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5.3.1 Premessa

Una volta stabilito il metodo di analisi strutturale con il quale andare a studiare l’edificio è necessario definire il modello strutturale con cui schematizzare in maniera opportuna il comportamento effettivo della muratura stessa. Il materiale in esame è costituito da due elementi ben distinti, ovvero la malta e il blocco resistente, caratterizzati da proprietà meccaniche ben diverse fra loro.

Una corretta modellazione della muratura dovrebbe tenere di conto non solamente della geometria relativa fra i giunti ed i blocchi, ma anche dei diversi legami costitutivi a cui rispondono tali materiali utilizzati.

In generale, sono disponibili in letteratura due distinte rappresentazioni a seconda del livello di dettaglio indagato :

MICROMODELLI Simulano il comportamento globale di un materiale composito

attraverso una discretizzazione geometrica dettagliata basata sul metodo degli elementi finiti e utilizzando leggi costitutive non lineari per i componenti. Di grande onere computazionale, sono utili per comprendere il comportamento della muratura.

MACROMODELLI L’intera muratura è schematizzata come un unico elemento

continuo caratterizzato da una certa equazione costitutiva in cui la relazione sforzo-deformazione è ricavata in base ai criteri di rottura ammessi per il materiale in esame. A sua volta si suddividono in: modelli monodimensionali e modelli bidimensionali.

La tecnica di analisi strutturale maggiormente utilizzata nello studio delle costruzioni in muratura è senza dubbio quella basata sulla macromodellazione, poiché nonostante le semplificazioni indotte dal metodo, l’esperienza dimostra l’affidabilità di tale procedura. Può risultare interessante elencare i principali requisiti che una tecnica di analisi non lineare deve rispettare:

• Il modello deve prevedere tutti i principali meccanismi di rottura degli elementi strutturali, sia in muratura che di altra natura. Ad ogni meccanismo di rottura deve essere associato un opportuno criterio di resistenza sufficientemente approssimativo.

• Gli equilibri locali e globali devono essere rispettati. Questo requisito, assieme al precedente, ha lo scopo di ridurre al minimo la possibilità di ottenere soluzioni grossolanamente errate in termini di resistenza ultima della struttura. • Deve essere raggiunto un giusto compromesso fra il livello di dettaglio e la

semplicità d’uso e di lettura ed interpretazione ingegneristica dei risultati. • Deve esserci la possibilità di definire in modo abbastanza agevole delle soglie

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l’applicazione del metodo nell’ambito dei più moderni approcci di verifica basati sugli stati limite prestazionali.

Solamente con la ricerca continua è stato possibile affinare e migliorare nel tempo le tecniche di analisi strutturale riuscendo infine a soddisfare i suddetti requisiti. Infatti, man a mano che la ricerca forniva nuovi criteri di resistenza della muratura, contemporaneamente venivano aggiornati e migliorati anche i modelli strutturali, mettendo in risalto lo stretto legame fra modello geometrico e modello meccanico.

Il successo della macromodellazione è anche dovuto al fatto che altre tecniche ritenute più precise, come ad esempio la modellazione F.E.M., nella realtà, applicata alla muratura perde in parte il suo significato.

Sebbene questo tipo di analisi possa fornire in linea teorica un’accurata descrizione della risposta meccanica della parete, in realtà i risultati richiedono in genere la definizione di molti parametri la cui determinazione sperimentale può risultare difficoltosa visto anche l’estrema variabilità con la quale si presentano le murature.

Un ulteriore passo verso la completa comprensione delle tecniche di analisi strutturali riguarda la modalità con la quale l’intera costruzione può essere schematizzata ai fini del calcolo.

Infatti, una volta risolto il problema su come modellare i singoli elementi in muratura, risulta necessario capire come andare a vincolare tali elementi fra loro in modo da poter schematizzare correttamente una parete in muratura e successivamente l’intero edificio.

L’esperienza maturata negli ultimi decenni dimostra come la schematizzazione di una parete in muratura attraverso uno schema a telaio equivalente sia sostanzialmente soddisfacente ed in linea con i risultati derivanti da prove in laboratorio.

Distinguendo i metodi a telaio equivalente con macroelementi di tipo monodimensionale da quelli bidimensionali, si riportano in seguito i metodi di analisi più significativi presentati in ordine cronologico specificando inoltre, le principali caratteristiche.

5.3.2 Metodo POR

Il metodo POR proposto da Tomazevic (1978) è molto probabilmente il primo modello di analisi non lineare per le murature adottato in zona sismica.

Le ipotesi fondamentali che si impongono alla base del metodo sono molto restrittive:

• l’azione sismica è scomposta in due direzioni (parallela e normale alla parete in analisi); questa semplificazione deriva dal principio di sovrapposizione degli effetti che si suppone poter essere applicato nonostante si assuma un comportamento della struttura non lineare perché si evolve in campo plastico.

• i solai si ritengono infinitamente rigidi nel loro piano; questa ipotesi risulta verificata solo nel caso di costruzioni recenti, con solai in latero cemento; in presenza di edifici con travetti in legno o in acciaio non possono ritenersi indeformabili nel loro piano; tuttavia questa ipotesi viene spesso adottata per ridurre i gradi di libertà dinamici di ogni piano della costruzione in esame; • il centro di massa di ciascun piano può traslare solo nella direzione del sisma

presa in esame, si trascurano così gli effetti torsionali anche se, quest’ultimi possono avere rilevanza nel caso di costruzioni poco regolari in pianta ( poiché centro di massa e centro di rigidezza non coincidono)

• le pareti murarie sono viste come assemblaggio di fasce di piano e maschi, idealizzati entrambi come elementi mono dimensionali (travi a sezione costante). Si applica la teoria tecnica delle travi a elementi bi dimensionali anche se si otterranno dei risultati approssimati sia in termini di deformazioni sia in termini di sollecitazioni.

• le fasce di piano si ipotizzano essere infinitamente rigide e infinitamente resistenti sia a flessione che a sforzo normale. Tale circostanza si verifica in costruzioni recenti dove sono presenti cordoli in c.a. in grado di aumentare la rigidezza e la resistenza a trazione delle fasce di piano. Negli edifici più antichi, le fasce di piano possono considerarsi infinitamente resistenti solo in presenza di adeguati elementi di rinforzo come le catene in acciaio. Questo permette di conoscere la deformata della struttura, del tipo shear-type, e di semplificare i calcoli anche se spesso è lontana dal reale comportamento della muratura.

• lo sforzo normale nei pannelli si ritiene costante (ipotesi non veritiera)

• i pannelli hanno comportamento elastico – perfettamente plastico con rottura solo a taglio e prefissati rapporti di duttilità (du = 1,5di). La curva di capacità

è quindi una bilatera. Si trascurano le rotture per flessione dei pannelli murari, sopravvalutandone la resistenza specialmente nel caso di elementi snelli soggetti a bassi valori di sforzo normale.

L’ipotesi di fasce di piano infinitamente rigide e resistenti comporta che ciascun pannello murario possa essere considerato incastrato sia alla base che alla sua sommità; di conseguenza, assumendo valida la teoria tecnica delle travi, è nota la deformata di ciascun maschio. Quindi è possibile ricavare la rigidezza del tratto elastico della curva di capacità:

Kel G B1.2 H⋅ s⋅ 1 1 H 2 6 B 2 ⋅ +       ⋅ :=

Si considera sia la deformabilità a taglio, sia la deformabilità flessionale del pannello in muratura per il calcolo della rigidezza. In cui:

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s è lo spessore della muratura H è l’altezza della muratura

Inoltre, considerando la rottura del pannello esclusivamente a taglio, si adotta per il calcolo di Vu la seguente formula (Turnsek-Cacovic):

Vu A τ0d⋅ 1 σ0 b τ0d⋅ + ⋅ := In cui:

A è la sezione trasversale della muratura t0d è la resistenza al taglio della muratura

s0 è la tensione normale di compressione dovuta ai carichi verticali sulla muratura

b è un coefficiente che dipende dalla snellezza del pannello in muratura

In conclusione otteniamo la seguente curva di capacità relativa al singolo maschio murario:

Fig. 5.5: Curva di capacità (metodo POR)

Il metodo assume per m il valore di 1.5 relativo allo stato limite ultimo del pannello.

Alla soglia di spostamento (1,2 d elastico), convenzionalmente individuata come soglia di fessurazione, comincia lo spostamento del baricentro delle rigidezze

La rigidezza del pannello oltre lo stato di fessurazione è individuata tramite il coefficiente a

Note le curve di capacità di ogni maschio murario, si può determinare la curva caratteristica di ciascun piano della costruzione (poligonale somma delle bilatere):

Fig. 5.6: Costruzione della curva di capacità

Ogni pannello offre un proprio contributo alla forza orizzontale dovuta al sisma in base alla propria rigidezza, alla distanza dal centro di rigidezza e alla distanza di quest’ultimo dal baricentro di piano. In base a queste considerazioni possiamo determinare il valore della forza di taglio che agisce sul singolo pannello:

Hyi Hy Kyi Ky

Kyi xi⋅ JR ⋅ex +

⋅ := xi Hxi Hy Kxi yi⋅ JR ⋅ex

⋅ := In cui:

Hy è la forza di taglio che agisce lungo la direzione y

Hyi è la forza di taglio assorbita dall’i-esimo pannello lungo la dir. y

Hxi è la forza di taglio assorbita dall’i-esimo pannello lungo la dir. x

Kyi è la rigidezza del singolo pannello nel piano z-y

Kxi è la rigidezza del singolo pannello nel piano z-x

JR è il momento d’inerzia polare delle rigidezze attorno al CR ex è la distanza fra il CM ed il CR in direzione x

xi è la distanza fra il baricentro del pannello in esame ed il CR lungo x

yi è la distanza fra il baricentro del pannello in esame ed il CR lungo y

Come risulta evidente dalle formule appena riportate, la forza di taglio sollecitante un generico pannello è aumentata dagli effetti dovuti al momento torcente causato dall’eccentricità fra il centro di massa ed il centro di rigidezza.

Il carico orizzontale di collasso è, quindi, ricavato con un analisi al passo poiché ad ogni step, definito da uno spostamento incrementale del centro di rigidezza del piano in analisi, occorre determinare i pannelli che raggiungono la fessurazione o il collasso e ricalcolare il baricentro delle rigidezze.

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La fortuna di questo metodo è dovuta sicuramente alla sua semplicità e ridotto onere computazionale, anche se oggettivamente ha molti limiti:

• i maschi murari sono l’unica sede di deformazioni e di rotture, senza valutare l’eventualità della rottura di altri elementi quali le fasce;

• un solo possibile meccanismo di rottura dei maschi murari (rottura per taglio con fessurazione diagonale), trascurando le rotture per ribaltamento o per scorrimento;

• sottovaluta la reale capacità dissipativa che una costruzione in muratura può mostrare se soggetta ad un azione sismica. Ciò è causato essenzialmente dal considerare le fasce di piano rigide;

• l’analisi globale dell’edificio è l’unica possibilità per evitare violazioni degli equilibri globali e locali: è stato posto in evidenza in più sedi come una analisi separata piano per piano non possa rendere conto delle variazioni di azione assiale nei maschi murari al crescere delle forze sismiche, che possono influire sulla rigidezza ma soprattutto sulla resistenza dei maschi murari. Per molti anni, il metodo POR e le sue successive versioni sono state il modello di calcolo non lineare più utilizzato in Italia grazie anche al fatto che la normativa italiana faceva espressamente riferimento a tale metodo, riconoscendone l’affidabilità in campo non lineare per le costruzioni in muratura.

A causa di questo motivo, spesso si riscontravano delle situazioni paradossali e spesso pericolose. Infatti, i progettisti cercavano di adattare le caratteristiche della costruzione in esame al modello imposto dal metodo POR. In particolare, si andavano a realizzare degli interventi nelle costruzioni esistenti, come ad esempio cordoli in c.a. a livello dei solai, per ottenere le fasce di piano rigide e poter applicare tale metodo.

L’esperienza ha poi dimostrato che i cordoli in breccia indeboliscono la muratura e possono causare crolli nel caso di eventi sismici.

Considerazioni razionali impongono che sia il modello di calcolo ad adattarsi alle caratteristiche della struttura e non viceversa, si è reso quindi necessario elaborare nuove tecniche che risolvessero i limiti del metodo POR.

5.3.3 Metodo PORFLEX

Il metodo PORFLEX introdotto da Braga e Dolce (1982) risulta essere un’evoluzione del metodo POR, mantenendone la semplicità, ma apportando le seguenti modifiche:

• le fasce di piano sono considerate infinitamente rigide, ma non infinitamente resistenti a taglio e a flessione;

• i pannelli murari possono cedere anche per trazione o compressione, non solo per taglio;

Anche in questo metodo si può studiare separatamente ciascun piano della struttura. Ogni pannello dovrà essere verificato sia a taglio sia a sforzo normale e flessione. Le relazioni che vengono utilizzate per queste verifiche sono le seguenti:

a) Verifica al taglio: Su A τk⋅ 1 σ0 b τk⋅ + ⋅ :=

Tale relazione si basa sull’assunzione di comportamento meccanico della muratura elastico, lineare ed isotropo. Questa ipotesi è vera solo per alcuni tipi di muratura, ovvero per muratura a tessitura caotica e dove le proprietà meccaniche di malta e blocchi sono paragonabili. In tutti gli altri casi tale formula non è a favore di sicurezza perché sovrastima la resistenza alla fessurazione diagonale della muratura. Inoltre con questa formula si trascura la rottura per scorrimento orizzontale tipica dei pannelli ai piani alti degli edifici.

b) Verifica a sforzo normale di trazione e di compressione

η 1 6 1 γ −1       ⋅ < η 1 6 1 1 β +       ⋅ < Dove:

h = e/b e è l’eccentricità del carico N b = N / (b*s*k*tk)

g = N / ( b*s*sk)

Queste relazioni sono una verifica all’eccentricità del carico agente su ogni pannello. Le ipotesi che vengono assunte sono quelle di muratura non resistente a trazione e di stress block al piede del pannello di forma rettangolare.

c) La rigidezza degli elementi murari viene determinata tenendo in

considerazione le condizioni di vincolo del pannello con la fascia di piano superiore. Infatti, si assume la possibilità che, al seguito della fessurazione della fascia sovrastante, il vincolo alla sommità di un maschio degeneri da incastro a cerniera.

In cui:

y assume valore pari a: 1 se la fascia superiore è fessurata (vincolo a cerniera) 2 se la fascia superiore è non fessurata ( vincolo incastro)

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d rappresenta la deformabilità del pannello in muratura e dipende da parametri geometrici e meccanici del pannello:

δ 1 G s⋅ 2 3 Y b       3 ⋅ 2 L D3 ⋅ + −f a( )+ f Y( ) χ Y b L D +       ⋅ +         ⋅ := f

Contemporaneamente ai pannelli in muratura è necessario andare a verificare le fasce di piano per fessurazione dovuta allo scorrimento oppure a flessione. Le formule da applicare per tali verifiche sono di seguito riportate.

a) Verifica a scorrimento: V < 2 * r * s * tk

L’espressione corrisponde ad una verifica a scorrimento alla Coulomb delle sezioni estreme di ciascuna fascia di piano, essendo r l’altezza del pannello e s il suo spessore.

b) Verifica a flessione: M = Vc/2 * r < 2/3 * s * r2 * k * tk

Tale relazione deriva dall’ipotesi che il momento flettente lungo la fascia di piano abbia andamento a farfalla con massimo nelle sezioni estreme e che la resistenza alle azioni normali sia garantita dalla coesione lungo i giunti di malta verticali.

Anche in questo metodo va condotta un’analisi al passo, incrementando sempre di più lo spostamento del baricentro delle rigidezze e mantenendo la rigidezza della struttura costante ad ogni step. Ad ogni passo sarà necessario verificare la fascia di piano: se questa risulterà fessurata, si dovrà cambiar la rigidezza del pannello murario direttamente connesso alla sezione fessurata.

Il suo comportamento passerà da trave doppiamente incastrata a mensola libera in sommità. Il valore del taglio di collasso di piano si ottiene quando la forza reagente ala base dei pannelli si mantiene costante in seguito ad un incremento dello spostamento orizzontale di piano.

5.3.4 Metodo VEM

Il metodo VEM proposto da Fusier e Vignoli nel 1993 riprende, con qualche modifica il metodo POR, ed infatti anche in questo caso è condotta un analisi di piano e la struttura è schematizzata come un telaio equivalente formato dai macroelementi che modellano i maschi e le fasce murarie.

Le ipotesi che si adattano sono le seguenti:

• Le fasce di piano sono infinitamente rigide, ma non infinitamente resistenti e possono cedere sia per fessurazione diagonale e sia per scorrimento verticale nelle sezioni di estremità;

• I maschi murari hanno un comportamento definito da una curva caratteristica formata da almeno quattro rami relativi alla crisi per scorrimento, per flessione e per fessurazione diagonale;

• Le rotazioni delle sezioni di estremità dei pannelli murari si ritengono impedite dalla presenza delle fasce di piano;

Le fasce di piano si considerano in grado di annullare le rotazioni dei maschi murari fino a che non collassano.

Prima di illustrare la procedura con la quale viene calcolata la curva di capacità di ciascuna parete che costituisce l’intera struttura, è utile introdurre i criteri di rottura relativi ai muschi murari ed alle fasce di piano.

MASCHI MURARI le modalità crisi prese in esame per un pannello sono: a) fessurazione diagonale Vu.diag. d t⋅⋅

(

1.5 τkb

)

1 σ0 1.5 τk⋅ + ⋅ :=

b) scorrimento su piano orizzontale

Vu.scor. d t⋅⋅

(

1.5 τ0k⋅ + εσ 0

)

1 1.5 τ 0k σ0 ⋅ h d ⋅ +       :=

c) rottura per flessione

Vu.flex σ0 d ⋅ t⋅ h 1 1.1 σ0 σu

⋅ −

⋅ ⋅θ :=

FASCE DI PIANO le modalità di crisi sono le stesse del metodo PORFLEX,

ovvero collasso per fessurazione diagonale o per scorrimento verticale alle estremità.

Per ciascun piano della costruzione, il calcolo del moltiplicatore dei carichi che provoca la rottura dei maschi posti ad un certo livello, viene condotto applicando un metodo di calcolo incrementale secondo i seguenti passi:

• Per ogni pannello si calcola la curva caratteristica V- d tipica di ogni modalità di crisi prevista e successivamente si compone la curva di capacità finale composta da rami lineari per semplicità;

• Scelto un piano dell’edificio, si determina la forza orizzontale che provoca il raggiungimento nel maschio più sollecitato del livello di prima elasticità. Incrementando ulteriormente la forza esterna, il sistema perde la sua linearità, per cui si deve proseguire con un metodo iterativo al passo;

• Si raggiunge il valore del carico orizzontale ultimo della parete Fu, che, ricavato per ogni piano, andrà confrontato con le forze di piano derivanti dalla normativa;

• Come ultimo passo si deve verificare la resistenza delle fasce di piano a taglio e a flessione, sia allo SLU sia per le azioni previste dalla normativa. Note le azioni agenti sul pannello, le azioni taglianti che sollecitano le fasce di piano si ricavano da semplici azioni di equilibrio alla rotazione. Il momento flettente

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dell’andamento a farfalle dello stesso. Infine si effettuano le verifiche di resistenza a taglio e a momento flettente delle fasce.

Il metodo VEM può essere esteso all’analisi dell’intera struttura spaziale, se ipotizziamo i solai infinitamente rigidi nel loro piano.

5.3.5 Metodo SAM

Al contrario di tutti i metodi di analisi non lineare visti fino ad adesso, con il metodo SAM si prevede l’analisi della parete nel suo complesso, garantendo così l’equilibrio globale della struttura.

Questo è reso possibile dal non considerare infinitamente rigide le fasce di piano, osservazione che si avvicina alla realtà per la maggior parte degli edifici in muratura esistenti nel nostro paese.

Gli elementi maschio e gli elementi fascia vengono schematizzati come travi e colonne estensibili e deformabili a taglio appartenenti ad un telaio.

I nodi di intersezione vengono supposti infinitamente rigidi e resistenti, riducendo convenzionalmente l’altezza di ogni maschio e la lunghezza di ogni fascia muraria in funzione della disposizione delle aperture nella parete.

Fig. 5.7: Riduzione di una parete in telaio equivalente

L’elemento in muratura è costituito da una parte deformabile con resistenza finita e da due parti infinitamente rigide e resistenti alle estremità dell’elemento.

L’altezza della parte deformabile o «altezza efficace» del maschio viene definita secondo quanto proposto da Dolce (1989), per tener conto in modo approssimato della deformabilità della muratura nelle zone di nodo.

Il comportamento di ciascun maschio murario viene supposto elastico lineare – perfettamente plastico con limite in deformazione. In fase elastica, la rigidezza del pannello si ottiene nella maniera consueta, ovvero considerando la deformabilità a