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Brevi cenni sulla condizione servile

147 V. DAL LAGO A., Non-persone: l‟esclusione dei migranti in una società globale, cit. Nello stesso senso è stato sostenuto che «proprio in un‟epoca – quale quella che viviamo, definita da Bobbio come “età dei diritti” – in cui tale statuto di libertà e garanzie dovrebbe ritenersi dato per acquisito per ciascun essere umano, e per il solo fatto di essere tale, si verificano sempre più spesso forme di sfruttamento della persona, che dimostrano la vulnerabilità dei diritti e delle libertà fondamentali». Così RESTA F., Vecchie e nuove schiavitù. Dalla tratta allo sfruttamento sessuale,

cit., p. 2.

148 Così FERRAJOLI L., Principia iuris, cit., pp. 326-327. Sul punto si tornerà nel prosieguo del lavoro di ricerca. V. capitolo IV.

149 Così FERRAJOLI L., Principia iuris, cit., pp. 326-327.

150 L‟errore in cui si rischia di incorrere è quello di «spostare la schiavitù fuori dal nostro angolo visuale, allontanandola nel tempo o nello spazio, in un contesto geografico lontano, collocato al confine del mondo civile». Così CASADEI T. – MATTARELLI S. (a cura di), Il senso della Repubblica. Schiavitù, cit., p. 79. Il rischio che si configura è di non provare più sdegno davanti ai nuovi casi di riduzione in schiavitù e di abituarsi ad essi: «a colpire è un‟imbarazzante non- chalance con la quale si decretano la schiavitù, la violazione della dignità, come “costi impliciti del sistema”. E dietro a questo atteggiamento diffuso c‟è anche qualcosa in più della mera, e pur di per sé grave indifferenza. Soprattutto, c‟è la passiva e rassegnata accettazione come “normale” di una tragedia così terribile, da liquidare come una storia di “banale”, ordinaria ingiustizia». Così RESTA P., Vecchie e nuove schiavitù. Dalla tratta allo sfruttamento sessuale, cit., pp. 2-3.

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Delimitata la nozione di schiavitù secondo questo approccio diacronico, è

ora necessario distinguere la schiavitù dalla servitù, termini che seppur

frequentemente utilizzati come sinonimi, di fatto designano situazioni differenti.

L‟espressione “condizione servile” viene usata per far riferimento a quello

stato psicologico e socio-economico che si instaura tra diverse persone, dove le

une detengono il dominio e il potere decisionale incontrastato sulle altre

151

. Il

dominio generalmente è basato sulla persuasione e non sulla violenza, sulla

ricerca del consenso e non sulla prevaricazione, sul ricatto sia esplicito che

implicito che influenza le forme di negoziazione a perpetuare lo stato di

sudditanza e sulla vicinanza fisica, che corrisponde frequentemente ad una

distanza psicologica

152

.

Uno dei tratti fondamentali della condizione servile è la sussistenza nel

rapporto di una relazione di carattere asimmetrico. Generalmente i rapporti di

servitù solo apparentemente sono egualitari, in quanto in concreto si

caratterizzano per la prevaricazione di un soggetto sull‟altro: colui che esercita la

servitù ricerca vantaggi a totale discapito di chi la subisce.

Un altro elemento tipico delle relazioni di natura servile, che, peraltro, le

differenzia dalla schiavitù, sembra essere la vicinanza fisica fra le parti coinvolte.

È proprio in virtù di tale vicinanza che viene instaurato e perdurato l‟esercizio del

dominio psicologico e socio-economico sulla persona ridotta in servitù. Ne

discende, dunque, che l‟household

153

e la piccola/piccolissima impresa sono i

luoghi principali di produzione di rapporti servili

154

.

Altri indicatori che distinguono il lavoro schiavistico dal lavoro servile

possono essere ravvisati nella forte coercizione, in una definita unilateralità delle

decisioni, nella mancanza assoluta di negoziazione e nell‟assoluta impossibilità di

151 Cfr. CARCHEDI F., Introduzione,cit., p. 13.

152 Cfr. CARCHEDI F. - MAZZONIS M., La condizione schiavistica. Uno sguardo d‟insieme, cit., p. 37, secondo cui «il problema della violenza minacciata e la violenza praticata rappresenta la differenza sostanziale tra la condizione servile e la condizione paraschiavistica, intendendo per quest‟ultima quella condizione di totale privazione dei caratteri della persona enunciata da Meilassoux».

153 Quando si parla di household si fa riferimento ai nuclei familiari a componente unico o a più componenti coabitanti e con reddito condiviso.

154 Cfr. CARCHEDI F. - MAZZONIS M., La condizione schiavistica. Uno sguardo d‟insieme, cit., p. 37.

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recedere dal rapporto se non a condizioni molto dure per il lavoratore

155

. Tra

schiavitù e servitù, pertanto, non vi sarebbe una differenza di “natura” ma di

“grado”. Entrambe si configurano come forme di limitazione della libertà

personale particolarmente gravi ma, mentre la schiavitù consiste in un controllo

assoluto su un soggetto, la servitù ne costituisce invece un quid minoris in termini

di gravità. Il discrimen si rinviene in sostanza nella «gradazione della gravità delle

circostanze di fatto nelle quali una persona in condizioni di privazione della

libertà è costretta a vivere»

156

.

La differenza tra i due concetti trova riscontro in ambito normativo e

giurisprudenziale. Sul primo versante, fondamentale è il combinato disposto

dell‟art. 1 e dell‟art. 7 della Convenzione supplementare sulla abolizione della

schiavitù del 1956, che definisce lo schiavo come l‟individuo sul quale si

esercitano gli attributi del diritto di proprietà o taluni di essi, mentre la “persona di

condizione servile” come quella che è sottoposta a schiavitù per debito, servaggio,

matrimonio forzato o sfruttamento lavorativo minorile

157

. Sul secondo versante,

spunti di rilievo si colgono in una sentenza della Corte Europea dei diritti

dell‟uomo del 2005, in cui viene ben chiarito come i concetti di schiavitù e di

servitù, pur se entrambi racchiusi nel paradigma dell‟art. 4 della Convenzione

Europea dei diritti dell‟uomo, sono da tenere ontologicamente distinti in quanto

esprimono situazioni di dominio diverse

158

. Più precisamente, secondo la Corte di

155 Cfr. FALLETTI E., voce Schiavitù, cit., p. 900. 156 Così FALLETTI E., voce Schiavitù, cit., p. 900.

157 Il riferimento è alla Convenzione stipulata a Ginevra il 7 settembre 1956 e resa esecutiva in Italia con la legge 20 dicembre 1957, n. 1304. In questo modo la Convenzione del 1956 estende la portata della Convenzione del 1926 «non solo alla schiavitù “storicamente intesa”, ma anche a quelle forme non così evidenti o non legalmente previste che presentino le medesime caratteristiche di inciviltà». Così FALLETTI E., voce Schiavitù, cit., p. 900.

158 Precisamente, la Corte dei diritti umani di Strasburgo ha affrontato questa distinzione nella celebre sentenza del 26 luglio 2005 (caso Siliadin), con cui ha condannato la Francia per non aver predisposto adeguati strumenti di tutela, all‟epoca dei fatti, contro la condizione di servitù e lo stato di lavoro forzato sotto coercizione e senza adeguata retribuzione e ciò in contrasto con gli obblighi derivanti dall‟art. 4 della Convenzione europea dei diritti dell‟uomo (la sentenza è disponibile su www.echr.coe.int). Con riferimento a detta sentenza è stato messo in rilievo come «a fronte della posizione della giovanissima domestica togolese, impiegata in condizioni abusive e disumane dal proprio datore di lavoro francese, secondo la quale la legge penale d‟oltralpe sarebbe stata in contrasto con l‟art. 4 della CEDU, non prevedendo adeguata ed effettiva protezione contro schiavitù, servitù, lavoro forzato ed obbligatorio, la Corte ha condiviso le ragioni della ricorrente: pur ritenendo, in forza di una concezione molto tradizionale, che nella specie non si potesse parlare di schiavitù, le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro, la sottrazione del passaporto, l‟assenza di alternative, la concreta impossibilità di sottrarsi ad una situazione di completa dipendenza o anche solo di migliorarla hanno permesso di riconoscere nella vicenda di Siliadin i

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Strasburgo, solo la riduzione in schiavitù in senso proprio (e non invece la

riduzione in servitù) ha quali condizioni connotanti l‟asservimento assoluto al

dominio altrui, assimilabile ad un vero e proprio diritto di proprietà, e la

conseguente riduzione della persona in un semplice oggetto.

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