• Non ci sono risultati.

III I sistemi sanitari inglese e italiano

3.3 La storia del Servizio sanitario italiano

3.3.1. Le origini

Nel 1866 in Italia era stata istituita una commissione con il compito di redigere un progetto di legge per riorganizzare la politica sanitaria, ma saranno necessari venti anni per approdare a un testo condiviso. Infatti, la prima vera riforma nell’ambito dell’assistenza sanitaria si ha solo nel 1888, con quella che è conosciuta come legge Crispi-Pagliani, con la quale si procede a una riorganizzazione del settore e viene definito anche un Codice di igiene e sanità pubblica. Prima del 1888, era il Ministero dell’Interno, coadiuvato dai Consigli sanitari, dai prefetti e dai sindaci a occuparsi della salute, che era, dunque, considerata una questione di ordine pubblico. La nuova struttura individuata dalla Crispi-Pagliani prevede tre livelli, al vertice la neo istituita direzione generale di Sanità - sempre sotto in Ministero dell’Interno – che opera con il supporto del Consiglio Superiore di Sanità; poi i Consigli provinciali, con la nuova figura del medico provinciale e, infine, i comuni, con il loro “braccio operativo”, cioè i medici condotti, considerati ora anche ufficiali sanitari. La legge attribuisce ai comuni il compito di fornire assistenza e cure gratuite ai poveri, attraverso, appunto il medico condotto, che si avvale anche delle Opere Pie, mentre tutti coloro che non sono indigenti si rivolgono ai medici privati, più che agli ospedali464. Gli scandali sempre più numerosi e le accuse di abusi,

sperperi, distrazioni di patrimonio e arretratezza che coinvolgono le Opere Pie465 rendono necessario un nuovo intervento del governo in materia di

assistenza e beneficienza. Due anni dopo, infatti, Crispi riesce a far approvare una legge di riordino e riorganizzazione dell’intero sistema, la legge del 1890466,

con la quale nascono le Istituzioni pubbliche di beneficienza (IPAB) a carattere laico. Occorre, infatti, considerare che

464

G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria in Italia. Società e salute da Crispi al fascismo, Il Mulino, Bologna 1997, p. 97.

465

Le opere pie erano istituti di beneficienza che assistevano le classi indigenti anche in caso di malattia e che si occupavano dell’istruzione e dell’avviamento al lavoro delle stesse. Con la legge del 1862, viene stabilita presso ciascun comune una Congregazione di carità, con il compito di amministrare quanto era stato lasciato in donazione per i poveri, sulla quale, però, lo stato centrale non riusciva ad avere un vero controllo.

119

“Gli ospedali, alla fine del secolo, si presentano come ricoveri per cronici e per poveri la cui ammissione ed assistenza è attentamente regolata dagli ordinamenti delle opere pie e delle autorità municipali che se ne servono spesso per controllare le classi più povere e pericolose. […] L’ospedale di fine secolo è, ancora, un luogo in cui il malato è «un’anima da salvare» piuttosto che un soggetto da curare.”467

Con questa legge, le Congregazioni di Carità vengono riconosciute come il luogo principale della beneficienza e assistenza, possono ricevere donazioni, rappresentano gli interessi dei poveri e, soprattutto, possono gestire altre istituzioni di beneficienza. In questo modo l’assistenza e la beneficienza vengono ricondotte sotto il controllo dello stato, che attraverso le Giunte provinciali amministrative può verificare i bilanci e la gestione patrimoniale468. Dunque, in

pochi anni, con le leggi del 1888 e del 1890, Crispi riesce a riformare significativamente due ambiti che si trovavano in una situazione di stallo da decenni, imponendo anche un’inversione di rotta che va dall’autonomia privata alla gestione centralistica e pubblica469. Tutto ciò è reso possibile dall’emergere

di una nuova borghesia siciliana, della quale Crispi è rappresentante, più favorevole all’intervento statale in ambito socio sanitario – anche in conseguenza dei problemi dovuti all’urbanizzazione, alla proletarizzazione e alle migrazioni interne - da nuove scoperte in campo batteriologico e patologico, dalla pressione del nuovo ceto medico, nonché dalle inchieste, già menzionate, che rivelano le gravi inefficienze delle Opere Pie.

“Nel complesso Crispi riesce ad offrire allo stato italiano un nuovo sistema di igiene e sanità pubblica, lasciando alle opere pie larga parte degli interventi di assistenza sanitaria ai poveri, previo un loro controllo ed una loro razionalizzazione.

In tal modo egli incanala su due binari principali (quello pubblico e quello privato-caritativo) il sistema sanitario italiano, […].”470

Per trovare provvedimenti di rilievo in materia sanitaria nel periodo successivo, bisogna attendere la fase finale del periodo fascista, cioè la creazione nel 1943 dell’Inam, l’Istituto nazionale di assicurazione contro le malattie, con il

467 G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria in Italia, op. cit. p. 105. 468

Ivi, p. 110.

469

F. Della Peruta, (a cura di), Storia d’Italia, Annali 7, Malattia e medicina, Einaudi, Torino 1984 p. 337.

120

quale il regime si propone fondamentalmente di raccogliere sotto un unico ente le numerose casse mutue che fino ad allora si occupavano di assistenza in caso di malattia471. Occorre ricordare, però, anche l’istituzione, sempre di matrice

fascista, nel 1927 dei Cpa, i Consorzi provinciali antitubercolari; nel 1933 dell’Inail, l’Istituto per gli infortuni e le malattie professionali, ma soprattutto nel 1925 dell’Onmi. L’Opera Nazionale per la Maternità e l’Infanzia - creata con evidenti fini propagandistici472, nell’idea che “alle donne spetta il compito

primario di produrre figli per accrescere la potenza dello Stato Fascista”473 – ha

il compito di proteggere le donne che ne hanno bisogno sia prima che dopo il parto, i bambini, i figli illegittimi o abbandonati e le ragazze madri.

Sarà, poi, la Costituzione della Repubblica italiana, promulgata nel dicembre del 1947, a segnare il passaggio decisivo per la definizione della tutela del diritto alla salute all’articolo 32 che stabilisce che

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

L’articolo 38, inoltre, definisce il diritto all’assistenza sociale e all’assicurazione per malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio e disoccupazione per i lavoratori, cui lo stato, attraverso organi predisposti, deve provvedere.

La salute dunque viene ormai a costituire un diritto fondamentale, al pari della libertà o della proprietà e in accordo con gli orientamenti internazionali in materia. Essa è considerata come “un bene nel quale coincidono fini individuali e fini sociali”474 e ne viene, pertanto, sottolineata sia la natura collettiva, che sotto

il profilo igienico-sanitario era già oggetto di tutela, ma acquisisce anche lo statuto di un diritto che attiene al singolo e al suo pieno sviluppo - che è preciso

471

F. Maino, La politica sanitaria, op. cit. p. 74

472

Tra i suoi obiettivi l’Onmi ha “quello di rafforzare al massimo il sentimento del vincolo materno, quello di dare il maggior impulso possibile alla natalità, quello di ridurre al minimo le cause di mortalità delle madri e dei bambini. Quest’ultimo intento, di carattere evidentemente sanitario, se ha da un lato l’obiettivo di incrementare e salvaguardare le nascite in nome della patria e della sua necessaria prolificità, dall’altro ha evidenti scopi di consenso e di controllo.” G. Vicarelli, Alle radici delle politica

sanitaria in Italia, op. cit. p. 298 473

Ivi, p. 300.

121

dovere dello Stato promuovere, così come lo stesso testo costituzionale precisa475. La salute, da un lato, è così legata alla persona tanto che lo stato non

deve in alcun modo imporre trattamenti che ne violino la dignità, dall’altro, collocandosi su posizioni quasi ottocentesche476, si chiede all’intervento pubblico

di assicurare servizi sanitari “minimi” per gli indigenti. L’Assemblea costituente nel testo costituzionale raccoglie alcuni dei principi proposti dalla Commissione D’Aragona, istituita nel 1947 con il compito di disegnare un’ipotesi di riforma del sistema di previdenza, e che in un clima fortemente influenzato dall’ormai noto piano Beveridge aveva infatti, tra le altre cose, parlato di un’assicurazione sanitaria universalistica477.

Nell’Italia post bellica, dunque, l’assistenza sanitaria è fornita dalle casse mutue, che vivono in questo periodo una fase di grande espansione e che operano come assicurazioni sociali, obbligatorie o meno sulla base delle categorie lavorative, agendo come “terzo pagatore” nell’assistenza farmaceutica, specialistica e ospedaliera. Lo stato è impegnato, invece, nella tutela dell’igiene e della salute e nell’assistenza sanitaria di base e collettiva478. Complessivamente,

le misure di prevenzione sono quasi assenti e il sistema si presenta disomogeneo, con coperture di rischio piuttosto diverse e stabilite su base corporativa.

Il primo tentativo di riorganizzazione si ha nel 1958 con l’istituzione del Ministero della Sanità e poi nel 1968 con la legge 132479, che sancisce la

trasformazione degli ospedali in enti autonomi non più sotto il controllo delle Ipab, la loro riorganizzazione e il diritto di tutti i cittadini alle cure ospedaliere, ma soprattutto affida alle Regioni – che verranno istituite solo nel 1970 - compiti di pianificazione e programmazione sanitaria. Seguono decreti attuativi della legge 132 e nuove leggi che, trasformando l’assetto esistente, conducono poi all’istituzione del Servizio sanitario nazionale. In particolare, nel 1972 vengono trasferite alle regioni a statuto ordinario le competenze nazionali in

475

Libro bianco sui principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale, 2008 p.4.

476 “Anacronistico è invece l’inciso che chiude il primo comma dell’art.32, laddove si allude al dovere di

garantire «cure gratuite ali indigenti». Esso fu criticato già in sede di assemblea costituente, in quanto legato alla concezione ottocentesca di uno Stato che poco si differenzia da una «congregazione di carità».” In M. Paci, Pubblico e privato nei moderni sistemi di welfare, op. cit. p. 85.

477

Ivi, p. 86.

478

F. Maino, La politica sanitaria, Il Mulino, Bologna 2001, p. 75.

122

materia di amministrazione sanitaria e ospedaliera; nel 1974 tutte le funzioni statali ospedaliere divengono regionali e viene decisa l’estinzione degli ingenti debiti delle mutue con gli ospedali; la legge 349/1977 decreta la soppressione delle casse mutue e il Dpr 616/1977, invece, lo spostamento definitivo di tutte le funzioni statali in materia sanitaria alle regioni. Una serie di condizioni in quegli stessi anni concorre al realizzarsi di un cambiamento così significativo nella politica sanitaria italiana. Il riferimento è alla frammentazione della categoria medica, dovuta in parte all’inserimento del medico della mutua nella burocrazia pubblica; alla crisi finanziaria delle casse mutue; al successo elettorale del Partito Comunista, convinto che un sistema sanitario nazionale avrebbe allentato il legame tra la Democrazia Cristiana e le mutue e all’emergere di una nuova classe politica regionale480.

3.3.2. L’istituzione del Servizio sanitario nazionale

Il Servizio sanitario nazionale italiano viene, dunque, istituito con la legge 833 del 1978481 che si propone di dare pieno compimento al dettato

costituzionale, nel rispetto dei principi di universalismo, integrazione territoriale, responsabilità democratica e solidarietà e nella considerazione della salute come bene individuale e collettivo482. Gli elementi centrali del servizio

sono di seguito elencati.

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale.

La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana.

Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e

480

M. Ferrera, Le politiche sociali, op. cit. p. 199.

481

L. 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale, disponibile in URL (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_231_allegato.txt)

482

Nel Libro bianco i principi elencati sono “[…] responsabilità pubblica della tutela della salute; universalità ed equità di accesso ai servizi sanitari; globalità di copertura in base alle necessità assistenziali di ciascuno, secondo quanto previsto dai livelli essenziali di assistenza; finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale; «portabilità» dei diritti in tutto il territorio regionale e reciprocità di assistenza con le altre regioni.” Libro bianco sui principi fondamentali del Servizio sanitario

123

secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini.”483

Tra gli obiettivi del servizio figurano l’educazione sanitaria del cittadino e della comunità; la prevenzione anche in ambito lavorativo; la diagnosi e la cura; la riabilitazione; l’igiene; la formazione professionale; il superamento degli squilibri territoriali; la sicurezza sul lavoro; la tutela della maternità, dell’infanzia, dell’età evolutiva, degli anziani e della salute mentale. In questo modo vengono definitivamente archiviate le casse mutue, alle quali subentra un’unica assicurazione con copertura universale per malattia, maternità e disabilità. Il finanziamento avviene attraverso i contributi che confluiscono nel Fondo sanitario nazionale e poi alle Regioni su base capitaria. Il SSN si articola, dunque, su tre livelli. Il primo è rappresentato dallo stato e dal ministero della Sanità, con compiti di programmazione, coordinamento e finanziamento, cioè di definire il Piano sanitario nazionale, le priorità, i livelli uniformi delle prestazioni e di fissare il quadro legislativo generale in modo da garantire l’uguaglianza dei servizi sul territorio. Il secondo livello è costituito dalle regioni che hanno autonomia gestionale e anche un ruolo nella programmazione con il Piano sanitario regionale e il dovere di istituire le Unità sanitarie locali e di definirne l’organizzazione. Queste ultime rappresentano il terzo livello, cioè le strutture operative dei comuni484, si occupano di una popolazione compresa tra i

50.000 e i 200.000 abitanti e sono amministrate tramite l’assemblea generale e i comitati di gestione485. Le USL devono provvedere all’assistenza generica,

ospedaliera, alla riabilitazione, all’educazione sanitaria, all’igiene, alla profilassi veterinaria. I comuni hanno anche il compito di garantire la più ampia partecipazione possibile ai cittadini, agli operatori e alle organizzazioni esistenti

483 L. 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale. 484

L’articolo 10 sull'organizzazione territoriale, stabilisce che “Alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull'intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali. L'unità sanitaria locale è il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale di cui alla presente legge. Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale i comuni, singoli o associati, o le comunità montane articolano le unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, quali strutture tecnico-funzionali per l'erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento.”

124

nella programmazione, gestione e controllo del sistema sanitario. Alle province, infine, rimangono compiti di prevenzione e igiene ambientale.

Il tema della libertà di scelta è affrontato genericamente con l’articolo 19 nel quale si legge che

“Le unità sanitarie locali provvedono ad erogare le prestazioni di prevenzione, di cura, di riabilitazione e di medicina legale, assicurando a tutta la popolazione i livelli di prestazioni sanitarie stabiliti ai sensi del secondo comma dell'art. 3.

Ai cittadini è assicurato il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura nei limiti oggettivi dell'organizzazione dei servizi sanitari. Gli utenti del servizio sanitario nazionale sono iscritti in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso l'unità sanitaria locale nel cui territorio hanno la residenza. Gli utenti hanno diritto di accedere, per motivate ragioni o in casi di urgenza o di temporanea dimora in luogo diverso da quello abituale, ai servizi di assistenza di qualsiasi unità sanitaria locale.”

In generale il principio della libertà di scelta del medico generico, del pediatra, delle prestazioni specialistiche, diagnostiche e ospedaliere è fortemente vincolato alla struttura territoriale dei servizi e spetta alle regioni il compito di definire la casistica che consente di derogare a questo principio, “nell’osservanza del principio della libera scelta del cittadino.”486 La legislazione del 1978,

dunque, trasforma il medico condotto in medico di medicina generale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. Il medico condotto, figura di origine antica, era dipendente dai comuni con il compito di curare gratuitamente i meno abbienti e, come precisato, in una certa fase aveva assunto anche il ruolo di ufficiale sanitario. Ai poveri, in questo caso, non era lasciata alcuna possibilità di scelta. L’assistenza sanitaria di base passa con la legge 833 dall’essere collegata a una figura che agisce in condizioni che potremmo definire di emergenza e di particolare disagio a una che, invece, opera in un sistema, almeno nelle intenzioni, organico, strutturato, omogeneo e sulla base di un rapporto libero e fiduciario con il paziente.

486 Articolo 25 “[…]L'assistenza ospedaliera è prestata di norma attraverso gli ospedali pubblici e gli altri

istituti convenzionati esistenti nel territorio della regione di residenza dell'utente. Nell'osservanza del principio della libera scelta del cittadino al ricovero presso gli ospedali pubblici e gli altri istituti convenzionati, la legge regionale, in rapporto ai criteri di programmazione stabiliti nel piano sanitario nazionale, disciplina i casi in cui è ammesso il ricovero in ospedali pubblici, in istituti convenzionati o in strutture ospedaliere ad alta specializzazione ubicate fuori del proprio territorio, nonché i casi nei quali potranno essere consentite forme straordinarie di assistenza indiretta.”

125

La “macchina” della sanità italiana, però, presenta da subito molteplici problematiche, tra quali i conflitti di competenza tra il governo centrale e le regioni, rispetto al controllo delle USL; uno scarso coordinamento sul piano finanziario, per cui vi erano casi in cui lo stato si orientava su logiche restrittive, mentre la politica regionale spendeva in deficit; l’evidente inadempienza delle regioni, sia in riferimento all’approvazione dei Piani sanitari che alla dimensione delle USL e, allo stesso tempo, la grande disomogeneità dei servizi, della spesa media pro capite e della sua ripartizione e del livello di compartecipazione richiesto ai cittadini. Il SSN è fortemente condizionato da vari gruppi di interesse, come i medici e le case farmaceutiche, che favoriscono un approccio particolaristico piuttosto che una programmazione organica di servizi e interventi – tanto che per molto tempo non verrà definito il Piano sanitario nazionale. D’altro canto la politicizzazione ne inquina la gestione, introducendo logiche clientelari e un utilizzo delle USL come “avamposti per l’acquisizione del consenso prima ancora che vere e proprie strutture per l’erogazione di servizi”487. Le problematiche delle USL sono accentuate anche dalla

proceduralizzazione burocratica di ogni passaggio decisionale, che deve essere approvato dal Comitato di gestione, diretto da politici. Il SSN inoltre è amministrato, sia a livello centrale che regionale, da personale scelto sulla base dell’appartenenza politica e non della qualificazione professionale ed è spesso, pertanto, privo delle necessarie competenze. La struttura della sanità italiana, dunque, pur nella volontà del legislatore di costruire un sistema universalistico e uniforme anche dal punto di vista fiscale, conferma per alcuni aspetti il profilo particolaristico-clientelare di tutta la politica sociale italiana.

126

Documenti correlati