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ANALGESIA NEGLI UCCELL

2.4 Butorfanolo e Nalbufina

Il butorfanolo è un oppioide agonista κ e antagonista µ, in quanto tale nei mammiferi è poco efficace come analgesico, anzi può interferire con l’analgesia indotta da altri oppioidi somministrati, competendo per i recettori; tuttavia è un ottimo sedativo e non da inibizione del respiro. Negli uccelli è invece comunemente utilizzato come analgesico a dosi di 1-4 mg/kg intramuscolo o per bocca, dosi più

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elevate potrebbero però determinare iperalgesia (Donnely, 2016). Gli effetti collaterali a queste dosi parrebbero scarsi o nulli, infatti in uno studio sull’amazzone di Hispaniola (Amazona ventralis), la somministrazione in premedicazione di 2 mg/kg non ha determinato modifiche respiratorie o cardiocircolatorie significative. In esemplari di pappagallo cinerino africano (Psittacus erithacus) anche dosi di 1 mg/kg hanno dimostrato effetti analgesici importanti (Paul-Murphy et al., 1999).

Nello sparviero americano (Falco sparvierus) parrebbero essere necessarie dosi più alte, anche superiori ai 5 mg/kg intramuscolo (Guzman et al., 2014).

La nalbufina è anch’essa agonista κ e antagonista µ; negli uccelli è dotata di una farmacocinetica molto rapida e presenta scarsissimi effetti collaterali, a 12,5 mg/kg intramuscolo o endovena si verifica solo analgesia e una leggera sedazione (Keller et al., 2011). Dosi più alte non aumentano l’efficacia analgesica (fino a 50 mg/kg)(Guzman, 2011)

2.5 Buprenorfina

La buprenorfina è un antagonista κ e un agonista parziale µ, dotata comunque di maggior potenza analgesica della morfina di un onset e una successiva durata d’azione molto lunghi (Dugdale, 2010). Non è diffusamente utilizzata negli uccelli ma si è dimostrata efficace nel prevenire la retrazione della zampa per stimolo dolorifico a 0.1, 0.3 e 0.6 mg/kg intramuscolo nel gheppio americano (Falcuss parvierus) mostrando come effetto collaterale solo un leggera sedazione al dosaggio maggiore (Ceulemans et al, 2014). Per contro nel pappagallo cinerino africano (Psittacus erithacus) il dosaggio di 0.1 mg/kg non ha mostrato alcun effetto analgesico (Paul-Murphy et al., 1999). La buprenorfina, come anche butorfanolo e nabulfina, non

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sembra aumentare di efficacia all’aumentare della dose oltre un certo limite, nello studio di Ceulsman tutti e tre i dosaggi si rivelavano altr’e tanto efficaci.

2.6 Fentanyl

Il Fentanyl è un oppioide sintetico agonista µ puro, dotato di potenza analgesica fino a 100 volte superiore alla morfina, onset rapido (1-2 minuti) ed emivita brevissima (10 minuti), il che lo rende molto utile per la somministrazione in boli o in infusione continua endovena. Ha anche un forte effetto sedativo, come altri oppioidi da depressione del cardiocircolatorio e soprattutto del respiro, quindi è bene utilizzarlo se possiamo ventilare artificialmente il paziente (Dugdale, 2010).

L’uso fentanyl endovena a 20 µg/kg (dosaggio simile a quelli comunemente usati nei mammiferi) ha permesso in uno studio su esemplari di poiana codarossa (Buteo jamaicensis) in anestesia di ridurre la concentrazione di isoflurano fino al 55%, con scarsi effetti sull’apparato cardiovascolare (Pavez, 2011). Tuttavia esistono ancora pochi studi sulla sua efficacia come analgesico negli uccelli, in uno studio sul cacatua bianco (Cacatua alba) dosi di 10 e 20 µg/kg non hanno dato un effetto significativo, per ottenerlo è stata necessaria una dose di 200 µg/kg (che tal volta a determinato agitazione nel paziente); va però detto che in tale studio la via di somministrazione era intramuscolare o sottocutanea. (Hoppes, 2003).

Può anche utilizzato in CRI previa somministrazione di bolo da 20 µg/k (Carpenter, 2017).

2.7 Sufentanyl

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volte superiore (Hall, 2001), anche questo ha onset e durata d’azione estremamente brevi (rispettivamente 2.5 minuti e 10-20 minuti) ed è comunemente utilizzato in medicina umana in boli ripetuti o infusione continua endovenosa.

L’onset rapido è legato alla sua elevata lipofilicità che gli permette di passare velocemente la barriera ematoencefalica e distribuirsi nel liquido cefalo-rachidiano. Il metabolismo è epatico tramite processi di N-dealchilazione, de metilazione e idrossilazione aromatica, cui segue eliminazione al 60% urinaria e al 40% fecale; tuttavia la brevità di azione non è legata solo al metabolismo, ma anche al sequestro a livello polmonare che nei primi dieci minuti dalla somministrazione endovenosa interessa il 50% del farmaco. Il maggior effetto analgesico, superiore di 625 volte rispetto alla morfina, è invece legato all’alta affinità e selettività nei confronti dei recettori µ.

Il sufentanyl si lega molto facilmente alle proteine, in particolare l’α1- glicoproteina, e in maniera crescente col pH; bisogna quindi tenere in conto che negli stati di alcalosi la percentuale di farmaco libero e attivo è inferiore.

Nel cane può essere somministrato in boli di 0.05-0.2 µg/kg endovena ogni 5-10 minuti, oppure in CRI a 0.5-4 µg/kg/h, con un bolo di carico iniziale di 0.5 µg/kg; a questi dosaggi offre copertura analgesica anche per chirurgie molto dolorose.

In caso di necessità è possibile anche utilizzarlo intramuscolo in premedicazione, fino anche a 1 µg/kg per avere gli effetti del bolo iniziale endovenoso. (Bufalari & Lachin, 2012)

Il margine di sicurezza del farmaco è molto elevato, superiore di 6 volte rispetto al fentanyl (Marshboom, 1985) e se necessario è possibile aumentare le dosi sopracitate e quindi l’effetto analgesico. L’impatto sull’apparato cardiovascolare è molto scarso e l’effetto sedativo permette di ridurre in maniera importante le dosi di altri farmaci o gas anestetici nell’induzione dell’ipnosi. In pazienti trattati

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con sufentanyl, la gittata cardiaca, le resistenze vascolari e la pressione arteriose rimangono nel range, sebbene si verifichi spesso bradicardia più o meno marcata.

È stato visto che questo vale anche per soggetti affetti da stenosi coronarica, quindi già compromessi a livello cardio-circolatorio.

Il sufentanyl non solo non induce rilascio di istamina, ma la sua azione inibente sul sistema simpatico, comune a tutti gli oppioidi con intensità variabile (Bovili; 1984), è di molto superiore rispetto a fentanyl (Benson, 1984): l’inibizione della nocicezione e in generale dell’attività simpatica è molto importante perché i riflessi vegetativi, che altrimenti si verificherebbero in seguito non solo agli stimoli dolorosi ma anche alle manipolazioni non dolorose e ai cambiamenti di posizione, vanno ad alterare frequenza cardiaca e tono vascolare; il sufentanyl garantisce quindi una certa stabilità cardiovascolare.

L’effetto disforizzante non è molto frequente nel cane ma si ritrova più spesso nel gatto, quindi soprattutto in questa specie non conviene utilizzarlo come unico farmaco in premedicazione.

La depressione del respiro, come per il fentanyl, è dose-dipendente e può determinare riduzione del volume tidalico e della frequenza respiratoria o persino apnea, è importante quindi essere pronti a ventilare artificialmente il paziente se necessario e monitorare attentamente la capnografia.

Altri effetti collaterali che possiamo riscontrare nel cane sono miosi, alterazioni della peristalsi, scialorrea e polipnea (quest’ultimo parrebbe essere dovuto all’azione del farmaco sul centro della termoregolazione nell’ipotalamo) (Bufalar & Lachin, 2012).

Il sufentanyl è stato anche associato al midazolam, entrambi in CRI, per la TIVA di cani compromessi dal punto d vista cardiovascolare che dovevano subire chirurgie anche molto invasive e dolorose: a qualità dell’anestesia si è rivelata ottima, con una buona stabilità emodinamica e copertura analgesica (Hellebreckers, 1991). Altro

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vantaggio di quest’associazione è che entrambi i farmaci possono essere efficacemente antagonizzati dai rispettivi antidoti, il naloxone e il flumazenil (Hedenqvist, 2013)

Come la morfina anche il sufentanyl può essere somministrato per via epidurale o intratecale, per offrire analgesia in interventi ortopedici, chirurgie addominali o durante il parto.

Il dosaggio di 5 µg/kg in 0.1 ml/kg in epidurale si è rivelato molto efficace nel garantire analgesia intra-operatoria a cani sottoposti a chirurgie ortopediche. Anche nel post-operatorio i pazienti erano più vivaci e mostravano meno segni di dolore rispetto alla norma, facendo ritenere che fosse garantita anche una buona analgesia post- operatoria e un accorciamento dei tempi di degenza (Bufalari et al., 2007).

Nei mammiferi quindi il sufentanyl, malgrado sia meno utilizzato del fentanyl, è da considerarsi un farmaco d’elezione nei casi in cui sia estremamente importante garantire un’ottima stabilità cardio- vascolare o se gli oppioidi più comuni si rivelano insufficienti nella gestione del dolore intra e post-operatorio (Bufalari & Lachin, 2012). L’uso di questo farmaco negli uccelli è stato poco studiato, il primo studio condotto sull’argomento aveva per soggetti esemplari di germano reale (Anas platyrhynchos).

In questo studio tra i vari analgesici testati c’era anche il sufentanyl, somministrato a 20 µg/kg intramuscolo 5 minuti dopo la premedicazione con medetomidina e midazolam.

I soggetti sottoposti a questo protocollo hanno subito una sedazione maggiore e senza agitazione, rispetto ai soggetti cui non era stato somministrato l’oppioide.

L’unico altro studio è stato effettuato presso il Centro di Recupero per Uccelli Marini e Acquatici (CRUMA) di Livorno sotto forma di Tesi di Laurea.

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sottoposti a due differenti protocolli anestesiologici per chirurgie ortopediche.

Entrambi sono stati pre-anestetizzati con 20 µg/kg di sufentanyl e 1 mg/kg di midazolam (2 mg/kg per pazienti d peso inferiore a 500 g); il primo gruppo è stato sottoposto a PIVA con solo sufentanyl a 15 µg/kg/h mentre al secondo è stato somministrato anche 1 mg/kg/h di midazolam, a entrambi i gruppi è stato somministrato anche isoflurano in mantenimento. Entrambi i protocolli hanno dato risultati accettabili garantendo una buona analgesia e il mantenimento di un piano anestesiologico chirurgico senza compromettere la funzionalità cardiocircolatoria. Il secondo protocollo si è comunque rivelato più efficace garantendo maggiore stabilità cardiocircolatoria e respiratoria e permettendo di abbassare l’isoflurano a concentrazioni inferiori rispetto al primo gruppo (Regoli, 2017).

2.8 Tramadolo

Il tramadolo è un oppioide sintetico analogo alla codeina e piuttosto atipico, infatti esercita la sua azione analgesica tramite due meccanismi. È un debole agonista µ, con scarsissima affinità per i recettori κ e δ, ma ha anche l’effetto di inibire il re-uptake di noradrenalina e serotonina a livello centrale, dei due enantiomeri da cui è composto apre che uno abbia maggior affinità con i recettori µ e maggior azione sul re-uptake della serotonina, mentre l’altro agisce maggiormente su quello della noradrenalina. Come abbiamo già detto anche noradrenalina e serotonina, oltre agli oppioidi, hanno un ruolo nella modulazione del dolore, quindi possiamo affermare che questi due meccanismi d’azione, o tre se consideriamo separatamente gli enantiomeri, sono sinergici.

A livello epatico viene metabolizzato principalmente a O- dismetiltramadolo (M1), questo ha affinità coi recettori degli oppioidi

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molto superiore rispetto al farmaco originale e ne potenzia e prolunga l’azione, questo è stato verificato sperimentalmente anche in vivo, in pazienti umani sani ma carenti dell’enzima citocromo P450, responsabile della conversione del tramadolo, nei quali l’effetto analgesico era inferiore.

L’eliminazione è renale sia per il farmaco originale che per il metabolita.

Negli esseri umani gli effetti collaterali sono scarsi, la sedazione che provoca è minima e raramente possono verificarsi nausea e sonnolenza; non da minimamente depressione del respiro e uno studio ha evidenziato un aumento della pressione arteriosa che però non è stato considerato clinicamente rilevante. (Scott & Perry, 2000). In medicina veterinaria è comunemente utilizzato come analgesico per la terapia del dolore post-operatorio, al dosaggio di 2-4 mg/kg nei cani, sia iniettabile che per os;data la sua bassa tendenza a indurre dipendenza ha il grosso vantaggio di non essere considerato farmaco da abuso, oltre al fatto che non deprime il respiro, e quindi può essere prescritto per il trattamento analgesico a casa.

Il suo uso intra-operatorio è invece poco esplorato, essendo in genere considerato un analgesico troppo blando e con scarso effetto sedativo.

In uno studio condotto sui ratti (Rattus norvegicus) la somministrazione intraperitoneale di morfina (4 mg/kg), tramadolo (12,5 mg kg) e meloxicam in varie combinazioni e la seguente stimolazione algica hanno dimostrato parità di efficacia analgesica tra morfina e tramadolo a questi dosaggi e in questa specie (Mehrzad & Nasser, 2015).

Nel cane è stato dimostrato che l’infusione continua di tramadolo durante l’anestesia riduce sensibilmente la concentrazione di alogenato necessaria al mantenimento.

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stata somministrata una CRI di 1.3 mg/kg/h oppure 2.6 mg/kg/h, con bolo di carico di 1.5 mg/kg per entrambi i gruppi; ai cani veniva impartito uno stimolo nocicettivo di natura elettrica e veniva cambiata la concentrazione di sevoflurano somministrata in base alla reazione al dolore. La MAC stimata in questo modo si è rivelata più bassa per entrambi i gruppi rispetto a cani mantenuti col solo sevoflurano, senza differenza significativa tra i due gruppi (Seddighi et al., 2009). Un altro studio simile ha valutato la variazione della MAC in cani mantenuti con sevoflurano e CRI di morfina per un gruppo, e con l’aggiunta di tramadolo in CRI nel secondo: i soggetti cui erano somministrati morfina e tramadolo avevano MAC mediamente inferiore rispetto a quelli cui era somministrata solo la morfina (Mahidol et al., 2015).

Ancora un altro studio eseguito su cani beagle svegli è consistito nel somministrare endovena un bolo di 10 mg/kg di tramadolo e verificare la reazione a uno stimolo termico-doloroso; in questo caso il tramadolo non si è rivelato efficace ma il dosaggio dell’O-dismetil- metabolita nel siero ha rilevato livelli molto bassi: si suppone che differenze di razza nel metabolismo epatico possano condizionale l’effetto del tramadolo (Kogel et al, 2014).

Anche nel gatto la somministrazione di tramadolo, per via orale, è stata dimostrata avere effetto di riduzione della MAC di sevoflurano (Jeff et al., 2008)

L’infusione continua di continua di tramadolo (1 mg/kg/h) in cavalli svegli affetti da sinovite carpale non è invece risultata efficace nell’inibire la sensazione dolorifica legata alla sinovite (Carragari et al., 2014).

Il tramadolo ha anche potenzialità nell’uso in epidurale, uno studio condotto sul bufalo indiano (Bubalus bubalus) ha riscontrato un onset ma anche una durata d’azione maggiore nei soggetti trattati con 1 mg/kg di tramadolo rispetto a quelli trattati con lidocaina al 2%

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(Atiba et al., 2015).

Mentre gli altri oppioidi spesso inducono una riduzione della pressione arteriosa media e della frequenza, il tramadolo ha dimostrato di determinare un lieve aumento transitorio della pressione arteriosa media in cani, conigli e ratti, con effetti variabili sulla frequenza cardiaca; inoltre la vasocostrizione non sembra ridurre la perfusione renale e miocardica. Si suppone che questo sia dovuto all’inibito re- uptake della noradrenalina a livello dei recettori adrenergici α1, e al conseguente aumento del tono vasale (Mϋller & Wilsmann, 1984; Nagaoka et all., 2002; Itami et all., 2011)

Negli uccelli è comunemente utilizzato come analgesico a dosi che vanno dai 5 ai 30 mg/kg bid, sia intramuscolo che per via orale; gli effetti collaterali sono leggera letargia e atassia ai dosaggi più alti (Donnely, 2016; Carpenter, 2017). Sebbene la soglia analgesica non sia ancora ben conosciuta, si ritiene che la concentrazione plasmatica di farmaco in grado di indurre analgesia sia simile a quella dell’uomo, 298-590 ng/ml (Souza et al., 2009).

La farmacocinetica è stata studiata in diverse specie: nella poiana codarossa (Buteo jamaicensis) la somministrazione di 11 mg/kg per os determina concentrazioni superiori al limite minimo sopraindicato per 4 ore, con emivita di 1,3±0,6 ore, la somministrazione per os di 15 mg/k ha aumentato la durata a 5 ore e mezza, si ritiene che questo dosaggio bid fornisca un grado di analgesia sufficiente, somministrazioni più frequenti sono sconsigliate per il semplice fatto che le specie selvatiche facilmente stressabili non dovrebbero essere maneggiate spesso (Souza et al.,2011)

Nell’aquila calva (Haliaeetus leucocephalus) sono state confrontate le differenze nella farmacodinamica tra la somministrazione di 4 mg/kg endovena e 11 mg/kg orale; l’emivita era rispettivamente 2,46 h e 3,14 h, garantendo livelli ematici alti per 5 e 10 h, la biodisponibilità orale (97,7) in questa specie è molto superiore rispetto al cane,

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quindi la somministrazione orale sembra più vantaggiosa. Nello stesso studio una simulazione della farmacocinetica a 5 mg/kg endovena suggerisce che la somministrazione di questa dose bid garantisca livelli plasmatici soddisfacenti nell’arco della giornata. In seguito alla somministrazione endovenosa è stata osservata una lieve bradicardia (Souza et al., 2009).

Nello sparviere americano (Falcus sparvierus) la somministrazione di 5, 15 e 30 mg/kg per os ha ridotto in maniera importante il riflesso di retrazione allo stimolo termico-nocicettivo. (Sanchez-Migallon Guzman, 2014).

Sono stati condotti diversi studi sul tramadolo anche nei pappagalli, in particolare nelle amazzoni di Hispaniola (Amazona ventralis), la somministrazione di 30 mg/kg per os ha dato concentrazioni plasmatiche soddisfacenti, suggerendo che una somministrazione ogni 8 h possa fornire una buona copertura analgesica, mentre 10 mg/kg per os non si sono rivelati sufficienti. La somministrazione endovenosa di appena 5 mg/kg ha dato invece livelli plasmatici piuttosto alti anche se con emivita inferiore rispetto ai 30 mg/kg: la biodisponibilità orale nei pappagalli sembra essere molto inferiore rispetto ai rapaci (Souza et al., 2012; 2013).

Altri studi hanno confermato in maniera diretta che per la via orale sono necessari 30 mg/kg di tramadolo per garantire analgesia, con copertura di circa 6 ore, mentre per la via endovenosa sono sufficienti 5 mg/kg che danno copertura per circa 4 ore (Sanchez-Migallon Guzman et al., 2012; 2013).

La somministrazione orale per i pappagalli è quindi presumibilmente poco conveniente, mentre la via parenterale è consigliata.

L’effetto del tramadolo sulla MAC è stato studiato anche sul parrocchetto occhi bianchi (Psittacara leucophtalmus), nei quali la somministrazione intramuscolo di 10 mg/kg in premedicazione non ha determinato variazioni in questo parametro.

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È stato appurato che frequenza respiratoria e cardiaca non risultavano alterati, mentre in un esemplare ha manifestato un blocco atrioventricolare di secondo grado intermittente (Escobar et al., 2017).

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CAPITOLO 3

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