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III I sistemi sanitari inglese e italiano

3.4 I cambiamenti recenti

3.4.1. L’aziendalizzazione del 1992-93

Il primo tentativo di trasformazione della sanità italiana prende forma con i decreti legislativi 502 del 1992, Riordino della disciplina in materia sanitaria, e 517 del 1993, recante le relative modificazioni, ed è reso possibile dalla convergenza di una serie di fattori che rendono pressante la necessità di un cambiamento. Il riferimento è a condizioni di contesto esogene, cioè la fine del regime sovietico che segna il venir meno della principale alternativa al sistema capitalista, e i nuovi impegni internazionali assunti dal nostro paese con il Trattato di Maastricht in termini di riduzione del debito pubblico. Tra i fattori endogeni, invece, vi è sicuramente la grave crisi economica e politica che investe l’Italia nei primi anni novanta, che consente al governo Amato un ampio margine di manovra488 altrimenti difficile da ottenere, rafforzato anche da un sentire

univoco sull’indirizzo da dare alla riforma, cioè la depoliticizzazione della sanità. La riorganizzazione del 1992-93 coinvolge tutti i diversi livelli del SSN. In particolare, lo stato centrale conserva i compiti di programmazione, attraverso il Piano sanitario nazionale – che spetta al governo emanare e non più al Parlamento, in modo da facilitarne l’approvazione - che definisce i progetti- obiettivo, le quote di finanziamento; le priorità e i livelli essenziali di assistenza sul territorio, compatibilmente con i fondi di cui dispone la sanità, secondo quanto stabilito dalle nuove norme. La variabile indipendente, dunque, secondo le previsioni del decreto, come è stato fatto notare, non è più data dai bisogni sanitari dei cittadini, ma è rappresentata dai vincoli di bilancio489. Il Piano

sanitario nazionale, inoltre, ha immediata applicazione, non essendo necessaria l’accettazione da parte delle regioni. Il finanziamento rimane in parte contributivo e in parte collegato alla fiscalità generale, ma le tasse per la sanità devono essere versate direttamente alle regioni490. I decreti attribuiscono nuovi

poteri alle regioni nella programmazione, finanziamento, organizzazione anche

488

Maino parla di “indebolimento dei punti di veto e degli attori di veto favorevoli all’immobilismo istituzionale”, in F. Maino, La politica sanitaria, op. cit. p. 169.

489

L’osservazione è di G. Maciocco.

490

Nel 1997 verrà introdotta l’Irap e l’addizionale Irpef, che devono sempre essere corrisposte alle regioni, in sostituzione di alcuni contributi per la sanità. F. Maino, La politica sanitaria, op. cit. p. 92.

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legislativa delle nuove Aziende sanitarie locali e nel controllo. Le regioni devono stabilire l’ambito territoriale sul quale insistono le Asl, quali ospedali possono trasformarsi in aziende, individuare per entrambi i criteri di finanziamento, di accreditamento, le strutture organizzative e verificare il raggiungimento di determinati risultati. La dimensione territoriale delle Asl deve coincidere il più possibile con il territorio provinciale e, pertanto, si assiste a una significativa riduzione del numero delle stesse. La responsabilità del finanziamento è anch’essa collocata in buona parte al livello regionale, perché le regioni hanno a disposizione entrate proprie, che possono anche aumentare entro determinati limiti, e perché spetta loro almeno parzialmente la copertura di eventuali disavanzi. Tra le novità più rilevanti, vi è sicuramente l’aziendalizzazione delle Unità sanitarie locali, che divengono strutture regionali, non più collegate ai comuni e che acquisiscono personalità giuridica pubblica, autonomia patrimoniale, amministrativa e contabile. Anche nella sanità italiana vengono introdotti elementi propri del New Public Management, infatti, la gestione complessiva delle Asl viene completamente riformata e affidata a un organo monocratico di nomina regionale - il direttore generale - che ha pieni poteri amministrativi e che a sua volta nomina il direttore sanitario e quello amministrativo. I rapporti di lavoro dei direttori sono di tipo privatistico e hanno durata quinquennale rinnovabile. E’ prevista la costituzione anche del collegio dei sanitari, con funzioni consultive e che ha natura tecnica e non di rappresentanza491, e che è presieduto dal direttore sanitario; del collegio

dei revisori, nominato dal direttore generale, e della conferenza dei sindaci, che mantiene un ruolo politico anche se solo di tipo partecipativo e rende conto del “bisogno socio-sanitario”, ma non ha poteri decisionali492. Le Asl devono a loro

volta articolarsi in distretti sanitari, ospedali e dipartimenti di prevenzione. Anche gli ospedali - in particolare i policlinici altamente specializzati e di alto interesse nazionale - possono trasformarsi, previa approvazione da parte delle regioni, in aziende autonome, con lo stesso organigramma delle Asl. E’ possibile che si trasformino in aziende tutti gli ospedali presenti nel territorio di una Asl

491 “[…]scomparivano del tutto gli organi collegiali di rappresentanza, sostituiti da nuovi organi collegiali,

primo fra tutti il Consiglio dei sanitari, essenzialmente di natura tecnica.” Libro bianco sui principi

fondamentali del Servizio sanitario nazionale, 2008 p. 68. 492 F. Maino, La politica sanitaria, op. cit. p. 94.

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e che, dunque, a quest’ultima non sia più, neppure parzialmente, erogatrice di servizi, ma mero acquirente493.

Rispetto al finanziamento delle Asl e delle AO, viene stabilito che ricevano dalle regioni l’80% delle risorse necessarie – definite con riferimento alle prestazioni effettuate, che le Asl possono erogare direttamente o utilizzando fornitori accreditati - e che possano rivolgersi al mercato per la parte restante. Le Asl corrispondono ai fornitori il corrispettivo dovuto, tenendo conto di parametri nazionali per ciascuna prestazione dalle regioni. E’ prevista, infine, la possibilità di forme integrative di assistenza rispetto a quelle erogate dal Sistema sanitario nazionale.

I cambiamenti apportati dai due decreti possono essere così riassunti

“L’aziendalizzazione […] ha avuto l’indubbio merito di aver mitigato (almeno nei primi anni) la pervasività della politica e di aver cercato di conseguire - con alterni risultati – una combinazione soddisfacente di finalità in parte contrastanti: efficacia e qualità; efficienza e contenimento costi, equità, libertà di scelta.”494

Dunque, anche l’Italia, in linea con quanto accade nel Regno Unito e non solo, risente del nuovo clima del riformismo europeo, che ha nella libertà di scelta uno dei suoi temi chiave e che nel nostro paese può essere interpretata come una possibile attuazione del principio costituzionale della centralità della persona495. Infatti, i decreti del 1992 e del 1993 prevedono, appunto, la libera

scelta dei cittadini tra strutture pubbliche e private accreditate in concorrenza tra loro.

“Art. 8. Comma 5. L’unità sanitaria locale garantisce ai cittadini l’erogazione delle prestazioni specialistiche […]. Allo scopo si avvale dei propri presidi nonché delle aziende istituti ed enti […] delle istituzioni pubbliche […] o private […]. Ferma restando la facoltà di libera scelta delle suddette strutture o dei professionisti eroganti da parte dell’assistito, l’erogazione delle prestazioni […] è subordinata alla apposita prescrizione […]”.

Inoltre, proprio a tutela della facoltà di scelta dei singoli, sono previste in capo ai vari livelli responsabilità di tipo informativo sulle tariffe, sulle

493

Ivi, p. 99.

494 G. Maciocco, Politica, salute e sistemi sanitari, op. cit. p. 96. 495

Libro bianco sui principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale, 2008 p. 18. Nel testo vengono inseriti in questo stesso ambito i diritti di informazione e partecipazione, di opposizione e il consenso informato e i diritti di riservatezza.

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prestazioni, sui rischi dei trattamenti e sulle modalità di accesso e di controllo della qualità.

“Al fine di favorire l’esercizio del diritto di libera scelta del medico e del presidio di cura, il Ministero della sanità cura la pubblicazione dell’elenco di tutte le istituzioni pubbliche e private che erogano prestazioni di alta specialità […].”

3.4.2. La “riforma Bindi” del 1999

Nel 1998 il governo in carica approva una legge delega per “la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale”496. In realtà, la legge prevedeva quattro deleghe e il decreto del 1999

darà attuazione alla prima, che prevedeva un intervento proprio sui decreti del 1992-93, sulla base di criteri come la piena realizzazione del diritto alla salute; il completamento dell’aziendalizzazione e regionalizzazione; la ripartizione dei compiti tra i soggetti pubblici e privati; la partecipazione dei cittadini e degli operatori sanitari alla programmazione e alla valutazione dei servizi; l’attuazione alla carta dei servizi; il potenziamento del ruolo dei comuni nell’ambito della programmazione; l’integrazione socio-sanitaria e la definizione dei criteri di accreditamento e dei metodi di remunerazione. Tra i principi di indirizzo appare anche la libertà di scelta, infatti il governo deve

“garantire la libertà di scelta e assicurare che il suo esercizio da parte dell'assistito, nei confronti delle strutture e dei professionisti accreditati e con i quali il Servizio sanitario nazionale intrattenga appositi rapporti, si svolga nell'ambito della programmazione sanitaria.”497

Il decreto legislativo 229 del 1999, conosciuto anche come “riforma Bindi”, dal nome dell’allora ministro della Sanità del governo di centro sinistra, procede a una effettiva riorganizzazione del Sistema sanitario delimitando in modo più stringente le responsabilità dei diversi soggetti incaricati dargli attuazione.

496

Legge 30 novembre 1998, n. 419.

130

Viene, dunque, ridefinito all’insegna della regionalizzazione lo statuto dello stesso SSN, che deve garantire il diritto alla salute, e che si compone del “complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale […]”.498 Alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, inoltre, si

aggiunge l’aggettivo “uniformi”, a testimonianza di un approccio fortemente egualitario e ne vengono genericamente chiariti gli ambiti di pertinenza. Attraverso i LEA lo stato stabilisce quali prestazioni sono a carico del SSN, a titolo gratuito o in compartecipazione, e quali no499. La centralità, che la

determinazione dei livelli essenziali e uniformi viene ad assumere, segnala anche il passaggio da una concezione “forte” dell’universalità a una, invece, più “selettiva”, in cui

“il criterio-guida per compiere la selezione è senz’altro dato dal principio di appropriatezza, inteso nella sua duplice accezione di appropriatezza clinica delle prestazioni più efficaci a fronte del bisogno accertato e di appropriatezza come regime di erogazione della prestazione più efficace ma al tempo stesso a minor consumo di risorse [..]”500.

In ogni caso, non è ammessa alcuna possibilità di selezione dei pazienti, tanto che hanno diritto all’assistenza sanitaria anche i migranti che non sono titolari di permesso di soggiorno.

Al fine di favorire, come prescritto dalla legge, la partecipazione dei comuni, viene istituita la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale, cui, appunto, partecipano anche rappresentanti degli enti locali. La riforma Bindi, in questo senso, non è da intendersi come un ripensamento dei precedenti provvedimenti legislativi con riguardo alla regionalizzazione e alla aziendalizzazione, ma ha come scopo quello di ridare spazio ai comuni, considerati i più diretti rappresentati delle istanze della

498

Decreto legislativo 19 giugno 1999, n.229, art. 1.

499 Vi sono prestazioni incluse nei LEA; parzialmente incluse – che sono erogate solo se rispondono al

criterio di appropriatezza clinica e organizzativa- ; totalmente escluse - ad esempio, trattamenti di medicina estetica, non convenzionale – e ad alto rischio di inappropriatezza organizzativa. Libro bianco

sui principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale, 2008 p.36-37. 500

Ivi,p. 25. Il tema dell’appropriatezza dei trattamenti, come si vedrà nei paragrafi successivi, è argomento centrale nel dibattito degli ultimi mesi sulla sanità, perché oggetto di un decreto di prossima emanazione da parte del Ministero della Salute.

131

cittadinanza501. Le Regioni tutelano la salute dei cittadini attraverso le Asl e le

Ao, alle quali viene attribuita anche l’autonomia imprenditoriale, per cui agiscono con atti di diritto privato e devono attenersi a criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Nel testo del decreto i distretti, già previsti dalla legislazione precedente per assicurare le prestazioni di base in materia sanitaria e sociosanitaria, sono pensati come “mini-aziende”502, dotate di risorse

nell’amministrazione delle quali hanno autonomia tecnica, gestionale e finanziaria e definiscono il Programma delle attività territoriali. Il distretto deve garantire l’assistenza primaria, ambulatoriale, per i disabili, per gli anziani, il contrasto alle tossicodipendenze, l’accesso ai servizi e l’integrazione socio sanitaria e deve costituire i consultori. Il principio di libertà di scelta viene riformulato in modo da accogliere nella sua formulazione i criteri e le procedure di accreditamento.

“I cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell'ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appositi accordi contrattuali. L'accesso ai servizi è subordinato all'apposita prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del Servizio sanitario nazionale.”503

Rimane la libertà di scelta del medico di medicina generale e del pediatra, che il paziente può facilmente revocare, mentre il professionista può farlo solo per motivi “eccezionali”504. In generale, il decreto Bindi cerca di tenere in equilibrio

sia la tendenza a tornare a un’impostazione unitaria e incentrata sul ruolo del pubblico più vicina alla legge istitutiva del SSN, per cui è stato considerato un provvedimento di rottura con la logica dei decreti precedenti, che la necessità di far rientrare in questo impianto anche i nuovi principi di aziendalizzazione e managerializzazione505. A questo scopo viene attribuita l’autonomia

imprenditoriale, di cui si è detto, alle Asl e alle Ao, e vengono precisati i criteri di accreditamento. Le procedure di accreditamento prevedono tre fasi, cioè il rilascio delle autorizzazioni da parte dei comuni, che presuppone una verifica da

501 “[…] il tentativo di recuperare spazi di intervento a favore dei Comuni si mostrava più che altro

animato dall’esigenza di garantire ai cittadini poteri di indirizzo e di controllo […]”Libro bianco sui

principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale, 2008, p. 69. 502 Ivi, p. 98.

503

Decreto legislativo 19 giugno 1999, n.229, art. 8 bis, comma 2.

504

Ivi, art. 8 comma 1.

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parte delle regioni del reale fabbisogno del territorio e dell’esistenza di requisiti minimi; l'accreditamento istituzionale – che le regioni attribuiscono previo accertamento di altri requisiti, dell’attività svolta e dei risultati raggiunti - e la stipula degli accordi contrattuali. I contratti, anch’essi definiti dagli organi regionali, devono contenere gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi; il numero massimo di prestazioni che le strutture devono erogare; i requisiti del servizio e il corrispettivo economico. Il decreto introduce una distinzione tra la remunerazione per i ricoveri e per le prestazioni assistenziali506. Si precisa, inoltre, la possibilità di realizzare fondi integrativi in

ambiti di assistenza non compresi dei livelli essenziali e uniformi di assistenza, come le cure odontoiatriche, la medicina non convenzionale e le cure termali. Uno degli aspetti più discussi della riforma è sicuramente la previsione normativa che rende obbligatoria la scelta esclusiva del rapporto di lavoro in ambito pubblico, incentivata economicamente anche per la possibilità di esercitare la professione privata intramoenia, o della libera professione in strutture private.

In conclusione, si può affermare che la logica complessiva della riforma Bindi è quella di un “modello integrato”507, in cui i committenti possono anche erogare

le prestazioni, rispetto ai dlgs del ’92 e del ’93, che invece tendevano a un “sistema sanitario di tipo contrattuale”508 o di “quasi mercato”, con la

separazione tra fornitori e finanziatori.

“[…] siamo di fronte a due riforme davvero diverse: quella del 1992-1993 approvata da un governo tecnico in una fase particolarmente critica per i conti pubblici e il contesto politico- istituzionale; quella del 1999 approvata da un governo politico. Quest’ultimo ha voluto fare della riforma del welfare uno dei temi centrali del proprio programma di governo. […] Al rafforzamento regionale sul versante finanziario […] il ministro della Sanità risponde con una legge di riforma che introduce strumenti di controllo e procedure di programmazione da parte del centro, grazie ai quali il governo torna ad avere un ruolo di primo piano.”509

506

I primi sono finanziati in base a tariffe predefinite (Diagnosis Related Group o DRG) e le seconde in base al costo standard di produzione.

507

F. Maino, La politica sanitaria, op. cit. p. 117.

508

Ibidem

133

Successivamente, il decreto legislativo 56 del 2000510 introduce misure di

federalismo fiscale, che ridefiniscono il sistema di finanziamento della sanità, stabilendo che in una prima fase transitoria fino al 2003 le regioni debbano destinare alle prestazioni previste dal Piano sanitario nazionale una spesa pari alla quota capitaria fissata dallo stesso piano. Dal 2004 in poi, il vincolo di destinazione è collegato all’effettiva erogazione dei servizi e al raggiungimento degli obiettivi, che devono essere monitorati e verificati tramite procedure regionali. Le regioni dunque possono utilizzare eventuali risparmi di spesa a propria discrezione, nel momento in cui i livelli essenziali e uniformi delle prestazioni sono garantiti. A partire dallo stesso anno, in nome del principio di leale collaborazione e come conseguenza degli impegni europei assunti con la ratifica del Patto di stabilità, crescita e sviluppo sulla riduzione del debito in rapporto al Pil, si consolida l’utilizzo del patto di stabilità sanitario tra stato e regioni, che prevede un impegno anche di queste ultime nell’equilibrio finanziario e nella riduzione della spesa511.

Se, da un lato, il processo di regionalizzazione della sanità prosegue, dall’altro, lo stato centrale con un decreto del Presidente del Consiglio del 2001512 e in osservanza delle prescrizioni della legge 405 del 2001, ha

provveduto alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. I LEA sono stati distinti in tre macro aree, l’ “assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro”, cioè, in sintesi, la prevenzione, la sanità veterinaria, la sicurezza alimentare, le vaccinazioni; l’“assistenza distrettuale”, cioè la medicina di base, le prestazioni ambulatoriali, i servizi residenziali o semiresidenziali, socio-sanitari e farmaceutici, e l’ “assistenza ospedaliera”, cioè sia le prestazioni di pronto soccorso, che di day hospital, che interventi con degenza. Le altre prestazioni, invece, sono classificate come parzialmente incluse dai LEA – ad esempio l’assistenza odontoiatrica, in questo caso sono erogate solo se rispondono al criterio di appropriatezza clinica e organizzativa -; totalmente escluse - ad esempio, trattamenti di medicina estetica, non convenzionale – e ad alto rischio

510 Decreto legislativo del 18 febbraio 2000, n. 56 511

Libro bianco sui principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale, 2008. URL (http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_808_allegato.pdf)

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di inappropriatezza organizzativa513. Il decreto, richiamando la responsabilità

delle regioni in merito al finanziamento del sistema sanitario, invita le stesse a chiarire ulteriormente le condizioni di erogabilità e di appropriatezza, facendo riferimento al fabbisogno socio-sanitario del proprio territorio.

3.4.3. La riforma del Titolo V della Costituzione e i provvedimenti

successivi

La riforma del titolo V della Costituzione nel 2001 determina un ulteriore cambiamento nel SSN, perché il legislatore precisa che l’attribuzione della potestà legislativa può essere assegnata in via esclusiva allo Stato, oppure allo Stato e in concorrenza alle regioni o, infine, in via esclusiva alle regioni. L’art 117 riformato elenca le materie sulla base della competenza legislativa e la tutela della salute viene considerata materia a legislazione concorrente, mentre la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” è soggetta esclusivamente alla legge dello stato centrale. L’articolo 118 riformato accoglie nel testo costituzionale un principio ormai consolidato a livello internazionale, quello di sussidiarietà, qui intesa sia in senso verticale, come attribuzione delle responsabilità all’organo amministrativo più vicino alla popolazione, sia orizzontale, cioè come delega ai cittadini stessi. L’articolo 119 sancisce l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa dei vari livelli amministrativi e istituisce un fondo perequativo statale per promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale, l’esercizio dei diritti e rimuovere eventuali squilibri. Viene definito, inoltre, un potere sostitutivo dello stato alle regioni, province, città e comuni inadempienti proprio, tra le altre materie, in riferimento alla difesa dei livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali.

513 “Possono essere definiti "inappropriati" i casi trattati in regime di ricovero ordinario o in day hospital

che le strutture sanitarie possono trattare in un diverso setting assistenziale con identico beneficio per il paziente e con minore impiego di risorse.” Decreto del presidente del consiglio dei ministri 29 novembre 2001.

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La legge finanziaria del 2005 ha previsto un nuovo strumento, i piani di rientro, che consente al governo di aiutare e monitorare le regioni in deficit, e che “è finalizzato a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario della Regione interessata.”514 Lo stato può attivare, attraverso i piani, misure come meccanismi

automatici di copertura del deficit; affiancamento, inteso come approvazione dei provvedimenti regionali e verifica degli esiti degli stessi, e infine il commissariamento. I primi piani di rientro sono stati avviati nel 2007.

Il dibattito sulla sanità italiana negli anni successivi si muove fondamentalmente attorno a questioni finanziarie, come la riduzione della spesa per la sanità, con la richiesta sempre più urgente alle regioni di contribuire e la continua revisione dell’ammontare del Fondo sanitario nazionale, e alla determinazione dei costi standard, in base ai quali il Servizio sanitario viene finanziato. Il decreto legislativo 68 del 2011 interviene proprio su quest’ultimo

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