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Brigatisti italiani La narrazione del sè

Philippe Lejeune definisce l’autobiografia, in qualità di genere letterario, come “il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità”92. Partire dall’analisi delle autobiografie dei militanti della organizzazione di lotta armata che più ha sconvolto lo scenario socio-politico italiano del secolo scorso93, le Brigate Rosse, significa ricostruire l’identità collettiva di un gruppo per il tramite dei singoli racconti. I diversi vissuti psicologici e le diverse storie, raccontate da chi, di queste esperienze, fu attore e protagonista, costituiscono un’ulteriore fonte per la comprensione di una tessera di quell’intricato puzzle che fu la lotta armata, nonché di un contesto storico così denso di contraddizioni e discontinuità da essere, ancora oggi, motivo di perplessità e di dubbio per gran parte della storiografia sul tema. I racconti della propria vita privata, della propria sfera intima, l’analisi della loro psicologia, la personale interpretazione dell’ideologia in nome del quale dichiaravano di agire, gettano nuova luce sulle scelte politiche che questi compirono. Per chiarire, l’interesse non è qui rivolto all’ideologia in termini generali, poiché di questo numerosi quanto eloquenti autori e altrettante opere storiografiche si sono occupate e si continuano a occupare in modo più che completo. Ci si concentra, al contrario, sul come l’ideologia venne interpretata, come questa sia entrata a far parte della vita dei soggetti e che ruolo in essa abbia giocato. Naturalmente ciò fa i conti con la questione della “percezione” dei singoli narratori, data la natura intrinsecamente selettiva del “racconto di sé”. Ed è proprio questo il termine della questione: l’analisi si concentra sulla narrazione di se stessi, senza per questo considerarla esplicativa di tutti i contenuti e di tutti gli eventi raccontati. Se si vuole giungere a una comprensione sensata -e cioè che attribuisca un senso- di quegli anni e di quegli avvenimenti, il “punto di vista” di chi, in parte, di questi ultimi fu autore risulta essenziale, soprattutto per evitare di cadere nella trappola della mancata differenziazione tra un reato comune e un crimine commesso “a scopo politico”. La differenza tra i due fenomeni è di primario rilievo se si vuole comprendere cosa abbia significato la lotta armata e il perché questa si realizzi proprio in questo momento storico, senza cioè ridurla a una semplice catena di rapine, sequestri e

92 P. Lejeune, Il patto autobiografico, Bologna, il Mulino, 1986, p.12.

93 Secondo le stime di Donatella della Porta, durante i quattordici anni di attività delle Br, queste avrebbero

compiuto seicentoquarantacinque azioni in quaranta diverse province italiane. In D. della Porta, Il terrorismo

omicidi. Per i brigatisti, quanto per i guerriglieri tedeschi, le azioni rappresentano una “risposta” a un contesto, non nascono dalla misera voglia di essere illegali. Alla base delle scelte compiute sta sempre una riflessione accurata, un sentirsi “messi con le spalle al muro”, la constatazione di “non avere altra possibilità se non questa”. Sono individui che “sacrificano” la propria vita in vista di un futuro da loro reputato migliore, che combattono in nome di una idea, di un credo politico. E si sentono in qualche modo degli eroi, dei paladini della giustizia, poiché loro, e solo loro - e in questo si sostanzia parte della critica che questi muovono alle altre organizzazioni presenti sul campo - , hanno scelto di mettere da parte la propria vita, la propria “normalità”, per un “servizio” dei cui benefici godranno tutti.

Molte sono le criticità che si incontrano nell’approcciarsi con questo tipo di fonte. Bisogna tenere presente, ad esempio, la questione della pubblicità cui tali racconti sono destinati. Le autobiografie sono infatti scritte in funzione di una pubblicazione editoriale e, in forza di ciò, il racconto subisce una pressione che porta alla rimodulazione del racconto.

Altro elemento da considerare è l’identità del soggetto con cui l’autore si confronta. Spesso si tratta infatti di testi scritti a quattro mani, o in forma di intervista, e dunque secondo una modalità di interazione già in parte predeterminata. Ciò significa che chi parla si confronta già, ancor prima della pubblicazione, con un soggetto estraneo alla sua esperienza e alla sua realtà. E non è difficile che questi sia ideologicamente, politicamente e/o moralmente in contrasto con le azioni compiute dal soggetto. Quando, ad esempio, Moretti scrive la sua autobiografia sa di avere dall’altra parte un soggetto, Rossana Rossanda, in particolare, ma di certo anche Carla Mosca, che non nutre alcuna simpatia per l’organizzazione di cui fu leader. Non è solo un confronto con se stessi, anche questo di certo molto complesso, ma anche un mettersi a nudo davanti a una folla la cui larga maggioranza disprezza e metterebbe addirittura alla gogna l’operato di chi si racconta. Spesso alcuni scrivono molto, al confronto di altri più reticenti a ripetere l’operazione. Dunque è spesso necessario ricorrere ad altri tipi di fonte, come, ad esempio, l’intervista televisiva, per cercare di colmare le lacune o i passaggi oscuri del racconto.

Altra problematica da affrontare: la posteriorità della narrazione. Al contrario di parte della diaristica, la cui caratteristica essenziale è l’estemporaneità o la quasi contemporaneità del racconto con l’evento vissuto, questo tipo di fonte è maturata a posteriori, spesso anche dopo interi decenni di reclusione carceraria. Ciò significa che il soggetto ha avuto tempo di rielaborare “a freddo” le sue azioni e le sue scelte, mescolando i ricordi allo scopo di trarne il senso desiderato. La rielaborazione del ricordo è inevitabilmente connessa al

presente e dunque alle esperienze vissute dai narratori in una fase successiva a quella oggetto del racconto stesso, a un periodo posteriore che vede i soggetti coinvolti in una situazione di “fuoriuscita”, in diversi termini diversi, dalla fase della lotta armata. Che si tratti di una operazione cosciente o meno, voluta o no, non è qui di interesse dimostrare. Il racconto viene trattato per quello che è, nella sua essenza, senza dietrologie di sorta. Una lettura coscienziosa porterà poi a giudizi personali che, in questa sede, non si esprimono. Lo scopo è quello di raccontare “ciò in cui loro hanno creduto”, in cosa si sono identificati, quali sono le ragioni da essi stessi proclamate.

Anche tali elementi sono infatti parte essenziale di una rivalutazione critica di questo tipo di fonte.

I racconti che seguono sono relativi a due brigatisti del nucleo storico delle Brigate Rosse, i cosiddetti fondatori, Renato Curcio e Alberto Franceschini, e a un altro brigatista che, seppur non appartenente a tale nucleo iniziale, ha sicuramente inciso in maniera sensibilmente rilevante sulle sorti dell’organizzazione, Mario Moretti. La scelta di analizzare questi soggetti non nasce solo dal giudizio legato alla rilevanza o meno di questi all’interno dell’organizzazione, e quindi su un giudizio di valore, ma anche e soprattutto dalla disponibilità concreta di fonti. Incrociando i due parametri si è ritenuta adeguata una analisi circoscritta a questi tre individui, nonostante, per una comprensione accurata dell’argomento, non sia stata trascurata la consultazione delle autobiografie di altri brigatisti rossi. Altra ragione che ha spinto a definire in tali termini la “geografia” della ricerca, è il tentativo di rendere questa parte del lavoro, dedicata al contesto italiano, bilanciata rispetto alla seconda parte, relativa alle vicende tedesche, nel quale ambito, pochissime sono le fonti utili a un siffatto tipo di analisi.

Una ipotetica classificazione degli elementi rilevanti, rilevati a seguito di tale analisi, potrebbe essere basata sulle “comunanze” e sulle “differenze” tra i diversi brigatisti.

Elementi di distinzione:

1) Ragioni che spingono al racconto: i soggetti analizzati maturano diverse esigenze e sentono il bisogno di raccontarsi per motivazioni diverse.

2) Identificazione di varie vicende legate all’organizzazione: i brigatisti identificano in momenti diversi e spesso in eventi differenti, ad esempio, la nascita dell’organizzazione, la scelta del nome, ecc.

3) Interpretazione di eventi: ognuno attribuisce un significato personale a momenti storici identici, primo tra tutti, ad esempio, la strage di Piazza Fontana.

4) Linguaggio usato: in alcuni scritti è preponderante l’uso di termini identificabili con il brigatese, la lingua usata e sviluppata durante il periodo della militanza all’interno dell’organizzazione. In altri il linguaggio è invece molto intimo, legato al personale, alle caratteristiche di chi parla o modulato in relazione all’argomento trattato.

5) Elementi del racconto: se in alcune autobiografie questo si sofferma più sul racconto di se stessi, altre volte risulta più impersonale e legato all’organizzazione.

6) Esperienze precedenti: i protagonisti provengono da contesti molto diversi e vivono esperienze molto diverse. Curcio proviene dall’Università di Trento, dall’esperienza dell’Università Negativa ecc.; Franceschini dalla Federazione Giovanile Comunista di Reggio Emilia; Moretti dall’esperienza di fabbrica a Milano.

7) Cultura di provenienza: il punto sei determina questo ulteriore elemento di differenziazione. Il contesto di provenienza provoca l’assorbimento di culture diverse e specifiche. Se, dunque, per Franceschini la cultura acquisita sarà quella legata alla Resistenza, per Curcio sarà quella dei Tupamaros94, dell’esempio maoista e della Scuola di Francoforte, mentre per Moretti fondamentale sarà la cultura operaista, ecc. In tale “diversità” è possibile identificare parte delle differenti “anime” del credo delle Br. Interessante è poi notare come ciascuno dei singoli narratori dichiari la propria “cultura” come preponderante all’interno della storia dell’organizzazione, determinando una somiglianza dei singoli autori nella differenza appena menzionata.

8) Caratteristiche individuali: Franceschini è poetico-romanzesco nella narrazione, si sbilancia nel racconto “romantico” di faccende molto personali, lascia trapelare un temperamento forte e pronto allo scontro. Curcio racconta in modo molto chiaro, riflessivo, sereno; sembra aver lasciato alle spalle l’impeto degli eventi che lo coinvolsero in passato. Moretti ha uno stile duro e prolisso se non addirittura ostico; guida il racconto senza curarsi spesso della coerenza con le domande poste dalle intervistatrici.

9) Momenti di politicizzazione: alle diverse esperienze raccontate corrisponde una diversa identificazione del momento clou della politicizzazione.

10) Esperienza del carcere: la reclusione non viene vissuta dai brigatisti allo stesso modo. Se Franceschini ha sempre come primo obiettivo l’evasione, Moretti ha la consapevolezza che non evaderà mai, mentre Curcio vive l’esperienza dell’evasione in prima persona.

94 Guerriglieri urbani uruguayani del Movimento de Liberaciòn Nacional fondato all’inizio degli anni Sessanta,

Elementi in comune:

1) Riferimenti a musica, film, opere letterarie: tutti i brigatisti, chi più, chi meno, fanno riferimento, nelle loro autobiografie, a film o a loro personaggi, a canzoni o a libri che in qualche modo hanno significato qualcosa nella loro vita o in momenti specifici della lotta armata. Ad esempio Franceschini, in fase di progettazione dell’evasione dal carcere di Pianosa, identifica se stesso con il personaggio interpretato da Steve McQueen in “La grande fuga”; Moretti racconta del fascino delle donne durante le guerre e di Natascia Rostova di “Guerra e Pace”; Curcio parla della lettura di Camus e di come questo abbia influenzato il suo bisogno di coniugare “la soluzione esistenziale” con l’avventura.

2) Termini ripetuti : spesso, nella narrazione delle proprie esistenze, o nell’esporre le proprie idee, i brigatisti eccedono nella ripetizione di alcuni termini specifici, i quali assumono un valore tale da poter a volte descrivere la personalità del soggetto. Ad esempio, Curcio ripete più volte, sia nella autobiografia che nelle interviste, il termine “discontinuità”, il che descrive perfettamente la sua personale concezione “processuale” della vita, fatta di alti e bassi, di passaggi, di trasformazioni continue, di crisi, di rotture e di ricostruzioni. In Franceschini è invece la parola “tradimento” a comparire moltissime volte e, addirittura, a diventare titolo di un capitolo della sua autobiografia; così come la parola “infame”; la ripetizione di tali termini è in perfetta corrispondenza con l’intera narrazione dell’autore e con il suo pensiero: non ha mai superato il giudizio negativo nei confronti di molti ex compagni “compromessi” con il sistema, racconta la scelta di molti di questi usando termini molto forti, i quali fanno trasparire la sua rabbia e il suo personale rifiuto nei loro confronti; Moretti ripete più volte diversi termini, come “politica”, “clandestino”, “fabbrica”, i quali rievocano tutti il suo personaggio, interamente proiettato nell’ambiente operaio.

3) Capacità dialettica: tutti sono dotati di un’ottima capacità di racconto, seppur con stili molto diversi tra loro. Interessante è notare come tutti si iscrissero all’università ma nessuno finì gli studi. Franceschini si iscrisse a Ingegneria mineraria, Moretti a Economia e Commercio e Curcio a Sociologia.

4) Militanza e regole: tutti accettano le regole molto dure dell’organizzazione e della clandestinità, cosa non poi così scontata, dato che molti dei militanti non rispettarono alla lettera tali regole.

5) Totale asservimento alla causa / dimensione totalizzante / sentimento di appartenenza : tutte e tre queste dimensioni sono fortissime nei tre soggetti. Tutti i racconti ne sono

impregnati. Sono delle costanti nelle singole esperienze di vita dei tre. Il filo degli eventi è sempre a queste connesso.

6) Rapporto con il passato: il tema del confronto con il passato è un’altra costante del racconto. E il confronto è costruito in termini positivi, è volto ad attribuire senso e a spiegare, o a volte anche a riedificare, il valore delle scelte assunte. In molte altre autobiografie, invece, il confronto assume i termini di scontro e diniego del passato, forse allo scopo di riabilitare la propria immagine nel presente.

8) Gli affetti / i rapporti sentimentali: il racconto degli affetti è sempre riportato all’appartenenza all’organizzazione. Non esiste separazione tra sfera privata e sfera pubblica. È possibile collegare nell’ambito di tale categoria anche l’organizzazione stessa: i brigatisti provano affetto per l’organizzazione, sono affezionati a tal punto che, anche quando individualmente non sono d’accordo con questa o si rendono conto degli errori che questa sta commettendo, sono sempre restii ad abbandonarla, e si sottopongono a lunghissime riflessioni personali per cercare una giustificazione al suo operato. Anche davanti alle atrocità commesse dall’organizzazione, l’abbandono è considerato una conseguenza troppo difficile da affrontare, poiché troppo intimamente connessa al tema dell’identità.

9) Rapporto con i compagni / racconto sui compagni / rapporto con dissociazione- pentimento: tutti esprimono opinioni sulle azioni dei diversi compagni o sul loro atteggiamento.

10) Prospettive durante la lotta / prospettive dopo la lotta: alla vaghezza delle prospettive durante la fase attiva delle Br, quanto al “che fare dopo?”, corrisponde una ricchezza di contenuti e di spirito creativo quanto alle prospettive individuali post-chiusura con l’organizzazione. Non considerano la loro esperienza di vita conclusa, seppur dopo decenni di carcere e con la prospettiva del duro confronto con la società esterna. Anzi, sono propositivi e riusciranno, visti a posteriori, a sviluppare molte delle ambizioni espresse nelle autobiografie. Curcio, oltre a collaborare con diverse testate giornalistiche e oltre a curare il progetto “Fiumara d’Arte”, dirige una cooperativa sociale in Piemonte, “Sensibili alle Foglie”, la quale si occupa di diverse situazioni di emarginazione sociale o, per usare le sue parole, di “difficoltà a vivere”. Franceschini è coordinatore nazionale dell’Arci e giornalista del quotidiano “Ore d’Aria”. Moretti, grazie alle sue capacità in campo informatico, ha contribuito alla creazione della cooperativa Spes e collabora con “Giorno dopo”, un’ associazione di riabilitazione e reinserimento nella società di ex detenuti.

11) La morte / il sacrificio : il racconto di entrambi è presente in tutte le autobiografie. I brigatisti raccontano delle sensazioni vissute, del primo incontro con l’idea o con la realtà della morte. La prima è spesso associata al secondo. L’esperienza della morte viene vissuta dai brigatisti come il sacrificio di se stessi e della propria “moralità” per un fine superiore. È una delle conseguenze della loro scelta, il prezzo da pagare sulla strada che hanno deciso di percorrere.

12) “Mara”: il legame affettivo con Margherita Cagol, detta Mara, è incredibilmente forte in tutti e tre i racconti, molto più che in altre autobiografie. Tutti si lasciano andare, nel racconto autobiografico, a sfoghi e considerazioni di carattere personale, cosa che invece confligge con l’atteggiamento dell’organizzazione dinanzi alla sua morte, di cui il volantino rappresenta testimonianza efficacissima.

14) Aldo Moro: momento fondamentale per tutti e tre i soggetti. Largo spazio è lasciato alla descrizione dell’evento per come vissuto dai singoli.

15) Le istituzioni: anche il racconto del rifiuto delle istituzioni occupa largo spazio nel racconto. Ciascuno racconta come tale rifiuto nasca, cresca durante l’esperienza da militanti e si evolva nelle fasi successive.

16) La necessità di spiegare / il tributo all’organizzazione: con toni diversi e ponendo l’accento su situazioni differenti, i tre manifestano la voglia di spiegare, di raccontare il loro perché. Si sentono “in dovere” di esprimere cosa li spinse ad agire con la violenza, poiché nessuno dei tre si sente rappresentato dalla storia che di questi si racconta. Non solo. Raccontare il perché delle loro azioni rappresenta, ai loro occhi, un contributo essenziale per chiudere “dignitosamente” l’esperienza delle Br. È un “tributo” necessario a questa storia e a far sì che questa non possa essere “male interpretata” e dunque “male raccontata” con dietrologie di sorta.

2.1

ALBERTO FRANCESCHINI