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CONTRATTI A FINALITÀ LATO SENSU SUCCESSORIA.

1. Brevi premesse di metodo.

Il campo di indagine che ha via via preso corpo, nel dispiegarsi sin qui della trattazione, è quello relativo alla categoria degli “strumenti alternativi al

testamento”, ovverosia quegli strumenti negoziali idonei a realizzare la destinazione

e la distribuzione del patrimonio attraverso canali diversi rispetto ai tradizionali istituti successori.

Un dato oramai acquisito è che nell’analisi della funzione che il contratto può essere chiamato a svolgere nella vicenda successoria, il punto di osservazione paradigmatico è costituito dall’art. 458 c.c.

Infatti, soltanto una compiuta definizione della portata del divieto dei patti successori può consentire di adeguatamente valutare validità ed efficacia delle varie tecniche negoziali che aspirano a collocarsi in posizione di contiguità con il testamento.

Da una prima lettura della citata disposizione pare opinarsi che essa valga a sancire l’assoluta inconciliabilità tra la logica della regolamentazione pattizia e quella della vicenda successoria193.

Epperò, a questo punto della esposizione, reciproche interferenze tra questi due momenti sono innegabili.

È vero che nel nostro ordinamento non è possibile incidere sulla successione

mortis causa, tuttavia è possibile perseguire una trasmissione e riallocazione della

ricchezza familiare attraverso forme di trasferimento anticipato rispetto all’evento morte194.

193 Cfr. ROPPO V., Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 2001, il quale afferma che “la relazione fra

contratto e successione mortis causa è, nel nostro attuale diritto, tendenzialmente antinominica”.

194 Nelle pagine precedenti si è avuto modo di segnalare che i negozi (strutturalmente e causalmente) inter

Dunque, volendo porre, a sostegno di quanto si andrà infra argomentando, un iniziale dato di partenza, può osservarsi che i divieti di cui all’art. 458 c.c., seppur costituenti norme imperative dalla chiara portata limitatrice dell’autonomia contrattuale in materia successoria, non sembrano spingersi sino al punto di escludere, in radice e del tutto, un parziale dispiegarsi della suddetta autonomia in funzione di strumento concorrente e/o alternativo rispetto al testamento.

Cosi è a dirsi per i negozi inter vivos post mortem e trans mortem195,

sviluppatisi nella prassi e nel pensiero della dottrina quali strumenti alternativi al testamento, volti a realizzare ipotesi di successioni anomale per contratto e a dare voce, per quanto il diritto positivo lo consenta, all’esigenza, che bisogna registrare quale sempre crescente, di contrattualizzare la trasmissione della ricchezza per il periodo successivo alla morte del suo titolare.

Fatte queste premesse, l’obiettivo dell’analisi che segue è quello di mettere a fuoco lo spazio che ha l’autonomia privata nell’ambito delle successioni mortis

causa, confrontandosi in particolare con la disciplina degli “strumenti alternativi al

testamento”.

La categoria in esame si presenta assai eterogenea al suo interno, ma la coesione tra le varie ipotesi è realizzata, sul piano teleologico funzionale, dal comune elemento dello scopo che con le figure medesime ci si propone di realizzare, che è pur sempre quello di alternativa testamentaria.

Dall’altro lato, vi è poi identità sotto il profilo strutturale, considerato che, a tutti gli effetti, dette figure negoziali, tra loro assai diversificate, sono da considerarsi

andando a concretare ipotesi di patti successori dispositivi o rinunciativi, oppure andando a confliggere con altri specifici divieti, si dimostrino portatori di interessi ripudiati dal sistema civilistico. A valutazioni di segno diverso si è giunti, invece, in merito ai negozi mortis causa, in ordine ai quali, per i motivi che si è esposto, ai quali si rinvia, opera una presunzione iuris et de iure di illegittimità, ogni qualvolta i medesimi abbiano ad essere contenuti in un atto che, sotto il profilo strutturale, diverga seppur in minima parte dalla forma testamentaria.

195 Per la disamina dei rispettivi caratteri peculiari e distintivi si rinvia alle considerazioni che hanno formato oggetto del Capitolo I.

quali veri e propri negozi inter vivos (nella duplice accezione, strutturale e causale, in precedenza esposta).

In considerazione delle differenze sussistenti tra le fattispecie che presentano profili di funzionalità lato sensu successoria, si giustifica la scelta di metodo - che in questa sede si intende seguire - di non includere nella trattazione tutte quelle figure negoziali riguardo alle quali i risvolti di più ampio respiro sovrastano quelli che attengono invece alla specialità dell’argomento.

Infatti, nell’ampio novero degli strumenti proposti in dottrina come valida alternativa al negozio testamentario, ciascuna delle fattispecie che viene in gioco impone di esaminare anche, e talvolta in via pregiudiziale, questioni precipue della categoria tipologica di volta in volta coinvolta.

L’opzione comporta che venga lasciato fuori dal campo di osservazione tutti quegli istituti la cui trattazione coinvolgerebbe profili tematici di più vasta portata, e rispetto ai quali un’indagine sulle interferenze con la materia delle successioni mortis

causa non si rivelerebbe soddisfacente, laddove avulsa da quella relativa a tematiche

di portata generale.

Pertanto, nella trattazione che segue la materia è stata organizzata concentrando l’attenzione sull’esame analitico di alcune delle principali fattispecie negoziali che in dottrina hanno sollevato i maggiori dubbi e delle quali si rende opportuno vagliare, caso per caso, la riconducibilità sistematica all’una o all’altra delle categorie tipologiche che sinora ci hanno impegnato (negozi mortis causa, negozi ad effetti post mortem, negozi trans mortem), in vista dell’impiego che di tali figure potranno compiere i privati, in funzione di strumenti alternativi al testamento.

2. Il contratto a favore del terzo con prestazioni da eseguirsi dopo la morte