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CAPITOLO 3. Il punto di vista psicologico Studi, ricerche e critiche

3.2. Un cambio di rotta?

Grazie al lavoro di Schaffner (1992), Isay (1989), Gonsiorek (1978, 1991), ecc., gli analisti sono stati messi in guardia circa il fatto che il trattamento psicoanalitico e in particolare l’approccio direttivo-suggestivo103 comporta delle problematiche, sia perché il movimento di liberazione gay ha portato ad una maggiore apertura nei confronti di questa tematica, sia perché è molto più difficile che oggigiorno il trattamento psicoanalitico possa modificare l’orientamento sessuale di un paziente. Per quanto riguarda l’approccio direttivo-suggestivo anche Sigmund Freud stesso sosteneva che le possibilità di successo erano minime soprattutto quando il paziente non si mostrava intenzionato a modificare i propri comportamenti omosessuali. Un esempio descritto di un caso (nel contributo) spiega la forzatura fatta da parte degli analisti nei confronti dei propri pazienti omosessuali nell’utilizzare il legame positivo creatosi tra le due parti in modo da far leva sul loro senso di colpa. Operando in questo modo consciamente o inconsciamente omofobico, gli psicoanalisti spingevano anche i propri pazienti a rendersi conto che alla fine del trattamento il prezzo da pagare era stato troppo alto, e quindi capiscono che ‘l’orientamento sessuale non cambia con la stessa facilità con cui cambiano i comportamenti sessuali’104. Blechner spiega il suo punto di vista in modo tecnico e preciso affermando che è la sensibilità di tipo falso- Sé che ha la probabilità di portare il paziente omosessuale a cercare di raggiungere un “aggiustamento eterosessuale”, perché la compiacenza viene sostituita con l’accettazione.

Moss nel 1997105 aveva sostenuto che nonostante le recenti trasformazioni della società e della politica abbiano permesso lo sviluppo di un atteggiamento più positivo

103 Il trattamento psicoanalitico dell’omosessualità: alcune considerazioni tecniche, contributo di

Stephen Mitchell in L’omosessualità nella psicanalisi (2000). Praticamente secondo quest’approccio l’analista assume una posizione apertamente contraria all’omosessualità e ai suoi comportamenti, violando i principi che sono alla base di una pratica psicoanalitica corretta.

104 Vedi nota 93, cit. p. 125. 105 Cfr. p. 153.

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nei confronti degli omosessuali, la sua rappresentazione nella cultura occidentale moderna e soprattutto nell’inconscio individuale rimane intrisa di deterioramento e di scherno. O ancora, anche Fritz Morgenthaler nel suo contributo ‘L’omosessualità’106 sostiene che l’omosessualità sia stata ridotta a quel bisogno di distinguere l’eterosessuale sano dall’omosessuale malato, di aiutarlo quando soffre eliminando la sua ‘varietà sessuale’, attraverso il superamento del suo infantilismo, secondo una prospettiva di ‘una più felice tolleranza dell’altro’. Questo perché si spiegava l’omosessualità e la si riduceva ad una forma infantile ed immatura di esperienza sessuale: l’autore smonta questa tesi affermando che l’elemento psicopatologico che provoca sintomi rendendo malato l’individuo non sia la sessualità ma quello che tocca, ciò che coinvolge. Quindi avere un compagno dello stesso sesso non rende di per sé malato un individuo, altresì è proprio questa una supposizione gratuita. Egli individua tre stazioni tipiche dello sviluppo omosessuale, valido sia per la donna che per l’uomo: 1) la prima è nello sviluppo narcisistico e riguarda i processi di delimitazione delle rappresentazioni e dell’immagine del Sé; 2) la seconda è nello sviluppo edipico e si riferisce al confronto con gli adulti significativi; 3) la terza è nella pubertà, nell’adolescenza fino all’età adulta, ed è inerente al confronto tra l’immagine interiorizzata di Sé rispetto all’altro e la realtà sociale. Fino a questo punto è tutto regolare, ma quando può scattare la nevrosi? Quando nel compagno alcuni tratti estranei all’immagine di sé appaiono attraenti, perché ‘che il compagno sia dello stesso sesso non è più sufficiente ad eliminare l’estraneo dei sentimenti’, e il vuoto interiore che fa soffrire l’omosessuale può essere colmato o padroneggiato affrontando il fallimento dell’elaborazione del ‘complesso di edipo’. L’errore che Morgenthaler individua sta nel fatto che quando uno psicoterapeuta o uno psicoanalista crede di voler o poter guarire un omosessuale dalla propria omosessualità ‘abusa del suo prestigio sociale a scopi manipolatori’ e ‘soccombe ad un’illusione deleteria che l’autonomia dell’altro possa essere influenzata dalla propria’.

In un’epoca più recente invece, Bowlby107 secondo la Teoria dell’Attaccamento, ha sostenuto che i modelli operativi interni, sono da intendersi come modelli mentali di sé stesso, degli altri e delle relazioni, che l’individuo costruisce nel corso delle sue precoci esperienze relazionali e che, basati sulla ripetizione di esperienze interattive, consentono la costruzione di aspettative sulla realtà soggettivo-interattiva, poiché fungono da guida all’azione, all’interpretazione, e al sentimento.

Secondo l’approccio basato sulla teoria dell’attaccamento, per il bambino ricevere cure attente nel corso della prima infanzia contribuisce alla costruzione di rappresentazioni della figura d’attaccamento come accessibile, disponibile e attenta, e quindi il piccolo tenderà a sviluppare un modello di sé come degno e meritevole di cure. Quindi una relazione d’attaccamento positiva con la madre rappresenta per il

106 Ibidem, p. 167.

107 Bowlby aveva intuito che l’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli esseri umani,

dalla nascita alla morte. Insieme a Mary Ainsworth, anch’ella psicanalista e sua collaboratrice, lavorando all’applicazione di tale teoria ha contribuito a dimostrare come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o un suo sostituto.

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bambino una ‘base sicura’ che gli permette di esplorare il mondo e di ritornare ad essa nei momenti di difficoltà e di pericolo, e gli permette anche di sviluppare lungo l’arco della vita legami affettivi fondato proprio sul modello relazionale che ha esperito nei primi mesi di vita (con la propria figura di attaccamento, ovvero il caregiver). Tali rappresentazioni influenzano sia l’immagine del caregiver, la relazione affettiva con esso e le prospettive riguardo l’adeguatezza delle sue risposte, ma faranno anche da modello per i successivi processi evolutivi, le successive scelte, le relazioni intime, l’autostima, la possibilità di regolare le proprie emozioni e di mettere in atto strategie di regolazione degli affetti nel corso dello sviluppo e nell’età adulta. Quindi sulla scia di questa posizione e dal punto di vista psicologico l’orientamento sessuale del caregiver (uomo o donna) non influirebbe sullo sviluppo psico-fisico futuro del bambino, poiché il focus qui è la ‘qualità delle cure fornite’.

Le modalità di esercizio della funzione genitoriale, dipendono, pertanto, dal modello di genitorialità costruito interiormente sulla base delle interazioni con adulti significativi. È questa la più importante variabile da tener presente quando si affronta l’analisi di quegli aspetti che possono incidere sull’esercizio del ruolo genitoriale, destrutturando impropri nessi causali ipotizzati/ipotizzabili tra l’esercizio della funzione genitoriale e altre variabili individuali come l’identità di genere, l’orientamento sessuale, ecc.

Ma oggi anche la psicoanalisi si sta pian piano aprendo nei confronti dell’omosessualità, seguendo una nuova linea di pensiero che la svincola da una serie storica di errori che ne hanno contrassegnato il suo approccio nei confronti della questione. Lo stesso libro della Butler citato nel primo capitolo, ha indotto i membri dell’Associazione psicoanalitica e di quella psicologica americane a rivedere appunto alcune delle loro idee attuali sull’omosessualità. Nel 2009, l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha sostenuto che non c’è nessuna evidenza scientifica a sostegno della tesi secondo cui genitori con orientamento omosessuale siano di per sé diversi o carenti nella capacità di essere genitori; infatti, sono in grado di cogliere i problemi dell’infanzia e di sviluppare attaccamenti genitore-figlio rispetto al modo in cui lo fa una famiglia in cui i genitori hanno un orientamento eterosessuale. È stato stabilito che l’orientamento omosessuale non è in alcun modo correlato ad alcuna patologia, e che non ci sono basi su cui presumere che l’orientamento omosessuale di un genitore possa aumentare le probabilità o indurre un orientamento omosessuale nel figlio. Studi sugli esiti educativi di figli cresciuti da genitori omo- o bisessuali, messi a confronto con quelli cresciuti da genitori eterosessuali, non depongono per un diverso grado d’instabilità nella relazione genitori-figli o rispetto ai disturbi evolutivi nei figli108.

Nel 2011 l’Associazione Italiana di Psicologia ha ricordato che non sono né il numero né il genere dei genitori a garantire in sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, ma lo è la loro capacità di assumere i determinati ruoli e responsabilità educative che ne derivano, mettendo in evidenza che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono

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