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(16/01/1946 Porto San Giorgio – Fermo)

Il testo ha la forma di un’intervista, al contrario della prima autobiografia di Franceschini che, seppur nata da un’intervista, assume in sede di pubblicazione del testo, la forma del racconto con una sola voce narrante. L’introduzione è curata dalle stesse intervistatrici, Carla Mosca, giornalista del tg1, e Rossana Rossanda, saggista, giornalista, attivista politica. In totale gli incontri, tenutisi tra il luglio e l’agosto del 1993 nel carcere di Opera, tra le intervistatrici e Moretti furono sei, tutti audio-registrati. Il testo corrisponde, per come affermato da una delle autrici271, alle registrazioni, salvo le necessarie migliorie effettuate a scopo editoriale. La ragione che spinge le due giornaliste a intervistare il brigatista sono legate alla volontà di scrivere “una storia italiana”, e, da qui, anche il titolo del libro, “per cercare di fornire un contributo di analisi politica a quello che è successo in quegli anni, non solo tecnicamente [ma soprattutto] ideologicamente e politicamente […] Questa era la ragione per cui abbiamo voluto scrivere questo libro […] il come e il perché”272. Inizialmente le due scelgono, per agevolarsi il lavoro, di inviare a Moretti una lista di argomenti su cui egli avrebbe potuto scrivere liberamente. Il brigatista però si rifiuta di riflettere da solo poiché “quando si ricostruisce una storia da soli fatalmente la si scrive

271 Carla Mosca afferma l’autenticità di quanto scritto in qualità di testimone al processo Moro Quinquies, il

14 maggio 1996.

272 In audizione di Carla Mosca, Moro Quinquies, 14/05/#9.

Arrestato nel 1981

Condanna a sei ergastoli -Processo Moro Uno e Moro Bis (24/01/1983) Libertà vigilata nel 1994

Dichiarazione di chiusura della lotta armata nel 1987

Autobiografia: M. Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana. Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, Anabasi, 1994

essendo indulgenti e facendo tornare tutti i conti, invece questa è una storia in cui tanti conti non tornano e quindi preferisco che siate voi a farmi delle domande”273. Moretti infatti preciserà alle due giornaliste che già da tredici anni cerca di “scrivere” questa storia e che in questa riflessione solitaria “i conti li fa tornare sempre”; dirà quindi alle due “venite da me e fatemi tutte le domande che volete a brucia pelo, non mi voglio preparare prima perché, in qualche modo, se mi preparo prima, la mia coscienza, quello che vorrei fosse migliore di quel che è stato, [mi porterebbero a dare] delle risposte non spontanee”274.

Il testo, edito da Anabasi nel 1994, andò in riedizione l’anno successivo; venne poi stampato da Baldini e Castoldi. Dal 2007 è edito da Mondadori nella collana “Oscar storia”.

“Su di me si è costruito come su nessuno. Non è vero che non ho mai parlato […] ma sempre in sede extragiudiziale. In carcere o in tribunale la parola si configura come una confessione, una testimonianza […] una delazione […] Non sto rivendicando un rifiuto di principio della giustizia borghese o simili. È finita la guerriglia, è finito anche il processo guerriglia. Ma dico che la storia delle Brigate Rosse è un frammento di storia politica, non un frammento di storia penale. Non è in tribunale che si può fare […], [si doveva fare] in una sede politica, in un luogo della società. La sinistra la doveva fare. E noi avremmo parlato, come ora faccio con voi, senza riserve. Ma sugli anni ’70 la sinistra non parla. Le Brigate Rosse sono finite da anni…e ancora siamo una spina che va di traverso […] C’è chi cerca di intorbidare una vicenda che è stata piena di speranze, forse illusioni, tentativi, errori, dolore, morte – ma non sozzure. Vorrei cercare di restituire questa storia alla possibilità di una critica. Spero che lo facciano altri compagni che hanno militato con me”275

Durante l’intervista rilasciata a Sergio Zavoli nel 1989 Moretti dice “a me va bene che venga ucciso il personaggio Moretti, è un personaggio dei media, un personaggio al quale io non tengo minimamente, perché la persona Moretti, chi mi conosce, sa che è diversa”276

Prima nota interessante: Moretti ha come intento quello di raccontare la storia delle Br (a differenza di Franceschini che, invece, racconta la sua personale esperienza all’interno

273 Ibidem. 274 Ibidem.

275 M. Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana. Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, Mondadori,

Milano, 2010, p. 3

276 Intervista di Sergio Zavoli del 1989 per la trasmissione La notte della Repubblica, andata in onda tra il

1989 e il 1990 su Raidue, poi trascritta nell’omonimo testo, S. Zavoli, La notte della Repubblica, Mondadori, Roma, 1992

delle Br). “Delle Br fino al mio arresto so tutto. A eccezione forse di alcuni mesi all’inizio, una gestazione alla quale non ho partecipato”277.

Risponde alle domande sulla sua famiglia. Al momento dell’intervista ha 47 anni. È marchigiano, di Porto San Giorgio. Lì trascorre felicemente la sua infanzia. È un luogo che gli offre il mare, la campagna e un castello dove gioca con i suoi amici. La sua è una famiglia povera che vota comunista. In realtà, spiega Moretti, in quel periodo il voto a sinistra deriva soprattutto dal viscerale antifascismo del luogo278. Gli zii sono stati

prigionieri in un campo di concentramento degli alleati in Africa. A Porto San Giorgio quasi nessuno ha proseguito gli studi dopo la terza media. Moretti studia grazie al sostegno economico della marchesa Anna Fallarino Casati di Milano, la quale, venuta a conoscenza dalla zia portinaia di Moretti delle difficili condizioni economiche in cui versa la famiglia dopo la morte del padre, decide di provvedere agli studi superiori dell’autore e delle sue due sorelle. “Non è che la scuola mi entusiasmasse, era una noia insopportabile, non trovavo mai risposte alle mie curiosità. A parte la disciplina c’era ben poco […] questo almeno finchè morì mio padre. Avevo sedici anni. Mia mamma […] riprese perciò a insegnare […] si sacrificava in modo tale che ci sentissimo tutti chiamati a responsabilità da adulti”279

Dopo aver conseguito il diploma di perito in telecomunicazioni nel 1966, trova lavoro alla Ceiet, una ditta che si occupa di telefonia. Conosce per la prima volta la fabbrica. Scrive “quel miscuglio di organizzazione, efficienza e disciplina che si amalgama e si scontra con l’umanità delle persone che intrecciano il loro destino nella produzione”280. Sul treno delle Ferrovie Nord, che prende la mattina per raggiungere il cantiere di Varese dove è stato assegnato, incontra gli operai tutti hanno fretta, tutti sono incazzati281. Come racconterà in Brigades Rouge, dvd francese, per la regia di Mosco Levi Boucault, in cui sono raccolte anche le testimonianze di Fiore, Gallinari e Morucci, l’impatto con la vita di fabbrica è molto duro. La ripetitività delle giornate e la catena di montaggio estenuano le giornate degli operai, “noi non vogliamo più lavorare in questo modo […] non vogliamo più regalarvi il nostro tempo […] I giovani che allora si ribellavano e che costituirono il gruppo […] al di fuori dei sindacati […] partono da qui. L’analisi del modo di produrre del capitalismo […] parla della vita concreta […] i comitati di base partono dai reparti […] E si crea uno scontro di potere […] Si comincia a pensare che siamo dinanzi a una possibilità di stravolgimento

277

M. Moretti, Brigate Rosse, op. cit., p. 4

278 “Quando si andava a votare in generale si votava comunista , ma tutto finiva lì”, ivi, p. 5 279 ivi, p. 6

280 ibidem 281 ivi, p. 7

[…] è una possibilità realissima”282. Il suo però non è ancora un contatto con la fabbrica in termini politici. La sua iniziazione in tal senso avverrà alla Siemens (Italtel) dove è un tecnico, quando, in occasione di una protesta contro i padroni, gli operai irrompono, urlando, nel reparto collaudo dove lavora . Scrive “ci mettiamo a discutere nel cortile. Io non ci sto a farmi determinare dalla vita, voglio capire il perché delle cose, perché quegli operai protestano […] In quegli anni è come se nella testa di ciascuno di noi scattasse una molla. E per farla scattare bastava un episodio come questo e anche meno”283. È il suo

primo approccio con quella che considera la vera classe operaia. In qualità di tecnico, Moretti dovrebbe essere un alleato del padrone, in realtà, spiega la Siemens è un fabbrica ad alto contenuto tecnologico in cui, dunque, anche i tecnici, come gli operai, sono inseriti all’interno di una catena di montaggio. Moretti partecipa al successivo sciopero degli operai. Dalla partecipazione praticamente nulla dei tecnici, saranno infatti solo in cinque su duemila, Moretti si rende conto che il sistema tradizionale non fa presa e, insieme ad altri, mette in piedi, in seguito a una assemblea dal successo strepitoso, il primo gruppo apolitico dedicato allo studio dei problemi dei tecnici, prototipo di un metodo di aggregazione vincente fra figure produttive fino ad allora inaccessibili al sindacato. “Erano sempre stati gli operai a indire assemblee, stavolta eravamo noi […] andavamo incontro a qualcosa, una tendenza travolgente a mettere tutto in discussione”284. Il primo sciopero indetto dal gruppo è un successo ancora maggiore e Moretti si rende conto del potere acquisito dal gruppo. A questo punto del racconto a Moretti viene chiesto Curcio viene dall’esperienza di Trento, Franceschini dalla memoria dei partigiani di Reggio, la tua è un’altra storia?. Moretti risponde affermando che la sua origine è la fabbrica, in particolare la Siemens, luogo in cui conosce e comprende il sistema capitalistico e la lotta di classe. E poi aggiunge “e non è tanto singolare. Le Br vengono in gran parte dalla fabbrica”285. Il

gruppo di studio diventa un punto di riferimento, rappresentativo di una parte della fabbrica fino ad allora priva di voce. Iniziano a studiare anche le anomalie del sistema e le disparità di trattamento del sistema capitalistico. Moretti si iscrive anche al corso serale della Cattolica di Milano in Economia e commercio ma non si laurea. È il 1967 e l’università vive un “clima di totale insubordinazione, di una critica che non conosceva zone vietate, bellissimo”286 . Gli operai guardano con scetticismo gli studenti e il movimento, forse

perché fino ad allora la stragrande maggioranza degli studenti era di destra. Scrive Moretti

282 in Ils étaient les Brigades Rouge 1969-1978 , Arte Vidéo, 21 settembre 2011 283 M. Moretti, Brigate Rosse, op. cit., p. 7

284 ivi, p. 8 285 ivi, p. 9 286 ivi, p. 10

“mi colpiva la fantasia degli studenti e dei loro slogan […]Noi delle fabbriche abbiamo subito il fascino del Movimento studentesco […] li guardavamo un po’ dall’alto, come si guarda qualcuno che sa tutto ma non capisce niente. “Studentame”, li chiamavamo […] chiunque di loro venisse davanti ai nostri cancelli assumeva di colpo il punto di vista operaio, l’interesse degli operai soverchiava tutto”287. In realtà, il gruppo di studio viene

percepito come un evento politico, soprattutto in forza della diffidenza nei confronti dei partiti. È un periodo intensissimo a livello di organizzazione e di formazione di nuove entità rappresentative a fronte di un sindacato ormai considerato obsoleto e inefficace. L’idea della assemblea proviene dagli studenti ma diventa subito componente essenziale delle proteste operaie. “Lo strumento maggiore di autodeterminazione […] Lo imposero al sindacato […] gli apparati sindacali ne diffidano perché scavalca le sedi consuete di decisione […] è il momento di massima creatività…Al sindacato siamo iscritti tutti ma solo una parte della Fim ci appoggia […] Sognavamo di cambiarle le cose […] Noi eravamo il prodotto più alto del cambiamento […] la gente dava alla democrazia un senso diverso”288. L’anno decisivo è per Moretti il 1969, l’anno del contratto nazionale dei metalmeccanici, “molte delle cose che accadranno negli anni a venire nascono in quella onda”289. Moretti parla di una esperienza comunitaria, ricorda la Comune di piazza Stuparich in cui vive insieme ad altre diciassette persone provenienti dagli ambienti più disparati ma fondamentalmente non ancora legati a nessuna ideologia e a nessun partito, spinti solo dal desiderio di aggregazione, di fare domande e azzardare risposte. “Un’avventura esistenziale, nella quale proviamo a ricomporre quel tanto di pubblico che stavamo vivendo insieme con quel tanto di privato che per tutti si arresta sulla porta di casa […] La Comune […] diventa un punto di incontro, quasi tutti i compagni milanesi che poi hanno militato nelle Br ci sono passati almeno una volta […] Non c’era scissione tra vita politica e vita personale, preparare un volantino e badare ai bambini […] C’erano le coppie ma inserite in una struttura che serviva a tutti […] Le coppie si sono messe a fare figli. Credo che quella vitalità che permeava tutto quel che stavamo facendo avesse bisogno di proiettarsi subito nel futuro…Organizziamo un asilo nido in piena regola”290.

La simbiosi tra la dimensione pubblica e la dimensione privata diventa poi più difficile, secondo le parole di Moretti, non solo nelle riflessioni a posteriori, ma anche quando le Br cominciano a uccidere291. Infatti in occasione dell’intervista a Zavoli Moretti dirà “si fa 287 pag. 10 288 pag. 12 289 pag. 13 290 pag. 15 291 infra

sempre molta fatica a scindere, separare quella che è stata una vicenda politica da una vicenda anche personale. Cioè io credo che l’uomo Moro non era poi molto diverso dal politico Moro. Non gli si fa un grande onore questa separazione netta […] Moro ha vissuto per ciò che ha creduto […] è stato un nostro avversario, ha avuto un ruolo insomma e in questo modo ci siamo rapportati”292. Ma, tale posizione quanto alla corrispondenza del

personaggio Moro all’uomo Moro, appena sostenuta viene smentita a fine intervista dallo stesso Moretti quando dice “per quanto sia vero il ruolo del personaggio, la persona è più ricca e non può essere ridotta a questo”.

È anche il periodo dei Comitati unitari di base, organismi operai avversi al sindacato, e in particolare del cub Pirelli – durante una sua riunione incontra per la prima volta Margherita Cagol - , e della nascita del Collettivo Politico Metropolitano, gruppo che cerca di coniugare diverse anime della protesta in un’unica dimensione di azione, gestita da Corrado Simioni e Renato Curcio. La situazione all’esterno comincia a farsi difficile. “L’avversario non sta a guardare, ci sono i primi processi di ristrutturazione in fabbrica, la polizia si fa violenta nelle piazze, cominciano a scoppiare le bombe, con Piazza Fontana c’è chi comincia a fare politica con le stragi. Allora da un generico discorso sulla violenza sia passa alla discussione sulla lotta armata […] Non abbiamo un’idea precisa […] abbiamo chiara solo una cosa: stanno attaccando ciò che siamo diventati, non dobbiamo cedere […] Siamo lontanissimi da una teoria sulla lotta armata […] Però ne sentiamo la necessità. Se ne trovano gli accenni nel famoso “libretto giallo”293 che fu elaborato in un convegno che il Cpm tenne a Chiavari, in un pensionato di nome Stella Maris”294. In realtà, in tale occasione, non sia hanno ancora le idee chiare sul come agire. L’atmosfera è ancora goliardica. Se ne discuterà in modo più serio al rientro a Milano. Moretti esce,

292 Intervista di Sergio Zavoli del 1989 per la trasmissione “La notte della Repubblica”, andata in onda tra il

1989 e il 1990 su Raidue, poi trascritta nell’omonimo testo, S. Zavoli, La notte della Repubblica, Mondadori, Roma, 1992

293 Un documento di ventotto pagine dal titolo Lotta sociale e organizzazione nella metropoli, (Franceschini

nella sua seconda autobiografia lo chiama “Lotta rivoluzionaria nella metropoli”) suddiviso in cinque capitoli:

1.Il movimento spontaneo delle masse e l’autonomia proletaria; 2. Ristrutturazione socialcapitalista e lotta di classe; 3. Dalle “lotte sociali” alla lotta sociale; 4. Movimento di massa e organizzazione rivoluzionaria; 5. Alcune note di metodo sul lavoro del collettivo politico metropolitano. In esso è interessante l’incitamento alla

partecipazione, al mettersi in gioco, allo scendere in campo, esattamente in linea con quanto si trova in Fogli

di lavoro, lo scritto elaborato da Curcio e Rostagno, infra. Nel “libretto giallo” si legge infatti “i militanti non partecipano al collettivo ma costituiscono il collettivo. […] Due elementi generali sostanziano questo lavoro. Essi sono: fiducia e disponibilità reciproca” . La fiducia cui si fa riferimento non è legata alle singole

individualità, non si connota come “fiducia nell’altro”, ma come fiducia politica che si sostanzia nell’azione comune. Quanto al secondo elemento, la disponibilità reciproca, questa si basa sull’accettazione di una “disciplina collettiva”, prova e garanzia dell’impegno assunto nei confronti di tutti.

insieme ad altri, tra cui Corrado Alunni, dal cpm295 a causa di un dissidio con Simioni, per lui troppo suggestionato dai romanzi di spionaggio e con le manie della segretezza. “Se accetti dei livelli di segretezza, accetti una gerarchia […] è ben altro la divisione dei compiti in una organizzazione clandestina. Hai le strutture di verifica, il flusso delle decisioni non è unilaterale, la rotazione degli incarichi è fisiologica”296. Interessante è notare quanto,

invece, scritto da Franceschini nella sua seconda autobiografia a proposito dell’evento e del ruolo “oscuro” di Simioni297. Comunica a Curcio che la sua uscita dal cpm è motivata

dalla volontà di andare oltre, di intraprendere la strada della lotta armata. Inizia così con gli altri che abbandonano il cpm a provare le prime tecniche di clandestinità, falsificano i primi documenti, si procurano le prime armi ma le idee sono ancora confuse. Nessuno ha esperienza in merito, non ci sono gruppi simili da imitare a Milano e quelli sudamericani operano in un contesto troppo diverso per essere di aiuto. È dunque una fase di sperimentazione a 360°, “dobbiamo inventare tutto. Sarà sempre così per le Br; non somiglieremo a nessun altro”298. Conoscono i compagni che mettono in atto le prime azioni delle Br alla Pirelli, simili a quelle messe in atto dal movimento operaio ma da questo diverse per la rivendicazione che ne segue, elemento, secondo Moretti, essenziale per “far circolare l’idea che lo scontro può andare oltre i soliti limiti […] dire chiaro e tondo che vogliamo aggredire l’azienda, il capitale”299

A questo punto del racconto Moretti parla dell’origine della sua scelta di lotta armata, facendola discendere direttamente dalla sua esperienza di fabbrica e non dalle Br. Così come tale origine è ribadita nelle altre interviste e nella testimonianza resa nel 2011. “Gli scioperi che stiamo facendo hanno anche questa arma in più […] C’è la necessità di combattere. Il voto non paga, prendiamo il fucile. L’azione che viene fatta, organizzata è un’azione guerrigliera […] concepita come una guerriglia, che non crea un fronte di combattimento, ma colpisce con un morso e poi si defila. Quel morso è significativo della natura”300. È, nelle sue parole, il contesto di grande fermento in fabbrica che lo spinge in

tale direzione. La ristrutturazione della Pirelli è secondo lui motivata non da ragioni logistiche ma da un tentativo di aggirare l’ostacolo proteste. Ricorda ad esempio come

295 “Misi fine anche alla vita nella Comune, sia pure con molti rimpianti. È stata un’esperienza bellissima…un

modo d’esistenza diverso e pieno di entusiasmo. Più tardi noi delle Br ci siamo condannati a vivere soltanto nell’immaginazione le idealità che chiamavamo comunismo. Quando mia moglie, il bambino e io ce ne andiamo […] sento che non si tratta solo di un andare ad abitare da soli, che una stagione si è chiusa”, ivi, p. 19

296 ivi, p. 18

297 G. Fasanella, A. Franceschini, Che cosa sono le Br, op. cit. p. 54 ss. 298 M. Moretti, Storia delle Brigate Rosse, op. cit, p. 20

299 ibidem.

l’azienda fece arrivare i materiali dalle sue affiliate in Spagna, per aggirare il blocco che gli operai hanno messo in atto nello stabilimento di Bicocca, indebolendo in tal modo il potenziale della protesta. “Decideremo la lotta armata per conservare una effettiva capacità di scontro”301.

Il racconto non è molto chiaro e sembra che Moretti voglia in qualche passo addirittura sminuire il momento di nascita delle Br, come quando, ad esempio, dice di non essere stato presente al momento della decisione di Curcio e Cagol (nella domanda dell’intervistatrice manca Franceschini) sul come chiamare l’organizzazione nascente e aggiunge che “in venti anni ho sentito almeno tre versioni sulla nascita del nome e del simbolo delle Br. Scelgo quella in cui c’è Mara, perché è lei che mi ha insegnato a fare la stella a cinque punte dopo che l’ho vergognosamente sbagliata sul cartello al collo di Mincuzzi”302. Ma Moretti non rivendica una continuità con il passato, con le tradizionali lotte della classe operaia, “sarebbe una forzatura” ammette, e afferma “noi ci rivolgiamo alle avanguardie”.

Altro elemento determinante la sua scelta è il mutamento di contesto all’esterno. La