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Interessi tutelati e criteri interpretativi.

LA TRASMISSIONE DEI BENI PRODUTTIVI E IL PATTO DI FAMIGLIA

3. Interessi tutelati e criteri interpretativi.

Facendo proprie le riflessioni e le linee guida che avevano orientato le esperienze progettuali pregresse, il Legislatore del patto di famiglia ha operato scelte di fondo incanalate in larga misura, anche sul piano normativo, in un’ottica di continuità con la originaria proposta di riforma112.

Non si può negare che, in entrambi i casi, si avesse di mira per un verso, l’interesse generale alla promozione dell’attività di impresa e, per altro verso, quello privato di ciascun imprenditore all’autoregolamentazione del proprio assetto patrimoniale113.

Tuttavia, come si è già avuto modo di anticipare, occorre sgomberare il campo da possibili fraintendimenti su questo punto, poiché sono molteplici gli indici rivelatori di una certa preferenza del Legislatore per la prima delle due linee direttrici suddette.

Innanzitutto, bisogna riconoscere, senza ipocrisie, che l’interesse privato dell’imprenditore a una “sistemazione” sicura della propria impresa, da solo considerato, non avrebbe certo potuto giustificare la gradazione assiologica tra le diverse componenti del patrimonio del disponente, si trattasse o meno di beni produttivi ovvero di altra natura114.

È unicamente sulla scorta dell’interesse superiore dell’impresa che si è acconsentito a un trattamento successorio differenziato tra i beni del disponente, rispetto ai quali il patto di famiglia ha introdotto un “doppio binario”, proprio in

112 Si veda ZOPPINI A., L’emersione della categoria della successione anticipata. Note sul patto di

famiglia, in Patti di famiglia per l’impresa, Milano, 2006, secondo il quale non pare dubitabile che “il

meccanismo tecnico allora descritto sia stato integralmente recuperato dal legislatore, seppure rendendo meno nitidi i presupposti applicativi e così pure la dinamica effettuale”.

113 OBERTO G., Il patto di famiglia, in Le monografie di Contratto e Impresa, serie diretta da

F.GALGANO, Padova, 2006.

114 Così CACCAVALE C., Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della

ragione della diversa natura e del diverso rilievo che essi hanno nel contesto dell’economia nazionale115.

Tanto è vero che il patto di famiglia non pare estensibile ad alcun tipo di bene che sia diverso dall’azienda, ovvero da partecipazioni societarie116.

Solo per questi ultimi è consentito all’imprenditore di pianificare per tempo il passaggio generazionale, stipulando un accordo con il quale, nel contempo avviene il trasferimento a titolo liberale e si realizza un assetto destinato ad essere stabile e a non poter essere messo in discussione dall’esercizio dei diritti e dei rimedi connessi ai diritti dei legittimari.

Per tutti gli altri beni, invece, restano operanti i tradizionali, e ben più rigidi, divieti del diritto successorio.

Ciò appare confermato anche dal fatto che, come si vedrà, al disponente non è neppure consentito far ricadere sotto lo “schermo protettivo” del patto di famiglia le liquidazioni compensatorie delle quote dei legittimari diversi dagli assegnatari, dovendo necessariamente tali attribuzioni provenire dal patrimonio proprio di questi ultimi117.

115 Sul punto, nel corso dei lavori preparatori si è affermato il principio per cui il trattamento differenziato dei

beni produttivi “non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza” (che impone di trattare allo stesso modo situazioni identiche), proprio perché rispetto ad essi l’interesse alla continuità dell’impresa prevale su quello di evitare il pregiudizio dell'interesse dei legittimari. Parzialmente diversa è l’opinione espressa da A. ZOPPINI, “L’emersione della categoria della successione anticipata. Note sul patto di famiglia”, in Patti di famiglia per l’impresa, Milano, 2006, p. 270 ss. (lo scritto si trova riprodotto anche negli Studi in onore di G. Cian, con il titolo Profili sistematici della successione “anticipata”. Note sul patto di famiglia), rileva che mentre “si giustifica una deroga alla disciplina generale delle successioni per l’azienda, bene produttivo non divisibile, è del tutto illogico e probabilmente incostituzionale che il presupposto di una disciplina derogatoria sia legata al fatto che nel patrimonio compaiano partecipazioni socialI”.

116 Così ZOPPINI A., Il patto di famiglia non risolve le liti, in Il Sole 24 ore, 3 febbraio 2006.

117 Si è giustamente osservato in dottrina che, se la liquidazione delle quote agli altri legittimari fosse stata

consentita al disponente, si sarebbe spalancata la via ad una vera e propria divisio inter liberos per atto tra vivi di tutto il patrimonio del disponente, inattaccabile sia prima che dopo l’apertura della successione, nonostante l’eventuale violazione delle norme a tutela dei legittimari. Si sarebbe trattato di un passo troppo azzardato, per il quale il nostro sistema e la nostra cultura non sembrano ancora pronti, malgrado talune proposte legislative in tal senso, peraltro rimaste lettera morta (Cfr. la proposta di legge C/4727/XIV,

Sempre nel nome dell’interesse pubblicistico dell’impresa e del mercato si giustificano i limiti soggettivi prescritti per il patto di famiglia, dal momento che la trasmissione successoria in forma anticipata a mezzo del patto de quo può prodursi solo in favore di alcuni legittimari del disponete e non di altri.

Anche l’attribuzione in capo all’ascendente il compito di selezionare tra i suoi discendenti quello che presenti maggiori capacità manageriali, è frutto di un preciso calcolo del legislatore, ancora una volta in un’ottica di salvaguardia della continuità dell’attività di impresa.

Infatti, recuperando l’idea del pater quale sommo giudice di ciò che più conviene alla funzionalità futura dell’azienda, la novella ha consegnato la facoltà di scegliere il discendente al quale assegnare l’azienda proprio a colui che meglio di chiunque altro è in grado di valutare l’interesse della propria impresa.

Del resto, la prevalenza dell’interesse generale alla promozione dell’attività d’impresa, rispetto a quello privato dell’imprenditore alla autoregolamentazione del proprio assetto patrimoniale, risulta conclamato nella stessa relazione alla originaria proposta di legge n. 3870 dell’8 aprile 2003, in cui si legge che “la ratio del

provvedimento deve essere rinvenuta nell’esigenza di superare in relazione alla successione di impresa la rigidità del divieto dei patti successori, che contrasta non solo con il fondamentale diritto all’esercizio dell’autonomia privata, ma altresì e soprattutto con la necessità di garantire la dinamicità degli istituti collegati all’attività d’impresa”.

Assodato, dunque, che il terreno guadagnato alla facoltà di scelta del disponente è, in realtà, uno spazio conquistato alla negozialità dall’interesse d’impresa, in questa prospettiva dovranno essere interpretate le singole disposizioni di cui agli artt. 768-bis e ss., se si vuole dimensionare correttamente l’istituto del patto di famiglia.

d’iniziativa dei deputati Collavini e altri, presentata il 19 febbraio 2004, dal titolo «Modifiche al codice civile in materia successoria e abrogazione delle disposizioni relative alla successione necessaria».)