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1. Part one

2.4 Riprendendo la Memoria

2.4.6 Il Blues Del Fantino Bianco

I.

"Le persone vengono in America per dimenticare" disse lui, sfregandosi il mento. "Di sicuro lo avrai notato?"

Lei gli lanciò un'occhiata. Fuori la strada era piena di macchine. "Qui" disse lui, "dimmi cosa stai fotocopiando e perché"

"Una poesia" mormorò lei.

"E come mai proprio quello?" disse puntando il dito verso le pagine del libro. "È una poesia di Bobrowski" rispose. "Si chiama 'Lingua Morta'48".

Appena lei finì di pronunciare queste parole vide un altro dietro di lui, aveva il collo storto. Notò che l'oggetto pesante che quest'altro aveva in mano era una testa, la sua stessa testa. Dalla bocca e dai buchi che un tempo avevano contenuto gli occhi usciva del fumo.

"Perché lui è qui?" sussurrò lei, indicando.

II.

Come se le radici fossero fenditure, un'oscurità a doppia arcata che si divide nel suolo umido, particelle separate sia nutrite che ferite, la voce che si fa sentire, di nuovo. Il linguaggio essenziale quanto l'umidità alla radice in espansione, linfa per il tronco, carne per lo sparo succulento, è spezzato, ancora e ancora: vocali strappate, sillabe scuoiate. Nessun inizio, nessuna fine lì. Il grosso ramo si sta sempre spezzando, la

rockaby baby 49 che piroetta nell'aria.

48 Titolo originale della poesia: "Dead Language" (vedi Scrase, Understanding Johannes Bobrowsky).

49

Fa acrobazie nell'aria, l'aria in fiamme, le sottogonne strascicano e producono fili di fumo.

L'uomo bianco su un cavallo si muove veloce per il palazzo della Regina Victoria. Scuote il frustino che impugna. Non riesce a tollerare il rumore in testa. Desidera ardentemente il silenzio, il silenzio assoluto. I nativi devono crescere, la loro condizione va migliorata.

Il cavallo sbuffa verso gli specchi portati dall'India, la mica rifinita sui bordi con il platino, decorati con motivi di foglie di mango e gelsomino. Gli specchi mal si

adattano all'umidità del palazzo. Il cavallo corre attraverso lo specchio, sulla destra. Il fantino perde la testa. "Umph, umph, buono, buono" riesce a dire a singhiozzo.

È sul punto di soffocare, un corpo, privato della testa, che deve vedere sé stesso nell'atto di guardare.

Le mappe sono vuote, bianche. I nomi dei posti sciamano come insetti.

III.

Come ho imparato questa lingua?

Era una bimba in carne e dalla carnagione scura. Bruttina, tagliata fuori, che rubacchiava le parole nell'angolino di tapioca, al limitare della tavola da pranzo. Gorgogliando parole come il vecchio tacchino fa con il suo barbiglio scarlatto. Guardando il cavallo bianco correre sulla strada polverosa in direzione della chiesa. Guardando il fantino senza testa mentre veniva guidato fuori dalla chiesa.

Mi porse la sua testa.

Le coste americane si avvicinano sempre di più, le Rocky Mountains, le fessure riempite dalla mica e dalle rocce ignee, i canyon del Colorado, i deserti dell'Arizona e

del New Messico, le coste dell'isola di Manhattan, il ponte di Brooklyn, che ondeggia sulle sue corde d'acciaio, adatto a una nuova nascita, adatto per le centinaia di macchine, camion, biciclette, pedoni.

Mi levo i miei chappal50 e attraverso il ponte a piedi scalzi.

Il metallo brucia. Davanti a me si trova il fantino. Smontando da cavallo, indica la via. Dalle mani esce del fumo. Tiene la testa fra le braccia, con cautela.

Quando superiamo la torre dell'orologio con le insegne a neon - "La Fine del Mondo è a Portata di Mano"- lui ha un singulto.

IV.

Le sillabe dall'altra parte del ponte, vicino all'edificio dei Testimoni di Geova, sono avvolte dal fumo. C'è fumo nella mia bocca, negli occhi.

Questa è la mia autobiografia.

Quando l'infante cade dalla culla (le lenzuola della culla sono sollevate, la madre piange sommessamente nelle sue vesti, pronta per il matrimonio), la bimba trema nel suo vestito leggero.

Uno dei suoi denti davanti, fragile come una perla, si sta staccando. Le sue labbra sono color prugna, troppo ampie e separate per poter essere modeste.

Lei sta cadendo ora, con il minuscolo neonato, con la vecchia donna già fluante nell'acqua. Le gonne della bimba galleggiano verso l'alto, rivelando le sue cosce e il morbido, succulento calore della carne interna.

Le sue gonne stanno bruciando.

Forse il vento spegnerà le fiamme, raffredderà le sillabe.

50

Un tipo di calzature utilizzate in India, Mauritius e Pakistan , simili a un sandalo (vedi def. Oxford

V.

Lei percorre tutto il ponte. È così vicina, subito dietro al fantino, così tanto che riesce quasi a toccarlo. La sua schiena diventa mano a mano più tenebrosa, lei riesce a malapena a vedere il moncone sul suo collo a causa di tutto quel vapore. Esalazioni fumose che provengono dalle macchine poste subito dietro ai camion.

Il ponte ondeggia sotto di lei. Le onde luccicano, vetro sulla macchina xerografica.

La luce rimbalza attorno al suo viso. Riesce a scorgere il suo volto nelle nere acque dell'East River51, illuminate dalla luce.

"Io sono la memoria!" grida lei. Allunga le mani verso l'acqua. I suoi piedi, mentre si muove verso l'altro lato, sono fermi e freschi.

Le automobili emanano bagliori più piccoli delle formiche, colate, trattenute dai loro percorsi.

Il fantino ha forse lanciato la sua testa nell'East River?

Una striscia di perle, un rantolo improvviso, poi qualcosa che assomiglia molto a un elmo coloniale galleggia sotto la chiglia di una barca in transito.

Le onde si ammassano, più bianche delle pagine strappate da un libro. Il libro di chi? Mentre attraversa il ponte, vede i versi che può scrivere in un copione fluido.

Ardono le lingue del nuovo mondo.

51 L'

East River è un braccio di mare interno alla città di New York: pone in comunicazione il Long Island Sound con la Upper New York Bay e divide i quartieri newyorkesi di Manhattan da quelli di Brooklyn e di Queens su Long Island. Attraversato da vari ponti, e, in galleria, da diverse linee ferroviarie. (vedi def. Enciclopedia Treccani).