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1. Part one

2.3 Traducendo la Violenza

2.3.4 Marchi Accidentali

Nell'opera di Joseph Conrad Heart of Darkness, Marlow parla di come, durante l'infanzia, fosse affascinato dalle mappe, i loro "spazi bianchi" lo attraevano. Più avanti, in età avanzata, questi spazi, seppur riempiti con fiumi e laghi, si ridussero a essere aree di "oscurità". Ma quello che è una zona oscura per l'uomo inglese, è il luogo della vita di ogni giorno per coloro che in quelle zone ci vivono. La fragranza delle foglie non è cambiata e nemmeno i colori del cielo.

Eppure i nomi attribuiti dal colonialismo distruggono la pregnanza del conoscere comune, della vita quotidiana.

Come sarebbe essere una donna che sta al limite dell'acqua, in una tale "zona di oscurità", mentre urla verso l'uomo bianco che entra nel suo mondo, cambiandolo per sempre? Come si può capire il terrore di una storia che ha distrutto il nome dei luoghi, facendo a brandelli il significato in modo tale che ciò che lei ha conosciuto come il suo mondo abituale diventi l'oscurità di qualcun altro? Come sarebbe per sua nipote cinquanta, settanta, cento anni dopo cercare di riprendersi quell'albero, quel fiume, quel retaggio, e in quell'atto di dare un nome rifare ancora una volta il mondo?

È frammenti come questi, dai muscoli, ossa, schegge di ferro, fionde e proiettili, la crudeltà di un mondo strappato ai nostri sensi corporei, che iniziamo a creare le nostre storie postcoloniali, che iniziamo a tirare fuori date e luoghi, lo scorrere dei fiumi, a rivelare un significato che fu sommerso, la muta memoria ancestrale.

E quindi viaggiare nella mente attraverso i luoghi che si sono conosciuti, è anche raschiare la storia, rivelare i nodi, i segni accidentali del significato e delle circostanze che compongono le nostre vite. Lasciare che si schiudano le vite ordinarie mentre si scontrano con le grandi narrazioni della storia, i dettami del desiderio risoluto contro le

presunte verità che abbiamo imparato. La poesia diventa parte di questo lavoro difficoltoso, tessendo una stoffa che possa sostenere le fila nodose e annodate delle nostre vite. Poi, anche, attraversare un confine può significare morire un pochino. E lo shock della nuova vita arriva, rompendo la vecchia pelle, le vecchie abitudini della consapevolezza.

Scrissi "Great Brown River" nei miei primi anni in questo paese, camminando lungo la riva del Mississippi. Avevo conosciuto quel fiume durante l'infanzia, dai libri di geografia, subito dopo il Nilo, mi dissero, in fatto di lunghezza e maestosità. Mentre camminavo sulla terra marrone, sulle radici contorte, vidi i binari vuoti che connettono questo continente nordamericano. "Perché le onde devono essere come spade?" mi chiese una volta un uomo dopo aver letto la poesia. Non avevo una risposta allora, ma pensandoci ora, magari, è perché hanno bisogno di penetrare attraverso il nuovo. Gli antenati strisciano fuori dai buchi nella terra coperti dai binari. Toccandoli, potrebbe essere possibile dare un nome alla terra di nuovo.

***

I nostri viaggi ci conducono al tempo che deve venire. Ci costringono ad addentrarci nelle densità specifiche delle nostre vite, i canali dell'arte. Una delle mie poesie lunghe, "The Storm", arrivò a me in un centro commerciale freddo nell'upstate di New York. Ricordo il retro della macchina caricata di plastica della spesa, latte, cereali, broccoli, peperoni, l'asfalto freddo tutto attorno, il cielo grigio. Provai a prendere appunti in macchina mentre giravamo nel parcheggio, cercando l'uscita. Gli appunti divennero le strofe della poesia.

"The Storm: A Poem in Five Parts" segna un viaggio. Si apre evocando mio nonno paterno, il quale distrusse la sua casa di famiglia, legno di teak e bronzo, vecchia di secoli. La buttò giù per costruirne un'altra completa con acqua corrente ed elettricità. Per arredare la nuova casa usò dei mobili acquistati tempo fa dal "British Resident"33.

La poesia passa poi al difficile passaggio sull'immigrazione. Kerala è un luogo di migrazione. È adesso come l'Irlanda nei primi anni del secolo. Quasi tutti hanno almeno un parente all'estero, nel Golfo o in America.

Scrissi una piccola nota di prefazione per "The Storm":

"Penso a questa poesia come a un ventaglio chiuso, lo stesso che eravamo soliti fare da bambini nei giorni lunghi e soffocanti tipici della stagione che precede i monsoni, aspettando l'arrivo della pioggia, tentando al meglio di scacciare via l'aria pesante. O come a uno dei ventagli di Palmira34 che la nonna appendeva al muro. Le pieghe severe, formali del ventaglio significavano che in qualsiasi momento si potevano vedere solo diversi piccoli pezzi della superficie e anche quelli solo per un istante, mentre ogni parte si richiudeva nella sua concatenazione frammentata. Nel momento in cui la donna o la bimba muoveva la mano, anche il ventaglio cambiava. E indipendentemente che fosse fissato alla parete da un adulto, o tenuto nel piccolo palmo di un bambino, la funzione del ventaglio era il movimento."

Le parole, ovviamente, non possono funzionare esattamente allo stesso modo, ma io penso a "The Storm" come a una narrativa composta da piccoli frammenti, dell'unico tipo con cui la mia vita combacia. L'ordine delle parti, invece di recuperare un'unità gerarchica, freme e si muove durante l'atto della lettura. Dislocamento, violenza, ma anche la risolutezza di un ordine ripetuto sono tutte componenti del mondo

33

Le Residenze dell'India britannica erano uffici politici, ciascuno gestito da un Residente , che si occupava in forma diplomatica delle relazioni coloniali tra l'India britannica e ciascuna delle colonie.

femminile. Non è che abbia il desiderio di escludere la crudezza dei supermercati e degli aeroporti, il materiali livido che si attacca all'immaginazione e deve essere lavato via.