evidentemente, di una questione prima di tutto etica, che nel loro cinema coinvolge anche la dimensione formale, prima ancora di quella tematica. Tale questione mette il personaggio davanti a un bivio, a una scelta, che implica il passaggio dall’essere al non-essere, se intendiamo quest’ultimo come morte del soggetto; in altri termini, i personaggi dei Dardenne si trovano sempre di fronte a un’empasse, per cui devono decidere se scegliere o no per la propria sopravvivenza, anche quando questa implica l’eliminazione (simbolica e non) dell’altro.

Nel film in questione, la via d’uscita a questa impasse si sviluppa attraverso il corpo e la dimensione fisica, da cui sorge anche la speranza di un futuro diverso dal presente; le scelte e la responsabilità dell’etica, infatti, non coinvolgono mai nel cinema dei Dardenne la sfera della profondità psicologica, ma piuttosto quella della superficie, che è sia superficie dei corpi che superficie filmica.

Analizzando da vicino Le silence de Lorna, è possibile osservare in che modo il corpo giochi un ruolo fondamentale nel corso dello svolgimento narrativo e del cambiamento strutturale dei personaggi, influenzando i rapporti che li legano uno all’altro e le relazioni che ne derivano.

Abituata a servirsi del proprio corpo come un passepartout per ottenere ciò di cui ha necessariamente bisogno, Lorna lo utilizza e lo gestisce all’inizio come uno strumento illusoriamente finalizzato alla libertà personale e all’indipendenza economica. La donna, infatti, ha sposato il tossicodipendente Claudy per ottenere la cittadinanza belga, convinta che il suo matrimonio si sarebbe presto concluso con la morte di lui, che però non avviene nei tempi sperati; per anticipare il divorzio, quindi, Lorna decide di procurarsi delle ferite, così da poter denunciare il marito per maltrattamenti. I lividi sul suo corpo non bastano tuttavia per poter avviare una denuncia, e Lorna deve riprovare. La seconda volta, la donna chiede a Claudy stesso di collaborare, convinta che anche lui abbia interesse a ottenere velocemente il divorzio, e lo costringe così a picchiarla in pubblico, affinché accorra

221

S. Cooper, « Du visage au dos: en relisant Levinas avec les frères Dardenne », in : J. Game (sous la direction de),

qualche testimone. Claudy viene alla fine convinto, ma appena inizia a picchiarla si pente immediatamente, e anzi le chiede scusa per averle fatto del male.

Nella lotta per la sopravvivenza personale, Lorna si serve di ogni mezzo possibile, anche il più estremo, mostrandosi disposta a calpestare persino la propria dignità; Claudy, invece, è reticente e non riesce ad assecondare fino in fondo le richieste della donna e a violentare fisicamente il suo corpo. Nonostante la precarietà della propria condizione, infatti, egli riesce a conservare il rispetto per se stesso e per Lorna, per la quale nutre un sentimento di amore e di protezione.

Se la prima volta, tuttavia, Lorna è spinta nelle sue azioni soprattutto da questioni di ordine pratico ed economico (la donna è anche minacciata da Fabio, il suo protettore), successivamente le motivazioni alla base del suo agire nei confronti di Claudy cominciano a cambiare, poiché inizia a modificarsi la natura del loro rapporto; la donna, infatti, vuole affrettare il divorzio anche per evitare che Fabio uccida Claudy, facendolo ricadere nel vortice della droga. Il desiderio di difendere il ragazzo aumenta nel momento in cui Lorna condivide con lui una nuova intimità fisica, non più data dalla convivenza forzata ma da un sentimento e un desiderio reciproci.

E’ il corpo dell’altro, ovvero di Claudy, a mettere Lorna di fronte a un imperativo morale che le impedirà di farlo uccidere e che le farà compiere una scelta etica consapevole per la quale è in gioco << le passage de l’être au non- être >>222, ovvero la morte oppure la resistenza del soggetto, diviso tra il desiderio di annullare l’altro e l’impossibilità di farlo. La metamorfosi dei personaggi (su un piano anche, fondamentalmente, etico), quindi, come è stato già visto, si gioca su una dimensione fisica e non prettamente psicologica e verbale: è, anzi, proprio il corpo umano, soprattutto il corpo dell’altro, ad attestare i limiti del pensiero e della parola, e a rinnovare un nuovo tipo di comunicazione, di empatia e di condivisione. Questo comporta nel film in questione, come in tutto il cinema dei Dardenne, anche una disarticolazione del vocabolario filmico tradizionale, e un modo particolare di filmare il corpo; anche quando i personaggi si trovano di spalle, per esempio, vengono ripresi dai registi << comme si ce dos, cette nuque parlaient >>223, come se le emozioni potessero trasparire anche dalle loro spalle e dalla loro nuca, inquadrate come se si trattasse di un viso. Sono, in particolare, i movimenti dei corpi, che spesso “faticano” a entrare nell’inquadratura, a far trasparire le emozioni dei personaggi, a tradire i loro pensieri e a emozionare lo spettatore. 222 S. Cooper, Ivi, p. 112. 223 Ivi, p. 119.

L’espressività normalmente affidata al primo piano di un volto emerge piuttosto dai movimenti del corpo dei personaggi nello spazio diegetico, attraverso uno spostamento della “topografia” del corpo verso il basso più che verso l’altro, <<du visage au dos >>. 224 La macchina da presa dei Dardenne è spesso in prossimità del corpo dei personaggi (pur preservando lo spettatore dai percorsi classici di identificazione), in quanto è posizionata spazialmente quasi come se fosse essa stessa un personaggio; tuttavia, resta sempre una certa distanza tra la macchina e l’attore, la quale conferisce a quest’ultimo un’esistenza propria e ne stabilisce una distanza critica rispetto allo spettatore. La prossimità della macchina da presa, in altri termini, non produce empatia nello spettatore attraverso forti meccanismi di identificazione, ma lascia uno spazio “segreto” intorno ai personaggi, attestando l’impossibilità di mettersi al loro posto << pour voir comme ils voient, sentir comme ils sentent >>225.

Nonostante, quindi, l’occhio della macchina da presa segua continuamente i personaggi nei loro movimenti, nelle pause e nei loro gesti, tanto da creare un vero e proprio “corps- caméra”, la posizione dello spettatore rimane sempre leggermente dietro di loro, letteralmente alle loro spalle, in una zona che impedisce un accesso e una conoscenza totali dell’interiorità del personaggio.

L’ultima sequenza del film descrive efficacemente tutto questo, e sottolinea l’importanza accordata dai registi al corpo dei personaggi e dell’attore: si tratta di una sequenza in cui non ci sono dialoghi, fatta eccezione per le parole che la protagonista rivolge a se stessa e al bambino che crede di aspettare da Claudy. La donna è in viaggio in auto con l’uomo che dovrà sposare, un mafioso russo in cerca della cittadinanza belga, a cui chiede di fermarsi per poter andare al bagno urgentemente. L’uomo ferma la macchina sul ciglio dell’autostrada, fa scendere Lorna e l’aspetta in auto. Rientrata, lei lo ferisce di colpo alla testa con un sasso, e scappa via. La scena del ferimento è ripresa dai sedili posteriori dell’auto, e quindi di spalle rispetto a personaggi. La macchina da presa riprende Lorna con diversi carrelli laterali, in campo lungo, mentre corre nel bosco circostante.

Sfinita, la donna si appoggia per un momento a un albero e, rivolgendosi al suo bambino, lo rassicura. Poi riprende a correre e a camminare nel bosco, in cerca di qualcuno a cui chiedere aiuto, o di qualcosa. La macchina da presa la riprende sempre in campo lungo, totalmente sola e circondata dal silenzio della natura, finché non arriva davanti a una baita che sembra abbandonata. Con un bastone cerca di forzare la porta, poi rompe un vetro e riesce ad aprirla. Una volta dentro, si guarda attorno curiosa e trova dei fiammiferi e dei

224

Ibidem.

225

giornali per accendere un fuoco, continuando a rivolgersi sottovoce al suo bambino e a se stessa. Poi esce fuori per prendere delle foglie secche e dei bastoni, e resta assorta seguendo con lo sguardo un uccello che sta cinguettando. La macchina da presa la riprende in campo medio e si sofferma qualche secondo su di lei con lo sguardo assorto, in silenzio. Tornata dentro, Lorna chiude la porta e si sdraia su una panca davanti al fuoco, cercando di prendere sonno. Continuando a parlare con se stessa, e mettendosi una mano sulla pancia, augura al suo bambino di dormire bene.

Questo finale, che lascia aperte diverse possibilità per la protagonista, mantiene una fessura, quello spazio intimo e “segreto” già citato che è stato definito da alcuni come lo spazio dell’alterità, in cui è impossibile entrare totalmente, uno spazio che è anche << un espace de responsabilité >>226

dello spettatore davanti all’immagine.

Anche la questione della responsabilità etica tipica del cinema dei Dardenne, infatti, ruota intorno al corpo e alla sua immagine, che pone sempre problema e che permette ai personaggi una vera e propria svolta morale. Lorna, non a caso, deve scegliere se far fuori o no Claudy, e la sua scelta finale, quella di salvarlo, contiene già un cambiamento etico radicale, che ne è sia il presupposto che la conseguenza diretta. Mostrando la metamorfosi graduale della protagonista, inizialmente cinica e disillusa nei confronti degli altri ma successivamente capace di provare dei sentimenti autentici nei confronti di un’altra persona, i registi si servono del cinema e della macchina da presa intesi come << un moyen d’accéder à l’humanité, (…) de capturer le regard humain >>227, ovvero un mezzo attraverso il quale filmare la nascita e la costruzione dell’umanità del personaggio, colto nel momento di una scelta cruciale in cui verrà messa alla prova la sua moralità.