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Una breve ricognizione della questione

CAPITOLO V: LA NUOVA DISCIPLINA DELLE FALSE

7. La rilevanza delle valutazioni

7.1. Una breve ricognizione della questione

La questione che ha suscitato maggiori controversie interpretative, attirando le critiche di alcuni autori in dottrina all’indomani della riforma430 e

provocando un acceso contrasto giurisprudenziale all’interno della V° sezione della Corte di Cassazione, riguarda la possibilità di considerare ancora penalmente rilevante il falso contenuto negli elementi valutativi delle poste di bilancio.

Le cause della controversia ermeneutica riguardano l’espressione “fatti

materiali rilevanti”, che descrive l’oggetto della falsa rappresentazione, unita

all’eliminazione dei riferimenti contenuti nella versione previgente delle norme circa le valutazioni: la franchigia del 10% sulla loro correttezza e, in particolare, l’eliminazione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”.

Secondo alcuni autori l’impiego dell’aggettivo “materiali”, affiancato alla già controversa proposizione “fatti”431, impedisce di poter ascrivere le valutazioni nell’alveo delle falsità penalmente rilevanti. Sennonché la riforma del 2002 conteneva due riferimenti espressi alle valutazioni, tra cui la previsione della franchigia percentuale, argomento insormontabile per sostenere un’esclusione della loro rilevanza. La scomparsa di tali riferimenti dalle nuove disposizioni, unita alla riproposizione dell’espressione “fatti

430 In particolare sollevarono i primi dubbi, PERINI, “I fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?”; in www.penalecontemporaneo.it , 2015 e BRICCHETTI-PISTORELLI, Escluse le valutazioni dalle due nuove fattispecie; in Guida dir., 2015, 26, 60.

431 Per la querelle sulla riconducibilità delle valutazioni all’alveo dei fatti, sotto la disciplina

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materiali” (per di più “rilevanti”), depone inequivocabilmente a favore della

loro espunzione dalla fattispecie432. Al contrario, altra autorevole dottrina ritiene che la soppressione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” non ne modifichi in alcun modo la portata applicativa, trattandosi di una mera superfetazione: la rilevanza delle valutazioni che si risolvono nell’enunciazione di un fatto è sempre stata pacificamente accettata433.

In ragione della natura del bilancio d’esercizio, la questione è centrale per la ricostruzione delle fattispecie: accogliendo la tesi restrittiva e negando la rilevanza del falso valutativo alla luce delle modifiche intercorse, l’effetto abrogativo finirebbe per rendere inoperanti le nuove disposizioni434.

7.2. L’esclusione della rilevanza penale delle valutazioni nella sentenza Crespi

La prima pronuncia della Corte di Cassazione, all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 69/2015, ha fatto proprio l’indirizzo interpretativo più

tranchant, optando per l’esclusione delle valutazioni dall’ambito di rilevanza

penale del nuovo art. 2621 c.c. e riconoscendo di conseguenza una parziale

abrogatio criminis435.

La Corte, chiamata a pronunciarsi a riguardo di un’ipotesi di bancarotta impropria (art. 223, II° comma, n.1 R.D. 267/1942), è pervenuta a tale decisione sulla base di tre percorsi argomentativi: un primo concernente il

432 PERINI, op. ult. cit., 7. 433 SEMINARA, op. ult. cit., 814.

434 AMBROSETTI-MEZZETTI-RONCO, op. cit., 144.

187 “contesto normativo” in cui si inseriscono le false comunicazioni sociali novellate, in secondo luogo, un’argomentazione di natura letterale ed una terza di natura storico-legislativa.

La prima motivazione riguarda il contesto normativo in cui si inseriscono le nuove false comunicazioni sociali. In base alla Corte, mentre nei novellati artt. 2621-2622 c.c. era stato eliminato qualsiasi riferimento alle valutazioni, nella fattispecie di “Ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza” (art. 2638 c.c.) è ancora riprodotta la formula: “espongono fatti materiali, ancorché

oggetto di valutazioni”. Pur presidiando due interessi differenti, sia le ipotesi di

false comunicazioni sociali, sia il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, costituiscono entrambe fattispecie “finalizzate a sanzionare la frode

nell’adempimento dei doveri informativi”436, caratterizzate da elementi comuni quali le modalità della condotta ed i soggetti attivi tipizzati: in base ad un’interpretazione sistematica, la mancata riproduzione dell’inciso “ancorché

oggetto di valutazioni” deve essere intesa come un segnale inequivoco della

volontà da parte del legislatore di far venire meno la punibilità dei falsi valutativi437.

In secondo luogo, la sentenza richiama il criterio ermeneutico sancito dall’art. 12 delle preleggi, in base al quale “Nell'applicare la legge non si può

ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Applicando tale canone ermeneutico, non può essere ignorato il mantenimento

436 Cass. sez. V, Crespi, cit.

437 Questo argomento, peraltro, era già stato prospettato da BRICCHETTI-PISTORELLI, cit.,

188 dell’espressione “fatti materiali” a seguito di un iter parlamentare in cui originariamente era stata proposta la sua sostituzione con la locuzione “informazioni”, espressione dal tenore senza dubbio più adatto a ricomprendere anche le valutazioni di bilancio. Da questa circostanza, la Cassazione ha dedotto una ratio legis intesa ad escludere le valutazioni dall’ambito applicativo delle fattispecie.

Infine, la Corte richiama la comparsa nell’ordinamento penale della locuzione “fatti materiali”, introdotta con la l. 154/1991 per circoscrivere l’oggetto del reato di frode fiscale ex art. 4, lett. f, l. 516/1982, escludendo giustappunto le valutazioni.

7.3. Le critiche alle motivazioni della Cassazione e la sentenza Giovagnoli Dopo la pubblicazione della sentenza Crespi, ha assunto importanza la posizione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione, esposta attraverso una Relazione pubblicata il 15 ottobre 2015438. Rivedendo le conclusioni a cui era pervenuta la V° sezione, la Relazione affermava che l’apposizione dell’aggettivo “materiali” al termine “fatti” non contribuisse in alcun modo a variarne il campo semantico439: in sostanza, l’espressione “fatti materiali” equivaleva a “fatti”.

Dunque, richiamando l’orientamento dominante sotto la vigenza della

438 Relazione per la quinta sezione penale dell’Ufficio del massimario e del ruolo, n. V/003/15,

in www.penalecontemporaneo.it.

439 L’Ufficio del Massimario aderiva all’interpretazione che avevano dato SEMINARA, op. ult.

189 formulazione originaria dell’art. 2621, n.1 c.c.440, concludeva che la

riproposizione di tale formula, sebbene caducata dell’inciso riguardante le valutazioni, era perfettamente idonea a ricomprendere le valutazioni nell’area di rilevanza penale della falsità.

Né tale inciso, “ancorché oggetto di valutazioni”, sarebbe stato dotato di particolare rilevanza all’interno delle previgenti disposizioni, essendo già stato rilevato dalla dottrina come questo costituisse una “superfetazione che nulla

aggiunge e nulla toglie ai “fatti” di cui al previgente art. 2621, n.1 c.c.”441. Per tale ragione, l’argomento utilizzato dalla sentenza Crespi circa la sua presenza nel testo dell’art. 2638 c.c. risultava non decisivo a sostenere l’esclusione delle valutazioni dalla sfera di punibilità delle false comunicazioni442, così come anche in ragione della differente oggettività giuridica cui erano riferibili le due fattispecie e della circostanza che l’intervento riformatore era stato circoscritto ai soli artt. 2621-2622 c.c., non risultando pertanto deliberatamente voluta dal legislatore tale discrasia semantica rispetto all’art. 2638443. Infine, come rimarcato da D’Alessandro, una comparazione dettagliata tra l’art. 2621 e l’art. 2638 c.c. sarebbe stata sensata qualora la legge 69/2015 fosse intervenuta tramite un intervento correttivo, ma le nuove norme risultavano riscritte ex

novo: la formula previgente non era stata soppressa dal legislatore, bensì

440 PEDRAZZI, (voce) Società commerciali (disciplina penale); in Dig. disc. pen., XIII, Torino,

1998, 347

441 SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza; in Dir. pen. proc., 2002, 677.

442 In tal senso MUCCIARELLI, “Ancorché” superfluo, ancora un commento sparso sulla nuove false comunicazioni sociali”; in www.penalecontemporaneo.it, 2015, 6.

190 semplicemente non riprodotta444.

Le critiche alla sentenza Crespi furono accolte da una seconda pronuncia, emanata anche questa dalla V° sezione penale della Corte di Cassazione, la c.d. sentenza Giovagnoli445, la quale affermò il principio secondo il quale “il

riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati”.

In primo luogo, la sentenza confutava il metodo interpretativo utilizzato nella precedente pronuncia, affermando che le indagini retrospettive circa l’evoluzione della questione possano assumere una valenza indicativa, in quanto l’interpretazione giudiziale deve “confrontarsi con il dato attuale, nella

sua pregnante significazione, e con la voluntas legis quale obiettivizzata e storicizzata nel testo vigente”. In tal modo, un’interpretazione improntata al

rispetto dei canoni ermeneutici stabiliti dall’art. 12 delle Preleggi dev’essere effettuata in termini obiettivi, in base alla volontà cristallizzata nel testo normativo.

Dopodiché, in assonanza con la dottrina esaminata in precedenza, la sentenza negava che la mancata riproduzione dell’inciso “ancorché oggetto di

valutazioni” avesse pregiudicato l’ambito di punibilità delle falsità materiali,

rimanendo compresi in questo anche i “fatti oggetto di mera valutazione” 446, aggiungendo altresì che, in forza di tali considerazioni, non assume alcun

444 D’ALESSANDRO, La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?; in Giur. it., 2015, 2211. 445 Cass. pen., sez. V, 12/1/2016, n. 890, Giovagnoli, cit.

446 La sentenza riteneva che tale omissione costituisse un mero alleggerimento del precipitato

191 particolare rilievo la decisione di riproporre il termine “fatti” in luogo del più specifico “informazioni”.

In un ulteriore passaggio, la sentenza sottolinea come gli illeciti di false comunicazioni sociali siano “avamposti penalistici a tutela di un complesso

universo economico-aziendale”, pertanto dotati di un linguaggio tecnico

proprio di cui l’interprete deve tener conto, composto da trasposizioni di formule adottate dalle discipline economiche e giuridiche nord-americane447.

7.4. L’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite

Alla sentenza Giovagnoli ha fatto seguito un’ulteriore pronuncia della Cassazione che, con un’ulteriore virata, si è pronunciata a favore della portata parzialmente abrogatrice delle nuove disposizioni, causata dall’esclusione delle valutazioni mendaci dall’area di punibilità del reato448.

La pronuncia riprendeva l’impianto argomentativo della precedente sentenza Crespi: l’utilizzo della formula “fatti materiali” in luogo dell’espressione “informazioni” (ipotesi presentatasi durante l’iter legislativo) e la presenza dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” nell’ipotesi ex art. 2638 c.c., costituivano elementi che inequivocabilmente dimostravano il restringimento dell’ambito applicativo, escludendo il falso qualitativo.

Infine, con l’ordinanza n. 9186 del 2-4 marzo 2016449, la questione è stata

447 D’ALESSANDRO, Valutazioni mendaci e false comunicazioni sociali: la Cassazione si ricrede, e fa bene!; in Dir. pen. proc, 2016, 320.

448 Cass. pen. sez. V, 22/2/2016, n. 6916; in www.penalecontemporaneo.it 449 Cass. pen. sez. V, ord. 2/3/2016, n. 9186; in www.penalecontemporaneo.it

Il quesito posto dall’ordinanza alle Sezioni Unite era il seguente: “se la modifica dell’art. 2621

192 rimessa alle Sezioni Unite affinché queste si pronunciassero circa la sopravvivenza del falso qualitativo.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate il 31 marzo 2016, con la sentenza n. 22474/2016450.

La massima composizione del Supremo Collegio inizia la sua disamina con una ricognizione dei contrasti interni alla V° sezione, passando successivamente ad un’analisi storica circa l’evoluzione della fattispecie, a partire dal Codice Zanardelli. La linea argomentativa delle Sezioni Unite parte da due premesse: la finalità perseguita dal legislatore del 2015 consistente nel ritorno alla tutela della trasparenza societaria ed il ridimensionamento del ruolo dell’interpretazione letterale e dell’analisi comparativa con il dato testuale previgente451.

La Corte prende le mosse da un’interpretazione di carattere sistematico, in base alla quale si afferma la necessità di considerare la natura del bilancio alla luce della normativa che lo regola. Nel caso di specie, la normativa di riferimento è composta dall’insieme delle regole extra-penali contenute nel Codice civile (artt. 2423-2427 c.c.) e nei principi contabili internazionali.

Il bilancio si presenta dunque come un documento di carattere prevalentemente valutativo, circostanza a cui segue la considerazione in base alla quale: “sterilizzare il bilancio con riferimento al suo contenuto valutativo

significherebbe negarne la funzione e stravolgerne la natura”. Sulla scorta di

comunicazioni sociali”, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo”.

450 Cass. Sez. Un. Pen., 31/03/2016, n. 22474/2016; in www.penalecontemporaneo.it.

451 STRANO LITIGATO, Le false comunicazioni sociali del legislatore del 2015 e i rimedi della giurisprudenza; in Riv. trim. dir. pen. ec., 2016, III-IV, 816.

193 tale considerazione, le Sezioni Unite criticano il filone interpretativo che contrappone le valutazioni ai “fatti materiali”: il bilancio d’esercizio non è composto da fatti, bensì dal racconto di tali fatti, i quali sono iscritti nel bilancio mediante un procedimento valutativo.

Inoltre, in riferimento all’art. 2638 c.c., afferma che la formula “ancorché

oggetto di valutazioni” ha carattere concessivo e specificativo, risultando

pertanto superflua ed inidonea a mutare le fattispecie incriminatrici. Infine, relativamente al parallelo operato dalla sentenza Crespi (nonché dalla dottrina che riteneva espunte le valutazioni dall’area penalmente rilevante del bilancio), la Corte statuisce che tale parallelo risulta ormai privo di ogni significato, poiché l’art. 4, lett. f), l. 516/1982 era già stata abrogata al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 61/2002.

La sentenza si concludeva enunciando tale principio di diritto: “sussiste il

delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.

In conclusione, con questa pronuncia le Sezioni Unite riescono a trovare un punto di equilibrio, affermando la rilevanza penale del mendacio contenuto nelle componenti valutative e dettando un criterio per l’accertamento della falsità, il quale si colloca in una posizione di mediazione tra il criterio del vero

194 legale ed il criterio della corrispondenza tra prescelto e dichiarato452.

È tuttavia innegabile che il tenore letterale incerto della trama normativa costituisca un fattore di grande incertezza453, foriera di un’ampia discrezionalità in capo al giudice anche rispetto a requisiti segnanti il perimetro di tipicità quali quello della rilevanza e dell’idoneità decettiva454.

In tal senso è possibile prevedere in futuro l’aprirsi di ulteriori fronti di incertezza sul piano dell’interpretazione di elementi di tipicità la cui determinazione risulta alquanto cangiante.

7.5. I principi stabiliti dalle Sezioni Unite alla prova di un “hard case” Un interessante spunto per mettere alla prova i principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite “Passarelli”, arriva da una pronuncia successiva della V° sezione penale del Supremo Collegio in tema di falso qualitativo455.

Il caso ha ad oggetto un’ipotesi di falso valutativo inerente ad un’iscrizione a bilancio del valore di un lavoro su commissione pluriennale: il criterio di valutazione codicistico è stabilito dall’art. 2426, n.11 c.c., sebbene questo si limiti a stabilire in via generica che il valore debba essere iscritto “sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza”.

Viste le scarne indicazioni contenute nel codice civile, il compito di trovare un criterio più preciso è passato alla prassi contabile. L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) ha dunque elaborato l’OIC 23, nel tentativo di

452 TROYER, Il cd. falso valutativo, ri-tipizzato dalle Sezioni Unite, alla prova di un hard case: e se un OIC fosse “oscuro”?; in Riv. dott. comm., 2, 2017, 315.

453 AMBROSETTI-MEZZETTI-RONCI, cit., 155. 454 STRANO-LITIGATO, cit., 820.

195 specificare il criterio codicistico, del quale sono state redatte tre versioni: una nel 1997, una nel 2005 ed un’ultima nel 2014456.

La vicenda giudiziaria culminata con la sentenza in esame ha inizio sotto la vigente versione dell’OIC 23 del 2005, il quale presenta anch’esso rilevanti profili di incertezza nei criteri indicati. Nelle more del procedimento, viene pubblicata la versione aggiornata del criterio contabile.

Nella fase d’appello, i giudici sono stati chiamati ad esprimersi sulla corretta applicazione di un criterio contabile definito dagli stessi come “oscuro”: nel valutare sulla corretta applicazione del parametro, la Corte d’appello ha optato per l’interpretazione più restrittiva, peraltro giustificata sulla base della nuova versione dell’OIC 23. Da questo assunto i giudici sono giunti alla conclusione che la voce contabile fosse stata gonfiata mediante un’erronea applicazione dell’OIC, e che tale falsa rappresentazione avesse indotto in errore i terzi, che continuavano a finanziare una società in cattivo stato di salute457.

La Cassazione ha annullato la sentenza, criticando il procedimento interpretativo adottato dalla Corte d’Appello. In particolare, i giudici della V° sezione hanno sostenuto che il giudice di appello non avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la difformità dei criteri adottati dal parametro legale, bensì avrebbe dovuto argomentare sulla totale irragionevolezza dell’uso di tale criterio, nonché verificare che il criterio applicato fosse difforme da quello

456 TROYER, cit., 5. 457 TROYER, op. cit. , 6.

196 dichiarato458.

Il caso presenta profili di interesse poiché la Corte si è trovata dinanzi ad un OIC che, invece di specificare i criteri di valutazione di fonte codicistica, poneva altrettanti dubbi interpretativi.

In tale situazione, la Cassazione ha indicato il procedimento argomentativo al giudice del rinvio, basandosi sui principi stabiliti dalla sentenza Passarelli: individuare una regola contabile precisa, conoscibile al momento della redazione del bilancio, ed analizzarla in base al criterio del “vero legale”. Qualora sia impossibile rinvenire una regola contabile precisa e conoscibile, deve sopperire il criterio del “vero coerente”, essendo compito del giudice accertare se vi è uno scarto tra il criterio dichiarato e quello effettivamente utilizzato459.

8. L’elemento soggettivo

Per quanto concerne l’elemento psicologico, dalle nuove fattispecie è stato cancellato l’elemento del dolo intenzionale di inganno, ritenuto eccessivamente ridondante nell’ambito della previgente formulazione460.

In conseguenza al venir meno dell’animus decipiendi, è sorto il dubbio circa la possibilità del concorso formale tra reati tributari e false comunicazioni sociali nell’ipotesi in cui un soggetto realizzi una condotta di falsificazione allo

458 Cass. pen. sez. V, n. 46689/2016, cit. 459 TROYER, cit., 9.

197 scopo di evadere i tributi. Tale eventualità tuttavia è da escludere per ragioni da ricercare sul piano della direzionalità dei veicoli dell’immutatio veri: questi devono essere comunque diretti verso soci e pubblico461.

Viene mantenuto anche nelle attuali disposizioni il dolo specifico di ingiusto profitto, elemento qualificante della direzionalità offensiva del falso462. La nozione di “profitto” comprende ogni tipo di vantaggio, non

necessariamente di natura economica, conseguito per sé o per altri. In particolare, la riconfigurazione delle fattispecie a protezione della trasparenza ha eroso i margini di un eventuale “giusto profitto”, essendo difficilmente ipotizzabile una situazione totalmente priva di vantaggi per il soggetto attivo463.

Oltre a mantenere il dolo specifico, nella nuova formulazione è stato inserito l’avverbio “consapevolmente”, che richiama l’antico art. 247 del Codice Zanardelli.

La portata di tale innovazione è stata oggetto di dibattito in dottrina. Secondo Mezzetti, tale elemento assume un ruolo centrale nell’ambito della fattispecie: la consapevolezza caratterizza la condotta e si aggancia all’idoneità decettiva di questa464. In particolare, è stato sostenuto che l’inserimento di tale avverbio servirebbe ad escludere la sussistenza del dolo

461 MADÌA, op. cit., 117.

462 MANES, cit., 30. Inoltre, l’autore specifica che il requisito dell’ingiustizia deve rimanere

“impermeabile” ad ogni valutazione basata su “criteri metagiuridici”, quali ad esempio la finalità di salvare la propria azienda o il posto di lavoro

463 D’AVIRRO, op. cit., 141. In particolare, vi possono essere situazioni in cui l’imprenditore,

per ragioni di prudenza, potrebbe essere motivato ad occultare delle perdite con la ragionevole certezza di rimettersi in sesto, oppure potrebbe avere interesse a creare riserve oscure liquide da accantonare a fini di prudenza. Per D’Avirro in queste ipotesi non si integra l’elemento dell’ingiusto profitto. Di opinione contraria MANES, cit., 31.

198 nell’ipotesi in cui il soggetto agente si rappresenti dei dubbi circa la falsità dell’informazione465.

Queste impostazioni hanno trovato puntuale riscontro in giurisprudenza: la Cassazione ha affermato che l’introduzione dell’espressione “consapevolmente” sarebbe da ascrivere ad una volontà del legislatore di escludere le ipotesi di dolo eventuale466.

9. I fatti di lieve entità e la causa di non punibilità per la

particolare tenuità del fatto

9.1. I fatti di lieve entità ex art. 2621-bis c.c.

La riforma del 2015, mantenendo parzialmente il gradualismo caratterizzante le fattispecie previgenti, ha introdotto un elemento di novità nell’ambito dei delitti di false comunicazioni sociali: due ipotesi di “fatti di

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