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Una rivoluzione prossemica

De ducibus : il discorso del leader 1 Ex quibus omnibus colligitur, quod invisibilia

11.2. Una rivoluzione prossemica

Questo percorso deve essere letto storicamente, sociologicamente, ma an- che e soprattutto con lenti semiotiche. Ciò appare imprescindibile nel caso di Papa Francesco. Egli non inaugura la presenza del pontefice nei social networks ma sicuramente l’approfondisce, sia per strategia, per esempio con l’avvento su Instagram (Spadaro 2016), sia per teologia, con approc- cio che man mano si affina in sottigliezza ed eleganza. La comunicazione di questo papa si presta a una lettura semiotica soprattutto perché non si

2. Carpineto Romano, 13 dicembre 1807 – Roma, 8 febbraio 1890. 3. Del 29 giugno 1936, in gran parte dedicata al cinema.

risolve nell’adozione di nuovi media o piattaforme ma in una rivoluzione che è innanzitutto prossemica. Il giudizio più generale che di questa co- municazione può darsi, infatti, consiste nell’evidenziare che essa accoglie la sete di contatto che le società contemporanee continuamente esprimo- no, raccoglie la sfida di confrontarvisi nell’arena digitale — ovvero in una sfera in cui questa sete è soddisfatta principalmente attraverso simulacri virtuali, largamente incorporei — e, come è accaduto in passato nel con- fronto fra Chiesa Cattolica e media, cerca di reinterpretare il fenomeno della connessione sociale virtuale in modo da plasmarla secondo i valori millenari del Cristianesimo e soprattutto del Cattolicesimo Romano.

Insomma, Papa Francesco comunica attraverso tutti i media e attra- verso tutti i social networks ma ciò cui mira, paradossalmente, è una loro decostruzione nel senso dell’immediatezza, la quale è sì spontaneità ma altresì creazione e mantenimento di una comunità incarnata, in cui uo- mini e donne s’imbattano gli uni negli altri attraverso i propri avatar e poi però di questi approfittino per favorire e incoraggiare un incontro reale, in seno al millenario scenario di comunicazione allestito dalla Chiesa nei suoi luoghi fisici. Già Benedetto XVI, in verità, aveva sottolineato questa necessità in occasione della XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazio- ni Sociali; come ricorda Antonio Spadaro nel saggio “Il Papa, Twitter, e lo spazio digitale”, “abitare significa inscrivere i propri significati nello spa- zio. Ed è proprio questa la sfida: inscrivere i significati e i valori della no- stra vita nell’ambiente digitale […]” (2013: 222). Sono parole che suonano immediatamente familiari alle orecchie del semiologo: la comunicazione, infatti, ne viene interpretata come immissione di tracce in un ambiente attraverso la scelta di particolari codici. La sfida della Chiesa Cattolica di fronte alla comunicazione digitale, sfida già perfettamente formulata da Benedetto XVI, è allora quella di utilizzare questa comunicazione in parte anche contro sé stessa, vale a dire al fine di garantire quella comunità di corpi e di anime su cui si fonda la Chiesa medesima.

Siffatto programma di comunicazione esiste già con Benedetto XVI ma si attua pienamente solo con Papa Francesco. Per decostruire la me- diazione e l’incorporeità dei simulacri digitali, vi è infatti bisogno di un’e- nunciazione prossemica dirompente, che nel linguaggio verbale, in quello visivo, negli incontri con la stampa, attraverso internet, ma soprattutto nel contatto con i fedeli esprima l’idea di una corporeità prossima, tangibile, affettuosa, una sorta di abbraccio. L’operazione si presentava come diffici-

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le, dal punto di vista comunicativo, per diversi motivi: il primo, scabroso, non può non tener conto dei casi di pedofilia nella Chiesa Cattolica; quel- la prossimità fisica, indispensabile all’opera pastorale, che Papa Giovanni XXIII esprimeva con la dolcezza della sua “carezza ai bambini”, suonava, nella prima decade del nuovo millennio, come insopportabilmente ambi- gua e sospetta; occorreva riabilitare la purezza e la spiritualità della carez- za, del contatto. Il secondo motivo è legato alla sicurezza. La geopolitica contemporanea rimanda un’idea del corpo del leader come contempora- neamente obbligato a una presenza fisica nella scena della comunicazio- ne e tragicamente soggetto a iniziative violente. Da Kennedy a Giovanni Paolo II e oltre, il corpo del leader si carica sempre più di una tensione negativa, in quanto possibile oggetto di distruzione da parte del nemico. Il terzo motivo è la difficoltà di costruire un corpo “trasversale”, in grado di muoversi efficacemente attraverso un’arena comunicativa in cui l’avvento della televisione prima, e poi soprattutto quello dei nuovi media digita- li, liquefa le frontiere fra contesti comunicativi e impone un’esposizione trasversale, per certi versi insopportabile, del corpo del leader e delle sue azioni (Meyrowitz 1997).

Per riaffermare l’idea cattolica di comunità in un mondo sempre più segnato da varie forme d’immunità (Esposito 2002) (contro la violenza sessuale nella Chiesa, contro la violenza terroristica sulla Chiesa, e contro la violenza del panopticon digitale attorno alla Chiesa) occorrevano un corpo e soprattutto una strategia prossemica eccezionali. Papa Francesco è innanzitutto questo corpo, è questa prossemica. La maggior parte di co- loro che ne commentano la comunicazione, e non solo i semiotici, lo sot- tolineano; parole come “prossimità”, “contatto”, “fisicità”, “corporeità” abbondano nei commenti. È un corpo, quello di Francesco, che sfida quasi intrinsecamente le tre immunità sopra descritte: in primo luogo accarez- za, abbraccia, sfiora, è un corpo “latino”, ma mai suggerisce ambiguità; al contrario, in un certo senso redime a ogni carezza, abbraccio, contatto fisico la corporeità della comunità pastorale cattolica, in quanto si presen- ta non tanto come un corpo di padre quanto come un corpo di nonno ancora robusto e vigoroso, un corpo che deve aver vissuto l’avventura della vita ma che ne ha estratto una solidità essenziale, schietta, ferma. In secondo luogo è un corpo che si mischia alla folla, alla collettività anoni- ma, ma che mischiandovisi mai suscita l’idea del pericolo, della violenza, dell’attentato; da un lato, è nell’impavidità stessa di questo slancio prosse-

mico che risiede il suo segreto: non ci s’immagina che mai nulla di male possa accadere a Papa Francesco (e voglia il cielo che sia così) perché non gli si legge in volto nessun timore, ma anzi un po’ la stessa carismatica incoscienza del cantante rock che si getta sulla folla, sicuro che ne sarà sostenuto; dall’altro, il corpo di Francesco è uno contro il quale, malgrado l’età e gli acciacchi, non ci si vorrebbe trovare a lottare: robusto, quasi cor- pulento, e poi soprattutto, come è stato più volte notato, continuamente proteso verso l’interlocutore, fin quasi allo sbilanciamento. In terzo luogo, quello di Papa Francesco è un corpo “trasversale”, nel senso che sembra circolare attraverso i contesti, le situazioni e i media con una sorta di ca- rica extra–testuale, come se questi contesti, situazioni e media dovessero continuamente adattarsi al suo corpo piuttosto che viceversa. Una certa goffaggine, pendant di una prossemica quasi avventata, favorisce l’effetto di un corpo che non si limita a entrare in scena e a uscirne, ma che crea una scena intorno a sé mentre si sposta fra luoghi fisici e virtuali. L’ab- bandono dei paramenti fastosi e della loro ritualità liturgica non soltanto significano in Papa Francesco il ritorno a una Chiesa più umile, ispirata ai valori di quel Santo di cui il Papa ha scelto il nome, ma configurano anche un involucro vestimentario neutro, familiare, il quale non sia mai in contrasto con la trasversalità del corpo del Pontefice ma anzi la esaltino. 11.3. Un corpo populista?

È per spiegare l’effetto comunicativo di questo corpo e della sua prossemi- ca che è necessario inquadrarli sia in una semiotica locale, sia in una della cultura, la quale osservi il modo in cui l’incorporeità essenzialmente acat- tolica della sfera digitale contemporanea, e soprattutto dei social networks, si trova elegantemente decostruita da un pontefice che, pur servendosi dei nuovi media, vi afferma continuamente la necessità di una comunione e di una comunità reali, altrettanto corporee quanto il rito eucaristico che le fonda. Lo sguardo semiotico, tuttavia, deve incrociare una sensibilità storica, nell’ampio alveo di una diacronica semiotica delle culture, al fine di rispondere a una domanda pungente: in che cosa il corpo di Francesco si differenzia da altri corpi di leader contemporanei che pure decostruisco- no l’incorporeità della sfera comunicativa digitale, acquisendo carisma, e dunque potere, grazie a questa decostruzione? In altre, più irriverenti

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parole: perché mai non si può parlare del corpo di Papa Francesco, e della sua prossemica, come di un corpo e di una prossemica “populisti”?

Vi è una risposta semplice a questa domanda, una risposta la quale tuttavia non sfuggirebbe alla trappola del pensare per ideologie. Consiste- rebbe nel sostenere che un corpo populista non esiste in sé ma si profila in concomitanza con un sistema di valori che il corpo contribuisce a propa- gandare attraverso le sue espressività (cinesica, prossemica, gestuale, mi- mica, ecc.). Da questo punto di vista, a essere “populista” non sarebbe il corpo di Donald Trump, bensì il sistema di valori che esso trasuda a ogni occasione. È evidente che né Trump né Berlusconi, pur essendo portatori di un corpo “populista”, potrebbero utilizzarlo come Papa Francesco, ab- bracciando e accarezzando giovani donne o bambini senza destare la ben che minima ambiguità.

A questa risposta di primo livello, nella quale risiede senza dubbio un elemento di verità, deve far seguito un ragionamento più approfondito, il quale verte intorno a un’ipotesi iniziale: il corpo di Papa Francesco appare perfettamente naturale ma non lo è. Frantuma le immunità della comu- nicazione contemporanea in modo che sembra assolutamente spontaneo ma è in realtà costruito. Con questo non s’intenda che la prossemica di Papa Francesco è artificiale, tutt’altro. Né s’intenda ch’essa viene ricostru- ita ad hoc, con sapiente uso dei media, da parte di coloro che curano la comunicazione del Papa. L’apparato comunicativo che si muove attorno a Papa Francesco sicuramente gioca un ruolo essenziale nel sottolinearne l’indole semiotica, eppure lo sforzo che questo apparato compie non è tanto di creazione quanto di assecondamento, ovvero di non–contrasto: è necessario predisporre tutti i media, i formati, i generi e gli stili della comunicazione papale in modo che non tradiscano quel sistema di valori e soprattutto quella gamma di emozioni che naturalmente sembrano spri- gionarsi dalla parola ma soprattutto dal corpo del Pontefice.