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Capitolo III Governare terre contese: fonti e conflitti per l’utilizzo di boschi e pascoli

2) I L BOSCO DI S ANREMO

2.a) Le risorse forestali del Ponente ligure

Dalla seconda metà del Quattrocento le foreste italiane ed europee subirono un inarrestabile ridimensionamento. La riduzione della superficie boschiva fu causata dal concorso di svariati fattori, più o meno correlati tra loro: crescita della popolazione, estensione degli spazi coltivati, maggiore utilizzo del legname per la cantieristica e l’attività artigianale, incremento del pascolo. Già Braudel aveva constatato la cronica (e perennemente insoddisfatta) domanda di legname da parte degli Stati cristiani al tempo di Filippo II. Più recentemente Williams, in uno studio di global history sulla deforestazione, ha messo in luce come la crisi ambientale prodotta dall’industrializzazione sia soltanto l’ultima tappa di un utilizzo massiccio delle foreste del pianeta partito già durante l’età classica. Un dato costante attraverso i secoli è stato infatti il disboscamento volto a soddisfare innumerevoli necessità, dal fare spazio ad un’agricoltura estensiva, al rifornire di legname flotte ed eserciti, fino all’alimentare le prime industrie288.

Per la Liguria, è stato Massimo Quaini a porre in discussione il giudizio dato da Heers sulla Liguria come regione senza boschi, dimostrando come in realtà le diverse foreste situate prevalentemente a Ponente, sebbene anch’esse oggetto di pressioni crescenti da parte delle comunità locali, riuscirono a rifornire comunque di legname i cantieri navali almeno fino al XVIII secolo, quando la penuria di materia prima fu dichiarata apertamente289. La trasformazione dei

boschi liguri iniziata nel tardo medioevo portò alla diffusione del castagno e dell’oliveto e alla sostituzione delle querce con i faggi. Sintetizzando questo processo, Diego Moreno ha usato l’efficace espressione «bosco come manufatto» proprio per indicare una risorsa naturale pesantemente modificata dall’uomo per i propri bisogni e allo stesso tempo in grado di prestarsi a

diverse forme di occupazione e utilizzo290. Le caratteristiche della microeconomia locale

influenzarono le modalità di sfruttamento dei boschi e, di conseguenza, anche le norme preposte

288 Pregevoli per sintesi e completezza le pagine di G. CHERUBINI, Il bosco in Italia tra il XIII e il XVI secolo, in Il lavoro, la

taverna, la strada. Scorci di medioevo, Napoli, 1997, pp. 95-114, in cui l’autore nota come l’intensificarsi della legislazione di tutela forestale interessò tutti gli Stati italiani a partire dal primo Cinquecento. I dubbi espressi dall’autore sul difficile accertamento dei diritti di proprietà e delle pratiche d’uso delle foreste e delle tecniche di lavoro sono in parte stati risolti proprio dagli studi sui beni comuni. Lo studio del disboscamento su vasta scala a partire dall’età antica è di M. WILLIAMS, Deforesting the Earth. From Prehistory to global crisis. An abridgement, Chicago, 2006.

289 Cfr. M. QUAINI, I boschi della Liguria e la loro utilizzazione per i cantieri navali: note di geografia storica, in Rivista

geografica italiana, 75 (1968), pp. 508-537, contributo risalente ma ad oggi in sostanza insuperato.

290 Cfr. D. MORENO, Dal documento al terreno, cit., pp. 181-204; G. M. UGOLINI, Utilizzazione del bosco e organizzazione

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alla loro disciplina. La presenza di numerose ferriere localizzate in zone specifiche (Sassello, Masone, Finale dopo l’acquisto nel 1713) scoraggiò ad esempio l’estensione dei coltivi a danno della superficie boschiva. Allo stesso tempo, se gli alberi utilizzati per “far carbone” erano castagni – la cui coltivazione si era diffusa già a partire dal XVI secolo – ecco che si poneva l’ulteriore problema di non eccedere nel disboscamento per non privare le popolazioni di un alimento essenziale291. Non va tuttavia instaurato un nesso deterministico tra andamento delle attività

economiche locali e domanda di legname292.

La compresenza di diritti comunitari e feudali indusse Genova a promuovere una politica di interventi mirati. Era però necessario conoscere precisamente lo stato delle selve sotto i profili ambientale e giuridico. Per questo motivo nei primi anni del Seicento furono svolte diverse relazioni sui boschi delle Riviere, che ci danno conto dei boschi di Taggia, Ceriana, Triora e Badalucco. Altri importanti boschi si trovavano poi a Savona, a Sassello, sulla dorsale appenninica ricadente sotto la giurisdizione del Capitanato di Voltri (il bosco d Ovada) e a Parodi Ligure in Oltre giogo293. Dal punto di vista giuridico il quadro è senz’altro complesso. In sintesi si può dire che

accanto ai boschi “camerali”, situati nei dintorni della città (boschi di Ovada e Parodi, bosco di Savona) acquisiti al dominio della Camera fiscale genovese e alla cui amministrazione furono preposti alcuni Procuratori della Camera medesima, le altre selve, più lontane dal capoluogo, furono al centro di un tentativo di acquisizione allo Stato compiuto solo in parte.

Le comunità ponentine infatti non rimasero immobili di fronte alle pretese di dominio avanzate dal governo genovese. Baiardo, Taggia, Badalucco si opposero allegando il loro antichissimo possesso sui boschi, non di rado confermato da precedenti sentenze e decreti del

291 Oltre ad A. ZANINI, Strategie politiche ed economia feudale ai confini della Repubblica di Genova (secoli XVI-XVIII).

Un buon negotio con qualche contrarietà, Genova, 2005 pp. 143-161, vedi anche G. DORIA,G.SIVORI, Nell’area del castagno sulla montagna ligure: un’azienda tra la metà del Seicento e la fine del Settecento, in Quaderni storici, 39 (1978), pp. 937-954; G. BENVENUTO, Un bosco applicato a ferriere: economia e società a Masone nei secoli XVI-XVIII, in La Berio, XXIII, 1 (1983), pp. 47-59. Sull’uso dei boschi per la produzione di carbone vedi anche il già citato lavoro di D. MORENO, Querce come olivi, cit., pp. 117-122.

292 Come mostrato da Calcagno nel caso di Savona, il calo e poi la ripresa della cantieristica savonese non sono da

collegare alla maggiore o minore disponibilità di materia prima del nemus savonese, ma alle caratteristiche dei traffici cittadini e alle mutevoli condizioni del mercato del lavoro, cfr. P. CALCAGNO, Savona porto di Piemonte. L’economia della città e del suo territorio dal Quattrocento alla Grande Guerra, Novi Ligure, 2013, pp. 158-163.

293 Sul bosco di Savona vedi M. T. SCOVAZZI, Il grande nemus di Savona nella storia politica ed economica della Sabazia e

della Repubblica di Genova, in «Atti della Società Savonese di Storia Patria», XXVII (1949), p. 5-54; G. FALCO, Nemora et terras… Appunti per una storia di due boschi medievali savonesi, gli Iliceta e le Scalete, in «Atti e memorie della Società Savonese di Storia Patria», n.s. XXXVI (2000), pp. 73-96; G. ASSERETO, La città fedelissima, cit., pp. 80-82; P. CALCAGNO, Savona, porto di Piemonte, cit., pp. 155-174. Sul bosco di Ovada vedi il già citato lavoro di D. MORENO, La colonizzazione dei “Boschi di Ovada”, cit. Sul bosco di Sassello vedi E. GRENDI, La pratica dei confini. Mioglia contro Sassello, in Quaderni storici, 63 (1986), pp. 811-845.

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governo di Genova. Dal confronto che ne seguì le comunità ottennero la riconferma dei loro usi civici esercitati sui boschi, in cambio di una generale cessione allo Stato dell’uso dei «roveri, e legnami da garibo di sorte», il cui taglio era riservato alla flotta della Repubblica294.

La confusione tra boschi camerali e comunali permase, spesso entro i limiti della stessa area silvestre295. Le fonti giuridiche, composte da poche gride generali e da una gran massa di

ordini e decreti specifici per singoli boschi, rivelano la refrattarietà del governo a considerare il complesso delle risorse forestali come un unicum, regolabile con atti generali. La stessa efficacia delle leggi a tutela dei boschi, più volte prorogate e ripubblicate, è da porre in dubbio296. È sul

piano dell’intreccio tra fonti statali e locali pertanto che si costruì una disciplina parcellizzata, certo, ma aderente alle pratiche di utilizzo del bosco e diretta a segnare di volta in volta il punto di equilibrio tra uso civico e sfruttamento economico.

La risorsa di cui vogliamo occuparci in dettaglio è la grande distesa boschiva situata a Sanremo, uno dei centri economicamente più vivaci della riviera di Ponente. Come riscontreremo anche a proposito della gestione delle acque interne, Sanremo mostrò particolari cure nell’amministrazione delle proprie risorse naturali, riformando i propri uffici e innovando la

294 Emblematico è il caso di Taggia. Il bosco era utilizzato dalla Repubblica per la costruzione di galee, ma la comunità

se ne era servita nel corso del tempo per il pascolo e le necessità dei propri abitanti. Nel 1618 il Magistrato dell’Arsenale emanò una grida generale con la quale si proibiva il taglio di qualsiasi tipo di albero nel bosco taggiasco e di estrarre altre risorse, con pene che andavano dall’ammenda pecuniaria ai 5 anni di remo. Misure che abolivano l’uso civico di legnatico e di pascolo riconosciuto da decenni dal governo a favore dell’universitas di Taggia, da cui erano sempre stato esclusi gli alberi impiegati nella cantieristica. Dopo le proteste degli Anziani, la Camera salvò la grida del Magistrato dell’Arsenale e contestualmente accolse la richiesta di Taggia, ripristinando lo status quo e qualificando come “concesso” alla comunità l’uso civico, in una posizione quindi di subordinazione rispetto alle necessità dello Stato. Anche a Ceriana la Camera genovese intervenne nel 1601 con ordini abbastanza stringenti circa il taglio degli alberi e il pascolo, ma la comunità oppose il continuo possesso della foresta e la natura comunale, cfr. M. P. ROTA, Una fonte, cit., pp. 44-50.

295 Nel 1619 il Podestà di Parodi Ligure informò il Senato circa le usurpazioni commesse dagli abitanti del luogo a

danno dei boschi pubblici presenti nella sua giurisdizione. Il giusdicente ricordò «ch’essa Communità possedeva una buona parte di bosco oltre quello possede l’Ill.ma Camera, quale vien occupato da particolari de migliori del luogo». L’occupazione abusiva ostacolava l’esercizio dei diritti consuetudinari sulle comunaglie dei meno abbienti e per questo il Podestà chiedeva al Senato un decreto in forza del quale costoro potessero «conforme al costume antico tagliar per loro uso, e pascolare». Sebbene il demanio non avesse incamerato integralmente tutte le risorse forestali di Parodi (e di altre comunità del dominio), il Senato restava comunque l’autorità di riferimento per la difesa dei diritti consuetudinari delle popolazioni, ASGe, Senato Senarega, 50.

296 La legge del 1697, più volte prorogata, qualificava come danno ai «boschi publici» la rimozione dei termini

confinari, il taglio di alberi, l’incendio e la fabbrica di carboni svolte senza permesso, oltre a punire alcuni delitti propri dei campari. La competenza giurisdizionale era assegnata ai giusdicenti maggiori ratione loci. Tuttavia quando nel 1783 fu incarcerato l’altarese Lorenzo Berta, sorpreso dai campari del bosco di Savona mentre stava tagliando un albero di rovere, il magistrato savonese informò la Camera che, mancando copia di leggi specifiche a tutela dei boschi della Repubblica «contro il carcerato Berta dovrà aver luogo la pena portata dallo statuto civile de damnis refficiendis, §§ qui in aliena terra». Da Ceriana nel 1785 fu lamentata la medesima incertezza circa le pene da applicare ai danneggiatori e si chiese alla Camera l’invio di una nuova copia a stampa del decreto sui danni campestri nei boschi pubblici, ASGe, Camera di governo e finanza, 609

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disciplina che regolamentava il settore rispetto agli statuti bassomedievali. Il caso sanremese risulta inoltre interessante per verificare la sopravvivenza delle norme d’uso di una risorsa collettiva, anche al mutare dei rapporti politici e giuridici tra la comunità e lo Stato.

L’economia di Sanremo conobbe una decisa fioritura durante l’età moderna, divenendo il più attivo centro di produzione ed esportazione di limoni, arance, cedri, tutelati già dagli statuti del 1435297. Il bilancio comunitario rifletteva le condizioni di benessere, secondo quanto riferirono le

relazioni del primo Seicento. «Detta Comunità non ha né censi, né debiti, né tampoco le ville l’una nominata il Poggio, e l’altra la Colla», e in effetti gli introiti superavano quasi del doppio le uscite (12.300 lire contro poco più di 7.000). Accanto agli agrumeti figurava però anche un’altra risorsa di primo piano: il grande bosco comunale, situato lungo le pendici del monte Bignone alle spalle della città, che costituiva il confine naturale con le comunità di Ventimiglia, Perinaldo, Baiardo, Seborga e Ceriana. Le relazioni dei primi anni del Seicento lo descrivono come una selva in larghezza un miglio in circa e di longhezza da quattro in cinque miglia in circa, inevitabilmente segnato dal lavoro dell’uomo. Oltre agli onnipresenti castagneti, all’interno del bosco di Bignone «vi son compresi molti campi da seminare, et altri campi, e terre boschive, e castneative di particolari». Dunque non mancavano appezzamenti di proprietà privata, coltivati o incolti, mentre sul Bignone si trovavano anche le bandite utilizzate dalla comunità per il pascolo. Infine non si mancò di segnalare che grazie alla «molta diligenza, e ordini buoni» il bosco ospitava diversi alberi ad alto fusto (erici, roveri), impiegabili nella cantieristica, ma tendenzialmente insufficienti a soddisfare la domanda298.

2.b) Il nemus Sanctiromuli: un bosco comune o comunale?

Passando ad esaminare le questioni giuridiche ed istituzionali più salienti, va in primo luogo chiarita la natura giuridica del bosco e la misura dei poteri esercitabili su di esso dalla Repubblica

297 Su questo tratto peculiare dell’economia sanremese il rimando è a G. FELLONI, Commercializzazione e regime

agrario: gli agrumi di Sanremo nel XVII e XVIII secolo, in Scritti di storia economica, cit., pp. 937-954, A. CARASSALE,L.LO BASSO, Sanremo, giardino di limoni. Produzione e commercio degli agrumi dell’estremo Ponente ligure (secoli XII-XIX), Roma, 2008.

298 Quando Gerolamo Doria e Giovan Battista Senarega visitarono il bosco nel 1601 notarono che gli alberi

generalmente utilizzati per le costruzioni navali (roveri, faggi, ma ricordiamo che erano adatti anche noci e tigli) risultavano in certi casi inservibili perché troppo vecchi, segno di uno sfruttamento decisamente modesto della foresta, ASGe, Camera di governo e finanza, 91. Sulla stessa linea il censimento del 1611-1614, che prendeva atto dell’importazione di legname «per far barche» da Varazze e Arenzano, a causa dell’insufficiente numero di alberi adatti, ASGe, Magistrato delle Comunità, 835, c. 53 v. Il bosco di Sanremo è citato anche nella Descrittione: M. P. ROTA, Una fonte, cit., pp. 40-41.

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per le proprie esigenze. Si è visto infatti che in aggiunta alle politiche di disboscamento e di vendita del legname, talvolta praticate dalle comunità come illustrato per Pieve di Teco, anche il governo genovese dalla fine del Cinquecento iniziò a prelevare maggiori quantità di legname anche dai boschi delle comunità più periferiche del Dominio. Le pretese genovesi furono però respinte con successo da Sanremo tramite il richiamo alle due sentenze del 15 e 17 marzo 1361 pronunciate da Andriolo de Mari e Giovanni Cattaneo, arbitri eletti dal Doge Simone Boccanegra e

dai sindaci di Sanremo perché stabilissero quali diritti spettassero a Genova e quali a Sanremo299.

Nel giudicato furono compresi anche i redditi derivanti dalle bandite e dai pascoli, interamente assegnati a Sanremo e senza che il comune genovese potesse imporre unilateralmente prelievi straordinari o nuove norme300.

Forti del privilegio dichiarato dagli arbitri, i sanremesi considerarono il bosco come un bene di proprietà comunale, inattingibile per la Repubblica, e ancora durante i vari censimenti del primo ventennio dei Seicento la comunità non riconosceva alcuna competenza al governo sul bosco. È interessante sotto questo profilo quanto riportato nella Descrittione, che riassume gli argomenti addotti dalle parti. Ricordato che la Repubblica, in quanto «Supremo Principe» era titolare di tutte le regalie e che poteva emanare qualsiasi ordine in nome dell’utilità pubblica per la conservazione del bosco, la relazione compie una precisazione significativa:

«Il bosco in ogni caso non serve alla Communità, ma sì bene alli huomini li quali particolarmente ne godono, e se ne servono per fabrica delle loro barche, e per altro uso, onde non si può dubitare, che il Doria dal quale la Republica ha acquistato detto luogo, non si servisse ancora lui di detto bosco in la maniera che fa ogn’uno particolare di S. Remo, e se questo è, deve la Republica, ch’è successa in suo luogo, potere per uso suo servirsi di detti legnami»

Con quell’inciso «non serve alla Communità, ma sì bene alli huomini» la relazione intende chiarire che le utilità del bosco non erano messe sul mercato, tramite aste o appalti, per la

299 Questo arbitrato sostituì la previgente convenzione del 1199 tra Genova e Sanremo e regolò i rapporti tra i due

centri nei secoli a venire fino a metà Settecento. Per la storia generale di Sanremo vedi G. ROSSI, Storia della città di Sanremo, Sanremo, 1867, R. ANDREOLI, Storia di San Remo, Venezia, 1878; A. GANDOLFO, La Provincia di Imperia. Storia, arti, tradizioni, Torino, 2005, II, pp. 874-895. Sul rapporto pattizio tra Genova e Sanremo e il suo deterioramento nel corso del XVIII secolo V. TIGRINO, Sudditi e confederati, cit.

300 Lo stralcio della sentenza che ci interessa è il seguente: «Item declaramus quod gabelle bandite et herbagia et

ceteri alii introytus gabellarum dicti loci spectent ad ipsam universitatem dicti loci, et non ad comune Ianue prout hactenus spectaverunt. […] Item pronunciamus et declaramus quod Comune Ianue non possit homines predictos dicti loci Sancti Romuli presentes et futuros collectare nec collectari facere ordinarie vel extraordinarie nisi prout infra dicitur in presenti sentenzia, nec cabellas novas de novo imponere vel constituere seu colligi facere vel novos usus». Vedi l’intero testo delle due sentenze in M.LORENZETTI,F.MAMBRINI (a cura di), I Libri Iurium, cit., docc. 147-148.

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generazione di un’entrata per le casse comunali. Il lodo trecentesco era quindi rispettato alla lettera, perché solo le bandite di pascolo furono oggetto di appalto ma non il taglio degli alberi301.

Il godimento assumeva invece le forme di un uso civico, gratuito e limitato a determinati scopi. Stando così le cose, anche la Repubblica poteva fruire del bosco per le proprie necessità, essendosi sostituita sic et simpliciter ai signori Doria – de Mari, ultimi proprietari feudali di Sanremo302.

Il bosco di Bignone era quindi comunale, ma se dovessimo recuperare la classificazione romanistica, esso si collocherebbe tra le res in publico usu più che tra le res publicae o le res communes. Dalla disciplina dell’accesso alla risorsa contenuta negli statuti del 1435, revisionati nel 1565, si ricava il tentativo di conciliare un’embrionale politica di tutela forestale con l’esercizio degli usi civici degli abitanti, essendo preclusa ogni forma di commercializzazione del legname, grezzo o semi-lavorato303.

Alcuni capitoli in successione dichiaravano illecite una serie di pratiche, dal taglio (di interi alberi o solo delle fronde) al ronco alla lavorazione, il taglio di alberi o rami (soprattutto di quercia, rovere e pallare) per la costruzione di baracche e recinti304. L’unica pastura generalmente lecita

era quella dei bovini utilizzati per l’aratura, mentre i proprietari di capre e altre bestie minute potevano asportare rami per nutrirle, evitando così che i famelici ovini distruggessero

301 In altre regioni sappiamo che lo sfruttamento dei boschi, in certi casi assai intensivo, fu oggetto di società e imprese

appositamente costituite e dal rilevante peso economico nel contesto locale, cfr. E. ROVEDA, I boschi nella pianura lombarda del Quattrocento, in Studi storici, 30 (1989), pp. 1013-1030; M. ORTOLANI, Les contrats d’exploitation forestière des communautés du comté de Nice au XVIIIe siècle, in C. DUGAS DE LA BOISSONNY (a cura di), Terre, forêt et

droit, Nancy, 2006, pp. 413-441.

302 M. P. ROTA, Una fonte, cit., p. 41. Come ha notato Giovanna Petti Balbi, Simone Boccanegra preferì incorporare

giurisdizioni signorili e feudi nella respublica genovese eliminando questo o quel signore, ma non il feudo come istituzione territoriale, non essendo nelle condizioni di stabilire un sistema di governo diretto e omogeneo su tutta la Riviera. La sostituzione nei rapporti di potere feudali non mutò dunque la sostanza dei rapporti giuridici neppure dal punto di vista patrimoniale del godimento dei beni posti entro il dominio cfr. G. PETTI BALBI, Simon Boccanegra e la Genova del ‘300, Napoli, 1995, pp. 265-279.

303 Sanremo ebbe statuti già prima del 1435. In un consilium, Pietro d’Ancarano fece menzione di generici «quaedam

capitula tamen est castrum de Sancto Romulo» cfr. P. D’ANCARANO, Consilia sive iuris responsa, Venetiis, Apud Nicolaum Bevilaquam, 1568, cons. 437, n. 2. Per considerazioni sulle precedenti redazioni cfr. N. CALVINI, Statuti comunali di Sanremo, Sanremo, 1983, pp. 11-18. Tra i diversi manoscritti disponibili di quelli del 1565, ho consultato ASSr, Serie I, 57 (RSL, n. 898) e ASGe, Manoscritti, 991 (RSL, n. 890).

304 Era vietato tagliare alberi selvatici «causa faciendi ex ea ligna vel causa ronchandi aut in ipso nemore faciendi

aliquod laborerium, vel aliquam ipsarum arborum scravet, seu eius frondes aut ramos incidat». Era ammesso solo il taglio degli alberi secchi per ricavarne legna da ardere ad esclusivo uso personale e senza alcun intento commerciale.

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