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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

Due scritture degne di considerazione sono venute in luce testé negli A tti della R. Accadem ia delle Sciente d i Torino (vol. X X I I , pag. 75 e 87).

L a prima è opera del prof. Er m a n n o Fe r r e r ò , il quale discorre de L a p a tria d i P ertin a ce , confutando 1’ opinione di coloro che lo h anno rite­

nuto ligure d’ A lb e n g a o de’ luoghi circostanti, mentre egli rico no sce v e ­ ridica l ’ afferm azione di Dio ne C assio, che assegna A l b a c o m e patria di quell’ imperatore. L a seconda m em oria è dettata da Fe d e l e Sa v i o, già noto per un buon la vo ro sopra i m archesi di M on fe rra to ; egli seguitando que’ suoi studi m archionali raccoglie qui accurate notizie intorno al Marchese Bonifacio del Vasto ed Adelaide contessa d i S ic ilia reg in a d i Gerusalem m e.

È noto che Bonifacio tu signore di S a v o n a e d’ altre terre della L ig u r ia , e che da lui discesero i m archesi di C e va , C la ve san a e del Carretto.

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O ra solamente ci viene sotto gli occhi una m onografia di Fr a n c e s c o Ma z z e i, L a M acine a M ontughi, v illa storicamente illustrata, Fire n ze , L e Monnier 1 8 8 5 ; quivi la parte m ag g io re riguarda i casi di L i v i a Vern a z z a genovese, m oglie di D . G iovanni De M ed ici, alla quale appartenne la villa, e dove m orì. E g l i attinge la sua narrazio ne da curiosi ed im p o r­

tanti documenti dell’ A rc h iv io di Stato di Firenze. F in o dal 18 8 2 il Bei- grano a ve va ricordato le vicende di questa d o n n a, pur g io v a n d o si di a l­

cuni documenti dello stesso archivio (cfr. Caffaro, 18 8 2 , n. 269-275).

BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

V . Ca s a g r a n d i; Lo Spirito della, Storia d ' O ccidente— Parte I, Genova,, Sordo-muti, 1886.

L ’ A . dall’ esame dei fatti ha dedotto le leggi che g o ve rn a ro n o il mondo occidentale dalla caduta dell’ Im pero R o m a n o al chiudersi del Medio E v o . Il concetto è per conseguenza perfettamente consentaneo alla critica positiva che accetta ormai con diffidenza , o rifiuta le teorie che non siano il rigoroso corollario dei fatti d o c u m e n ta ti, per quanto esse

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possano stimarsi acute e profonde. L ’ opera del Casagrandi potrebbe quindi, tra le parecchie che se ne contano, compararsi soltanto alla Storia della C iviltà in Europa del Guizot, salvo che lo scrittore fra n c es e , fu costretto a valersi di una sintesi più rapida nel vasto spazio di tempo da lui abbracciato.

L a lotta secolare combattuta tra le maggiori Unità del Medio E v o : Impero, Papato e Comuni, è ritratta dal Casagrandi nelle sue supreme ragioni con grande evidenza ; e il libro dell' A. è la miglior dimostra­

zione delle leggi naturali che presiedono al governo dell’ Umanità, al di sopra e all infuori di ogni capriccio individuale. Due razze, due concetti diametralmente opposti si trovano di fronte: germani e latini, individua­

lismo e Stato. Il Papato è Γ erede e il prosecutore di R om a, come Γ I m ­ peratore è l ’ erede e il prosecutore dei Cesari. L ’ audace ideale di Gre­

gorio VII non poteva effettuarsi, perchè era la violenza di un uomo alle leggi fatali della Storia. Un impero teocratico era tanto impossibile quanto un impero mondano fondato unicamente sulla forza materiale. Difatti il nemico del vecchio principio autoritario è già sorto, il Comune, che non tarderà a collocarsi, come avversario formidabile, di fronte al Feudalismo ed al Papato ad un tempo. Casa Sveva , malgrado il genio riformatore de’ suoi principi, malgrado il sapiente dispotismo di Federico II che preveniva il Rinascimento nel disegno di creare uno Stato come opera d’ arte, è fatale che soccomba sotto i colpi concordi dei Comuni e del Papato. Ed allora quest’ ultimo trionfa, ma troppo tardi : un nuovo spi­

rito che non era più quello di tre secoli prima , aleggia sulla vecchia Europa e la sommove dal fondo; i Pontefici non 1’ hanno presentito e il tentativo di Bonifacio VIII, come riproduzione di quello d’ Ildebrando, fi­

nisce con l’ invendicato oltraggio di Anagni. Dante volge già in mente il pensiero della D ivina Commedia e gli albori del Rinascimento sono visi­

bili sull’ orizzonte della Storia. I caratteri di cotesto solenne rivolgi­

mento dello spirito sono còlti dall’ A. con acume e verità. Non avrei però data troppo parte all’ individualismo, nella ricerca delle cause per cui l’ Italia non potè raggiungere quell’ unità che fu per gli altri Stati il sommo desiderato nel sec. X V . Pare a me che le potenti individualità onde la nostra penisola fu feconda in quel secolo, fossero una conse­

guenza delle Repubbliche stabilitesi nel centro ed al nord, ed in c u i , o democratiche o aristocratiche che si fossero, prevaleva pur sempre il con­

cetto dello Stato romanamente costituito : pochi privilegiati con una gran turba di esclusi. Gli esclusi diventavano fuorusciti, capitani di ventura, e se la fortuna arrideva, principi. Così il Comune era minacciato da ciò

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che fo rm a v a 1’ essenza stessa della sua costituzione. D ’ altra parte il prin­

cipio m onarchic o contrastato e indebolito dai Papi, era impedito di giu n ­ g e re a ll’ unità e poteva tutt’ al più adoperarsi in quella specie di bilancia p o l it ic a , che d ov eva cadere in frantumi al prim o urto delle m onarchie straniere.

C o si pure a p. 14 8 vorrei determinato più precisam ente il divario tra Medio E v o e R in a sc im en to nel culto prestato a R o m a . Il Medio E v o , oltre la venerazioue che 1’ Urbs incuteva come sede dei P o n te fic i, venerò ancora in lei l ’ im peratrice del mondo a n t i c o , m a a suo m o d o , travestendo tutto in una concezione mistico leggendaria. Basti per ciò la lettura dei M ira b ilia . G li umanisti risuscitarono 1’ Urbs storica, 1’ Urbs di A u gu sto e di T r a ia n o . L ’ opporre quindi senz’ altro la R o m a dei P a p i a quella degli U m an isti potrebbe ingenerare qualche inesattezza nella mente del lettore.

M a io mi ve rgo gn o quasi di trattenermi in simili inezie, quando tutto il volume è p rov a mirabile di un’ erudizione vasta, sicura, ordinata. A lla trattazione del Medio E v o , secondo l ’ idea generale che io ho· m alam ente tentato di tratteggiare, 1’ A . ha fatto tener dietro per som m i capi quella dell’ E v o M oderno, non vo lendo che l ’ opera dedicata specialmente ai g io ­ vani lasciasse una lacuna. D el resto 1’ A . ci promette fra poco una se­

conda parte in cui questo importante periodo che ci tocca così da vicino sa rà trattato con l ’ ampiezza voluta. E io non dubito che farà degno se­

guito alla prim a.

An n e t t a Ga r d e l l a Fe r r a r i s; Manine bianche, T ip . M arittima 1886.

Son dodici bozzetti in cui si rivelano le qualità già note della distinta autrice; e il prim o che apre la serie fornisce anche il titolo gentilissim o del volum e. Manine bianche che più pietose di tante altre innam orate, ma forse più inesorabili, sollevano il velo che copre molte m enzogne, molte colpe, molte debolezze della povera v i t a ; piccole manine bianche di si­

gnora che sentono il fascino di tutto ciò che è delicato, che è b u o n o , che è sano e rifuggono da un contatto volgare e plebeo come da un peccato.

Non posso svolgere un libro che, per dirla coll’ A lig h ie ri, chiuda ve rsi d ’ amore 0 prose d i rom an\i, senza sentirmi trascinato a gu ard arlo dal suo lato psicologico, a considerarlo come l’ espressione, individuale senza dub­

bio, ma riflessa dei sentimenti, dei pensieri o lieti o tristi che passano per l’ anim o di molti in un determinato momento della vita sociale. E

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colla prolungata e assai volte artificiosa analisi del sentimento umano è ormai innegabile. Poiché adunque cotesto genere letterario è destinato non solo a divertire, ma inconsapevole esso stesso , a r i fo r m a r e , non sarà mal fatto, mi sembra, considerarlo anche sotto quest’ aspetto nelle diverse sue manifestazioni. Fingiamo dunque che uno del lettori del v o ­ lumetto, seguendo tale indirizzo d’ idee , ci faccia alcune domande alle quali noi procureremo di rispondere.

Quali sono le tendenze dell’ autrice? Sotto quale aspetto considera essa la vita ? C h e concetto dimostra essa di avere circa le cause finali che de­

terminano le azioni umane e sul grado di responsabilità che spetta a chi ne è 1’ autore?

Le domande potrebbero moltiplicarsi, ma bastino quelle fatte per lo scopo nostro. Il genere tutto intimo e psicologico de’ brevi racconti ci permette di rispondere alle inchieste.

L ’ autrice veramente dalla esperienza della vita non riporta una sensa­

zione ridente : direi quasi che il suo sguardo è nero , se non fosse cor­

retto da una suprema indulgenza.

Osservate le debite proporzioni, avviene a lei ciò che al Leopardi pro­

satore: 1' osservazione cessa di essere dolorosa per farsi sobria, direi quasi cristallizzata : ma il Leopardi ha il sorriso del sarcasm o, la nostra au­

trice quello più mite della compassione. Si leggano ad e se m p io : D on­

n in a fra g ile , D i chi la colpa?, Vae soli. Si sente fremere in quelle pagine tutto un mondo di piccole colpe, di piccole debolezze sulle quali si è steso il sorriso triste e rassegnato dell’ autrice. I quadretti di genere de­

licato, affettuoso come: Raggio di sole, Presentimenti, Mamma dorme, Vo­

cazione, fanno grazioso contrasto con le tinte cupe degli altri, stanno quasi ad indicare una serie di oscure virtù, di gentili e sereni affetti che sono ancora possibili in questa vita amara e che basterebbero ad abbellirla.

Ma che farci se la pianta uomo è mediocre, se è intristita in un aere corrotto, se le piccole perfìdie prevalgono alle modeste virtù? Questo il pensiero che aleggia su tutte le pagine del volumetto, donde traspare una filosofia un po’ pessimista che non si diverte però mai a fare le solite frasi reboanti, ma mette in rilievo brevemente, semplicemente il male e assegna imparziale a ciascuno la sua parte di colpa.

Mi piace constatare che il fatalismo fisiologico come 1’ ha giustamente chiamato, parmi, il Bourget, fatalismo fisiologico messo di moda dalla scuola naturalista dello Zola e de’ suoi imitatori, qui è ridotto ne’ suoi giusti confini. Può egli negarsi l’ influenza dell’ ambiente sull’ uomo ? O quella dell’ atavism o? Chi lo tentasse ne avrebbe una smentita dalla

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scienza. M a d’ altra parte, è egli giusto 1’ inferire che cotesta influenza sia tutto n e ll’ odierna società, che responsabili non ce ne sono più, ma soltanto disgraziati colpiti da infermità morali che la società o lo Stato avrebbe 1’ obbligo di compatire e di curare ? Fino a che 1’ uomo potrà ripetere a se stesso la form ula di Cartesio, senza che la coscienza se ne rivolti com e di una menzogna, fino a che 1 ’ uomo sentirà essere in suo potere il v ivere da galantuomo o da furfante, simili affermazioni para­

dossali faranno sempre sorridere di incredulità.

È bello che la donna ne’ suoi scritti dia insegnamenti di responsabilità m ora le , essa che vede la sua mite influenza nella società, più che non converrebbe, disprezzata o contraddetta. Da queste tendenze dell’ autrice ne deriva una vena di delicata verità e di schietta efficace rappresentazione c h e io chiam erei, come uno de’ nostri buoni a n tic h i, la vena del cuore.

N iente d’ elegia co , nessuna delle situazioni artificiose o vaporose, arca­

dico sentimentali di cui alcuni tardi esumatori del settecento , come di gr a n novità, si compiacciono.

Peppuccia è una pagina della miseria del p o p o lo , Vae soli l’ immagine della sorte che tocca a molte donne condannate a m orir zitellone, Triste tramonto la colpa che inspira pietà perchè l ' espiazione è ben dura. Il filo che collega il racconto è talvolta assai tenue, non mai lambiccato.

In certe pagine il lettore vorrebbe bensì una rappresentazione più dram­

matica e quando si vede l ’ autrice affrettarsi alla fine , allo scioglimento di quel nodo che essa aveva aggruppato con tanta finezza d’ osservazione, vien fatto più d’una volta di e s c la m are: peccato. Ma la Ferraris al nostro rimpianto potrebbe rispondere con ragione che essa non ebbe intenzione di darci il d ra m m a , ma le linee del dramma, il disegno estetico insomma che potrebbe quando che sia sollevarsi allo splendore della tela ricca di colori e di poesia. Già è poesia umana e vera il semplice disegno.

E d io faccio sinceri augurii che ciò avvenga ben presto.

Q uattro poemetti del Professore Fr a n c e s c o Ba l d a s s a r r i , Faenza P . C o n ti 1 886.

L ’ autore è, per verità, animato dalle migliori intenzioni. E g li si pro­

pone di « g iovare non meno alle buone arti e agli studi ameni che alla s a n a m orale e alla re ligio n e , ritraendo con colori tolti dalla vera storia d e ll’ età nostra, quali sono fra noi le discipline gentili e mostrando indiret­

tamente quali esser dovrebbero » (Pref., pag. vi). Pubblica pertanto quattro poem etti scritti in varii tempi e collegati in certo qual modo l’ uno

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Γ altro : I poeti idealisti e veristi — L a gloria nella letteratura moderna — L arte moderna — L ’ insegnamento moderno. — Ad imitazione del Parini si serve dell’ ironia, e se nei due primi poemetti si contenta di pungere qua e là leggermente , nel terzo e nel quarto pare voglia qualche volta sferzare a sangue. Sovente però cade, secondo noi, nell’ esagerazione e fa supporre che abbia preso a scrivere fermamente deciso a biasimare e trovar cattiva ogni cosa. Noi non pecchiamo certo d’ ottimismo, ma anche senza nuotare a pieni polmoni nell’ azzurro, non vediamo la necessità di metterci sul naso un paio di lenti affumicate. Ora, a voler prendere alla lettera le parole dell’ autore, bisognerebbe veramente disperare dei tempi moderni, i quali sarebbero i più infami e scellerati tra tutti i tempi pos­

sibili.

Il verismo in arte ed in letteratura : ecco ciò che attira specialmente i sarcasmi del Prof. Baldassarri, che nutre contro di esso un odio feroce.

Ma bisogna pure concedere che il verismo ha anch’ esso avuto il suo lato buono, giacché ha corretto l’ esagerazione dei sentimenti di cui fece tanto spreco il romanticismo della seconda o terza maniera, e che una gran parte dei danni e degli inconvenienti enumerati dall’ a u to re , non devono essere ascritti tanto al verismo, quanto agli eccessi dei veristi. Pur troppo le cose anche migliori possono diventare cattive, e tutti gli eccessi saranno sempre riprovevoli. Ma perchè un gran numero di veristi pescarono nel fango riuscendo spesso triviali od osceni, non ne consegue che tutti si compiacciano unicamente e sempre del turpe e del deforme. I monellacci effigiati in marmo, dagli atti vivi, dagli occhi truculenti e d’ ira pieni (pa­

gina 52) ; lo scolpito crapulone

Che curvando la schiena , e con le mani Premendosi le coscie, altiui mostrava Che lo stomaco irato avea gran fretta Di gittar per la bocca il grave peso Del soperchio del cibo (ivi) ;

il pregiato lavoro di moderno scalpello, rappresentante una m a d r e , irta le chiome e con acerbo piglio che

. . . . Toglieva al figliuol squallido e brutto Le immondezze del capo (ivi),

sono fortunatamente eccezioni e non costituiscono la regola. Se anche i nostri artisti non ritraggono sempre nelle tele e nei marmi la chiara im­

presa dei padri, come vorrebbe l’Autore, e ci regalano ogni tanto quadri di genere, alcuni dei quali per verità graziosissimi, non bisogna perciò

8o G IO R N A L E L IG U S T IC O Da’ prischi monumenti hanno disperso E i giudizi degli avi al tutto estinti (pag. 157)·

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