De prophetis : il discorso dell’espatriato 1 The danger of memory is that it can turn any-
9.1. Breve semantica di una locuzione proverbiale
“Nemo propheta in patria” è una frase che tutti e quattro i Vangeli attri- buiscono a Gesù. È stata variamente interpretata. Secondo i più, reagiva all’ostilità con cui i suoi insegnamenti venivano ricevuti a Nazareth. La frase è poi divenuta proverbiale, ma con accezioni diverse, che dipendono da come si concepiscono la funzione e il discorso profetico. Il profeta è, secondo una tradizione sia ebraica che greca, colui il quale si distacca dalla propria comunità per la capacità di leggere la realtà e prevedere il futuro con acume e lungimiranza fuori dal comune. Il profeta è colui che antici- pa sia la visione che la descrizione di un corso di cose situato in un futuro lontano, invisibile ai più. Sul discorso profetico molto si è scritto, ma è evi- dente che esso debba consistere in uno sforzo retorico, capace di collegare un esistente futuro per certi versi inverosimile con le parole comuni di un gruppo. Il profeta non può limitarsi a previsioni banali, ma vaticinare un futuro per certi aspetti sconcertante. Il senso della frase “Nemo pro- pheta in patria” si definisce in relazione a questa capacità. Il profeta resta spesso inascoltato proprio nella sua comunità di appartenenza perché, pur condividendone i segni, li interpreta in modo che è troppo nuovo, inac-
1. Una prima versione di questo capitolo, in lingua spagnola, è stato presentato in occasione del XVI Congresso Internazionale della Società Spagnola di Italianisti, Vitoria–Gasteiz e Bilbao, Spagna, 16–20 novembre 2016; ringrazio gli organizzatori per questa opportunità; tale versione è in corso di pubblicazione negli atti del convegno. Una versione in italiano è stata presentata presso l’Università per Stranieri di Perugia il 13 marzo 2017; ringrazio molto il Prof. Antonio Allegra per l’opportunità.
cettabilmente sorprendente. Ma l’incomunicabilità della profezia non si delinea solo in relazione al suo destinante, ovvero a colui che costruisce ed enuncia il messaggio profetico; essa si dipana anche nella relazione con il destinatario, il quale conosce il profeta, sa da quale contesto locale sca- turiscono le sue creazioni, e per ciò stesso tende a sminuirne la portata, in base a un moto che è sì di invidia ma soprattutto di auto–rassicurazione. Com’è possibile, infatti, che si sia nati e cresciuti nello stesso luogo del profeta, ma senza condividerne minimamente la capacità di previsione? Il profeta dunque non è abile comunicatore in patria, come si direbbe con un’espressione oggi abusata, sia perché inventa un discorso troppo nuovo per la comunità di appartenenza, sia perché questa ne conosce e ne rico- nosce la fonte come troppo vecchia.
Nella storia di questa locuzione, il suo senso si è legato sempre più strettamente al successo, soprattutto nell’ambito della creazione artistica, letteraria, ma anche filosofica e accademica. L’estetica romantica ha infatti codificato l’idea del genio incompreso in stretta contiguità con quella del profeta inascoltato: il grande artista non è quello che riceve onori in vita e gode di un successo di critica e di pubblico ma piuttosto colui che, ignora- to o persino disprezzato dai suoi, rifulge in tutta la sua genialità dopo che la morte, ma soprattutto uno sguardo altro, portato da una diversa comu- nità, ne hanno rivalutato i meriti a distanza sia di tempo che di spazio. La storia dell’arte, per esempio, ci consegna le biografie di numerosi artisti i quali in vita loro e nella loro stessa patria godettero di successo straordi- nario, accompagnato da fama e denari. E tuttavia, influenzati dall’episte- me romantica, è subito a Van Gogh che pensiamo quando immaginiamo il profilo dell’artista ideale, e non a Rembrandt. Allo stesso modo, nella storia della semiotica, il fascino che un pensatore come Charles S. Peirce esercita sugli studiosi contemporanei si deve senza dubbio alle sue doti speculative, ma anche all’aura romantica che le circonda, con tutta una se- rie di aneddoti che ne raccontano le tristi vicende biografiche, l’incapacità di farsi ascoltare e apprezzare nel proprio tempo e luogo.
È, questo, un terzo elemento della semantica del “Nemo propheta in patria”: il successo di questa locuzione è legato anche al fatto che consen- te, a chi la enuncia, di valorizzare la propria posizione di giudizio rispetto a quella che ha invece decretato l’infelicità del profeta inascoltato: quando proclamiamo che “nemo propheta in patria” stiamo in realtà implicita- mente affermando che siamo noi la nuova patria illuminata dell’artista in-
141 ix. De prophetis: il discorso dell’espatriato
compreso, la comunità di posteri lontana nel tempo e a volte anche nello spazio che riesce, invece, a cogliere la lungimiranza o la creatività dirom- pente di un progetto che, in vita dell’autore, fu destinato alla catastrofe.
Bisogna tuttavia distinguere fra le accezioni temporali e quelle spaziali della celebre frase. Da un lato, essa segnala semplicemente il fatto che il profeta, o l’artista o il filosofo, dovrà spostarsi in un’altra comunità, in un’altra cultura, e in un’altra lingua al fine d’incontrare il proprio pub- blico. Sarà un incontro insoddisfacente, una sorta di “à part” teatrale, in quanto è sempre alla propria comunità che il profeta si rivolge, preoccu- pandosi di fatti e temi che la riguardano, ma è sempre da una comunità altra che egli o ella viene ascoltato e recepito, e le sue parole o creazioni vengono in un certo senso sempre distorte, applicate spesso proficuamen- te a un contesto cui non s’indirizzavano. Da questo punto di vista, la frase in questione segnala l’andamento beffardamente obliquo della storia cul- turale, del suo produrre novità e messaggi che, sorti spesso ai margini di una semiosfera, ne sono espulsi per poter riguadagnare un luogo, e a volte persino una centralità, in semiosfere confinanti o radicalmente altre.
Una seconda accezione di “Nemo propheta in patria”, invece, designa questa topologia culturale obliqua, una sorta di mossa del cavallo fra se- miosfere, non in relazione allo spazio ma rispetto al tempo. È necessa- rio che la semiosfera evolva, e a volte persino che si stravolga, affinché il messaggio del profeta possa incontrare, nel proprio luogo e nella propria lingua, un pubblico di contemporanei. La profezia, infatti, presuppone sempre una contemporaneità dilazionata, che si forma nel momento in cui la profezia stessa perde il suo carattere anticipatore per rivelarsi spec- chio della realtà in fieri.