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La tutela penale dell'informazione societaria tra passato e futuro

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE………...…7

CAPITOLO I: IL BILANCIO D’ESERCIZIO NELLA

DISCIPLINA PRIVATISTICA ... 10

1. Il bilancio d’esercizio: funzione e principi fondamentali………….10

1.1. Cenni introduttivi………10

1.2. La funzione del bilancio ed i principi fondamentali ………..11

2. La struttura del bilancio nel Codice Civile………15

2.1. Le componenti del bilancio ed i criteri di redazione………..15

2.2. Lo stato patrimoniale e il conto economico………...16

2.3. La nota integrativa………..19

2.4. Il rendiconto finanziario……….20

3. I criteri di valutazione del Codice Civile………...21

4. Il bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali…….25

CAPITOLO II: ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL

MENDACIO SOCIETARIO………30

1. Dalle prime forme di repressione delle falsità contabili al Codice Civile del 1942………..30

1.1. Dalla nascita delle Compagnie delle Indie alle prime forme di regolamentazione………...30

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2 2. Le false comunicazioni sociali nel Codice Civile del 1942…………38 2.1. Il nodo gordiano del bene giuridico tutelato………...40 2.2. I soggetti

attivi………...46 2.3. L’oggetto materiale del reato………..50 2.4. Le falsità nei libri contabili e nel bilancio consolidato…………...57 2.5. La condotta attiva: il concetto di falsità e il delicato problema delle valutazioni di

bilancio………..61 2.6. Le falsità nella fase costitutiva della società………..……66 2.7. La falsità sulle condizioni economiche della società: la tesi della soglia di rilevanza e il c.d. “falso qualitativo”………...68 2.8. Il nascondimento di fatti riguardanti le condizioni economiche della società………...71 2.9. Le riserve occulte………...75 2.10. La valenza dell’avverbio “fraudolentemente” e l’elemento

soggettivo………..78 2.11. Consumazione, configurabilità del tentativo, forme di

manifestazione e rapporti con altri reati………81 3. La stagione di “Mani pulite”………..83 4. Il falso in bilancio all’alba del nuovo millennio: i crac Parmalat e

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CAPITOLO III: LA TUTELA DELL’INFORMAZIONE

SOCIETARIA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA…………95

1. La vicenda Enron……….95 2. La risposta del legislatore statunitense: il Sarbanes-Oxley Act……98 2.1. Le riforme per i revisori esterni ed in materia di contabilità……..98 2.2. Le disposizioni penali………...100 3. Il reato di “False statements”………...102

CAPITOLO IV: LE FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI

ALLA LUCE DELLA RIFORMA DEL 2002………...109

1. Il percorso della riforma: dal progetto Mirone alla legge sulla tutela del risparmio………..109 1.1. Le esigenze di riforma del diritto (penale) societario all’alba del nuovo millennio………...109 1.2. Il progetto elaborato dalla Commissione Mirone……….111 1.3. Dal progetto Mirone alla riforma del diritto penale societario….113 1.4. Le innovazioni introdotte dalla legge sulla tutela del risparmio..117 2. L’architettura delle nuove fattispecie tra gradualismo sanzionatorio

e bagatellizzazione della risposta punitiva………..119 3. Le modifiche al novero dei soggetti attivi………122 3.1. L’eliminazione dei promotori e dei soci fondatori e l’introduzione del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili

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societari………122

3.2. L’estensione delle qualifiche soggettive ex art. 2639 c.c……….124

4. L’oggetto materiale del reato………125

5. Le modalità della condotta………128

5.1. L’ipotesi commissiva tra “fatti materiali” e valutazioni………...128

5.2. La condotta omissiva………130

6. L’idoneità ad ingannare………132

7. I profili di offensività del reato: l’alterazione sensibile, le soglie percentuali e la franchigia per le valutazioni estimative…………134

7.1. Il criterio generale dell’alterazione sensibile………134

7.2. Le soglie quantitative percentuali……….136

7.3. La natura giuridica delle soglie quantitative………140

7.4. La franchigia per le valutazioni estimative………..141

7.5. I rapporti tra le soglie, le valutazioni ed il criterio generale di alterazione sensibile……….143

8. Il falso qualitativo alla luce della riforma………146

9. Il danno patrimoniale nell’art. 2622 c.c: un ritorno alla truffa in incertam personam?...148

10. La nuova configurazione dell’elemento soggettivo……….151

11. Il bene giuridico tutelato: la svolta in senso patrimoniale della riforma………153

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5 13. I profili di illegittimità costituzionale e comunitaria della nuova

disciplina……….159

CAPITOLO V: LA NUOVA DISCIPLINA DELLE FALSE

COMUNICAZIONI SOCIALI………..162

1. L’iter parlamentare della riforma………162

2. La struttura delle nuove incriminazioni e il doppio binario sanzionatorio tra quotate e non quotate………..164

2.1. Gli elementi di discontinuità con la previgente disciplina……...164

2.2. I nuovi livelli sanzionatori tra doppio binario ed esigenze estrinseche………...166

2.3. Dalle società quotate alle c.d. “società aperte”……….169

3. Il bene giuridico protetto: il ritorno alla tutela di interessi più ampi………172

4. I soggetti attivi e l’oggetto materiale del reato………174

5. Le modalità della condotta………176

6. I “fatti materiali rilevanti” e l’idoneità ingannatoria……….178

6.1. Il significato di “fatti materiali”: una scelta semantica infelice...178

6.2. Rilevanza e idoneità ingannatoria nell’ambito delle nuove fattispecie……….181

6.3. Il falso qualitativo……….184

7. La rilevanza delle valutazioni………...185

(6)

6 7.2. L’esclusione della rilevanza penale delle valutazioni nella sentenza Crespi………...186 7.3. Le critiche alle motivazioni della Cassazione e la sentenza

Giovagnoli………...188 7.4. L’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite………191 7.5. I principi stabiliti dalle Sezioni Unite alla prova di un “hard

case”………194

8. L’elemento soggettivo………196 9. I fatti di lieve entità e la causa di non punibilità per la particolare

tenuità del fatto………..198 9.1. I fatti di lieve entità ex art. 2621-bis c.c………...198 9.2. La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto……..201 10. Consumazione, tentativo e profili di diritto intertemporale……..202 11. I rapporti con la bancarotta societaria………203 12. L’illecito amministrativo da false comunicazioni sociali…………204

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7

INTRODUZIONE

Il presente elaborato si propone di operare una ricostruzione in chiave storico-legislativa del reato di false comunicazioni sociali.

L’attesa riforma degli artt. 2621 e 2622 c.c., operata con la legge n. 69/2015, ha mutato radicalmente il volto di tali fattispecie, restituendo effettività e capacità deterrente all’intervento penale in materia di informazione societaria. Tuttavia, le scelte effettuate dal legislatore, nonché i successivi interventi ermeneutici operati dalla giurisprudenza di legittimità, affondano le loro radici nel percorso evolutivo compiuto dalle false comunicazioni sociali. Questa circostanza impone all’interprete un’analisi attenta di tale sviluppo, in modo da cogliere le ragioni e le problematiche sottese ai differenti approcci che si sono susseguiti nel corso del tempo.

Nel I° capitolo verrà esaminata la disciplina civilistica in materia di bilancio d’esercizio. Comprendere la funzione, la struttura e le regole di redazione di tale documento risulta indispensabile per individuare le motivazioni che giustificano e rendono necessario un presidio di natura penale. Tali disposizioni costituiscono inoltre una fondamentale fonte di integrazione di natura extra-penale delle fattispecie incriminatrici.

Il capitolo successivo è dedicato alla retrospettiva storica. Cominciando dall’origine delle società per azioni, saranno illustrate le ragioni sottese allo

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sviluppo delle prime forme di regolamentazione elaborate dagli Stati nazionali in materia di contabilità e trasparenza societaria. L’attenzione si soffermerà sulle disposizioni contenute negli articoli 246 e 247 del Codice Zanardelli, le quali rappresentano la prima forma di repressione delle false comunicazioni sociali nel nostro ordinamento. Tale disciplina, transitando per la legge n. 660/1931, ha successivamente trovato compiuta regolamentazione nel Codice Civile del 1942, all’articolo 2621, n.1. Dall’analisi di tale disposizione possono essere rilevate le problematiche e le differenti correnti di pensiero che caratterizzeranno l’evoluzione del reato fino ad oggi. Dopodiché verranno illustrati gli indirizzi giurisprudenziali sorti a seguito dell’inchiesta “Mani pulite”, improntati ad un’espansione incontrollata del perimetro applicativo della fattispecie. L’utilizzo del “falso in bilancio” quale reato omnicomprensivo, ne stimolerà una radicale riforma ad opera del d.lgs. 61/2002. Il capitolo si concluderà con l’esame di due episodi emblematici riguardo la fondamentale funzione svolta dai controlli e dai presidi in materia di informazione societaria: i crac Parmalat e Cirio.

Il III° capitolo avrà ad oggetto la comparazione con la regolamentazione dell’informazione societaria negli Stati Uniti d’America, illustrando la risposta legislativa al fallimento di Enron attraverso il “Sarbanes-Oxley act” e analizzando la fattispecie principale a tutela della veridicità delle dichiarazioni, dalla quale il legislatore italiano trarrà spunto per le successive riforme.

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Il IV° capitolo illustrerà la riforma delle false comunicazioni sociali attuata con il d.lgs. 61/2002 e con la successiva “legge sul risparmio”. Mostrando dapprima

le proposte elaborate dalla Commissione Mirone, verrà analizzata la disciplina contenuta nei nuovi articoli 2621 e 2622 c.c., cogliendo le profonde differenze tra le fattispecie riformate e la regolamentazione previgente, dovute dallo spostamento dell’asse di tutela verso interessi di natura privata quali il patrimonio della società, dei soci e dei creditori. In particolare, saranno approfonditi gli aspetti più controversi della riforma, quali la divisione del precedente reato in due fattispecie autonome, l’architettura punitiva caratterizzata dal ricorso ad un marcato gradualismo sanzionatorio, l’introduzione di soglie quantitative di rilevanza e del regime di procedibilità a querela.

L’ultimo capitolo tratterà l’analisi della disciplina attuale, partendo dalle ragioni che hanno imposto un intervento legislativo volto a ripristinare l’effettiva punibilità delle false comunicazioni sociali e dai profili di discontinuità rispetto alle disposizioni previgenti. La trattazione si soffermerà sui principali profili di incertezza sollevati dal tenore lessicale delle nuove norme, sulle pronunce di segno opposto da parte della Cassazione riguardo alla rilevanza penale delle valutazioni di bilancio e sull’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite con la sentenza Passarelli, per giungere fino ad una più recente applicazione dei principi stabiliti dal Supremo Collegio.

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CAPITOLO I

IL BILANCIO D’ESERCIZIO NELLA DISCIPLINA

PRIVATISTICA

1. Il bilancio d’esercizio: funzione e principi fondamentali

1.1 Cenni introduttivi

Prima di trattare l’evoluzione storico-legislativa del reato di false comunicazioni sociali è opportuno soffermarsi sulla disciplina che regola la redazione del bilancio d’esercizio: dal momento che tale documento rappresenta uno dei veicoli privilegiati della falsità societaria, le norme privatistiche in materia di bilancio hanno importanti riflessi anche sulla fattispecie penale.

Il bilancio d’esercizio è “il documento contabile che rappresenta,

in modo veritiero e corretto, la situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell’esercizio stesso (cioè, gli utili conseguiti o le perdite subìte nell’esercizio)”1.

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11 Mentre il previgente Codice di commercio non conteneva alcuna norma volta a regolamentarne il contenuto, il codice civile ne disciplina analiticamente la struttura ed i contenuti agli artt. 2423 ss. Tali norme sono contenute nel Capo V del Titolo V dedicato alle società per azioni e assumono pacificamente portata generale, essendo applicabili, oltre che alle società a responsabilità limitata e alle società cooperative, anche ad enti di natura differente quali associazioni o società di persone in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2217, II° comma c.c.2.

Dall’emanazione del codice civile nel 1942 le norme sul bilancio sono state sottoposte a modifiche consistenti in tre occasioni: con il d.lgs. 127/1991 (attuativo della IV° direttiva CEE), in occasione della riforma del diritto societario del 2003 e da ultimo con il d.lgs. 139/2015. Queste riforme sono avvenute su impulso dell’Unione Europea: una normativa societaria e contabile il più omogenea possibile costituisce infatti un presupposto indispensabile per il corretto funzionamento del mercato unico.

1.2 La funzione del bilancio ed i principi fondamentali

Il bilancio d’esercizio assolve a due funzioni principali: rende possibile l’accertamento periodico della situazione patrimoniale in cui versa la società e ne misura la redditività durante l’esercizio annuale. Questi due accertamenti sono necessari per la corretta applicazione di

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12 alcune norme che regolamentano l’attività della società per azioni: dal contenuto del bilancio scaturiscono effetti in relazione alla salvaguardia del capitale sociale, all’adozione di deliberazioni assembleari conseguenti all’accertamento di utili realizzati o perdite subite3. Inoltre, all’interno delle società di capitali il bilancio rappresenta l’unico strumento informativo di cui i creditori possono disporre per conoscere l’esatta consistenza del patrimonio sociale e l’unica garanzia per i crediti vantati nei confronti dell’ente. Infine, il bilancio costituisce anche il termine di riferimento per l’applicazione dell’imposta sul reddito delle società (Ires), sebbene il legislatore abbia provveduto ad eliminare i meccanismi che ne permettevano la contaminazione a scopi tributaristici.

L’art. 2423 c.c. prevede che il bilancio debba essere “redatto con

chiarezza” e debba “rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società”. Il principio di

chiarezza e quello di rappresentazione veritiera e corretta costituiscono i due pilastri fondamentali della disciplina di bilancio. Sia la dottrina sia la giurisprudenza considerano queste due prescrizioni come vere e proprie clausole generali, sovraordinate rispetto alle regole esposte negli articoli successivi4. Al III° comma viene poi espressamente stabilito l’obbligo di fornire tutte le informazioni aggiuntive necessarie ad una rappresentazione chiara, veritiera e corretta, anche quando non

3 Ad esempio, è in base al risultato finale esposto nel bilancio che si costituiscono riserve, si

distribuiscono i dividendi ai soci o dev’essere disposta la riduzione del capitale per perdite.

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13 espressamente richiesta dalla disciplina civilistica. Il comma successivo impone al redattore del bilancio di derogare all’applicazione di quelle regole che, pur previste dalla legge, risultino concretamente incompatibili con una rappresentazione veritiera e corretta5.

È necessario soffermarsi brevemente sul significato che assumono i termini “veritiero e corretto”. Per quanto riguarda la verità delle poste iscritte a bilancio, la dottrina è concorde nel ritenere che laddove debbano essere operate valutazioni (circostanza che si riscontra praticamente per tutte le poste) non si possa sostenere l’esistenza di una verità oggettiva espressa dal bilancio: sono sempre ammissibili differenti valutazioni del medesimo bene, attraverso l’applicazione di criteri diversi, purché queste valutazioni siano adeguatamente giustificate nella nota integrativa. Si è fatta strada dunque la nozione di “discrezionalità tecnica”, ossia un’area di veridicità in cui gli amministratori operano liberamente nel solco dei criteri stabiliti ex lege e del limite di ragionevolezza. La correttezza sarebbe riferita principalmente all’esposizione delle informazioni che non deve avvenire in modo tale da distorcerne il significato complessivo.

In conclusione, i principi generali di chiarezza e di veridicità e completezza rappresentano al contempo criteri interpretativi per le successive disposizioni e norme in grado di integrare eventuali lacune.

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14 Dopo aver elencato le clausole generali, all’art. 2423-bis, I° comma c.c. vengono dettati alcuni principi più specifici ai quali il redattore del bilancio deve adeguarsi. In primis, viene stabilito che “la

valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato”. Da questa disposizione ricaviamo innanzi tutto il

principio di prudenza: si tratta di un’altra clausola generale che trova diretta applicazione con due regole specifiche. La norma inoltre impone di indicare solamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio, nonché l’obbligo a carico degli amministratori di tenere conto delle perdite e dei rischi di competenza dell’esercizio, anche qualora ne siano venuti a conoscenza successivamente (art. 2423-bis, I° comma, n.4).

Un altro importante principio ricavabile dall’art. 2423-bis, I° comma, n.1 è quello della continuazione dell’attività: le regole di valutazione dovranno essere applicate nella prospettiva del proseguimento dell’attività d’impresa. Ciò è previsto in quanto la medesima voce di bilancio può essere soggetta a valutazioni diverse a seconda che la prospettiva futura sia la continuazione dell’attività d’impresa o la sua cessazione e liquidazione dell’azienda6.

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15 Troviamo, quindi, il principio di competenza dell’esercizio, che impone di tenere conto degli oneri e dei proventi non in base alla data di incasso o di pagamento, bensì in base all’esercizio nel quale si sono verificati7.

Un’altra regola di fondamentale importanza stabilisce che “i

criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro” (art. 2423-bis, I° comma, n.6). Si tratta del c.d. “principio di

continuità”, improntato alla comparabilità dei bilanci tra un esercizio e l’altro. A tale principio si può derogare solamente in “casi eccezionali”, con l’obbligo per gli amministratori di illustrare le deroghe e le motivazioni nella nota integrativa.

Tali regole sono state integrate nel 2015 con due ulteriori previsioni. Al I° comma dell’articolo è stato introdotto il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, mentre l’art. 2423, IV° comma c.c. stabilisce il principio di rilevanza: è consentito non osservare gli obblighi di rilevazione, valutazione, informativa e presentazione quando questi risulterebbero irrilevanti nel fornire una rappresentazione veritiera e corretta, al fine di alleggerire gli oneri a carico delle imprese rispetto a informazioni irrilevanti per i destinatari dell’informazione8.

7 Tale principio si contrappone al c.d. “principio di cassa”, in base al quale oneri e proventi

debbono essere iscritti alla data di pagamento o incasso.

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2. La struttura del bilancio nel Codice Civile

2.1. Le componenti del bilancio ed i criteri di redazione

Il bilancio redatto secondo le regole del codice civile è composto da quattro documenti: lo stato patrimoniale, il conto economico, la nota integrativa ed il rendiconto finanziario (introdotto con il d.lgs. 139/2015). A corredo del bilancio, sono previste tre relazioni obbligatorie: la relazione sulla gestione redatta dagli amministratori, la relazione del collegio sindacale e la relazione del revisore legale dei conti. Come vedremo nel prossimo capitolo, pur non essendo parte integrante del bilancio anche le falsità presenti in queste relazioni possono essere penalmente rilevanti.

L’art. 2423-ter c.c. detta le regole generali da rispettare nella redazione dello stato patrimoniale e del conto economico: l’ordine delle singole voci inserite nel bilancio è tassativamente previsto agli artt. 2424-2425 c.c.; queste devono poi essere organizzate in grandi categorie omogenee (segnate da lettere maiuscole), suddivise a loro volta in sottocategorie (segnate con numeri romani), in voci (segnate con numeri arabi) ed eventualmente in sotto-voci (segnate con lettere minuscole); accanto ad ogni voce dev’essere indicato il valore corrispondente nell’esercizio precedente, così da rendere più agevole la comparazione; è vietato il compenso di partite ed infine il bilancio dev’essere redatto in euro, senza la presenza di cifre decimali.

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17 2.2 Lo stato patrimoniale e il conto economico

Lo stato patrimoniale è il documento che rappresenta, sotto forma di tavola numerica, la composizione del patrimonio sociale alla data di chiusura dell’esercizio. Questo fornisce dunque una rappresentazione statica della situazione patrimoniale della società, una sorta di “radiografia dell’azienda”9.

L’art. 2424 c.c. prescrive che venga redatto a colonne contrapposte, secondo lo schema previsto per le voci dell’attivo e per le voci del passivo. Le prime comprendono i crediti per i versamenti ancora dovuti da parte dei soci (A), le immobilizzazioni (B)10, l’attivo circolante (C)11 ed i ratei e risconti attivi (D)12. Le voci del passivo sono articolate in cinque categorie. In primis, troviamo il patrimonio netto (A), composto dal capitale sociale nominale e dai diversi tipi di riserve: non costituisce una vera e propria passività, ma per ragioni di contabilità la sua iscrizione è prescritta nella colonna del passivo. In secondo luogo, devono essere elencati i fondi per rischi e oneri (B) e il

9 TANTINI, op. cit., 79.

10 Queste costituiscono i beni destinati ad essere utilizzati in modo durevole dalla società. Esse

sono a loro volta distinte in tre sottocategorie: immobilizzazioni immateriali (ad esempio i diritti di brevetto industriale), immobilizzazioni materiali (ad esempio i fabbricati industriali o i macchinari di produzione) e le immobilizzazioni finanziarie (ad esempio le partecipazioni azionarie o i prodotti finanziari sottoscritti). Secondo quanto previsto dal codice, in ossequio al principio di chiarezza, devono essere indicate separatamente le immobilizzazioni concesse in locazione finanziaria.

11 A sua volta da distinguere in: rimanenze di magazzino, crediti che non costituiscono

immobilizzazioni, attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni e disponibilità liquide (ad esempio: il danaro in cassa o il danaro depositato in banca).

12 I ratei attivi sono quote di proventi comuni a due o più esercizi che, pur essendo di

competenza dell’esercizio in cui sono iscritti, diverranno esigibili in esercizi successivi. I risconti attivi, al contrario, sono quote di costi comuni a due o più esercizi che vengono sostenuti nell’esercizio in cui sono iscritti ma sono di competenza di esercizi successivi. Sono dunque una sorta di “credito” nei confronti degli esercizi successivi.

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18 trattamento di fine rapporto per i lavoratori subordinati (C). La quarta categoria da iscrivere è quella dei debiti (D), a sua volta articolata in quindici voci, al fine di illustrare in modo esauriente la situazione debitoria della società. Infine, vanno indicati i ratei ed i risconti passivi (E), categoria inversamente speculare a quella da indicare nella colonna delle attività13.

Il conto economico, disciplinato dall’art. 2425 c.c., è il documento in cui viene esposto il risultato economico complessivo dell’esercizio, rappresentando i costi e gli oneri sostenuti, nonché i proventi ed i ricavi realizzati nel corso dell’esercizio14. Deve essere redatto in forma espositiva scalare, tramite una sequenza unica dei componenti positivi e negativi del reddito stabilita ex lege.

La prima sezione scalare prevista all’art. 2425 c.c. è il valore della produzione (A), nel quale vengono indicati i ricavi di competenza dell’esercizio, nonché le variazioni delle rimanenze di magazzino. Devono, inoltre, essere indicati i costi di produzione (B): dalla differenza tra queste prime due sezioni si ricava il risultato lordo di produzione. Nella terza sezione vanno indicati i proventi e gli oneri finanziari (C), in cui devono essere inseriti i profitti derivanti dalle partecipazioni in altre società, gli utili e le perdite sui cambi e gli

13 Per ratei passivi si intendono le quote di costi comuni a più esercizi che, pur di competenza

dell’esercizio in cui vengono iscritti, saranno parzialmente o totalmente sopportati in un momento successivo. I risconti passivi sono invece le quote di proventi comuni a più esercizi che vengono percepiti nell’esercizio in cui sono iscritte, ma sono di competenza di quelli successivi.

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19 interessi attivi e passivi. Infine, nella quarta sezione devono essere inserite le rettifiche di valore delle attività e passività finanziarie (D), per poi sommarle algebricamente. La somma dei totali delle varie categorie costituisce il risultato globale di esercizio dal quale, al netto delle imposte, si potranno ricavare gli eventuali utili conseguiti o le perdite sofferte nell’esercizio.

2.3 La nota integrativa

Dopo lo stato patrimoniale ed il conto economico il bilancio d’esercizio deve contenere la nota integrativa. In precedenza, il bilancio conteneva esclusivamente le due componenti numeriche già analizzate, dovendo presentare come allegato esterno una relazione degli amministratori. In seguito alla IV direttiva CEE, il legislatore ha sostituito tale allegato con due distinti documenti: la relazione sulla gestione, disciplinata dall’art. 2428 c.c. e tutt’oggi esterna al bilancio e la nota integrativa, la quale è divenuta un vero e proprio componente del bilancio.

La nota integrativa assume un ruolo di fondamentale importanza per la lettura degli altri elementi del bilancio e svolge una duplice funzione. In primis, integra le informazioni contenute nello Stato Patrimoniale e nel Conto economico. In secondo luogo, assume il compito di “chiave di lettura” per interpretare il bilancio: gli amministratori indicano nella nota integrativa i criteri di valutazione

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20 adottati, le eventuali deroghe, il loro cambiamento da un esercizio all’altro, specificando le motivazioni sottostanti a queste decisioni. Tutto ciò che è considerato rilevante da parte del legislatore e non si esaurisce nella rappresentazione numerica dello Stato Patrimoniale e del conto economico, deve essere illustrato nella nota integrativa15. Inoltre, in essa vanno inseriti tutti i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura del bilancio.

Il contenuto della nota integrativa è disciplinato dall’art. 2427 c.c., I° comma, norma più volte modificata dal legislatore che ha aggiunto prescrizioni sempre più specifiche e puntuali.

2.4 Il rendiconto finanziario

Il rendiconto finanziario è stato introdotto con la riforma del 2015 e costituisce un prospetto contabile avente lo scopo di fornire informazioni esaurienti e specifiche sull’ammontare e sulla composizione delle disponibilità liquide, nonché sui flussi finanziari che ne hanno determinato la variazione durante l’esercizio. Attraverso tale documento è dunque possibile monitorare i “cash flows”: capire di quanta liquidità ha usufruito la società, come questa è variata e com’è stata impiegata durante il corso dell’esercizio16.

L’art. 2425-ter c.c. prescrive che i gruppi finanziari siano raggruppati in tre classi: i flussi finanziari dell’attività operativa, i flussi

15 TANTINI, op. cit., 96. 16 CAMPOBASSO, op. cit., 461.

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21 derivanti dalle attività di investimento (in cui saranno indicate le realizzazioni o le smobilitazioni degli investimenti) ed i flussi relativi all’attività finanziaria.

3. I criteri di valutazione del Codice Civile

Durante la redazione del bilancio è necessario operare alcune stime valutative su molti cespiti patrimoniali. Per limitare la discrezionalità degli amministratori ed evitare che il bilancio rappresenti in modo distorto la situazione economica e patrimoniale della società, il legislatore ha stabilito alcuni criteri a cui ogni valutazione patrimoniale deve ispirarsi. Tali criteri sono dettati all’art. 2426 c.c., norma che è stata successivamente affiancata dai principi contabili internazionali che, come vedremo, divergono in parte dalle regole codicistiche.

Il criterio generale dettato dal codice è quello del “costo di

acquisto o produzione”, previsto sia per le immobilizzazioni17 che per

le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie (che non costituiscano immobilizzazioni). Le ragioni principali di questa scelta risiedono tanto nella semplicità applicativa di tale criterio, quanto nella circostanza

17 Costituiscono immobilizzazioni tutti gli elementi patrimoniali il cui utilizzo è durevole,

rappresentando così un investimento permanente. Si distinguono in immobilizzazioni immateriali (quali ad esempio i brevetti di cui la società detiene i diritti), materiali (quali ad esempio le proprietà immobiliari e i macchinari di produzione) e finanziari (le partecipazioni azionarie detenute); TANTINI, op. cit., 116.

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22 secondo cui il costo di acquisto o produzione è generalmente inferiore al valore attuale della posta e dunque la sua adozione rende impossibile sopravvalutare il patrimonio societario.

A tale criterio, l’art. 2426, n.2 c.c. affianca gli ammortamenti, i quali sono obbligatori per l’iscrizione delle immobilizzazioni con un uso limitato nel tempo18: il loro valore dev’essere ridotto ad ogni

esercizio rispetto alla durata residua. Qualora poi tale immobilizzazione risulti “durevolmente di valore inferiore” a quello del costo d’acquisto o di produzione e al valore ammortizzato, gli amministratori dovranno iscrivere quella voce secondo quel minor valore, operando una svalutazione (art. 2426, n.3 c.c.).

Al criterio generale del costo d’acquisto o di produzione (eventualmente ammortizzato o svalutato), il legislatore ha poi affiancato alcuni criteri speciali. In particolare, è stata profondamente innovata la disciplina inerente alle partecipazioni in altre società. Queste sono state suddivise in due categorie: partecipazioni strategiche e durevoli, che di fatto costituiscono immobilizzazioni finanziarie, e partecipazioni a scopo di negoziazione, rispetto alle quali non si riscontra il carattere della durevolezza e stabilità.

Dunque, sono stati previsti tre criteri. In primis, le partecipazioni rientranti nell’attivo circolante (che dunque non costituiscono un’immobilizzazione) devono essere valutate al costo d’acquisto

18 Ad esempio, devono essere ammortizzate le voci relative ai macchinari industriali o ai

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23 oppure al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato, qualora questo risulti inferiore. Nel caso in cui le condizioni del mercato dovessero cambiare e il valore di presumibile realizzo dovesse superare il costo d’acquisto, nel successivo bilancio la partecipazione dovrà essere iscritta a tale valore. Alle partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni, destinate ad essere mantenute in modo durevole, si applica il criterio del costo d’acquisto ex art. 2426, n.1 c.c. Infine, le partecipazioni in società controllate e collegate si presumono immobilizzazioni, perciò possono essere valutate sia in base al costo che in base alla frazione di patrimonio detenuto con la partecipazione azionaria, così come risultante dall’ultimo bilancio della società partecipata19. La scelta tra questi metodi è rimessa alla discrezionalità degli amministratori, su cui però grava l’obbligo di motivare tale scelta nella nota integrativa.

I costi di impianto, ampliamento e sviluppo devono essere iscritti nell’attivo soltanto qualora abbiano un’utilità pluriennale20,a condizione che sussista l’approvazione del collegio sindacale (nelle società non quotate) e che questi costi siano ammortizzati nell’arco di non più di cinque anni (art. 2426, n.5 c.c.). Anche il costo di avviamento può essere iscritto nell’attivo, purché sia stato acquistato a titolo oneroso e,

19 TANTINI, op. cit., 120. Inoltre, la medesima partecipazione può essere suddivisa in più

categorie tra quelle illustrate. Ad esempio: a fronte di una partecipazione della società A pari al 70% della società B, il 51% di questa potrà essere considerata come immobilizzazione volta a mantenerne il controllo, mentre il restante 19% ben potrebbe essere considerato come destinato ad essere venduto sul mercato.

20 Per utilità pluriennale si intende un ricavo direttamente collegato al costo sostenuto, così

(24)

24 per le sole società non quotate, sussista l’approvazione del collegio sindacale. In ogni caso il valore iscritto non può superare il costo di acquisto sostenuto (art. 2426, n.6 c.c.).

L’art. 2426, n.8 c.c. prevede che i crediti siano “iscritti secondo il

valore presumibile di realizzazione”. La medesima regola è applicata

anche all’iscrizione a bilancio dei titoli (ad esempio le obbligazioni o i Titoli di debito pubblico). Inoltre, i guadagni e le spese generati da crediti e debiti devono essere divisi in base alla durata del rapporto ed imputati pro-quota ai singoli esercizi (c.d. “criterio del costo

ammortizzato”).

Al numero 11-bis, il legislatore ha introdotto il criterio del fair

value per la valutazione degli strumenti finanziari derivati. Unica

condizione per l’applicazione di questo criterio è la possibilità di determinare in modo attendibile il valore da iscrivere. Anche in questo caso, assume molta importanza la nota integrativa, in cui dev’essere contenuta la spiegazione delle modalità di valutazione della posta iscritta21.

21 La disciplina entra poi nel dettaglio per quanto riguarda la valutazione dei derivati,

distinguendo a seconda che essi siano stati stipulati a scopo speculativo o in funzione di “hedging” (copertura del rischio derivante da un’altra operazione finanziaria). Nel primo caso, le variazioni del fair value da un esercizio all’altro devono essere iscritte nel conto economico, come utili o perdite. Gli eventuali utili sono poi iscritti in una riserva non distribuibile. Nel secondo caso, invece, le oscillazioni nel valore del prodotto sono iscritte nel conto economico solo quando si realizza il rischio per cui sono poste a copertura, in modo da neutralizzarne il risultato in termini quantitativi sul bilancio.

(25)

25 Altre regole speciali sono dettate per le valutazioni del “disaggio

e l’aggio su prestiti”22 (art. 2426, n.7 c.c.), per i quali si applica il criterio del costo ammortizzato; per le “attività e passività monetarie in

valuta” (art. 2426, n. 8-bis c.c.), che devono essere iscritte al tasso di

cambio presente alla data di chiusura dell’esercizio; per i “lavori in

corso su ordinazione” (art. 2426, n. 11 c.c.), a cui si può applicare il

prezzo maturato da contratto. Infine, per il costo dei beni fungibili (ossia delle rimanenze di magazzino) sono previsti più metodi, in quanto tali materiali vengono prodotti ed acquistati con costi ed in tempi differenti: l’art. 2426, n. 10 c.c. prevede dunque tre metodi alternativi, la cui scelta è rimessa agli amministratori, che dovranno indicare nella nota integrativa l’eventuale differenza di valore rispetto agli altri metodi (qualora questa differisca in modo sensibile) e non potranno modificare il criterio scelto da un esercizio all’altro23.

4. Il bilancio redatto secondo i principi contabili

internazionali

L’altro insieme di regole deputate a disciplinare la redazione del bilancio, sia per quanto riguarda la sua struttura che rispetto ai criteri di

22 L’aggio e il disaggio costituiscono la differenza tra il valore nominale di un’obbligazione

emessa ed il suo valore di emissione.

23 TANTINI, op. cit., 119. I criteri dettati dal codice sono: il metodo della media ponderata (che

rappresenta la media aritmetica dei vari costi d’acquisto o produzione), il c.d. “metodo first in,

first out” che prescrive di valutare il magazzino ai prezzi più recenti (e dunque tende a

sopravvalutare il valore iscritto) ed il c.d “metodo last in, first out” che valuta il magazzino a costi più vecchi, tendendo a sottovalutare la voce e rendendo dunque possibile la creazione di riserve occulte.

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26 valutazione delle poste, è quello formato dai principi contabili internazionali (IAS/IFRS). Questi sono emanati dall’International

Accounting Standards Board (IASB), un organismo di natura privata

nato allo scopo di promuovere l’armonizzazione contabile in vari Paesi del mondo, mediante l’emanazione di principi applicabili in vari Paesi caratterizzati da standard di precisione e trasparenza. I primi principi, denominati “International Accounting Standards” (IAS), furono elaborati in modo disorganico e si focalizzavano principalmente sulla risoluzione di specifiche controversie tecniche contabili. In un secondo momento, lo IASB incominciò ad elaborare principi secondo criteri di maggiore organicità, superando l’approccio strettamente contabile ed inserendo prescrizioni generali. In virtù di questo nuovo approccio, i principi furono rinominati “International Financial Reporting

Standards” (IFRS)24.

Gli IAS/IFRS sono penetrati nella legislazione italiana attraverso il Regolamento CE n.1606 del 19/7/2002 ed il successivo d.lgs. 28/2/2005, n. 38. Con l’introduzione di questa nuova normativa, alcune società per azioni sono state obbligate a redigere il bilancio adottando i principi ivi sanciti: si tratta delle società con azioni quotate in borsa, delle società con azioni o strumenti finanziari diffusi in misura rilevante tra il pubblico e delle società che svolgono attività bancaria, di intermediazione finanziaria o mobiliare ed attività assicurativa.

24 AA.VV., Il bilancio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS. Regole e applicazioni, Torino, Giappichelli, 2013, 10.

(27)

27 L’utilizzo dei principi contabili internazionali è stato invece precluso alle società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata: in virtù delle loro esigue dimensioni, il legislatore ha ritenuto più opportuno che i loro bilanci venissero redatti seguendo la disciplina del codice civile, ispirata ad una maggior prudenza nelle valutazioni patrimoniali. Infine, per tutte le altre società per azioni l’adozione dei principi contabili internazionali è facoltativa, benché una volta optato per queste regole gli amministratori non potranno revocare la scelta, se non in presenza di ragioni eccezionali da illustrare in modo adeguato nella nota integrativa.

Il bilancio redatto secondo le prescrizioni degli IAS/IFRS presenta una struttura maggiormente articolata rispetto a quello codicistico, componendosi di un documento aggiuntivo: il prospetto delle variazioni del patrimonio netto. In tale documento vengono indicate le variazioni degli importi di ciascuna voce patrimoniale, rendendo più agevole la ricostruzione delle variazioni delle attività nette dell’impresa e della ricchezza prodotta. Gli altri documenti, pur rinominati in modo differente, corrispondono ai quattro previsti dal codice civile: il prospetto della situazione patrimoniale-finanziaria (corrispondente allo stato patrimoniale), il conto economico complessivo, le note al bilancio (che svolgono la medesima funzione della nota integrativa) e il rendiconto finanziario.

(28)

28 La differenza più rilevante rispetto alla disciplina codicistica è costituita dall’assenza di schemi rigidi: l’individuazione e l’organizzazione delle singole poste è rimessa alla discrezionalità degli amministratori, purché si tratti di voci omogenee e indicando accanto ad ogni voce l’importo di quella corrispondente all’esercizio precedente25.

Nell’ambito dei criteri di valutazione, il concetto più importante ed innovativo introdotto dagli IAS/IFRS è quello di fair value. Introdotto con l’IFRS-13, con fair value si intende “il prezzo che si

percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data della valutazione”26.

Tale concetto trova la sua origine nei Paesi anglosassoni e viene richiamato per la prima volta dai principi contabili statunitensi come alternativa al criterio del costo storico. Con il passare del tempo esso ha assunto maggiore importanza tra i criteri di valutazione per gli elementi del patrimonio aziendale, quale riflesso dell’evoluzione dei mercati finanziari conseguente alla globalizzazione27. Secondo i sostenitori di tale criterio, il fair value sarebbe maggiormente idoneo a rappresentare le modifiche al valore di mercato di un bene rispetto al costo storico rettificato. Ciononostante, il nostro ordinamento vieta la distribuzione

25 CAMPOBASSO, op. cit., 463. 26 IFRS 13, par. 23.

27 AA.VV., AA.VV., Il bilancio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS. Regole e applicazioni, Torino, Giappichelli, 2013, 81.

(29)

29 di utili derivanti dal maggior valore ottenuto tramite l’impiego di questo criterio, dovendo questi essere imputati ad una riserva non distribuibile (art. 6, d.lgs. 38/2005).

Gli ulteriori principali criteri di valutazione stabiliti dai principi contabili internazionali riguardano le immobilizzazioni materiali e gli investimenti immobiliari, i quali devono essere iscritti per la prima volta al costo storico di acquisto, mentre negli esercizi successivi gli amministratori possono optare per conservare tale valore (correggendolo tramite ammortamenti e svalutazioni) oppure rettificarlo utilizzando il fair value (IAS 40). Le poste riguardanti gli impianti, gli immobili posseduti per uso proprio e i macchinari di produzione devono ugualmente essere iscritte la prima volta al costo storico d’acquisto, salvo poi dover essere rivalutate con il criterio del fair value (IAS 16). Questo è anche il criterio generale di riferimento per l’iscrizione a bilancio delle poste riguardanti le attività finanziarie: solo qualora non fosse possibile determinarlo in modo attendibile, gli amministratori dovranno iscriverle con il criterio del costo (IFRS 9).

Infine, così come previsto dal codice civile, anche i principi contabili internazionali prevedono che, nel caso l’applicazione del fair

value comporti una rappresentazione non veritiera, gli amministratori

siano obbligati a disapplicarli, motivando la scelta nelle note al bilancio (IAS 1, par. 17).

(30)

30

CAPITOLO II

ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL MENDACIO

SOCIETARIO

1. Dalle prime forme di repressione delle falsità contabili al

Codice Civile del 1942

1.1. Dalla nascita delle Compagnie delle Indie alle prime forme di regolamentazione

Per comprendere l'evoluzione del reato di false comunicazioni sociali e la sua funzione all'interno dell'ordinamento giuridico è necessario soffermarsi brevemente sulla nascita dell'odierna società per azioni e sulle circostanze che alimentarono l'esigenza di una maggiore trasparenza nella rendicontazione degli affari sociali.

Antesignane della società per azioni (denominata in passato anche "società anonima") sono state le Compagnie delle Indie, sorte nel XVII° e XVIII° secolo in Olanda, Inghilterra e Francia, su forte impulso delle monarchie nazionali che vedevano nei nuovi traffici commerciali intercontinentali uno strumento per espandere il proprio dominio

(31)

31 coloniale. Queste imprese commerciali richiedevano tuttavia un enorme investimento di capitali, presentando al contempo un forte rischio di insuccesso: nessun mercante era in grado di poter far fronte ad un impegno economico di tale portata, né era intenzionato a rispondere di eventuali debiti altrettanto pesanti mettendo a rischio tutto il suo patrimonio.

Attraverso gli oktrooi emanati dai monarchi, furono dunque introdotte due innovazioni sul piano legislativo: il privilegio della responsabilità limitata e la divisione del capitale sociale in azioni28.

La responsabilità limitata, già presente nelle società in accomandita per i soci non incaricati della loro gestione, permise di destinare una parte del proprio patrimonio esclusivamente ad una missione commerciale tenendo al riparo i restanti beni dalle pretese dei creditori. Si trattava anche del primo "privilegio" legislativo accordato ai mercanti, giacché fino a quel momento le disposizioni derogatrici del diritto comune avevano sempre introdotto norme sfavorevoli nei loro confronti.29

La divisione del capitale in azioni fu invece lo strumento con il quale i mercanti riuscirono a mobilitare le risorse economiche di altri ceti sociali, i quali investivano i propri risparmi nelle imprese mercantili a fronte di un futuro ipotetico guadagno. Il titolo azionario determinò la cessazione della partecipazione personale alla società e alle sue vicende,

28PERINI, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, CEDAM, 1999, 61.

29Come sottolinea GALGANO in Lex Mercatoria, Bologna, il Mulino, 2010, 82, è da questo

momento storico che la classe imprenditoriale comincerà a chiedere condizioni di favore al potere politico (immunità e privilegi), un fenomeno tutt'oggi presente.

(32)

32 divenendo un bene mobile di per sé suscettibile di valore economico30: se

l'investitore voleva monetizzare il proprio investimento prima che l’impresa fosse giunta al termine, poteva cedere le proprie azioni.

D'altra parte, anche per i mercanti questo meccanismo risultava vantaggioso: trattandosi di conferimenti a titolo di capitale di rischio, essi non erano tenuti a rimborsare il valore delle partecipazioni in caso di insuccesso dell'iniziativa commerciale, né erano sottoposti alle periodiche scadenze dei prestiti obbligazionari, dovendo distribuire una parte degli eventuali utili solo al momento di realizzo. Tale fenomeno venne definito dagli storici del diritto commerciale "socializzazione del capitale".

Tuttavia, se, da un lato, queste innovazioni favorirono lo sviluppo del nuovo commercio intercontinentale, dall'altro lato la socializzazione del capitale non produsse una socializzazione del potere economico, facendo sorgere nuovi problemi.31 Il potere decisionale passò dalla proprietà (gli azionisti) ai mercanti che amministravano le Compagnie, i quali pur facendo raccolta di capitali tra il pubblico finirono per monopolizzare le decisioni senza fornire adeguate informazioni agli investitori. Questo problema divenne evidente in particolar modo nelle compagnie olandesi e francesi, nelle quali gli amministratori svilupparono un potere quasi assoluto e, forti dell'appoggio ricevuto dai monarchi, esclusero sistematicamente gli azionisti da ogni forma di

30 GALGANO, op cit.

31Ancora GALGANO, op. cit., 149, rileva che sopratutto le compagnie olandesi assunsero fin

(33)

33 controllo della società.32

Le prime richieste di maggior trasparenza trovarono una forte opposizione da parte degli amministratori delle Compagnie, i quali dapprima invocarono il segreto in base a motivazioni di carattere politico-militare (una guerra in corso con la Spagna) e poi mostrarono documenti del tutto inadeguati a comprendere la situazione patrimoniale della società, nascondendo gli altri libri contabili nelle Indie. Questo "braccio di ferro" fu inizialmente vinto dagli amministratori.

Da questa analisi si evincono le ragioni dello sviluppo di una legislazione volta a regolare i bilanci, derivante da questo rapporto conflittuale tra dirigenza e proprietà delle Compagnie33.

Precedenti forme di rendicontazione erano già presenti in epoca medievale, sebbene le stesse costituissero un mero strumento di contabilità al momento della liquidazione delle società mercantili. Solamente con l'avvento delle Compagnie delle Indie il bilancio divenne un mezzo fondamentale per il corretto svolgimento delle attività in forma societaria, rispondendo a due principali scopi: da un punto di vista interno alla compagine sociale, esso serviva agli azionisti per controllare l'operato dell'amministrazione ed esercitare in modo pienamente informato il proprio diritto di voto, mentre da un punto di vista esterno, esso divenne il documento al quale la platea di potenziali investitori

32MIGNOLI, Idee e problemi nell'evoluzione della <<company>> inglese, in Riv. Soc., 1960,

633.

(34)

34 guardava per orientare le proprie scelte economiche. 34

Tuttavia, tra l’insorgere di queste esigenze di trasparenza e l'adozione delle prime legislazioni che daranno risposta a tali istanze, intercorrono due secoli. L’unica eccezione è costituita dal c.d. "modello inglese" delle Compagnie, dove fin dal principio venne adottata una forma più democratica ed inclusiva di società: agli azionisti furono garantiti ampi poteri d'ispezione dei libri contabili ed un pieno coinvolgimento nelle decisioni amministrative.35 Non a caso è inglese la prima legge emanata per disciplinare le Compagnie, il "Bubble act" del 1720, la cui approvazione fu favorita da Re Giorgio I affinché la Corona e il Parlamento potessero esercitare un maggiore controllo, allo scopo di evitare i potenziali abusi che potevano scaturire dal regime di responsabilità limitata in assenza di qualsivoglia regolamentazione36.

Tuttavia, le prime norme penali in materia societaria videro la luce soltanto a partire dalla seconda metà del XIX° secolo, in seguito all’elaborazione organica della normativa civilistica attuata con il codice di commercio Napoleonico. Come rileva Pedrazzi, la legislazione penale delle società commerciali si caratterizzò in un primo momento per la

34RATHENAU, La realtà della società per azioni, in Riv. Soc. 1960, 912. Per tali ragioni,

l'autore sottolinea l'importanza dell'obbligo di fornire "a qualunque minoranza, se non

addirittura ad ogni singola persona presente, qualsivoglia informazione". 35MIGNOLI, op. cit.

36MIGNOLI, op. cit , rileva però che più che una legge volta a disciplinare il fenomeno delle

Compagnie, si trattava di una legge diretta contro coloro "who contrived dangerous and

mischievious undertakings or projects under false pretense of the public good", volta a

tutelare i sottoscrittori di azioni appartenenti a società con un patrimonio limitato o addirittura nullo, create con intenti meramente truffaldini. Questo proliferare di società minori aveva inoltre causato un crollo della borsa, dovuto a forti speculazioni sui titoli della

(35)

35 presenza di pochissime fattispecie incriminatrici, aumentando successivamente di pari passo con lo sviluppo del commercio e del capitalismo industriale. Inoltre, è interessante osservare che mentre altri ambiti del diritto penale commerciale furono caratterizzati da uno sviluppo legislativo più armonioso tra i vari ordinamenti, la repressione penale degli illeciti societari si è declinata fin dal principio in modo molto differente tra i vari contesti nazionali37.

Il primo ordinamento nel quale furono introdotte sanzioni penali in ambito societario fu quello francese: la Legge del 17 luglio 1856 puniva la pubblicazione di fatti falsi e la distribuzione di utili non realmente conseguiti38. Tali norme furono poi modificate con la Legge del 24 luglio 1867, che pose l'accento sull'aspetto patrimoniale della tutela, incriminando ogni condotta volta a rappresentare un quadro non fedele della situazione economica della società.

In Germania i primi reati societari furono introdotti nel Codice di Commercio presentato alla Dieta Federale nel 1861, mentre in Inghilterra disposizioni simili fecero la loro comparsa nel Fraudolent Trustees Act del 185739. Questa legge prevedeva una pena detentiva per i "directors,

officers e managers" delle "private corporations and public companies"

che avessero pubblicato fatti falsi sui libri contabili o avessero compiuto malversazioni a danno del patrimonio sociale.

37PEDRAZZI, Noterelle comparatistiche di diritto penale commerciale, in Indice penale, 1970,

25. Si pensi alla repressione penale del fallimento, già presente in epoca comunale e successivamente evolutasi in modo piuttosto omogeneo nei vari ordinamenti nazionali.

38PERINI, op. cit.

(36)

36 1.2. Le fattispecie nel “Codice Zanardelli”

Questo era il quadro europeo quando nel 1882 il Codice di commercio “Zanardelli” introdusse le prime due fattispecie penali in tema di false comunicazioni.

L'art. 246 cod. comm. puniva con le pene stabilite per la truffa coloro che avessero ottenuto (o tentato di ottenere) sottoscrizioni o versamenti "simulando o asserendo falsamente l'esistenza di

sottoscrizioni o di versamenti ad una società per azioni (...)": tale reato

risultava più simile allo schema della truffa che non a quello delle suddette fattispecie introdotte nelle legislazioni inglesi e francesi.

L'art. 247, n. 1) cod. comm.40 aveva invece caratteristiche simili a quelle delle incriminazioni introdotte negli altri ordinamenti continentali, e che sarebbero state successivamente recepite dall'art. 2621, n.1) del codice civile del 1942. Quest’ultima norma puniva la comunicazione di fatti falsi sulle condizioni economiche della società e il nascondimento di fatti attinenti alla medesime41.

Le false comunicazioni sociali, dunque, fecero la loro comparsa nel nostro ordinamento come fattispecie ibrida, a metà strada tra la truffa e i delitti di falso, finalizzata alla tutela del patrimonio dei creditori contro i

40Art. 247 cod comm. "Sono puniti con la pena pecuniaria sino a cinquemila lire, salve le maggiori pene comminate nel codice penale:

1) I promotori, gli amministratori, i direttori, i sindaci e i liquidatori delle società che nelle relazioni o nelle comunicazioni d'ogni specie fatte all'assemblea generale, nei bilanci o nelle situazioni delle azioni abbiano scientemente enunciato fatti falsi sulle condizioni della società, o abbiano in tutto o in parte nascosti fatti riguardanti le condizioni medesime; (...)".

(37)

37 possibili inganni realizzati dalla dirigenza della società, ma delineata per apportare una tutela anticipata rispetto all’offesa patrimoniale. Questo tipo di tutela era necessaria a causa del novero indefinito di potenziali destinatari, che forniva all’illecito un potenziale impatto offensivo connotato dalla ripetitività. Tuttavia, è evidente che il legislatore dell'epoca si limitò a seguire una linea minimalista, soprattutto rispetto al reato ex art. 247, n.1 cod. comm., che era punito con la sola multa fino a Lire 5000. Tale scelta probabilmente derivava dalla presa di coscienza dello stato ancora arretrato dell'economia italiana rispetto agli altri Paesi europei. Inoltre, le disposizioni introdotte furono rese ancora più inefficaci da una scarna regolamentazione privatistica del bilancio contenuta nel Codice di Commercio e da successive interpretazioni che sostenevano la liceità delle sottovalutazioni volte a creare riserve occulte illiquide, considerate allora come ulteriore profilo di garanzia patrimoniale per soci e creditori. Non a caso nei lavori preparatori del nuovo Codice di Commercio (che non vedrà mai la luce, soppiantato dal Codice Civile del 1942), l'art. 247 fu definito "una scorrettezza più che

una frode"42.

I due reati introdotti con il Codice di Commercio furono successivamente uniti in un’unica fattispecie dall'art. 2, n.1 della Legge 4/6/1931, n. 660. Questa nuova norma prevedeva la pena draconiana della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 10.000 a 100.000 lire

(38)

38 (stessa cornice edittale peraltro comminata per la bancarotta fraudolenta e per l'illegale ripartizione di utili). Nell’aggravare il carico sanzionatorio, il legislatore precisò che le falsità o il nascondimento di fatti inerenti alle condizioni economiche della società assumevano rilevanza penale solo se commessi "fraudolentemente"43: questa espressione, assente nel testo originario del r.d.l. 30/10/1930, fu inserita nella legge di conversione e dette adito fin da subito a numerose controversie interpretative che illustreremo successivamente.

2. Le false comunicazioni sociali nel codice civile del 1942

Dopo un breve periodo di vigenza il reato introdotto con la legge del 1931 fu abrogato e sostituito dall’art. 2621, n. 1 del codice civile promulgato nel 1942. Tale norma fu inserita in apertura del Titolo XI del Libro V, dedicato alle “disposizioni penali in materia di società e consorzi”44.

La nuova disposizione presentava diverse modifiche rispetto a quella previgente, alcune delle quali di scarso rilievo: l’espressione “fatti falsi” fu modificata in “fatti non rispondenti al vero”, mentre la qualifica “direttori” venne sostituita con “direttori generali”. Altri cambiamenti risultarono invece

43CONTI, op. cit.

44 Il testo dell’art. 2621, n.1 c.c. era il seguente: "Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a venti milioni, i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle relazioni, nei bilanci, o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime".

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39 più innovativi: venne eliminata l’espressione “comunicazioni fatte al pubblico

o all’assemblea” (che, individuando i destinatari circoscriveva l’area di

applicazione del reato) e sostituita con la più generica “comunicazioni sociali”, mentre venne ampliato novero dei soggetti attivi con l’aggiunta dei “soci

fondatori”, colmando così una lacuna nell’ipotesi delle falsità commesse

durante la fase costitutiva della società. Infine, il legislatore del 1942 rimodulò la cornice edittale della pena, prevedendo la reclusione da uno a cinque anni e la multa da diecimila a centomila lire: un trattamento sanzionatorio senza dubbio più proporzionato al disvalore dell’illecito rispetto a quello previgente45.

Prima di passare all’analisi della norma, è opportuno inquadrare il ruolo delle false comunicazioni sociali nell’ordinamento penale italiano. Secondo autorevole dottrina tale reato giocava (e tutt’oggi gioca) un ruolo centrale nel sistema sanzionatorio volto al contrasto degli illeciti economici, essendo stato definito come “uno dei pilastri dell’intera struttura portante del diritto penale

societario”46, se non come la fattispecie più importante in tale ambito47. Un’ulteriore conferma dell’importanza di tale reato è la sua presenza in tutti gli ordinamenti dei Paesi dotati di un’economia di mercato48. Nonostante ciò, le false comunicazioni sociali (così come le altre disposizioni del Titolo XI del codice civile) rimasero a lungo inapplicate dalla giurisprudenza, generando di

45 NAPOLEONI, I reati societari. III. Falsità nelle comunicazioni sociali e aggiotaggio societario, Milano, Giuffrè, 1996.

46 MUSCO, Diritto penale societario, Milano, Giuffrè, 1999, 56.

47 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, Giuffrè, 1974, 289. 48 MAZZACUVA (a cura di), I reati societari, in Trattato di diritto penale dell’impresa, DI

(40)

40 riflesso minori attenzioni da parte degli studiosi rispetto a quelle che tale norma avrebbe meritato49. Nonostante i numerosi crac finanziari che videro come protagoniste importanti società commerciali italiane, questa situazione non cambiò fino agli anni novanta: fu solo con l’avvento dell’inchiesta “Mani

pulite” che la giurisprudenza incominciò ad occuparsi in modo ricorrente delle

false comunicazioni sociali, anche in ragione del nesso funzionale che spesso legava tale reato ad ipotesi di corruzione o illecito finanziamento ai partiti. In questo contesto, emersero con chiarezza le debolezze strutturali della fattispecie, che permisero alla giurisprudenza di operare un progressivo ampliamento dell’ambito di punibilità50.

2.1. Il nodo gordiano del bene giuridico tutelato

Il primo punto da affrontare riguarda l’oggetto giuridico del reato. L’opinione dominante, accolta dalla quasi totalità della giurisprudenza, nonché da autorevole dottrina, era quella secondo cui le false comunicazioni sociali appartenessero alla categoria dei reati plurioffensivi, tutelando un fascio complesso di interessi eterogenei51. Erano oggetto di tutela sia beni giuridici di carattere pubblicistico, quali la fede pubblica e l’economia nazionale, sia interessi di natura privatistica quali l’integrità del capitale sociale, gli interessi

49 LANZI, Le false comunicazioni sociali nella giurisprudenza degli ultimi quindici anni (1960-1974); in Indice pen., 1975, 262.

50 MUSCO, op. cit. L’autore sottolinea come la fattispecie abbia dimostrato grande elasticità e

duttilità di contenuto, fino a sembrare “un pezzo di argilla a cui poter dare la forma ritenuta

più funzionale”.

51 In dottrina questa tesi fu sostenuta principalmente da ANTOLISEI, op. cit., CONTI, op. cit. e

DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Milano, Giuffrè, 1995, 122.

In giurisprudenza, tra le molte sentenze, la natura plurioffensiva del reato fu riconosciuta in: Cass. 28/2/1991, ric Cultrera; in Cass. pen., 1991, I, 1849; Cass. 22/2/1984, ric Rossi; in Giur it., 1985, II, 334; Cass. 13/12/1983, ric. Schmid e altri; in Giur. it., 1985, II, 66.

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41 patrimoniali dei soci e dei creditori attuali e potenziali.

A sostegno di questa teoria vi erano due filoni argomentativi: secondo Antolisei, il delitto in questione rientrava senza ombra di dubbio fra i reati di falso in scrittura privata, il cui oggetto di tutela immediato era la fede pubblica (intesa come “fiducia e sicurezza nelle relazioni giuridiche”). Tuttavia, la tutela della fede pubblica era strumentale alla protezione di altri interessi, ossia quelli che venivano aggrediti con la falsificazione del documento. Secondo l’opinione di Conti, invece, la natura plurioffensiva del reato era desumibile dalle sue caratteristiche proprie: la pluralità di soggetti attivi, la varietà delle comunicazioni che potevano costituire un veicolo di falsità e la loro attitudine a danneggiare una moltitudine di interessi differenti.

Il resto della dottrina, tuttavia, criticò fortemente questa ricostruzione del bene giuridico. In primo luogo, fu rilevato che la declinazione dell’illecito in chiave plurioffensiva produceva uno svuotamento di fatto della categoria del bene giuridico, che non veniva più utilizzata a scopo di garanzia, per circoscrivere l’ambito di applicazione della fattispecie, ma diveniva lo strumento per giustificare a posteriori qualsiasi possibile interpretazione estensiva52, una sorta di passe-partout in grado di piegare gli elementi del reato alle più svariate istanze politico-criminali ritenute meritevoli di tutela53. Con la

ricostruzione in chiave plurioffensiva, il delitto in questione finì per assumere un contenuto eccessivamente generico, in violazione dei principi costituzionali

52 PEDRAZZI-ALESSANDRI-FOFFANI-SEMINARA-SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, Monduzzi, 1998, p. 183.

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