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Effetti dell'infusione continua di tramadolo-midazolam in pazienti aviari sottoposti a chirurgia ortopedica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Effetti dell'infusione continua di tramadolo-midazolam in pazienti aviari sottoposti a

chirurgia ortopedica

Candidato: Lapo Falli Relatori: Prof.ssa Angela Briganti

Dr. Renato Ceccherelli

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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Abstract pag. 7

Introduzione pag. 8

Capitolo 1: Anestesia degli uccelli

1.1 Principali differenze anatomiche e fisiologiche tra uccelli e mammiferi

pag. 10

1.2 Come e perché anestetizzare il paziente aviare? pag. 11

1.3 Monitoraggio in anestesia dei pazienti aviari pag. 14

1.4 I gas anestetici pag. 23

1.5 Anestesia Bilanciata e infusione continua pag. 25

1.6 Alfa-2Agonisti pag. 27

1.7 Propofol pag. 28

1.8 Ketamina pag. 29

1.9 Benzodazepine pag. 30

Capitolo 2: Analgesia degli uccelli

2.1 Il dolore negli uccelli e come contrastarlo pag. 34

2.2 Morfina pag. 37

2.3 Ossimorfone e Idromorfone pag. 37

2.4 Butorfanolo e Nalbufina pag. 37

2.5 Buprenorfina pag. 38

2.6 Fentanyl pag. 39

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6 Capitolo 3: Studio Clinico

3.1 Introduzione pag. 49

3.2 Materiali e metodi pag 50

3.3 Analisi statistica pag. 53

3.4 Risultati pag. 54

3.5 Discussione e Conclusioni pag. 58

Bibliografia pag. 62

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7

Riassunto

Obbiettivo: valutare l’efficacia intraoperatoria di un protocollo di anestesia bilanciata

parzialmente intravenosa con tramadolo e midazolam in pazienti aviari selvatici sottoposti a chirurgie ortopediche

Materiali e metodi: lo studio è stato effettuato su un gruppo di 10 uccelli selvatici di 4

differenti specie sottoposti a chirurgie ortopediche. I soggetti sono stati premedicati intramuscolo con 20 µg/kg di sufentanyl e 1 mg/kg midazolam, a quelli che pesavano meno di 0,5kg venivano somministrati 2 mg/kg di midazolam invece di 1 mg/kg. I pazienti sono stati indotti in maschera e, dopo essere stati intubati, mantenuti con isoflurano. Durante l'anestesia sono stati valutati i parametri di frequenza cardiaca (FC), frequenza respiratoria (FR), pressione arteriosa media (PAM), percentuale di isoflurano a fine espirazione (EtIso), capnografia (EtCO2)

e temperatura (T°) ed è stata effettuata ventilazione controllata a pressione positiva intermittente (IPPV) per mantenere l'EtCO2 nel range di 30-45 mmHg. Dopo l'inserimento di un

catetere venoso è stato somministrato di un bolo di 10 mg/kg ed in seguito un'infusione continua di 1,2 mg/kg/h di tramadolo e 1 mg/kg/h di midazolam. I risultati sono stati paragonati con quelli di uno studio analogo sull'infusione continua di sufentanyl e midazolam. Risultati: il peso medio dei pazienti era di 0,66 ± 0,32 kg, la durata media dell’infusione era di 61,5 ±5,79 minuti. Non sono state rilevate differenze significative rispetto a T0 per nessuno dei parametri valutati. Nel gruppo T sono stati rilevati valori significativamente più alti di PAM ai tempi T1, T3, T4 e T5 rispetto al gruppo S. Conclusioni: Il protocollo con CRI di tramadolo-midazolam si è rivelato efficacie per garantire

copertura analgesica durante chirurgie ortopediche e permettere di abbassare la MAC dell’isoflurano, inoltre il tramadolo ha mantenuto la PAM a valori significativamente più alti rispetto al sufentanyl

Abstract

Objective: to evaluate the intraoperative efficacy of balanced partially intravenous anaesthesia

protocol with tramadol and midazolam in wild birds undergoing orthopaedic surgery.

Materials and methods: the study was performed on a group of 10 wild birds of 4 different

species undergoing orthopaedic surgery. The subjects were premedicated by intramuscular injection of 20 µg/kg of sufentanyl and 1 mg/kg of tramadol, those that weighted less than 0,5kg were given 2 mg/kg of midazolam instead of 1 mg/kg. Anaesthesia was induced with isoflurane by mask and, after endotracheal intubation, maintained with isoflurane. During the anaesthesia heart rate (HR), respiratory rate (RR), mean arterial blood pressure (MAP), exhaled percentage of isoflurane (EtIso), capnography (EtCO2) and temperature (T°) were monitored

and intermittent positive pressure-controlled ventilation (IPPV) was performed to maintain end tidal CO2 between 30 and 45 mmHg. After placing an intravenous catheter, a bolus of 10

mg/kg/h of tramadol was administered, followed by a continuous rate infusion of 1,2 mg/kg/h of tramadol and 1 mg /kg /h of midazolam. The results were compared with those of a similar study about continuous rate infusion of sufentanyl and midazolam.

Results: the mean weight of patients was 0,66 ± 0.32 kg, the mean CRI time was 61,5 ±5,79

minutes. No significant difference was found compared with T0 for any of the parameters evaluated in this study. In group T significantly higher values were found for MAP at times T1, T3, T4 and T5 compared with group S.

Conclusions: the protocol with CRI of tramadol-midazolam proved to effective at giving

analgesic coverage during orthopaedic surgery and allowing lower MAC of isoflurane, furthermore tramadol maintained MAP values significantly compared to sufentanyl.

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CAPITOLO 1

ANESTESIA DEGLI UCCELLI

1.1 Principali differenze anatomiche e fisiologiche tra uccelli e mammiferi

Prima di approcciarsi all'anestesia del paziente aviare è doveroso accennare, se pur brevemente, le principali differenze anatomo-fisiologiche che più ci interessano in ambito anestesiologico.

La prima grande differenza sta nel sistema circolatorio che negli uccelli risulta caratterizzato da un output cardiaco superiore, rispetto ad un mammifero di pari peso, dovuto alle dimensioni del cuore che risultano anch'esse superiori, associato ad un elevato tono vasale si riflette della pressione arteriosa che è significativamente più alta (Pellizzone & Grazioli, 2012).

Altra differenza sta nel sistema respiratorio che si differenzia molto da quello dei mammiferi: la presenza di una laringe evidente e facilmente evidenziabile tramite la trazione della lingua rende l'intubazione relativamente semplice, d'altro canto la trachea è più delicata per la presenza di anelli tracheali completi, per cui risulta necessario evitare l'utilizzo di tubi cuffiati per non causare l'ischemia e la successiva necrosi della mucosa. La restante parte dell'albero respiratorio è anch'essa diversa, i polmoni non sono espandibili come quelli dei mammiferi e non hanno una struttura terminale, l'aria infatti passa tramite i bronchi in parte ai parabronchi (sede di scambio) in parte ai sacchi aerei (che hanno funzione di ventilazione, non di scambio) caudali per poi tornare nei parabronchi e di nuovo nei sacchi aerei craniali per essere espirata (Sheild & Piiper, 1989).

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11 Questa struttura offre notevoli vantaggi, permettendo il così detto “scambio in contro corrente” tra aria e sangue che è estremamente efficace nell'estrazione dell'ossigeno, inoltre dal punto di vista anestesiologico offre meno resistenze all'inspirazione (l'espansione elastica polmonare richiede una certa dose di lavoro che in questo caso viene risparmiato) nonché alla ventilazione a pressione positiva (questo fattore associato alla chiusura della rima laringea permette una ventilazione adeguata malgrado la mancanza di una cuffia sul tracheotubo), in caso di ostruzione delle prime vie aeree è possibile ventilare il paziente “intubandolo” tramite una breccia nel sacco dorso-caudale e nella corrispondente porzione di parete addominale (Hawkins & Pascoe, 2007).

In fine ricordiamo che gli uccelli sono sprovvisti di diaframma e che i sacchi aerei si possono ritrovare in quasi tutta la cavità celomatica non ché in alcune ossa lunghe, questo ha conseguenze sulla ventilazione, ad esempio per la presenza di masse o raccolte di liquido occupanti spazio, o in caso di procedure chirurgiche (persino ortopediche) che vadano a ledere i sacchi aerei.

1.2 Come e perché anestetizzare il paziente aviare?

L'anestesia consiste nell'induzione di uno stato di narcosi, analgesia e miorilassamento (Rees & Gray, 1950) e la sua funzione è principalmente quella di rendere possibile lo svolgimento di manualità chirurgiche o diagnostiche, evitando o almeno limitando al massimo, lo stress, il dolore, la formazione di un ricordo spiacevole nell'animale.

Per i pazienti aviari selvatici queste manualità nella maggior parte dei casi sono chirurgie ortopediche: spesso gli uccelli subiscono traumi da impatto o viene sparato loro e riportano fratture o lussazioni esposte e non degli arti inferiori o delle ali.

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12 Non infrequenti sono però altri tipi di chirurgie, anche dei tessuti molli, o procedure diagnostiche, quali l'endoscopia dei sacchi aerei che richiedono la narcosi: bisogna infatti tenere di conto che gli uccelli, e in particolare i selvatici non abituati all'uomo sono molto sensibili allo stress.

Naturalmente le chirurgie, quelle ortopediche in modo particolare, richiedono oltre alla narcosi e al miorilassamento un grado elevato di refrattarietà agli stimoli nocicettivi.

Il discorso che segue può essere esteso a tutte le specie aviare.

L'induzione della narcosi può avvenire attraverso la somministrazione di gas anestetici in maschera o farmaci iniettabili ed è spesso preceduta dalla somministrazione in premedicazione di tranquillanti, sedativi o oppioidi.

Negli uccelli la preanestesia è più comunemente fatta con oppioidi e benzodiazepine (Longley, 2008); essa, ha come nei mammiferi, la finalità di fornire ansiolisi e analgesia, di ridurre le dosi dei farmaci iniettabili ipnotici o dei gas anestetici, riducendone quindi anche gli effetti collaterali, e di addolcire le fasi di induzione e risveglio, nell'ottica di un'anestesia bilanciata.

Nello stesso momento è opportuno somministrare anche la terapia antibiotica se necessaria.

L'induzione in maschera va eseguita immobilizzando con attenzione il paziente per evitare traumatismi, dato che questa è in sé una fase stressante, ed è importante che venga intubato il prima possibile per evitare problemi respiratori ostruttivi, facilitare la somministrazione di gas anestetici e ossigeno per il mantenimento e in caso sia necessario ventilarlo artificialmente.

I tracheotubi che possiamo usare vanno dal calibro di 1 mm fino a 5 mm nella maggior parte delle specie aviare, questi devono essere privi di cuffia o in caso non lo fossero non devono essere cuffiati, la manovra è più semplice che nei mammiferi, salvo i casi in cui la

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13 forma del becco non consenta di evidenziare chiaramente la rima glottidea alla base della lingua.

Fondamentale è il posizionamento di un accesso venoso con un catetere di dimensioni appropriate alla taglia (un ottimo sito è la vena tarsale mediale, ma non in tutte le specie è ugualmente semplice inserirlo), che facilita la somministrazione di farmaci anestetici iniettabili, d'emergenza e fluidi (fig. 1.1): soluzione salina allo 0,9% o ringer lattato possono essere somministrati da 2 a 10 ml/kg/h, possiamo anche usare colloidi a 15 ml/kg in caso di ipovolemia (Carpenter, 2017; Donnelly, 2016)

Figura 1.1 Agocannula collegata tramite tappo perforabile a catetere venoso in esemplare di poiana, il sito di inserzione del catetere è la vena tarsale mediale (CRUMA)

Prima di iniziare la procedura chirurgica bisogna assicurarsi che il piano anestesiologico e analgesico siano sufficientemente profondi. Il momento del risveglio deve essere seguito con la stessa attenzione dell'induzione e il paziente deve essere estubato solo se è in grado di respirare autonomamente e deglutire, si raccomanda in fine di continuare la somministrazione di ossigeno in flow-by fino a quando non ha ripreso totalmente conoscenza; proseguire la fluidoterapia e scaldarlo con lampade a infrarossi se necessario.

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14 1.3 Monitoraggio in anestesia dei pazienti aviari

L'anestesia non esente da rischi, quindi indipendentemente dalle tecniche e dai farmaci utilizzati, é imprescindibile eseguire un attento monitoraggio, tanto più accurato quanto più invasiva o pericolosa sia la procedura da effettuare e quanto più critiche siano le condizioni del paziente.

Questo ci permette valutare costantemente la profondità dell'anestesia, i parametri vitali dell'animale (frequenza cardiaca, pressione arteriosa, frequenza respiratoria, stato delle mucose, ecc), individuare tempestivamente problemi che si possono presentare ed intraprendere azioni correttive, onde non solo evitare la morte dell'animale, ma garantire anche una sufficiente copertura analgesica e il mantenimento dello stress esercitato dall'anestesia sull'organismo ad un minimo.

Perché sia efficacie il monitoraggio va condotto non solo durante la chirurgia ma va iniziato prima dell'induzione della narcosi, che insieme al risveglio è una delle fasi più critiche, e deve continuare fino alla totale ripresa di coscienza e delle facoltà motorie dell'animale La prima forma di monitoraggio è rappresentata dal monitoraggio clinico: consente di valutare frequenza cardiaca, polso, respiratoria, colore e aspetto delle mucose, la presenza/assenza di riflessi o tremori, lo stato di rilassamento muscolare e qualsiasi altra informazione sia rilevabile senza l'ausilio di macchinari.

Il riflesso palpebrale negli uccelli scompare precocemente una volta indotta la narcosi e ricompare in corrispondenza del risveglio, un segno più precoce di superficialità è il riflesso corneale, da valutare con un tampone umido, o in generale i movimenti della terza palpebra che sono scarsi o assenti in un piano anestesiologico profondo. Importante anche valutare la pupilla che in un piano

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15 anestesiologico medio rimane midriatica e con scarso o ritardata risposta alla luce.

Il miorilassamento, l'assenza di riflessi motori degli arti o tremori, il tono mandibolare, e l'assenza di una risposta a stimoli nocicettivi non solo ci aiutano a valutare la profondità dell'anestesia ma sono anche fattori importantissimi per permettere la corretta e sicura esecuzione delle manualità chirurgiche (Ceccherelli & Regoli, 2016a).

Il monitoraggio clinico negli uccelli risulta, però, più problematico negli uccelli rispetto ai mammiferi domestici a cui siamo comunemente abituati per quanto riguarda l'apparato cardiovascolare (frequenza, ritmo, intensità del polso), considerando che l'auscultazione è difficoltosa in animali di dimensioni tanto piccole e con frequenze cardiache tanto alte da rendere molto difficile la distinzione dei singoli battiti (almeno le specie più minute): la frequenza è estremamente variabile tra le specie, le dimensioni e gli individui ma possiamo estrapolare un valore di riferimento sulla base della formula allometrica espressa da Sedgwick per quanto riguarda l'animale anestetizzato. Per i valori dell'animale a riposo possiamo invece utilizzare la formula di Kschmidt:

fh = 155,8 x Mb-0-23

dove fh sta a indicare la frequenza espressa in battiti/minuto e Mb sta

ad indicare il peso dell'animale espresso in chilogrammi.

Tuttavia, considerando la quantità di variabili che possono influire sul valore basale della frequenza cardiaca, è molto importante valutare il trend dei valori da noi stessi registrati in quel particolare animale, variazioni di almeno il 20% sono significative e stanno ad indicare che qualcosa è cambiato nell'equilibrio fisiologico e anestesiologico del paziente (Sedgwick, 1991).

Per nostra fortuna il monitoraggio strumentale viene in nostro aiuto, possiamo infatti contare su strumenti quale il doppler: si tratta di una sonda che è possibile posizionare su un'arteria superficiale (i siti da

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16 prediligere sono l'arteria palatina, l'arteria brachiale e l'arteria metatarsale, si può utilizzare anche la carotide per via dello scarso spessore dei tessuti molli che si frappongono e, in caso di emergenza, il bulbo oculare per risparmiare tempo). Questa converte la variazione di pressione dell'arteria in un segnale acustico che l'anestesista potrà contare manualmente.

Tuttavia, da preferirsi al doppler è sempre l'elettrocardiogramma: tramite l'applicazione di 3 o 4 elettrodi possiamo visualizzare su un monitor multiparametrico il tracciato elettrocardiografico (II derivata) (fig. 1.2) che ci dà una rappresentazione fedele di cicli di depolarizzazione e ripolarizzazione cardiaci, in tal modo ci da la frequenza e il ritmo cardiaco. Alle volte anche posizionare gli elettrodi può porre dei problemi per via delle dimensioni ridotte del paziente, dell'ingombro delle penne e del rischio di raffreddare troppo il paziente con l'alcool; risulta quindi estremamente può comodo e sicuro l'utilizzo di una sonda endo-esofagea posizionata all'altezza del cuore che svolge la stessa funzione.

Figura 1.2 Tracciato ECG fisiologico delle specie aviare (CRUMA)

L'ECG non fornisce informazioni dirette sull'emodinamica ma permette di rilevare aritmie o alterazioni dei singoli picchi.

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17 mammiferi (fig. 1.2), questo pare essere dovuto al fatto che la depolarizzazione parte dalla superficie epicardica verso l'endocardio (Kisch, 1951).

Nella determinazione della profondità dell'anestesia queste onde ci sono utili perché via via che questa si approfondisce l'onda T diventa sempre più piccola, la R invece aumenta in ampiezza e la S si riduce a sua volta. L'iperkaliemia, ad esempio, determina un aumento in altezza dell'onda T e in caso di ipossia possiamo assistere alla sua inversione (Ritchie et al., 1994). Un altro fattore che può portare, non solo ad un aumento della frequenza, ma ad un'alterazione del ritmo fino a scomparsa dell'onda P è la presenza di una stimolazione nocicettiva importante in assenza di una sufficiente analgesia, che porta ad un aumento delle catecolamine in circolo con effetto cronotropo positivo e aritmogeno (Ceccherelli & Regoli, 2016a).

Come già detto però l'ECG non ci da indicazioni sull'effettiva emodinamica e quindi sulla pressione e sullo stato di perfusione degli organi interni del paziente. La misurazione diretta della pressione arteriosa ci viene in aiuto in questo caso e si rivela molto più efficace di quella indiretta, in parte per la difficoltà di trovare manicotti di dimensioni adeguate per i pazienti più piccoli, e anche per una maggiore affidabilità dei dati ottenuti per misurazione diretta.

Per la rilevazione della pressione diretta, detta anche invasiva, è necessario posizionare un catetere di dimensioni all'interno di arteria, collegarlo ad un trasduttore il quale convertirà le variazioni di pressione in segnali elettrici che verranno poi visualizzati sotto forma di onda pressoria sul nostro monitor multiparametrico. Da quest'onda possiamo estrapolare la pressione sistolica (SAP), diastolica (DAP) e media (MAP).

Questi valori sono significativamente più alti rispetto ai mammiferi, infatti una MAP ottimale in un paziente aviare non dovrebbe mai scendere sotto i 100-90 mmHg, in caso succedesse l'animale

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18 dovrebbe essere considerato ipoteso (Degernes, 2008), tuttavia in uno studio sui galliformi è stato dimostrato che l'ultrafiltrazione con produzione di urina viene mantenuta fino ai 60 mmHg (Schnellbacher, 1991), valore analogo minimo analogo a quello riportato per i mammiferi. Valori di sistolica superiori a 240 sono altrettanto pericolosi perché anche l'ipertensione può portare a scompensi potenzialmente fatali. Possono inoltre verificarsi diversi artefatti nella rilevazione dell'onda, coma sua smorzatura, in questo caso la MAP risulta ancora relativamente affidabile ma SAP e DAP sono falsamente spostate verso la MAP: questo può accadere per una parziale occlusione del catetere, ma anche per un improvviso aumento della vasocostrizione o un calo della pressione di perfusione, è quindi importante non sottovalutare questo tipo di alterazione e se si presenta indagarne le cause.

Cause di ipotensione potrebbero essere legate a perdite ematiche o agli effetti dei farmaci anestetici, mentre un aumento della pressione e della frequenza cardiaca possono anche essere dovuti ad una riduzione della profondità dell'anestesia o ad una insufficiente copertura analgesica.

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Figura 1.3 Cateterizzazione dell'arteria radiale profonda in esemplare di Barbagianni (Tyto alba) (CRUMA)

I siti per la cateterizzazione arteriosa non sono molti: per soggetti di peso superiore a 200g si predilige l'arteria radiale profonda (fig. 1.3), per quelli più piccoli l'arteria ulnare superficiale, per uccelli acquatici o con gambe lunghe invece si possono utilizzare l'arteria craniale tibiale o la metatarsale dorsale; anche la cateterizzazione della carotide e dell'arteria femorale è possibile, rispettivamente in specie di piccole dimensioni e specie con zampe lunghe e scarsa grassella (Ceccherelli & Regoli, 2016a).

Altro aspetto fondamentale del monitoraggio consiste nella valutazione della respirazione, della pressione parziale di anidride carbonica nel sangue e della saturazione di ossigeno dell'emoglobina. La pulsossimetria, che pure nei mammiferi ci da informazioni importantissime sulla saturazione dell'emoglobina ed è di facile

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20 utilizzo, negli uccelli non è praticabile per le differenti proprietà spettrofotometriche dell'emoglobina aviare (Schmith et al., 1998), salvo in futuro vengano costruite sonde tarate appositamente per questa.

I livelli di anidride carbonica nel sangue possono essere valutati direttamente tramite emogas, ma ai fini dell'anestesia quest'esame relativamente veloce risulta comunque troppo lento per poter intervenire in tempi utili sulle alterazioni che si possono presentare durante. Il monitoraggio d'elezione è la capnografia, che tramite un semplice capillare collegato alla macchina del monitoraggio può darci il valore della pressione parziale di anidride carbonica nel circuito di ventilazione a fine espirazione (EtCO2), la quale indirettamente ci

permette di stimare la pressione parziale arteriosa della CO2 (PaCO2)

(Degernes, 2008).

Secondo uno studio condotto su esemplari di pappagallo cinerino africano il primo valore sovrastimerebbe di circa 5 mmHg il secondo. Lo stesso autore di tale studio ritiene che il range all'interno del quale sia da mantenere l'EtCO2 sia tra i 30 e i 45 mmHg. (Edling et al.,

2001; Edling, 2005)

Da notare che, dato che i volumi tidalici degli uccelli sono molto inferiori rispetto a cani e gatti, è importante che il sito di campionamento lungo il circuito sia più vicino possibile all'animale per ridurre lo spazio morto (Ceccherelli & Regoli, 2016b) (fig. 1.4).

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Immagine 1.4 Gabbiano reale Mediterraneo intubato con tubo da 3,5 mm dotato di connettore collegato ad un capillare per il campionamento dei gas (CRUMA).

In caso l'EtCO2 salga o scenda sotto i valori di riferimento è

necessario intervenire: l'aumento è sintomo o di un aumento della produzione o di una non sufficiente eliminazione, mentre la riduzione potrebbe essere anche dovuta ad una non corretta ventilazione di tutti i sacchi aerei; in entrambi i casi c'è necessità di aumentare frequenza respiratoria e/o volume tidalico.

Per poter controllare questi parametri, anche prima che si verifichino delle alterazioni, possiamo utilizzare un ventilatore a pressione positiva intermittente (IPPV, sia per questa che per la capnografia è necessario aver intubato l'animale). La frequenza respiratoria ottimale si può estrapolare dalla seguente formula (Schmidt, 1984):

fresp = 17,2 x Mb-0.31

mentre la pressione va regolata in base all'espansione osservata toraco-addominale osservata partendo da valori bassi (anche 4

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22 cmH2O) e senza mai superare i 12 cmH2O.

Monitorare anche i valori di temperatura e glicemia è fondamentale perché durante l'anestesia i meccanismi fisiologici atti a regolarli non sono pienamente in funzione: il miorilassamento ostacola la termogenesi, la somministrazione di fluidi non caldi e gas freschi, l'esposizione all'aria degli organi interni e la vasodilatazione aumentano la dispersione, i tremori che ristabiliscono la temperatura ottimale al risveglio rischiano di aumentare la richiesta di ossigeno glucosio con rischio di ipoglicemia e ipossia (Ritchie et al., 1994; Altman, 1997) inoltre mantenere la temperatura è molto più facile che rialzarla dopo che si è abbassata, i processi biochimici termogenetici sono meno attivi a basse temperature.

La migliore stima della temperatura corporea l'abbiamo tramite l'uso di una sonda endoesofagea che arrivi all'altezza del cuore collegata ad un termometro digitale.

La temperatura degli uccelli di norma si aggira intorno ai 40-42 °C e scende più facilmente rispetto ai mammiferi, durante l'anestesia possiamo tollerare che scenda fino a 37-38 °C ma non deve mai arrivare ai 35 °C dato che sotto questo valore cominciano a instaurarsi bradicardie, aritmie, intensa vasocostrizione, ipotensione e nei casi estremi fibrillazione ventricolare, con conseguenze letali (Altman et al., 1997; Ritchie et al., 1994).

L'utilizzo di tappetini riscaldati o lampade è quindi raccomandato in anestesia.

La glicemia può essere misurata tramite stick e deve mantenersi sopra i 200 mg/dl, sotto questi valori è necessaria la reintegrazione per via endovenosa o sottocutanea, l'ipoglicemia può altrimenti portare a bradicardia e ipotensione non responsive ai farmaci e a midriasi fissa (Ceccherelli & Regoli, 2016)

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23 1.4 I gas anestetici

Il sempre crescente utilizzo di anestetici iniettabili negli uccelli e la presenza di alternative quali la TIVA (ad esempio di propofol di cui parleremo in seguito) no va però, nella pratica comune, a sostituire del tutto quella che è storicamente la tecnica elettiva di anestesia degli uccelli: l'anestesia inalatoria.

Gli anestetici inalatori infatti presentano una quantità di vantaggi che ne rendono difficile la sostituzione: la semplicità di somministrazione e la facilità con cui permette di indurre la narcosi, la possibilità di raggiungere un piano anestesiologico anche molto profondo ma soprattutto finemente regolabile in base alla percentuale di anestetico che forniamo al paziente tramite il vaporizzatore e il circuito anestetico, il buon grado di miorilassamento, la relativa scarsità di effetti collaterali e la loro stretta correlazione con la dose somministrata, la rapidità di sia di insorgenza che di scomparsa degli effetti e l'eliminazione che avviene quasi esclusivamente a livello polmonare con pochissimo metabolismo epatico.

Gli effetti collaterali sono costituiti dalla depressione dose-dipendente del sistema respiratorio, cardiovascolare, oltre che del sistema nervoso che però è anche il nostro principale target. L'azione sul sistema cardiocircolatorio è potenzialmente quella più pericolosa in quanto determina vasodilatazione periferica, con ipotensione e maggior dispersione di calore, e aritmie per via dell'aumento di sensibilità alle catecolamine del miocardio.

Nei mammiferi parliamo di MAC, la minima concentrazione alveolare necessaria a prevenire movimenti in risposta ad uno stimolo algico, negli uccelli questa terminologia non è corretta, in mancanza di alveoli, viene comunque utilizzata impropriamente con un'accezione lievemente diversa: semplicemente invece di parlare di concentrazione alveolare intendiamo la MAC come concentrazione anestetica a fine espirazione (Ludders et al., 1989). Esiste anche la

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24 possibilità di valutare i vari agenti anestetici sul così detto indice anestetico che li mette confronto in base alla loro capacità di indurre depressione degli apparati respiratorio e cardiocircolatorio (Edling, 2006)

L'isoflurano è senza dubbio l'agente anestetico gassoso più utilizzato in medicina veterinaria ed è considerato sicuro per l'utilizzo nelle specie aviari.

La MAC varia tra le specie, ma generalmente oscilla tra 1.5% e 2.5%, ma diversi studi riportano anche MAC superiori per determinate specie, quali piccioni (Columba livia) poiana codarossa (Buteo

jamicensis) e parroccheti occhibianchi (Psittacara

leucophtalmus)(Pavez et al., 2011; Botman et al., 2016; Escobar et

al., 2017; Carpenter, 2017).

Come già detto per gli anestetici inalatori in generale, l'isoflurano ha scarsissimo metabolismo epatico, appena lo 0.3%, quindi non va a danneggiare o sovraccaricare il fegato, non solo del paziente ma anche del veterinario che rischia l'esposizione ripetuta nel tempo dovuta alle perdite del circuito (Coles, 1997).

La depressione cardiovascolare è molto meno intensa ripetto ad alogenati più vecchi come l'alotano (Jaensh et al., 1999; Ludders, 1992, Miller, 2005), ma è comunque un effetto indesiderato che ci dissuade dal somministrarlo a concentrazioni troppo elevate dato che determina ipotensione, probabilmente dovuta prevalentemente a una vasodilatazione periferica (Ludders et al., 1989a; Goelz et al., 1990; Greenlees et al., 1990; Ludders, 1990).

Altra controindicazione dell'uso di isoflurano ad alte concentrazioni e senza l'ausilio anestici iniettabili è l'effetto aritmogeno: è stato osservato in esemplari di aquila calva (Heliaeetu leucocephalus) addormentate con isoflurano che nel 75% di questi si verificavano aritmie, specialmente durante le fasi di induzione e risveglio (Joyner et al., 2008), probabilmente perché in queste fasi abbiamo una

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25 liberazione di catecolamine a cui il miocardio è sensibilizzato dall'isoflurano.

Il sevoflurano è un alogenato meno potente dell'isoflurano ma offre un vantaggio non indifferente nel fatto che la velocità di risveglio e di regolazione del piano anestesiologico sono superiori, questo è legato all'inferiore coefficiente di ripartizione aria/sangue minore, che velocizza lo scambio del gas tra l'aria nei parabronchi e il sangue del paziente (Edling e al., 2006). Questo lo rende più sicuro per pazienti critici e per lunghe chirurgie, data la superiore velocità di risveglio. Altro vantaggio rispetto all'isoflurano è che è molto meno irritante delle vie aeree, e quindi l'induzione in maschera risulta meno stressante e più rapida.

Il motivo principale per cui viene utilizzato meno rispetto all'isoflurano è che più costoso.

1.5 Anestesia Bilanciata e infusione continua

Gli anestetici volatili sono quindi molto utili, ma da soli non sono in grado di garantire quello che cerchiamo in un'anestesia; essi non producono analgesia, la narcosi da essi indotta potrebbe anche essere sufficiente per le chirurgie più invasive, ma comunque non possonono soddisfare le tre richieste dell'anestesia: narcosi, analgesia e miorilassamento. Oltre a questo, l'induzione in maschera può essere molto stressante.

L'utilizzo di farmaci iniettabili, in premedicazione, in boli endovena o infusione continua durante la chirurgia, e l'utilizzo di tecniche di anestesia loco-regionale possono andare a riempire queste lacune: utilizzare farmaci differenti permette di ottenere lo stesso risultato con dosi inferiori, riducendo in tal modo in maniera importante gli effetti collaterali (Gray & Halton, 1946; Tonner, 2005); somministrando quindi farmaci sedativi o tranquillanti possiamo

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26 mantenere il nostro paziente addormentato con concentrazioni inferiori di alogenato, con i miorilassanti prevengo eccessivo tono e riflessi muscolari, facilitando le manualità chirurgiche, e con l'utilizzo di analgesici non solo prevengo gli effetti vegetativi del dolore e la superficializzazione del paziente, ma anche ili rimodellamento delle vie del dolore.

L'associazione di differenti farmaci anestetici con effetti diversi per garantire la momentanea soppressione della coscienza, la percezione del dolore e il rilassamento muscolare andando a interferire il meno possibile con, l'equilibrio neurovegetativo del paziente viene definita anestesia bilanciata (Bufalari & Lachin, 2012).

La premedicazione, solitamente per via intramuscolare, assume un ruolo importante nella preparazione del paziente, facilità la narcosi ed è un buon momento per la somministrazione di analgesici che in tal modo possono distribuirsi nell'organismo ed andare ad agire prima che inizi lo stimolo algico.

L'infusione continua per via endovenosa (CRI, Continuos Rate Infusion) di alcuni farmaci può persino andare a sostituire gli anestetici inalatori (Total IntraVenous Anesthesia, TIVA) ma più spesso viene utilizzata in associazione ad essi (Partial IntraVenuos Anesthesia), permettendo di ridurre sia la dose di alogenato sia quella del farmaco iniettabile (Lerche, 2013). L'utilizzo di un'infusione continua endovenosa, piuttosto che della somministrazione in boli offre una serie di vantaggi.

Quando si somministra un farmaco in bolo la sua concentrazione nell'organismo si alza in maniera improvvisa per poi ridursi gradualmente. Questo significa che anche gli effetti di tale farmaco insorgeranno improvvisamente e non saranno costanti durante l'anestesia anche se il farmaco viene somministrato a intervalli regolari. La TIVA invece permette di somministrare un iniziale bolo di carico per portare la concentrazione ematica del farmaco a livello

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27 desiderato e poi continuare la somministrazione tramite pompa a infusione continua. Ne risulta che i livelli di farmaco, e i relativi effetti, vengono mantenuti in maniera costante, senza picchi, e possono essere regolati aumentando o riducendo la velocità di infusione secondo l'esigenza.

L'infusione continua di lidocaina, oppioidi, alfa-2 agonisti o ketamina permette il mantenimento di un piano anestesiologico profondo con concentrazioni di anestetici inalatori anche molto inferiori (Lerche, 2013).

Risulta molto efficace per quei farmaci che hanno emivita breve e scarso accumulo, per quelli che invece hanno accumulo (di solito quelli maggiormente lipofili) bisogna fare maggior attenzione e ridurre la velocità di infusione col passare del tempo, onde evitare che i loro effetti permangano a lungo dopo l'interruzione della C.R.I.

1.6 Alfa-2Agonisti

Gli alfa-2agonisti sono farmaci sedativi che non vengono comunemente utilizzati come unico agente anestetico in quanto non sono in grado da soli di indurre ipnosi, tuttavia si possono utilizzare in associazioni: la combinazione di xilazina e ketamina è spesso utilizzata negli uccelli. La xilazina col tempo è stata sostituita dalla medetomidina e dall'ancora più potente dexmedetomidina: uno studio eseguito su degli esemplari di Anas platyrhychos (germano reale) ha dimostrato che l'associazione di medetodomidina, ketamina e midazolam ho prodotto analgesia e anestesia per una durata di 30 minuti (Machin & Caulkett, 1998).

La dexmedetomidina può essere utilizzata per la sedazione dei rapaci a dosi di 25-75 µg/kg (Carpenter, 2017).

Un vantaggio dell'utilizzo degli alfa-2agonisti è che esistono delle sostanze, come yohimbina e atipamezolo, che possono

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28 antagonizzarne gli effetti, rendendo la sedazione indotta da questi facilmente e rapidamente reversibile, sono inoltre dotati di proprietà analgesiche, sebbene scarse.

1.7 Propofol

Il porpofol è un farmaco ipnotico che deve essere somministrato per via endovenosa, anche se non ha l'istolesività del tiopentale, rendendo il rischio di stravaso meno grave, viene rapidamente metabolizzato dal fegato mediante coniugazione con glucuronide o solfato per poi venir eliminato dal rene, non è comunque particolarmente dannoso per nessuno dei due organi, gli effetti collaterali principali sono vasodilatazione e depressione respiratoria (Bufalari & Lachin, 2012). Tuttavia, negli uccelli ha un margine di sicurezza ridotto (Coles, 1997). Il sovradosaggio determina depressione respiratoria fino all'arresto respiratorio e ipotensione per vasodilatazione.

Viene utilizzato spesso nei grossi uccelli, con o senza premedicazione, dato che in questi il sovradosaggio è più difficile e il contenimento per l'induzione in maschera più complessa. Il dosaggio per l'induzione va da 1 a 10 mg/kg endovena lentamente, l'onset è rapido e lo scarso accumulo dovuto al rapido metabolismo permette anche di somministrare dosi aggiuntive per prolungare l'anestesia senza grossi rischi (Edling, 2005; Carpenter, 2017).

La necessità di somministrazione endovenosa, in pazienti molto piccoli, in cui spesso l'inserimento di un catetere venoso non è semplice, ma anche il costo elevato, e la sua deperibilità rendono l'anestesia gassosa comunque preferibile nella pratica comune.

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29 1.8 Ketamina

La ketamina è un anestetico dissociativo, ed è in grado di determinare uno stato catalettico allucinatorio fino all'ipnosi. La ketamina da depressione respiratoria, rigidità muscolare, iper-tono e movimenti muscolari spesso slegati da stimoli dolorifici e iperestesici, il riflesso laringeo e palpebrale sono conservati, l'occhio resta centrale e possiamo anche osservare nistagmo e ammiccamento. Utilizzarlo da solo è fortemente sconsigliato in quanto gli effetti sopradetti e la disforia possono emergere se la dose non è sufficiente ad addormentare l'animale velocemente, non da miorilassamento e il risveglio non è dolce ma agitato (Altman, 1980); inoltre il metabolismo è epatico con escrezione urinaria.

Tuttavia, anche la ketamina offre notevoli vantaggi: è infatti un efficace analgesico e se associato a farmaci con effetti complementari, quali le benzodiazepine permette un'anestesia di buona qualità.

Le dosi sono molto variabili tra le specie (2,5-170 mg/kg IM) e all'aumentare della dose aumenta la durata d'azione piuttosto che gli effetti (accumulo), queste dosi sono tendenzialmente più alte per le specie più piccole (Edling, 2005). Nei rapaci si può utilizzare a 5-30 mg/kg, anche IV, in pappagalli, piccioni e anatre la dose è più alta, 10-50 mg/kg (Carpenter, 2017).

La durata d'azione varia tra i 10 e i 30 minuti se somministrata da sola, con un onset di 3-5 minuti.

L'associazione con acepromazina è sconsigliata in quanto entrambi inducono in maniera sinergica bradicardia (Coles, 1997).

L'associazione di ketamina con alfa-2 agonisti è invece possibile, infatti la xilazina da sedazione e miorilassamento, contribuisce lievemente all'analgesia e produce un'anestesia di buona qualità con

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30 leggere depressione del respiro (Edling, 2006). Questa associazione al dosaggio di 20 mg/kg di ketamina e 4 mg/kg di xilazina garantisce la sedazione dell'animale in 5-7 minuti e l'induzione dell'anestesia in 10-20 minuti, che dura poi da 1 a 2 ore (Coles, 1997). Come la xilazina anche la medetomidina è un farmaco valido per essere associato alla ketamina, con buona sedazione, analgesia e miorilassamento. Gli effetti collaterali principali sono la bradicardia e la vasocostrizione periferica, ed è stato osservato in piccioni sottoposti a chirurgia e anestetizzati con ketamina, medetomidina, e butorfanolo che in 3 soggetti su 8 si verificavano aritmie (Atalan et al, 2002).

L'associazione con le benzodiazepine è forse quella migliore, data la complementarietà degli effetti, garantendo nella somministrazione contemporanea intramuscolo una sedazione profonda e un buon grado di miorilassamento. Il diazepam è somministrato a dosaggi di 0.5-2 mg/kg con 5-30 mg/kg di ketamina (Bishop, 2001), mentre il midazolam è stato associato a 0.2 mg/kg con 10-40 mg/kg di ketamina (Donnelly, 2016).

1.9 Benzodazepine

Le benzodiazepine, famiglia di cui fanno parte midazolam, diazepam e zolazepam, per citare le più importanti in campo veterinario, sono farmaci tranquillanti di notevole utilità nell'anestesia dei pazienti aviari.

Il loro meccanismo d'azione si esplica legandosi a livello del SNC al neurotrasmettitore GABA (acido γ-aminobutirrico), aumentandone l'affinità col suo recettore post-sinaptico. Il GABA innalza il livello soglia dei neuroni aumentando la permeabilità allo ione cloro, in tal modo ha un effetto inibitore sulla trasmissione dell'impulso elettrico. Il metabolismo è epatico, tramite idrossilazione o

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31 glucuronoconiugazione e conseguente eliminazione renale.

Le benzodiazepine hanno effetti ansiolitici, ipnotici, miorilassanti, anticonvulsivanti e hanno anche la peculiare proprietà di determinare amnesia anche per eventi di poco anteriori alla loro somministrazione. Possono essere somministrati da soli o in combinazione con altri anestetici.

Il diazepam solitamente viene somministrato in muscolo a 0.2-0.5 mg/kg o endovena a dosi inferiori di 0.05-0.15 mg/kg (Donnelly, 2016), sia da solo che con ketamina o oppioidi.

Lo zolazepam è commercializzato esclusivamente in associazione alla tiletamina (un altro anestetico dissociativo come la ketamina) in rapporto 1:1 sotto il nome commerciale di Zoletil o Telazol. Data l'associazione, raramente è preferito al diazepam nell'anestesia degli uccelli, ma è frequentemente utilizzato per i mammiferi selvatici e sono stati condotti degli studi sul suo utilizzo in ratiti e rapaci (Lin et al., 1997; Kreeger et al., 1993), quindi è utilizzabile qual'ora non fosse presente altro a disposizione, tuttavia quest'associazione tende a dare un risveglio violento negli uccelli (Donnelly, 2016).

Le benzodiazepine in genere possono determinare disforia nei mammiferi domestici ma quest'effetto collaterale non pare manifestarsi nei pazienti aviari. Gli effetti delle benzodiazepine sull'apparato cardiocircolatorio sono minimi e non danno depressione respiratoria né in uccelli né in mammiferi, inoltre possono essere antagonizzate dalla somministrazione di flumazenil, permettendo un recupero più rapido, se necessario.

Midazolam

Il midazolam è una benzodiazepina comunemente usata nell'anestesia degli animali domestici, presenta quasi sempre una maggior potenza di azione rispetto al diazepam e come questo se utilizzata da sola può causare agitazione nei mammiferi, ma si rivela

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32 piuttosto efficace nel determinare una rapida insorgenza del rilassamento muscolare.

L'emivita di questo farmaco è relativamente breve: nei cani cui è stato somministrato midazolam (0.5 mg/kg) e ketamina (10 mg/kg) è risultata essere di 28 minuti (Brown, 1993).

Nel cane trattato con 0.5 mg/kg di midazolam, sia endovena che intramuscolo gli effetti emergono rapidamente e sono miorilassamento lieve sedazione ma anche atassia e agitazione transitoria (Court, 1997). Nei gatti la somministrazione va eseguita con ancora maggior attenzione in quanto presentano molto più spesso e con maggior intensità agitazione e comportamenti anomali, fino ad essere difficilmente avvicinabili (Illikwik, 1996; Illikwik, 1999), questo si è verificato anche associando la ketamina, altro farmaco potenzialmente disforizzante (Illiwik, 1998). Malgrado questo, rimane un farmaco piuttosto utile in premedicazione (0.1, 0.3 mg/kg endovena) per dare miorilasamento e ridurre la dose di propofol, barbiturici o di isoflurano per l'induzione/mantenimento (Tranquilli, 1991; Stegmann, 2001)

Nel coniglio e nel furetto dosi di 0-5-1 mg/kg intramuscolo forniscono un ottimo miorilassamento (Longely, 2008); nei conigli è riportata anche la somministrazione intranasale a 2 mg/kg (Robertson, 1994). Negli uccelli il midazolam è molto utilizzato già da diversi anni.

Per via endovenosa o intramuscolare è comunemente usata a dosaggi che vanno da 0.8 a 3 mg/kg, per la via intranasale le dosi possono essere più alte (Donnelly, 2016; Carpenter, 2017). Nei rapaci e nei pappagalli somministrato a dosi di 0.5-1 mg/kg endovena da una moderata sedazione e un buon miorilassamento, l'utilizzo intramuscolo risulta pure efficace nella sedazione di oche e quaglie a 2-4 mg/kg ed è stato dimostrato che l'antagonista flumazenil da un recupero veloce e completo come nei mammiferi (Day & Roge, 1996, Valverde et al., 1990).

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33 Come nei conigli anche la somministrazione intranasale è stata dimostrata efficace in piccioni (Columba livia) e pappagallini ondulati

(Melopsittacus ondulatus) a dosaggi di 4 mg/kg (Hornak et al., 2015;

Sadegh, 2013) e in amazzoni di Hispaniola (Amazona ventralis) a 2 mg/kg.

Il midazolam risulta quindi essere un eccellente farmaco per la preanestesia e si presta bene all'associazione con altri farmaci, principalmente oppioidi e ketamina che forniscono la componente analgesica, utile sia per facilitare brevi procedure diagnostiche sia per l'induzione tramite propofol, barbiturici, ketamina o alogenati, riducendo in maniera importante le quantità di questi, anche nel mantenimento. Tutti questi farmaci hanno effetti più o meno pesanti sul cardiocircolatorio, quindi ridurne le quantità in favore del midazolam, che non ne ha quasi per nulla, risulta estremamente vantaggioso. Anche gli effetti sull'apparato respiratorio sono scarsissimi, mentre propofol e ketamina deprimono il centro del respiro in maniera importante.

Nei cani, sempre stando attenti al problema dell'agitazione transitoria, è comunemente utilizzato in associazione a butorfanolo, idromorfone e ossimorfone (Lachin & Cerasoli, 2012) per ottenere sedazione e analgesia prima dell'induzione dell'ipnosi; nei piccoli mammiferi quali furetti e conigli viene associato a butorfanolo o idromorfone a 0.5-1 mg/kg prima dell'induzione con ketamina (Lumb & Jones, 2007; Lemke, 2007); nei suini le dosi vanno dai 1 a 2 mg/kg con o senza oppiodi se non seguite da induzione tramite ketamina. Negli uccelli il midazolam è stato associato in premedicazione alla dexmetomidina (Hornak et al., 2016), ketamina e xilazina (Ajadi et al., 2009; Vesal & Eskandari, 2006), sufentanyl (Hedenqvist et al., 2013), ma è ancora prevalentemente utilizzato come unico sedativo prima dell'induzione con isoflurano.

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CAPITOLO 2

ANALGESIA NEGLI UCCELLI

2.1 Il dolore negli uccelli e come contrastarlo

Il termine analgesia è in parte utilizzato in maniera impropria nella pratica comune, in quanto il dolore è per definizione “un'esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno” (IASP).

Come possiamo parlare quindi di dolore, o di sua assenza, in un paziente incosciente? Il fatto che lo stimolo nocicettivo (come è più corretto definirlo) non venga percepito in maniera cosciente non significa che non abbia delle conseguenze sull’omeostasi del paziente nell’immediato o in seguito. Il dolore (anche se impropriamente detto) in anestesia determina una serie di modificazioni nei parametri dell’animale, principalmente stimola il sistema nervoso simpatico aumentando frequenza cardiaca, pressione arteriosa e frequenza respiratoria, induce la superficializzazione del piano anestesiologico e possibilmente anche il risveglio o la manifestazione di riflessi difensivi. L’interferenza con l’anestesia non è l’unico problema, infatti gli input nocicettivi esercitano sulle vie del dolore stesse e sull’SNC un’azione di sensibilizzazione, con aumento dei recettori e formazioni di nuove sinapsi (fenomeno della neuroplasticità), aumentando l’intensità degli impulsi nocicettivi passanti per quella via e dando quindi in seguito iperalgesia e dolore cronico. Considerando che queste modifiche sono molto durevoli risulta estremamente importante non solo trattare il dolore intra-operatorio, ma possibilmente prevenirlo.

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I livelli ai quali possiamo intervenire sono vari, possiamo agire a livello tissutale con antinfiammatori, bloccare la conduzione del segnale nervoso con l’anestesia locale oppure agire a livello delle vie ascendenti del dolore nel midollo spinale. Un esempio di quest’ultimo caso è la ketamina che agisce antagonizzando i recettori NMDA del glutammato, uno dei principali neurotrasmettitori delle vie del dolore, che hanno un ruolo importantissimo nel fenomeno della neuro plasticità. Esistono inoltre delle vie discendenti del dolore, queste svolgono principalmente una funzione di modulazione, tramite una varietà di neurotrasmettitori, quali noradrenalina, serotonina, acetilcolina, adenosina ed endorfine, vanno a inibire la trasmissione nocicettiva; a questo livello, e a livello centrale, troviamo i recettori degli oppioidi, che forniscono un ottimo target per quella che è la principale classe di farmaci analgesici (Dugdale, 2010).

Tra i farmaci di cui abbiamo parlato fino ad ora, pochi hanno proprietà analgesiche. Gli alfa-2 agonisti sono dotati di blande proprietà analgesiche in quanto delle vie discendenti del dolore fanno parte anche delle fibre noradrenergiche, ma da soli non sono in grado di garantire un’analgesia sufficiente per la maggior parte delle chirurgie. La ketamina, come già detto, è invece un eccezionale analgesico, molto efficace per il dolore somatico e per prevenire la neuroplasticità. La classe più importanti di farmaci analgesici è quella degli oppioidi che svolgono la loro azione sui sopracitati recettori: di questi recettori esistono 3 tipi, i µ sono quelli che nei mammiferi sono maggiormente coinvolti nella modulazione del dolore, soprattutto a livello sovraspinale, i κ hanno invece una diversa distribuzione e paiono mediare l’analgesia a livello spinale, ma anche la sedazione e alcuni effetti collaterali degli oppioidi come la miosi e la disforia, in fine i δ sembrano interagire quasi esclusivamente con gli oppioidi endogeni e quindi sono di interesse minore. Gli effetti collaterali degli oppioidi variano molto in base al particolare farmaco e alla specie, ma

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generalmente determinano una depressione del centro del respiro, spesso inducono il vomito, possono dare disforia per l’effetto κ-agonista e deprimono anche il cardiocircolatorio dando ipotensione (salvo alcuni casi in cui la liberazione maschera tale effetto); hanno anche azione inibente la peristalsi ma questo spesso è controbilanciato dal fatto che il dolore in sé la inibisce molto di più. Un grande vantaggio nell’utilizzo di oppioidi, sebbene presentino questi effetti collaterali, è che esistono farmaci che fungono da antidoto: il naloxone è un antagonista sia µ che κ, ed è in grado si spiazzare gli altri oppioidi facendone cessare gli effetti, questo naturalmente include sia quelli negativi che l’effetto analgesico (Bufalari&Lachin, 2012; Dugdale, 2010).

La percezione del dolore e le vie che lo conducono funzionano negli uccelli in maniera simile ai mammiferi, hanno infatti effetti benefici e collaterali analoghi, tuttavia sono state riscontrate delle differenze nella distribuzione dei recettori; in particolare in molte specie di uccelli hanno più recettori κ rispetto ai µ a livello encefalico, ad esempio i piccioni (Columba livia) hanno prevalentemente recettori κ nel prosencefalo, intorno al 76% dei recettori per gli oppioidi totali (Mansour et al., 1988). Possiamo osservare gli effetti di questa differenza nel fatto che il butorfanolo, κ-agonista e µ-anatgonista, nei mammiferi ha solo effetti sedativi, mentre negli uccelli è comunemente utilizzato come analgesico (Donnely, 2016). Il fatto che gli oppioidi κ-agonisti abbiano altr’e tanta efficacia analgesica dei µ-agonisti (e in alcune specie persino superiore) potrebbe essere legato sia alla diversa distribuzione sia all’ipotesi che entrambi i tipi recettoriali abbiano in realtà funzioni simili.

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La morfina è il prototipo di tutti gli oppioidi, il primo alcaloide ad essere isolato dall’oppio. Ormai considerato obsoleto nei mammiferi, in quanto diversi oppioidi di nuova generazione sono molto più potenti e con minori effetti collaterali, è tutt’ora un farmaco controverso negli uccelli. In questi infatti ha efficacia variabile e tal volta può dare iperalgia. Uno studio del 1961 riporta analgesia nei pulcini (Gallusgallus) a 200 mg/kg (Schneider), mentre uno più recente riporta come a 30 mg/kg abbia avuto effetti sia analgesici e iperalgici, rispettivamente in due razze diverse della stessa specie (Gallusgallus)(Hughes, 1990), e non sono gli unici studi ad aver riscontrato effetti variabili intraspecifici (Fan et al., 1981).

2.3 Ossimorfone e Idromorfone

Sono entrambi oppioidi di sintesi simili tra loro, ad azione puramente µ-agonista, più potenti della morfina e con meno effetti collaterali, in particolare non inducono il rilascio di istamina e sono quindi più sicuri, specialmente se somministrati in bolo endovena (Smith, 2001). Dosi che vanno da 0.1 a 0.6 mg/kg somministrate intramuscolo hanno mostrato effetto analgesico in uno studio sul gheppio americano (Falcus sparvierus) riducendone il riflesso di retrazione della zampa sottoposta a stimolo termico doloroso (Guzman, 2013)

2.4 Butorfanolo e Nalbufina

Il butorfanolo è un oppioide agonista κ e antagonista µ, in quanto tale nei mammiferi è poco efficace come analgesico, anzi può interferire con l’analgesia indotta da altri oppioidi somministrati, competendo per i recettori; tuttavia è un ottimo sedativo e non da inibizione del respiro. Negli uccelli è invece comunemente utilizzato come analgesico a dosi di 1-4 mg/kg intramuscolo o per bocca, dosi più

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elevate potrebbero però determinare iperalgesia (Donnely, 2016). Gli effetti collaterali a queste dosi parrebbero scarsi o nulli, infatti in uno studio sull’amazzone di Hispaniola (Amazona ventralis), la somministrazione in premedicazione di 2 mg/kg non ha determinato modifiche respiratorie o cardiocircolatorie significative. In esemplari di pappagallo cinerino africano (Psittacus erithacus) anche dosi di 1 mg/kg hanno dimostrato effetti analgesici importanti (Paul-Murphy et al., 1999).

Nello sparviero americano (Falco sparvierus) parrebbero essere necessarie dosi più alte, anche superiori ai 5 mg/kg intramuscolo (Guzman et al., 2014).

La nalbufina è anch’essa agonista κ e antagonista µ; negli uccelli è dotata di una farmacocinetica molto rapida e presenta scarsissimi effetti collaterali, a 12,5 mg/kg intramuscolo o endovena si verifica solo analgesia e una leggera sedazione (Keller et al., 2011). Dosi più alte non aumentano l’efficacia analgesica (fino a 50 mg/kg)(Guzman, 2011)

2.5 Buprenorfina

La buprenorfina è un antagonista κ e un agonista parziale µ, dotata comunque di maggior potenza analgesica della morfina di un onset e una successiva durata d’azione molto lunghi (Dugdale, 2010). Non è diffusamente utilizzata negli uccelli ma si è dimostrata efficace nel prevenire la retrazione della zampa per stimolo dolorifico a 0.1, 0.3 e 0.6 mg/kg intramuscolo nel gheppio americano (Falcuss parvierus) mostrando come effetto collaterale solo un leggera sedazione al dosaggio maggiore (Ceulemans et al, 2014). Per contro nel pappagallo cinerino africano (Psittacus erithacus) il dosaggio di 0.1 mg/kg non ha mostrato alcun effetto analgesico (Paul-Murphy et al., 1999). La buprenorfina, come anche butorfanolo e nabulfina, non

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sembra aumentare di efficacia all’aumentare della dose oltre un certo limite, nello studio di Ceulsman tutti e tre i dosaggi si rivelavano altr’e tanto efficaci.

2.6 Fentanyl

Il Fentanyl è un oppioide sintetico agonista µ puro, dotato di potenza analgesica fino a 100 volte superiore alla morfina, onset rapido (1-2 minuti) ed emivita brevissima (10 minuti), il che lo rende molto utile per la somministrazione in boli o in infusione continua endovena. Ha anche un forte effetto sedativo, come altri oppioidi da depressione del cardiocircolatorio e soprattutto del respiro, quindi è bene utilizzarlo se possiamo ventilare artificialmente il paziente (Dugdale, 2010).

L’uso fentanyl endovena a 20 µg/kg (dosaggio simile a quelli comunemente usati nei mammiferi) ha permesso in uno studio su esemplari di poiana codarossa (Buteo jamaicensis) in anestesia di ridurre la concentrazione di isoflurano fino al 55%, con scarsi effetti sull’apparato cardiovascolare (Pavez, 2011). Tuttavia esistono ancora pochi studi sulla sua efficacia come analgesico negli uccelli, in uno studio sul cacatua bianco (Cacatua alba) dosi di 10 e 20 µg/kg non hanno dato un effetto significativo, per ottenerlo è stata necessaria una dose di 200 µg/kg (che tal volta a determinato agitazione nel paziente); va però detto che in tale studio la via di somministrazione era intramuscolare o sottocutanea. (Hoppes, 2003).

Può anche utilizzato in CRI previa somministrazione di bolo da 20 µg/k (Carpenter, 2017).

2.7 Sufentanyl

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volte superiore (Hall, 2001), anche questo ha onset e durata d’azione estremamente brevi (rispettivamente 2.5 minuti e 10-20 minuti) ed è comunemente utilizzato in medicina umana in boli ripetuti o infusione continua endovenosa.

L’onset rapido è legato alla sua elevata lipofilicità che gli permette di passare velocemente la barriera ematoencefalica e distribuirsi nel liquido cefalo-rachidiano. Il metabolismo è epatico tramite processi di N-dealchilazione, de metilazione e idrossilazione aromatica, cui segue eliminazione al 60% urinaria e al 40% fecale; tuttavia la brevità di azione non è legata solo al metabolismo, ma anche al sequestro a livello polmonare che nei primi dieci minuti dalla somministrazione endovenosa interessa il 50% del farmaco. Il maggior effetto analgesico, superiore di 625 volte rispetto alla morfina, è invece legato all’alta affinità e selettività nei confronti dei recettori µ.

Il sufentanyl si lega molto facilmente alle proteine, in particolare l’α1 -glicoproteina, e in maniera crescente col pH; bisogna quindi tenere in conto che negli stati di alcalosi la percentuale di farmaco libero e attivo è inferiore.

Nel cane può essere somministrato in boli di 0.05-0.2 µg/kg endovena ogni 5-10 minuti, oppure in CRI a 0.5-4 µg/kg/h, con un bolo di carico iniziale di 0.5 µg/kg; a questi dosaggi offre copertura analgesica anche per chirurgie molto dolorose.

In caso di necessità è possibile anche utilizzarlo intramuscolo in premedicazione, fino anche a 1 µg/kg per avere gli effetti del bolo iniziale endovenoso. (Bufalari & Lachin, 2012)

Il margine di sicurezza del farmaco è molto elevato, superiore di 6 volte rispetto al fentanyl (Marshboom, 1985) e se necessario è possibile aumentare le dosi sopracitate e quindi l’effetto analgesico. L’impatto sull’apparato cardiovascolare è molto scarso e l’effetto sedativo permette di ridurre in maniera importante le dosi di altri farmaci o gas anestetici nell’induzione dell’ipnosi. In pazienti trattati

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con sufentanyl, la gittata cardiaca, le resistenze vascolari e la pressione arteriose rimangono nel range, sebbene si verifichi spesso bradicardia più o meno marcata.

È stato visto che questo vale anche per soggetti affetti da stenosi coronarica, quindi già compromessi a livello cardio-circolatorio.

Il sufentanyl non solo non induce rilascio di istamina, ma la sua azione inibente sul sistema simpatico, comune a tutti gli oppioidi con intensità variabile (Bovili; 1984), è di molto superiore rispetto a fentanyl (Benson, 1984): l’inibizione della nocicezione e in generale dell’attività simpatica è molto importante perché i riflessi vegetativi, che altrimenti si verificherebbero in seguito non solo agli stimoli dolorosi ma anche alle manipolazioni non dolorose e ai cambiamenti di posizione, vanno ad alterare frequenza cardiaca e tono vascolare; il sufentanyl garantisce quindi una certa stabilità cardiovascolare.

L’effetto disforizzante non è molto frequente nel cane ma si ritrova più spesso nel gatto, quindi soprattutto in questa specie non conviene utilizzarlo come unico farmaco in premedicazione.

La depressione del respiro, come per il fentanyl, è dose-dipendente e può determinare riduzione del volume tidalico e della frequenza respiratoria o persino apnea, è importante quindi essere pronti a ventilare artificialmente il paziente se necessario e monitorare attentamente la capnografia.

Altri effetti collaterali che possiamo riscontrare nel cane sono miosi, alterazioni della peristalsi, scialorrea e polipnea (quest’ultimo parrebbe essere dovuto all’azione del farmaco sul centro della termoregolazione nell’ipotalamo) (Bufalar & Lachin, 2012).

Il sufentanyl è stato anche associato al midazolam, entrambi in CRI, per la TIVA di cani compromessi dal punto d vista cardiovascolare che dovevano subire chirurgie anche molto invasive e dolorose: a qualità dell’anestesia si è rivelata ottima, con una buona stabilità emodinamica e copertura analgesica (Hellebreckers, 1991). Altro

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vantaggio di quest’associazione è che entrambi i farmaci possono essere efficacemente antagonizzati dai rispettivi antidoti, il naloxone e il flumazenil (Hedenqvist, 2013)

Come la morfina anche il sufentanyl può essere somministrato per via epidurale o intratecale, per offrire analgesia in interventi ortopedici, chirurgie addominali o durante il parto.

Il dosaggio di 5 µg/kg in 0.1 ml/kg in epidurale si è rivelato molto efficace nel garantire analgesia intra-operatoria a cani sottoposti a chirurgie ortopediche. Anche nel post-operatorio i pazienti erano più vivaci e mostravano meno segni di dolore rispetto alla norma, facendo ritenere che fosse garantita anche una buona analgesia post-operatoria e un accorciamento dei tempi di degenza (Bufalari et al., 2007).

Nei mammiferi quindi il sufentanyl, malgrado sia meno utilizzato del fentanyl, è da considerarsi un farmaco d’elezione nei casi in cui sia estremamente importante garantire un’ottima stabilità cardio-vascolare o se gli oppioidi più comuni si rivelano insufficienti nella gestione del dolore intra e post-operatorio (Bufalari & Lachin, 2012). L’uso di questo farmaco negli uccelli è stato poco studiato, il primo studio condotto sull’argomento aveva per soggetti esemplari di germano reale (Anas platyrhynchos).

In questo studio tra i vari analgesici testati c’era anche il sufentanyl, somministrato a 20 µg/kg intramuscolo 5 minuti dopo la premedicazione con medetomidina e midazolam.

I soggetti sottoposti a questo protocollo hanno subito una sedazione maggiore e senza agitazione, rispetto ai soggetti cui non era stato somministrato l’oppioide.

L’unico altro studio è stato effettuato presso il Centro di Recupero per Uccelli Marini e Acquatici (CRUMA) di Livorno sotto forma di Tesi di Laurea.

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sottoposti a due differenti protocolli anestesiologici per chirurgie ortopediche.

Entrambi sono stati pre-anestetizzati con 20 µg/kg di sufentanyl e 1 mg/kg di midazolam (2 mg/kg per pazienti d peso inferiore a 500 g); il primo gruppo è stato sottoposto a PIVA con solo sufentanyl a 15 µg/kg/h mentre al secondo è stato somministrato anche 1 mg/kg/h di midazolam, a entrambi i gruppi è stato somministrato anche isoflurano in mantenimento. Entrambi i protocolli hanno dato risultati accettabili garantendo una buona analgesia e il mantenimento di un piano anestesiologico chirurgico senza compromettere la funzionalità cardiocircolatoria. Il secondo protocollo si è comunque rivelato più efficace garantendo maggiore stabilità cardiocircolatoria e respiratoria e permettendo di abbassare l’isoflurano a concentrazioni inferiori rispetto al primo gruppo (Regoli, 2017).

2.8 Tramadolo

Il tramadolo è un oppioide sintetico analogo alla codeina e piuttosto atipico, infatti esercita la sua azione analgesica tramite due meccanismi. È un debole agonista µ, con scarsissima affinità per i recettori κ e δ, ma ha anche l’effetto di inibire il re-uptake di noradrenalina e serotonina a livello centrale, dei due enantiomeri da cui è composto apre che uno abbia maggior affinità con i recettori µ e maggior azione sul re-uptake della serotonina, mentre l’altro agisce maggiormente su quello della noradrenalina. Come abbiamo già detto anche noradrenalina e serotonina, oltre agli oppioidi, hanno un ruolo nella modulazione del dolore, quindi possiamo affermare che questi due meccanismi d’azione, o tre se consideriamo separatamente gli enantiomeri, sono sinergici.

A livello epatico viene metabolizzato principalmente a O-dismetiltramadolo (M1), questo ha affinità coi recettori degli oppioidi

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molto superiore rispetto al farmaco originale e ne potenzia e prolunga l’azione, questo è stato verificato sperimentalmente anche in vivo, in pazienti umani sani ma carenti dell’enzima citocromo P450, responsabile della conversione del tramadolo, nei quali l’effetto analgesico era inferiore.

L’eliminazione è renale sia per il farmaco originale che per il metabolita.

Negli esseri umani gli effetti collaterali sono scarsi, la sedazione che provoca è minima e raramente possono verificarsi nausea e sonnolenza; non da minimamente depressione del respiro e uno studio ha evidenziato un aumento della pressione arteriosa che però non è stato considerato clinicamente rilevante. (Scott & Perry, 2000). In medicina veterinaria è comunemente utilizzato come analgesico per la terapia del dolore post-operatorio, al dosaggio di 2-4 mg/kg nei cani, sia iniettabile che per os;data la sua bassa tendenza a indurre dipendenza ha il grosso vantaggio di non essere considerato farmaco da abuso, oltre al fatto che non deprime il respiro, e quindi può essere prescritto per il trattamento analgesico a casa.

Il suo uso intra-operatorio è invece poco esplorato, essendo in genere considerato un analgesico troppo blando e con scarso effetto sedativo.

In uno studio condotto sui ratti (Rattus norvegicus) la somministrazione intraperitoneale di morfina (4 mg/kg), tramadolo (12,5 mg kg) e meloxicam in varie combinazioni e la seguente stimolazione algica hanno dimostrato parità di efficacia analgesica tra morfina e tramadolo a questi dosaggi e in questa specie (Mehrzad & Nasser, 2015).

Nel cane è stato dimostrato che l’infusione continua di tramadolo durante l’anestesia riduce sensibilmente la concentrazione di alogenato necessaria al mantenimento.

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