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L'ADOZIONE PER LE COPPIE OMOSESSUALI. RICERCHE E PROSPETTIVE.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea in Sociologia e Politiche Sociali

Tesi di laurea

L’adozione per le coppie omosessuali. Studi, ricerche e prospettive

Candidata Relatore

Selenia Melechì Prof. Roberto Mazza

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A mio Padre, Uomo integerrimo e modello di vita da emulare .

A mia Madre, Donna buona e semplice.

A mia Sorella, complice di esperienze . Al mio Compagno, Uomo smisuratamente paziente e caparbio .

A mio Nonno Ciccio e mia Nonna Assuntina, portatori sani di valori e tradizioni . A Mimina e Tonino, che con la loro umiltà hanno contributo a sostenermi .

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Ringraziamenti

Alcuni doverosi ringraziamenti vanno al Professore Alessandro Taurino, che grazie al confronto e al suo contributo scientifico hanno aggiunto rigorosità al mio elaborato.

Un ringraziamento al Dottor Federico Ferrari che attraverso i suoi consigli e suggerimenti mi ha indirizzato la strada da seguire.

Un ringraziamento va alla Dottoressa Veronica Vassarri, Presidente del Comitato Arcigay Arezzo Chimera Arcobaleno, che a seguito del nostro incontro presso la sede di Arezzo, ha contribuito a fornirmi alcuni contatti ed indirizzi utili.

Un ringraziamento immenso e un augurio con il cuore va Davide e Luciano, Veronica e Laura che grazie al loro vissuto hanno contributo realmente e concretamente ad attribuire un valore aggiunto e un supporto alla mia tesi.

Infine, ma non per ultima importanza, una ringraziamento speciale va al Professore Roberto Mazza, nonché mio Relatore, che mi ha accompagnato lungo l’intero percorso di stesura della tesi.

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6 INDICE

Introduzione ... 7

CAPITOLO 1. Il punto di vista culturale: La genitorialità ieri ed oggi. ...10

1.1. Alcune precisazioni terminologiche e concettuali ... 17

1.2. Sfatare miti, pregiudizi e luoghi comuni ... 21

1.3. L’adozione nel mondo ... 26

CAPITOLO 2. Il punto di vista legislativo. ...41

2.1. La situazione in Italia ... 49

2.2. Una “sentenza arcobaleno” ...57

CAPITOLO 3. Il punto di vista psicologico. Studi, ricerche e critiche. ... 69

3.1. Le posizioni contrarie e i nodi critici ... 74

3.2. Un cambio di rotta? ... 80

Appendice 1 ... 86

Appendice 2 ... 88

Conclusioni ... 91

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Introduzione

Famiglia di fatto, coppia omosessuale, genitori omosessuali, ‘famiglia de-genere’1, famiglia atipica, unione tra persone dello stesso sesso, o come dir si voglia, implica comunque la voglia di due individui di diventare genitori. E proprio uno dei concetti chiave nello sviluppo del mio elaborato di tesi sarà la genitorialità, assieme a quello di adozione, omosessualità e/o eventuali connessioni interdisciplinari.

Nel corso dei vari decenni correnti di pensiero, studiosi, gente comune, personaggi di spicco, i mass media, la Chiesa, hanno espresso la loro opinione sull’argomento al quanto complesso che vado ad affrontare, un argomento che ha messo alla prova la mia capacità di essere imparziale e obiettiva, affinché il mio scritto non risulti essere solo un vano tentativo di riassumere pagine e pagine di testi, ma invece riesca a fornire un valido strumento di valutazione e/o misurazione di questa tematica alquanto ‘scottante’. In particolare il caso dell’omosessualità rimane uno degli esempi più radicati e di lunga durata del modo in cui i vastissimi ambiti della società e della cultura, e i difensori della cosiddetta ‘normalità’ tendano a discriminare e quasi a ghettizzare la ‘diversità’, se così può essere ancora apostrofata al giorno d’oggi. Nonostante questo, credo che oramai in questo quadro generale, l’opinione pubblica sia stata sensibilizzata, e sia diventata maggiormente disponibile nei confronti di determinate persone che scelgono un partner del proprio stesso sesso. Ne accettano la presenza2. I segnali? Degli esempi: alcuni Paesi Europei hanno riconosciuto de facto e quindi equiparato i diritti delle coppie omosessuali a quelli delle coppie eterosessuali, o ancora l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton adottò la linea politica del “Don’t Ask, Don’t Tell” (DADT), tra il 1993 e il 2010, permettendo a entrambi i sessi di iscriversi alle principali accademie militari. Addirittura anche la Walt Disney Production, nel ’98 nel film ‘A Bug’s Life’, permette ad un esemplare di coccinella maschio di scoprire la sua natura femminile. O ancora si potrebbe continuare a citare degli esempi concreti e reali di vita vissuta, esempi di coppie celebri e famose omosessuali, a partire da Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, che si “sono amati come tigri”, Salvador Dalì e Federico Garcìa Lorca, Greta Garbo e Cecil Beaton, Pier Paolo Pasolini e Ninetto Davoli, fino ad arrivare ad Elthon John e David Furnish (che tra l’altro hanno anche adottato un figlio avuto da una madre surrogata), sono solo alcuni, e soltanto tra i personaggi dello spettacolo.3

1 Bonini Baraldi, Matteo, La famiglia de-genere. Matrimonio, omosessualità e Costituzione, Mimesis,

Roma 2010.

2 Parin P.,Donald M., Paul M., Jack D., Richard A. I., Mark J. B., Sidney H. P., Fritz M., Stephen A.

M. L’omosessualità nella psicoanalisi. Torino, Einaudi, 2000.

3 Laura Laurenzi, Liberi di Amare. Grandi passioni omosessuali del Novecento. Milano. RCS S.p.A.,

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Le varie linee di pensiero si dividono su chi è e su chi non è favorevole all’adozione nei confronti delle coppie omosessuali, ma è assodato il fatto che tutte le persone abbiano dei diritti fondamentali, e che tali diritti siano riconosciuti ugualmente a tutti, indipendentemente dalla loro razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni, origini, ricchezza, classe sociale o capacità, e che abbiamo tutti il diritto di essere trattati con rispetto e dignità. Questo e molti altri diritti sono stati riconosciuti da tutti i Paesi del mondo e sanciti nella ‘Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell’Uomo’ (10 dicembre 1948). Inoltre, non solo gli adulti hanno dei diritti, ma anche i bambini, come sancisce la ‘Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza’, adottata dalle Nazioni Unite nel 1989. Essa riconosce la fondamentale importanza delle famiglie e il ruolo cruciale svolto dai genitori nell’educazione dei figli, poiché la famiglia è l’unità fondamentale della società e l’ambiente naturale adatto alla crescita ed il benessere di tutti i suoi membri. Il minore, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione. Uno dei compiti principali dei genitori è quello di aiutare i loro figli a comprendere i propri diritti e i diritti degli altri, utilizzando metodi adeguati al suo livello di comprensione. La Convenzione riconosce anche ai minori i diritti fondamentali all’interno del contesto familiare, ovvero il diritto di esprimere la propria individualità, di essere protetti contro ogni violenza, di essere ascoltati quando esprimono le proprie opinioni, e di essere rispettati nella loro dignità.

Ora premesso questo chi può negare il fatto che tutto ciò possa accadere tranquillamente in una coppia dove gli individui che la formano siano dello stesso sesso?

Per citare un esempio pratico, il 29 luglio, è stata diffusa da parte dell’Avvocato Maria Antonia Pili la notizia che è stato presentato il ricorso presso il Tribunale per i Minorenni di Roma affinché venga riconosciuta l’adozione di una bambina di cinque anni da parte della compagna della sua madre naturale: per la prima volta in Italia questo sarebbe il primo caso di adozione da parte di una coppia omosessuale, ottenuta attraverso la “Stepchild Adoption”, ovvero “Adozione del Figliastro”, una pratica attraverso la quale il/la compagno/a del genitore naturale o adottivo diventa legalmente responsabile del bambino nel caso in cui l’altro genitore rinunci ai suoi ‘doveri’. Approfondirò comunque quest’aspetto dal punto di vista legislativo nel capitolo II.

A tal proposito anche l'American Psychological Association (APA) nel 2004 ha dichiarato di opporsi a qualsiasi discriminazione fondata sull'orientamento sessuale in materia di adozione, custodia dei figli e di visita, affido, e servizi di salute riproduttiva da parte di persone omosessuali. Essa ritiene che i bambini allevati da una coppia dello stesso sesso debbano beneficiare dei legami giuridici con ciascun genitore, e sostiene che la tutela delle relazioni genitori-figli possa essere garantita solo attraverso la legalizzazione delle adozioni congiunte dei bambini da parte del secondo genitore. Quest’associazione assume un ruolo di leadership nel contrastare ogni discriminazione fondata sull'orientamento sessuale in materia di adozione, custodia dei figli e di visita, ecc., ed incoraggia gli psicologi ad agire per eliminare ogni discriminazione basata su questo argomento (2002). Quest’ultima fornisce a livello provinciale e territoriale risorse scientifiche e didattiche in grado di informare il dibattito pubblico e lo sviluppo

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delle politiche pubbliche in materia di discriminazione, ed infine, insieme ad altre associazioni di professionisti ha firmato un documento in cui si esamina la letteratura in merito alla salute delle persone omosessuali e dei minori cresciuti con genitori omosessuali evidenziando che i minori beneficerebbero del diritto al matrimonio dei propri genitori.

Lo scopo di questo mio elaborato di tesi è l’analisi dei vari punti di vista, da quello culturale, a quello psicologo, con lo scopo di concettualizzare e de-strutturare, se così si può dire, l’intero quadro concettuale che gravita attorno all’argomento dell’adozione per le coppie omosessuali. Questo perché essendo la materia del diritto di famiglia una materia in continua evoluzione, mi pare corretto e doveroso dedicare quest’analisi concettuale per chi come me si batte per le diseguaglianze.

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CAPITOLO 1. Il punto di vista culturale: La genitorialità ieri ed oggi.

La riflessione sulla famiglia e sulla genitorialità si presenta oggi come una questione di straordinaria attualità. Le trasformazioni che hanno investito le strutture familiari e conseguentemente il ruolo genitoriale spingono a considerare in ambito scientifico, ma anche sociale, culturale, politico, giuridico, ecc., la necessità di acquisire nuovi strumenti di analisi che non incorrano in errori di tipo pregiudizievole: ci troviamo oggi di fronte a un moltiplicarsi di varie tipologie di famiglia familiari che spinge ciascuno di noi a interrogarsi sulla nostra concezione di famiglia stessa.

Le odierne tipologie di composizione familiare mettono in campo una specificità che non va approcciata come deviazione dalla norma o come devianza, ma più che altro come differenza da studiare nella sua specificità. Focalizzando in modo particolare l’attenzione sul costrutto della genitorialità è possibile osservare che esistono modalità di esercizio della funzione genitoriale che rappresentano delle

discontinuità rispetto ai contesti convenzionalmente riconosciuti, introducendo

modelli di organizzazione interna che risultano essere differenti, ma non per questo contrapposti ad essi. Infatti si può incorrere in una grande confusione nel momento in cui costrutti quali famiglia, coniugalità socialmente riconosciuta mediante l’istituzione matrimoniale, organizzazione sociale dei rapporti sessuali, genitorialità, parentela, vengono intese come facenti parte di un unico sistema costituito da elementi correlati in modo necessario. Quello che voglio dire è che, da tale interconnessione, deriverebbe, in modo distorto, tutto un complesso di rappresentazioni e luoghi comuni sul fatto che la famiglia sia fondata in modo naturale sul matrimonio, che esso è e dovrebbe rimanere un’istituzione basata su un legame di tipo eterosessuale, e che l’esercizio della funzione genitoriale risulti adeguata solo all’interno di una riconosciuta e riconoscibile forma familiare. Occorre quindi operare una de-strutturazione e una de-standardizzazione dei riferimenti concettuali odierni relativi a: famiglia, genitorialità, adozione (concessa solo alle famiglie eterosessuali intesa)4.

L’etimologia del termine genitorialità deriva dal latino ‘generare’, cioè dare vita ad un individuo della stessa specie, e ‘genitor’, ovvero colui che genera: essa definisce quindi la complessità della funzione fisica, psichica, culturale, sociale ed affettiva che accompagna il procreare umano. Parlare di genitorialità e di esercizio di funzioni genitoriali implica superare di gran lunga le singole dimensioni della maternità e della paternità biologica, e soprattutto riferirsi a quell’area più complessa di assunzione condivisa della responsabilità a gestire il legame con la prole nelle sue differenti componenti psicologiche, affettive, etiche, educative, culturali e sociali lungo tutto il ciclo della loro vita. Ciò emerge soprattutto nei contesti dell’adozione nazionale ed

4 (a cura di) Alessandro Taurino, Paola Bastianoni, Stefania De Donatis. Scenari Familiari in

Trasformazione. Teorie, strumenti e metodi per la ricerca clinico-dinamica e psicosociale sulle famiglie e la genitorialità. MMVII Aracne editrice S.r.l., 2009.

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internazionale, delle famiglie monoparentali, della procreazione assistita, delle famiglie ricostituite e separate, e in quelli delle famiglie oggetto della nostra discussione: quelle omosessuali. È la responsabilità affettiva, educativa e sociale che dev’essere necessariamente correlata al ruolo genitoriale. In quest’articolo vengono identificate alcune funzioni correlate a diversi autori5:

 Ochoa Torres e Lelong (2002) identificano la funzione di sicurezza, la funzione di stimolo, la funzione di socializzazione, la funzione di trasmissione dei valori da generazione a generazione6;

 Visentini (2007) ne identifica dodici, ma quelle fondamentali risultano essere secondo le autrici le seguenti: 1) la funzione protettiva: il caregiver è in grado sia di tutelare il bambino sia di garantire i suoi bisogni vitali; 2) la funzione di sintonizzazione affettiva: il genitore entra in sintonia con gli affetti e con le emozioni del bambino aiutandolo a comprendere gli stati affettivi degli altri; 3) la funzione regolativa, attraverso la quale il genitore modula l’esperienza emotiva ed affettiva; 4) la funzione normativa, attraverso la quale il bambino interiorizza il senso del limite e la possibilità di prevedere le reazioni altrui; 5) la funzione rappresentativa: attraverso l’interazione ripetitiva con le figure di attaccamento permette al bimbo di interiorizzare una rappresentazione di sé nel rapportarsi agli altri; 6) la funzione significante: supporta il bambino nel costruirsi i pensieri e decodificare quello che percepisce; 7) la funzione triadica, ovvero la relazione con il padre, al di fuori della diade madre-figlio (o padre-figlio nel nostro caso); 8) la funzione transgenerazionale, infine, trasmette al bambino la storia familiare, i valori, in modo che a sua volta, egli sia in grado di trasmetterli in futuro. Secondo Françoise Héritier7 non esiste una definizione rigorosa di famiglia, ma si tratta di arrivare ad una definizione minima della genitorialità, ovvero al sistema che attribuisce dei figli a dei genitori, e viceversa, combinando tre fattori: 1) l’alleanza matrimoniale; 2) la filiazione; 3) la residenza. Ogni cultura stabilisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è permesso e ciò che è vietato, e principalmente sta all’individuo riflettere sulle varie forme familiari che esistono. In particolar modo, il matrimonio, il riconoscimento di un figlio e l’adozione sono tutte componenti che costituiscono la dimensione primaria della filiazione. Infatti una volta che il bambino è stato affiliato a dei genitori, è opportuno che costoro gli diano un nome e un cognome, che lo nutrano, lo allevino, gli diano una dimora e se ne prendano cura. Altresì è fondamentale che lo guidino attraverso un percorso di socializzazione, che lo

5 Nardi Laura, Fiamberti Consuelo, Zari Elena, Il metodo dell’osservazione negli interventi di

valutazione delle capacità genitoriali, cfr. p.69-70. Rassegna di Servizio Sociale, n. 1 – gennaio marzo

2010.

6 Le cito e basta senza spiegarle perché quelle che seguono vengono considerate maggiormente attinenti

alla finalità dei miei approfondimenti.

7 Cfr. Anne Cadorcet, Genitori come gli altri. Omosessualità e genitorialità. Traduzione di Federico

Leoni. Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, Marzo, 2008. Titolo delnl'opera originale Des Parents

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aiuti a strutturarsi in una personalità e in una propria identità, grazie anche al quale i genitori stessi si ‘costruiscono’ come tali, anche perché la sua nascita, la sua produzione fisica stessa, non sono elementi sufficienti a trasformare i suoi genitori biologici in genitori a tutti gli effetti: essere nati da un uomo o una donna non basta per esserne figli, come non basta ‘semplicemente’ mettere al mondo un figlio o partorirlo. Accade piuttosto che questa procreazione biologica trasformi il rapporto di filiazione in un fatto sociale, poiché sono implicate e coinvolte diverse attività e figure esterne alla coppia e/o famiglia che contribuiranno a farlo diventare un adulto (educatrici all'interno di asili nido, maestre nella scuola primaria, ecc.). È la nostra cultura che ci ha sempre abituati a dare per scontato che un figlio sia frutto di un padre ed una madre, ed essa sottende ad una relazione pensata come naturale ed evidente. Infatti la nostra ‘idea’ di genitorialità è fondata su due corrispettive tripartizioni, ovvero ‘madre-figlio-padre’, e ‘sessualità-matrimonio-procreazione’. Da una trentina d’anni a questa parte, invece, si sono fatte strada altre tipologie di famiglia, che a loro modo, intervengono sul costrutto di filiazione. Mi riferisco alla famiglia fondata sulla convivenza, la famiglia adottiva, quella che ricorre alla PMA (Procreazione Medicalmente Assistita), la famiglia ricostituita o ricomposta, la famiglia affidataria e la famiglia omosessuale. Tutte queste forme rispettano ancora le linee del ‘modello di base’, anche se le coniugano in modo differente; cio però non accede nel caso della

famiglia omosessuale, perché i due partner, dai propri corpi non possono

(“direttamente”) darne vita ad un altro. In pratica quello che rivendicano queste famiglie è, oltre alla genitorialità di entrambe le parti, l’affermazione di uno status genitoriale e di una tipologia di coppia ben precisa e ‘categorizzabile’ che soprattutto non nasca dalla ‘complementarità sessuale intesa come procreativa’. Lascio compiere questa riflessione attraverso alcuni interrogativi: un figlio nasce sempre e comunque da un uomo e una donna, ma basta soltanto questo per collegare la dimensione biologica a quella affettiva? Solo se associamo la filiazione biologica alla filiazione giuridica, affettiva e sociale, riusciremo a concepire un nuovo tipo di modello genitoriale, secondo il quale il bambino potrebbe avere più figure materne e/o paterne di riferimento8. Potrebbe essere questo il caso della famiglia omosessuale? Riflettendoci su, essa ci aiuta a considerare altri modelli di riferimento, e soprattutto ci induce a capacitarci del fatto che il femminile e il maschile non si trovino all’interno dello stesso nucleo familiare. Si tratta di un tema scottante, controverso, sommerso e il più delle volte completamente negato, poiché ‘si tratta di rendere visibile l’invisibile’9, e di andare oltre per indagare e capire se e come la figura materna e paterna possano essere interscambiabili, oppure come in mancanza di una figura materna e paterna il processo di identificazione possa avvenire, se tramite figure sostitutive assunte arbitrariamente dal bambino, e che quindi lo portino ad acquisire la consapevolezza di essere femmina o maschio, di determinarsi l’identità sessuale e un orientamento sessuale. Le varie linee di pensiero ci permettono un approccio all’“invisibile” imparziale ed obiettivo, attuo ad indirizzarci alla formazione di una

8 Anne Cadorcet Genitori come gli altri. Cfr. p. 42-43.

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propria coscienza critica sull’argomento. Ma l’omosessualità in sé, in quanto rapporto affettivo e fisico con un altro individuo dello stesso sesso, può realmente essere un fattore esclusivo e di negazione della maternità o paternità? Un esempio pratico: un bambino concepito a seguito di ricorso a tecniche di procreazione alternative, come la procreazione assistita, rimarrà traumatizzato o subirà realmente danni se nascerà grazie ad un donatore sconosciuto o ad una madre portatrice? Sono questi quesiti che ci guidano verso l’acquisizione della consapevolezza che le strutture elementari della famiglie hanno subito una metamorfosi, che a sua volta ha portato ad un ampliamento e ad una modificazione del concetto stesso di padre e madre: da biologico a non biologico, da chi procrea a chi assolve la funzione educativa e affettiva, e da chi ha la patria potestà (o meglio la responsabilità genitoriale) a chi se ne prende cura. È così che l’appartenenza sessuale dei genitori non è più il punto di partenza, il punto di riferimento che ci permette di escludere a priori le relazioni affettive, i sentimenti e i rapporti tra femminile-femminile e maschile-maschile. Ed è proprio così che nascono le famiglie omosessuali, che possono nascere per esempio dopo la fine di un matrimonio con a seguito la separazione o il divorzio, e diventano un ‘modello eterosessuale alternativo della famiglia ricostituita’; oppure possono creare una ‘famiglia monoparentale omosessuale’, dove i genitori single non sono accompagnati e/o convivono con nessuno; o, ancora, si può parlare di ‘famiglie artificiali omosessuali’ in cui solo un genitore tra i due non è biologico dopo che abbiano fatto ricorso alla PMA10. A differenza degli Stati Uniti, per esempio, (in particolare a San Francisco) è quasi improponibile cercare di inquadrare il fenomeno, vuoi perché se ne nega l’evidenza, visto che queste famiglie sono già un dato di fatto, vuoi perché rimangono sommerse a causa dell’assenza di garanzie e tutele nei confronti non tanto di sé stessi, quanto dei propri figli. Definirle ‘nuove famiglie’ è giusto perché i figli vivono delle situazioni familiari diverse da quelle consuete, e quindi sono ‘portatori sani’ di modelli alternativi di strutture parentali.

La famiglia sta cambiando. Ma è mai stata uguale a se stessa?11Assistiamo oggi a continui scambi di modelli di convivenza dovuto ai flussi migratori, o anche ai messaggi che vengono veicolati dai mass media, che comportano cambiamenti molto più repentini rispetto al passato. Questo influisce anche perché la sensibilità giuridica e culturale nei confronti delle unioni omosessuali è cresciuta. Entrando più nello specifico il dibattito in corso in Italia sulla diade diritto-omosessualità consta di tre posizioni12:

1. l’omosessualità è una questione privata; 2. l’omosessualità riguarda la collettività;

3. l’omosessualità è una situazione che riguarda la collettività ed il legislatore dovrebbe occuparsene parzialmente.

Il primo punto (Cendon e Bilotta 2005) non è condivisibile perché nasconde una scelta morale di argomenti “filo-normativi”, e annulla il fatto che non tutti i problemi

10 Ibidem, cfr. p. 4-6. 11 Cfr. La gaia famiglia. 12 Ibidem.

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privati siano davvero irrilevanti per la società, come per esempio essere discriminati, e proprio per questo mette in campo una visione parziale dell’uomo che è un ‘animale sociale’.

Sostenere il secondo punto è ugualmente inopportuno poiché un individuo è libero di essere omosessuale allo stesso modo di un altro che ‘sceglie’ di essere eterosessuale, invece di essere limitato da regole, anche perché il diritto si dovrebbe adattare ai cambiamenti della società, e questo a maggior ragione perché gli omosessuali non devono assumere uno status in ragione del loro orientamento sessuale.

Infine, l’ultimo punto forse può essere quello più consono, poiché l’essere omosessuali implica una condizione particolare, che però andrebbe integrata con le (non)risposte che li vengono date13.

Ogni volta che una persona può scegliere solo una strada non si dovrebbe parlare neanche di possibilità di scelta, soprattutto se la famiglia viene considerata come una costruzione sociale. Per il Diritto Romano (dal quale il nostro diritto discende e ha le sue radici) per esempio, il diritto naturale e la famiglia naturale risultavano essere realizzazioni artificiali del pensiero umano dipendenti dai cambiamenti delle credenze, delle convenzioni e dei pregiudizi. O ancora nel mondo latino la ‘famila’ era un’istituzione formata anche da dieci persone tra schiavi e liberti di una ‘domus’ (domicilio). Ciò per dire che la famiglia può avere molte forme, essere poligamica, poliandrica, estesa, ristretta, patriarcale, matriarcale, ma la famiglia ‘naturale’ risulta essere un costrutto sociale che varia a seconda delle società e delle epoche14.

Una delle differenze fondamentali tra le famiglie coniugate o non eterosessuali e le famiglie omosessuali di fatto, riguardano i criteri di genere nella distribuzione del lavoro. In una settimana in media i mariti dedicano 46,8 ore al lavoro retribuito e 9 a quello domestico non retribuito; le mogli invece 18,8 ore di lavoro retribuito e 45,5 a quello domestico. A questo punto cosa accade se la coppia è formata da due donne o due uomini? I ruoli rimangono quelli predefiniti automaticamente così come si pensa avvenga nelle coppie eterosessuali? No. Perché non potendo seguire la tradizione, le prime negoziano la distribuzione dei compiti domestici in modo egualitario. Per quanto riguarda i figli, ancora oggi omosessualità e procreazione, padre gay e madre lesbica vengono considerati accostamenti terminologici a metà strada tra un ossimoro ed una espressione inconciliabile. Eppure nella ultima decade la questione ha raggiunto un’importanza e una visibilità sempre crescente, così da affermare che più della metà delle coppie omosessuali conviventi con meno di trent’anni desidera dei figli. L’unica variante che differenzia in modo lieve la frequenza del desiderio di diventare genitori, riguarda l’essere o meno praticanti, con un 52% degli omosessuali praticanti e il 44% dei non praticanti. Più in generale nel nostro Paese il 59% dei gay e il 47% delle lesbiche vorrebbe adottare un figlio, a differenza, rispettivamente, di un 8 e 26% che

13 Cendon e Bilotta, per capirsi, fanno l’esempio della ‘gaia famiglia’ così come intesa in tutto il testo:

all’impossibilità di procreare, non corrisponde l’incapacità di affetto.

14 (a cura di) Francesco Bilotta, Le unioni tra persone dello stesso sesso. Profili di diritto civile,

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ha preferenza per l’inseminazione artificiale. Le prime due opzioni non sarebbero concesse, o sarebbero illegali: l’unica opzione che rimane è quindi avere un rapporto con una persona del sesso opposto. Ciò accade soprattutto dopo i 35 anni, con un 76% dei figli con genitori omosessuali concepiti da una coppia sposata, un 11% da una coppia eterosessuale di fatto, e un 13% da un rapporto eterosessuale occasionale.

Tabella 1: I risultati sono stati ottenuti da un'analisi logistica lineare e dai dati raccolti nell'indagine su un campione di 3.500 omosessuali italiani.

Infatti, in vari contesti e situazioni è possibile avere più figure di padre e madre, e può succedere che costoro non vivano insieme. Sono questi gli esempi delle famiglie di accoglienza, o delle coppie divorziate: non bisognerà interrogarsi su queste tipologie di famiglia, come sul fatto che esse siano innanzitutto differenti da quelle convenzionali nelle quali il bambino non vive con chi l’ha generato ma vive con ‘due madri e due padri’? È questo il caso delle famiglie omosessuali e dai loro figli, che possono essere caratterizzate da quattro possibili configurazioni15:

1. ricomposizione familiare con il partner omosessuale a seguito della fine di unione eterosessuale;

2. situazione di cogenitorialità in cui i futuri genitori omosessuali vivendo da soli o in coppia, hanno concordato di avere un figlio e di allevarlo tra due unità, una esclusivamente femminile, l’altra esclusivamente maschile;

3. ricorrere all’adozione;

4. avere un figlio nato da PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) o inseminazione artificiale.

In particolare le ultime tre situazioni intervengono su due problemi, ovvero quello del peso simbolico della dimensione biologica nell’orizzonte della genitorialità, e quello della sovrapponibilità tra coppia genitoriale e coppia coniugale. Per esempio, nella situazione di cogenitorialità i genitori biologici corrispondono con quelli sociali

15 Ibidem, cfr. p. 17.

PERCENTUALE DI GAY E DI LESBICHE CHE HA FIGLI E PERCENTUALE CHE DESIDERA

AVERNE UNO, PER CLASSE D’ETÀ

CHE HA FIGLI CHE DESIDERA

AVERE FIGLI

UOMINI DONNE UOMINI DONNE

Fino a 24 anni - 1 57 54

25-29 anni 1 1 55 54

30-34 anni 2 5 48 40

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perché desiderano dare al figlio un padre e una madre presenti, poiché non è una semplice ‘riproduzione biologica’ ma il frutto dell’incontro e dell’interscambio dell’unione di due genitori; circolando tra due nuclei familiari la sua diventa una famiglia che non offre una mera rappresentazione di genere. Chi opta per questa soluzione assume un modello che prevede la circolazione del bambino tra le due famiglie, dove sono le donne ad accudire e gestire il bambino quotidianamente, mentre gli uomini tengono il figlio durante i fine settimana.

In particolare il terzo punto, ovvero quello preso da me in esame, ci porta a considerare la genitorialità adottiva come genitorialità sociale, priva di ogni riferimento biologico. Accadrà inoltre che sicuramente una coppia omosessuale intenzionata ad adottare, si interroghi già sul tipo di filiazione che genereranno, così come lo farà una coppia eterosessuale. Quale sarà la struttura familiare più adatta? Quella che offre al bambino una ‘parentela biologica o acquisita’? Oppure quella che gli possa offrire un ambiente educativo consono al suo sviluppo? In questo senso la capacità genitoriale viene messa equivalentemente e preventivamente alla prova da entrambe le parti, ma non sarà ‘misurabile’ fino a quando il bambino non arriverà. Infatti quello che chiedono i gay e le lesbiche è anche questo: fare uno sforzo per ampliare e integrare la nostra tradizionale rappresentazione della famiglia. Così facendo non si tratterebbe più di un rifiuto a priori di principio, anche perché ogni adozione comporta un ‘rischio individuale’, legato al periodo storico e alla cultura del soggetto. È anche vero però che spesso, gli esperti affermino esplicitamente che un omosessuale nubile o celibe non possa offrire garanzie sufficienti per sostenere una buona e sana omogenitorialità. Quindi anche in questo caso il bene supremo del minore viene considerato in astratto, perché non ci si attiene a risultati concreti, magari e a seguito di un periodo di pre-affidamento. Possono essere realmente questi esempi di un ‘cattivo espletamento di stile genitoriale’? Sicuramente non si può e non si deve negare il fatto che la famiglia omosessuale darebbe vita ad una struttura familiare con delle proprie peculiarità. ‘Nel momento in cui l’elemento biologico cessa di sovrapporsi agli altri elementi – sociali, giuridici, affettivi – diventa necessario dotarsi di una costruzione simbolica capace di sostituire il piano biologico, e di ridargli un senso coerente in relazione con gli altri fattori in gioco. Ciascuno di tali ruoli sottende un insieme di diritti, doveri e di esperienze che generano di volta in volta un legame specifico tra i genitori e il figlio’. Se si considera il fatto che il ruolo di entrambi i genitori e l’insieme delle loro relazioni si costruiranno vicendevolmente e passo dopo passo, questa riflessione sopraggiunge spontanea. Una volta arrivato il/la bambino/a poi, occorre dichiararsi genitori pubblicamente, e far si, finalmente, che non ci si debba più accontentare delle briciole del proprio rapporto con i figli, ma che si possa godere a pieno dello ‘status genitoriale’ (poiché un individuo non è meno donna o meno uomo perché omosessuale). Nella pratica dell’adozione la filiazione si distacca dalla generazione, quindi è necessario prendere in esame una duplice filiazione, che è quella naturale o biologica, e quella sociale o giuridica. Questa scissione avviene con la sola differenza che la coppia eterosessuale la idealizza, perché costituita da maschile e femminile, mentre la seconda la costruisce esplicitamente perché è costituita implicitamente da “doppio femminile” o “doppio maschile”. Se la nascita e la

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filiazione non venissero confuse tra di loro, ma fossero distinte e separate in base alle loro specificità, verrebbe a cadere anche la repulsione manifestata nei confronti dell’omogenitorialità16. Inoltre se fossimo in grado di considerare e di concepire la procreazione al di fuori del rapporto sessuale, operando un ulteriore scissione, la concezione plurisecolare del matrimonio occidentale che sovrappone le tre dimensioni ‘sessualità-procreazione-filiazione’, terminerebbe e lascerebbe dietro di sé strascichi di interrogativi che fanno ragionare innanzitutto, se le risposte fossero positive, sul fatto che sarebbe necessaria una collocazione in un contesto familiare da ‘scegliere’ tra eterosessuale, omosessuale o single.

I paesi europei dove l’inseminazione assistita dai medici può essere richiesta da donne singole o da coppie lesbiche sono la Spagna, l’Inghilterra, il Portogallo, il Belgio, l’Olanda. Questi ultimi due lasciano la decisione alle singole cliniche molte delle quali lo permettono. In Italia il governo Berlusconi nel 2005 ha approvato la legge sulla fecondazione assistita per cui l’accesso alle tecniche è possibile solo alle coppie sposate con matrimonio tradizionale.

1.1. Alcune precisazioni terminologiche e concettuali

Ma facendo un passo indietro, che cosa vuol dire, nello specifico, appartenere al genere femminile o maschile? È davvero così semplice classificare un uomo e una donna? Judith Butler17 è convinta del contrario, e nel suo libro affronta i luoghi comuni che si nascondono dietro la presunzione di poter assegnare un’identità in base al sesso e alle fattezze fisiche. Mettendo in discussione alcune delle apparenti certezze sulle quali si è formato il pensiero comune, dove lesbiche, gay, e altri “guai del genere” sono i testimoni di un desiderio che non rientra nel binomio dei due sessi e che rivela come il corpo sessuato non sia un puro dato biologico ma una costruzione culturale, la filosofa californiana si interroga sulla possibilità o meno di riferirsi ad un ‘dato’ sesso o ad un ‘dato’ genere senza prima indagare il modo in cui e gli strumenti attraverso i quali il sesso e/o il genere viene associato. Da qui la Butler fa emergere la necessità di costruire un approccio genealogico che critichi la naturalizzazione del sesso e dei corpi in generale, e che sappia individuare le operazioni che producono e nascondono ciò che si qualifica come soggetto. “Crescendo, ho capito qualcosa riguardo alla violenza delle norme di genere: uno zio incarcerato per il suo corpo anomalo dal punto di vista anatomico […]; cugini gay cacciati di casa per via della loro sessualità, reale o immaginata; il mio turbolento coming-out all’età di sedici anni; […] Tutto questo mi ha esposta a condanne veementi e dolorose, ma per fortuna non mi ha impedito di inseguire il piacere e di cercare un riconoscimento legittimante per la mia vita sessuale. È stato difficile descrivere questa violenza proprio perché il genere veniva insieme

16 Genitori come gli altri, cfr. p. 110-115-116-117.

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dato per scontato e vigilato con vigore”18. Ella si ostinata nel tentativo di ‘denaturare’ il genere, perché questo tentativo deriva da un intenso desiderio di combattere questa violenza normativa insita nelle morfologie ideali del sesso e nelle tesi pervasive sull’eterosessualità naturale o presunta da dibattiti accademici sulla sessualità. Secondo il suo punto di vista, non basta contrapporre alla norma eterosessuale quella omosessuale, perché quando si mettono in dubbio queste categorie entra in crisi anche la realtà, e ciò che viene considerato reale diventa quindi questa realtà sovversiva che può essere rivista e modificata, e quindi non più data per scontata.

La Butler mutua, inoltre, il concetto della “Queer Theory”, ovvero la teoria che nacque in seno agli studi gay e lesbici, agli studi di genere e alla teoria femminista, per analizzare in particolare, il modo in cui un comportamento viene definito "naturale" o "innaturale" rispetto al comportamento eterosessuale, e comprendendo qualsiasi attività o identità sessuale che ricada entro le categorie di normativo e deviante. In particolare, questa teoria rigetta la creazione di categorie ed entità-gruppo artificiali e socialmente assegnate basate sulla divisione tra coloro che condividono un'usanza, un’abitudine o uno stile di vita, e coloro che non lo condividono.

In pratica sulla scia delle tesi di Michel Foucault, Jacques Derrida e Julia Kristeva, la Queer Theory mette in discussione la naturalità dell'identità di genere, dell'identità sessuale e degli atti sessuali di ciascun individuo, affermando invece che esse sono in parte o interamente costruite socialmente, e che quindi gli individui non possono essere realmente descritti usando termini generali come "eterosessuale" o "donna". Essa sfida pertanto la pratica comune di dividere in compartimenti separati la descrizione di una persona perché "entri" in una o più particolari categorie definite; tutto ciò viene fatto attraverso l’opposizione a concezioni che formulano presunzioni sui limiti e sulla proprietà del genere riducendo il significato di quest’ ultimo alle nozioni di mascolinità e femminilità. Quello che viene fatto in ‘Scambi di Genere’19 è un lavoro di traduzione culturale, che porta a scoprire come le pratiche sessuali non normative mettano in dubbio la stabilità di genere in quanto categoria di analisi, e come determinate pratiche sessuali impongano il quesito: che cos’è una donna? Che cos’è un uomo? A seguito della lettura di ‘The Traffic in Women” di Gyle Rubin, la filosofa californiana acquisisce l’idea che, in breve, si è donne nella misura in cui ci si comporta come tali nella cornice eterosessuale dominante, e metterla in discussione significa perdere parte della propria collocazione nel genere. Il legame che emerge tra genere e sessualità non è costituito da determinate forme di pratica sessuale che producono determinati generi, ma invece da condizioni di eterosessualità normativa, e dalla vigilanza sul genere che garantisca l’eterosessualità.

Ella riprende anche la questione delle donne come soggetto del femminismo, quindi suppone politicamente che il problema sia stato quello di costruire la categoria delle donne come soggetto coerente e stabile solo nella matrice eterosessuale. Fa riferimento addirittura ad una ‘genealogia femminista’ della categoria delle donne. Continua a de-strutturare le categorie del sesso, del genere e del desiderio,

18 Ibidem, pag. XXIV della Prefazione (1999). 19 Ibidem.

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soffermandosi su quella di genere per sostenere quello di cui sto discutendo in questo primo capitolo, ovvero che la distinzione tra sesso e genere sia culturalmente costruita. Ma mi chiedo: esiste realmente un genere che gli individui hanno o esso è semplicemente ‘sottointeso’ come quando io domando: di che genere sei? Oppure, durante l’incontro con una nuova persona, mi presento con una stretta di mano e dico: “Salve mi chiamo Caio e sono eterosessuale. Tu?”. Quindi questa realtà data per scontata, costruita e predeterminata, non può più essere trasformata e ricostruita? Ormai è semplicemente e irrimediabilmente determinata socialmente? Per rispondere, si potrebbe invece pensare prima al ‘lato umano’ del concetto, ed evitare che la cultura in cui siamo cresciuti, ci siamo formati, dove i nostri valori e le nostre credenze ci hanno accompagnato e a volte condizionato, fissino il genere, e facciano pensare al fatto che il destino non sia la biologia ma proprio quella precisa cultura. Entro questi termini, scrive la Butler, assistiamo ad una restrizione linguistica, che identifica il corpo come un mezzo passivo su cui vengono ‘iscritti’ i significati culturali, oppure dove esso diventa lo strumento interpretativo del significato della cultura in sé. Comunque in tutti e due i casi, il corpo stesso diventa una costrizione, prima ancora del marchio del genere. Questa riflessione e analisi, ci dovrebbe aiutare a capire che ciò che ci limita è una cultura che viaggia su due binari paralleli di genere (maschile e femminile) che non si incontreranno mai.

Ne consegue che, riportando la riflessione all’oggetto del mio elaborato di tesi, il discorso relativo alla famiglia e alla genitorialità omosessuale deve essere collocato all’interno di tale contesto semantico. Parlare di omogenitorialità, pertanto, non vuol dire fare riferimento ad una tipologia di famiglia ‘patologica’, né ridurre il tema ad una specie di ghettizzazione discorsiva, ma più che queste ultime (famiglia e la genitorialità omosessuale) rappresentano rispettivamente, una delle possibili composizioni del sistema familiare e una delle possibili espressioni della genitorialità, al pari di tutte le altre. Altresì, accade che ci siano figli molto più spesso nelle coppie lesbiche che in quelle gay, perché le prime sono state sposate più dei secondi, e in caso di separazione e/o divorzio i figli vengono affidati alle madri. Grazie ai progressi delle tecnologie della riproduzione poi, un numero sempre maggiore di donne omosessuali ha fatto riscorso alla tecnica dell’inseminazione artificiale attraverso le banche del seme o attraverso quello di un donatore.

“Noi chiamiamo contro natura quello che avviene contro la consuetudine; non c’è niente se non secondo essa, qualunque cosa sia. Che questa ragione universale e naturale cacci da noi l’errore e lo stupore che ci arreca la novità”20. Si parte da queste frasi per arrivare al concetto dei ‘diversi intenzionali ed esistenziali’, ovvero coloro che nel palcoscenico dei greci erano divisi nei due mondi della commedia e della tragedia. Leslie A. Fiedler interpreta quattro tipi di diversi nell’opera di Shakespeare, secondo il quale pensiero due individui dello stesso tipo, due uomini, possono trovare l’unità nell’amore, mentre è impossibile per un uomo e una donna che sono esseri

20 Hans Mayer. I Diversi. La donna, l’ebreo, l’omosessuale: tre aspetti della diversità. Miti, personaggi,

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diversi, e quindi estranei l’uno all’altro, raggiungere questa comunione. Egli, interpretando il drammaturgo e poeta inglese, nota che nelle sue commedie le donne, che sono rappresentate da uomini, si travestono di continuo da uomini […].

Se dovessimo ragionare sul concetto stesso e sul senso ultimo della genitorialità poi, potremmo definirla come una funzione autonoma e processuale dell’essere umano21 che esiste indipendentemente dall’atto del concepimento, ed essa può essere adeguatamente espressa anche in assenza di generatività biologica22 (come ad esempio il caso dell’adozione); o ancora, può essere esercitata in assenza della relazione coniugale (nel caso di ragazze madri), oppure può prescindere dal vincolo matrimoniale, come accade per le coppie di fatto. E potremmo anche riprendere il contributo di Marika Moisseeff23, nel quale distingue, da un lato, due differenti status relativi alla condizione del bambino, e dall’altro, due diversi statuti inerenti al sesso maschile e femminile al momento della filiazione. I primi riguardano:

- la totale dipendenza affettiva e materiale temporanea del bambino; - un rapporto di filiazione prolungato oltre la fine dell’infanzia.

Questi status producono due tipi di filiazione, ovvero quella definita ‘parenthood’ della prima infanzia, durante la quale il bimbo è nutrito ed educato solo quando è effettivamente presente, e quella definita ‘kinship’ successiva ad essa, e cioè il quadro simbolico all’interno del quale ognuno ricopre una posizione sociale, e si è cugini, zii, nipoti, ecc., di qualcuno. Il bambino quindi viene iscritto nell’albero genealogico al quale appartiene e viene inserito in una rete di relazioni.

In questa analisi, il fatto di distinguere i due momenti che caratterizzano la filiazione, quello provvisorio caratterizzato dall’infanzia, e quello duraturo costituito dalla funzione genealogica, messo a confronto con la nostra società, pone in evidenza come la differenziazione dei ruoli sessuali nella costruzione del rapporto di filiazione sia stata abolita, e quindi l’esercizio del ruolo genitoriale non sia più necessariamente correlato ad un unico nucleo familiare, come lo è la famiglia nucleare. Questo perché esistono altre tipologie di strutture familiari come: la famiglia estesa, formata da una sola unità coniugale e uno o più parenti conviventi; la famiglia multipla, formata da due o più nuclei familiari; la famiglia senza struttura coniugale, formata da persone che convivono, e la famiglia solitaria, formata da una persona sola24. Ciò è quindi indice del fatto che si articolano su nuclei differenti che sono intersecati tra di loro.

21 Cfr. Stern, 1995.

22 Cfr. Fava Vizziello, 2003.

23 Etnologa e psichiatra, ha fatto ricerche approfondite sui sessi e la procreazione, riti di iniziazione, i

giovani, le relazioni tra genitori e figli, e della società aborigena e la cultura in generale. Attualmente è responsabile della ricerca presso il CNRS, Centro nazionale francese per la ricerca scientifica.

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1.2. Sfatare miti, pregiudizi e luoghi comuni

Ci sono alcuni quesiti poi, che testimoniano il fatto che alcuni luoghi comuni e pregiudizi, invece di fornire quelle integrazioni, ovvero risposte in merito alle mancanze ‘fatte notare’ dalle coppie omosessuali, incornicino il rifiuto dell’“adozione ai gay”. Essi sono cinque: a) un bimbo ha bisogno di un padre e un madre? b) I bambini sono danneggiati psicologicamente dalla mancanza di una figura materna o paterna? c) È meglio per i bambini crescere in una famiglia conforme alla norma, altrimenti la diversità li renderà infelici? d) I figli saranno destinati ad assomigliare ai genitori riproducendo modelli di mascolinità e femminilità? e) Come fanno i bambini a distinguere una mamma dall’altra e un papà dall’altro25?

Una breve premessa prima di rispondere a queste domande, in merito alle vie alternative alla genitorialità omosessuale però, è doverosa. Diventare genitori per una coppia gay o lesbica può significare dover ricorrere all’adozione (pratica legale nel Regno Unito, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Islanda, Israele, ecc., tranne che in Germania, Finlandia e Groenlandia, dove il convivente registrato con una persona dello stesso sesso può adottare i figli naturali e adottivi del partner), alla PMA, Procreazione Medicalmente Assistita, dove le donne ricorrono alla IAD, Inseminazione Artificiale con Donatore (anonimo o reperito tramite banca del seme), mentre gli uomini ricorrono alla ‘maternità surrogata’ o volgarmente, ‘utero in affitto’. Da non dimenticare è che un’altra possibilità può rivelarsi essere anche un figlio nato da precedente matrimonio o relazione eterosessuale.

Ritornando ai nostri interrogativi, i primi due quesiti sono strettamente correlati tra di loro, quindi seguirà un’unica risposta. L’istinto farebbe rispondere automaticamente di si. Ma se invece ci fermassimo a riflettere sul perché in realtà questo automatismo accade? La risposta potrebbe essere: perché si parte dal primo

livello, da quello biologico, ovvero dall’unione dei gameti maschili e femminili che si

incontrano nell’utero materno, sovrapponendolo e confondendolo con il fatto che, e qui arrivo direttamente alla risposta del secondo quesito, il modello dominante in Occidente sia quello di ‘famiglia coniugale intima’ (Danna 2005), ovvero eterosessuale. Questa sottovalutazione non fa focalizzare l’attenzione invece sulla qualità della relazione, sul fatto che per crescere un figlio occorre che i due genitori costruiscano dapprima un rapporto armonico e strutturino di conseguenza un ambiente familiare e positivo. Quindi, la diversità dei genitori non deve essere solo di sesso, di figura, ma di funzione materna o paterna, perché psicologicamente il bambino ha bisogno che venga espletata la prima funzione attraverso l’accudimento affettivo-materiale, e la seconda attraverso l’introduzione autoritaria di disciplina e senso della realtà che comporta la scissione della diade madre-bambino/a. Altresì queste funzioni possono essere interscambiabili, e non fissate dal genere, che consta di tre parti: il

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sesso biologico (essere uomo o donna), l’identità di genere (sentirsi uomo o donna), e l’orientamento sessuale (essere omosessuali o eterosessuali).

Nel terzo punto, la sofferenza che dovrebbero affrontare, si può individuare una diversità, che risulta essere proprio quella che in una coppia lesbica, per esempio, il padre non ci sia mai stato fin dalla nascita, e di conseguenza non ci sono o saranno traumi da abbandono (o da divorzio) perché sono la madre e la co-madre26 che assolvono alle due funzioni fondamentali. Una cosa da fare però è doverosa: quella di parlare si della propria omosessualità, com’è normale e giusto che sia, ma soprattutto del pregiudizio da imparare a riconoscere e combattere.

E il quarto punto parte proprio da questo presupposto, quello di sfatare il mito che i figli/e degli omosessuali saranno, più o meno ‘uomini effemminati’ o ‘donne mascoline’. Cosa significa questo? Che non serve essere conformisti o conservatori, perché non necessariamente i/le figli/e diventeranno omosessuali perché figli di omosessuali, come, viceversa, non tutti i/le figli/e degli eterosessuali diventeranno delle persone con orientamento sessuale eterosessuali. Solo, come dimostreranno alcuni studi e ricerche27 (Stacey e Bliblarz 2001), le variazioni nei comportamenti caratterizzeranno il fatto di non conformarsi alle norme culturali di genere. Sicuramente l’orientamento sessuale dei genitori conta. Riportata in appendice è una raccolta di ventuno ricerche sulla genitorialità omosessuale che si concentrano sul comportamento sessuale e sull’identità dei figli/e: Stacey e Bliblarz escludono assolutamente risvolti negativi e la presenza di eventuali danni causati dal fatto di avere dei genitori omosessuali. Questo per i seguenti motivi:

 le gravidanze sono sempre desiderate (Ariel 2003);

 le coppie gay o lesbiche sono più unite, flessibili ed egalitarie (Blumstein e Schwarz 1983);

 le co-madri o madri sociali (non biologiche o naturali) risultano essere più coinvolte nella vita dei propri figli/e rispetto ai padri o partner eterosessuali;  i figli rivelano livelli di benessere emotivo e funzioni cognitive (livelli di

adattamento, autostima, ansia e depressione) simili a quelli dei figli eterosessuali;

 mostrano livelli di tolleranza altrui superiori (O’Brient 2001);

 in particolare, i figli maschi rivelano tassi di aggressività inferiori rispetto ai figli degli eterosessuali e una vita sessuale più tardamente attiva (Gelnaw 2003);

 le figlie femmine spesso non aderiscono agli stili di abbigliamento, nelle attività e nelle aspirazioni occupazionali tradizionali, rivelando un approccio alla vita sessuale più precoce.

Ciò che si indaga principalmente è l’influenza sui figli dell’orientamento sessuale dei genitori, ed essa è misurata con tre classi di variabili. Scendendo nello

26 Anche qui la distinzione tra genitore biologico e genitore sociale è opportuna. La Gaia Famiglia, pp.

55-56.

27 Cfr. American Sociological Review (2001); per una rassegna aggiornata, cfr. Tasker e Patterson 2007;

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specifico, la “Tabella 1” raccoglie i dati sull’orientamento sessuale dei genitori misurato in base al: 1) comportamento di genere/preferenze di genere; 2) comportamento sessuale/preferenze sessuali; 3) benessere psicologico. Mentre la “Tabella 2” raccoglie i dati sulla relazione esistente tra l’orientamento sessuale dei genitori e: a) genere e sviluppo sessuale dei bambini; b) pratiche genitoriali (orientamenti educativi e abilità genitoriali); c) rapporto tra figli/e, convivente o non convivente; d) autostima e benessere psicologico del genitore. Il segno “+” indica poi un livello più alto nel contesto omosessuale che in quello eterosessuale (quindi vuol dire che statisticamente sono significativi e rilevanti), il segno “–‘ sta ad indicare un livello più basso in quello omosessuale rispetto a quello eterosessuale; il segno “0” sta a significare che non vi è nessuna differenza statisticamente rilevante tra il contesto omosessuale e quello eterosessuale, e il segno “0/+” indica esiti misti. Infine il segno “( )” indica i limiti della significatività statistica (ovvero la possibilità rilevante che compaia un determinato valore).

In sintesi, diciotto di queste ricerche giungono alla conclusione che non c’è nessuna differenza tra genitori omosessuali ed eterosessuali per quanto riguarda lo stile genitoriale, l’equilibrio emotivo e l’orientamento sessuale dei figli (Allen e Burrel 1996). Stacey e Biblarz arrivano a sostenere che i genitori omosessuali e i loro figli non siano diversi né per quanto riguarda il benessere psicologico, né per le funzioni cognitive, infatti i punteggi degli stili genitoriali e del livello di investimento sui figli è pari a quello dei genitori eterosessuali. Anche la qualità delle relazioni non è intaccata, nonostante i bambini possano essere oggetto di pregiudizio o stigmatizzazione sociale.

È nell’ambito delle preferenze sessuali, invece, che emergono delle differenze, e cioè una maggiore apertura a esperienze omosessuali e una conseguente minore conformità con gli stereotipi di genere, anche se la maggioranza si identifica poi come eterosessuale.

Questa ricerca mette in luce come l’eterosessismo abbia ostacolato il progresso scientifico e culturale in questo campo, poiché ha determinato una tale pressione ideologica che ne ha limitato lo sviluppo, e ne ha costituito ‘l’asserzione della “non differenza” come sola opportunità di supportare la causa delle famiglie omosessuali’. La teoria della “non differenza” sta ad indicare che non ci sono differenze significative tra i figli allevati da coppie etero e i figli allevati da coppie omosessuali. Più nello specifico, è proprio l’effetto postumo del pregiudizio sociale che secondo Stacey e Biblarz spinge i figli a considerare influente l’orientamento sessuale dei genitori.

Ricapitolando, per quanto concerne il genere:

o Green et al. (1986). Le figlie di madri lesbiche si comportano, si vestono e giocano in modo non conforme alla consuetudine della propria cultura. Sono più interessate ad attività sia maschili che femminili, mentre le figlie di madri eterosessuali sono interessate di più a quelle esclusivamente femminili, con percentuali rispettivamente del 53% e del 21%. Per i maschi, invece, il modo di vestire e le aspirazioni occupazionali rispecchiano il proprio genere, a differenza del comportamento che è meno stereotipato.

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Per quanto riguarda l’orientamento sessuale:

o Tasker e Golombok (1997). Secondo questa ricerca è maggiore il numero dei figli che hanno avuto una relazione omosessuale o che lo hanno solo pensato, così come accade anche per i figli degli eterosessuali, a dimostrazione del fatto che l’orientamento sessuale dei genitori non influenza direttamente i desideri sessuali dei figli. Per quanto concerne l’attività strettamente sessuale durante l’adolescenza, è superiore nelle figlie di donne lesbiche che hanno più partner, rispetto ai figli maschi.

Per la salute mentale dei figli:

o Patterson (1994). I livelli di ansia, depressione, autostima, ecc., sono uguali per entrambi i/le figli/e, con una lieve preferenza per i maschi.

Riguardo lo sviluppo sessuale e di genere dei figli:

o Hoeffer (1981). Le madri lesbiche rispetto a quelle eterosessuali sono meno preoccupate se i figli svolgono attività correlate al genere o meno.

o La genitorialità omosessuale dei genitori permette ai figli di ampliare i propri repertori sessuali e di genere, anche perché è stato rilevato attraverso il “Bem Sex Role Inventory” (un questionario autosomministrato secondo il quale un individuo attribuisce a sé stesso 60 diversi aggettivi, 20 dei quali associabili al genere maschile, 20 a quello femminile e 20 neutri). Le madri lesbiche come quelle etero riescono ad attribuire qualità maschili o femminili ad un/a ragazzo/a ideale, tranne per il fatto che proiettano le proprie caratteristiche come desiderabili (Sara Bem, 1971).

Concernente le pratiche genitoriali:

o Bozett (1987a, 1987 b, 1989). I figli di padri gay hanno un buon rapporto positivo con il genitore, ma hanno paura di essere additati come futuri omosessuali;

o Furstenberg e Cherlin (1991), Simons and Associates (1996). Le madri per fattori di genere, tendono ad impiegare più tempo e sono più adatte a curare i figli nelle loro fasi cruciali di sviluppo cognitivo, emotivo e sociale rispetto ai padri;

o Brewaeys (1997). Le madri sociali lesbiche hanno delle abilità genitoriali più spiccate rispetto ai padri, dove la coppia risulta più sincronica nell’esercitare la genitorialità rispetto sia ai padri divenuti tali tramite la fecondazione assistita che a quelli i padri biologici, e ciò fa sì che i loro figli vengano allevati meglio (per quanto riguarda nello specifico l’accudimento, e l’essere seguiti negli studi);

o Flaks et al. (1995), Chan et al. (1998). I vantaggi delle co-madri nell’allevamento dei figli sono dovuti al fatto stesso di essere donne e non dipendono dall’orientamento sessuale.

Infine, in merito al benessere dei genitori:

o Wardle (1997). Le madri lesbiche hanno risorse psicologiche superiori;

o Boykin (1996). I fattori etnici influiscono sul grado di tolleranza da parte dei genitori. Gli omosessuali bianchi sono meno tolleranti di quelli di colore, per esempio.

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Per rimanere in tema, esiste anche una rassegna postuma alle pubblicazioni di Stacey e Biblarz, che può essere considerata come una nuova prospettiva di ricerca28. Mi riferisco all’articolo di Victoria Clarke che pubblica nel 2002, nel quale prende in esame le differenze che ci sono tra famiglie omosessuali ed eterosessuali, individuando quattro dimensioni rispetto agli studi che sono stati condotti sulla genitorialità omosessuale. Le quattro dimensioni sono strettamente correlate con le differenze emerse negli studi e sono le seguenti:

1.1 nessuna differenza: rientrano in questa dimensione l’articolo di Hellen Barrett e Fiona Tasker pubblicato nel 2001 dalla rivista ‘Educational & Child Psychology” intitolato ‘Growing up with a gay parent: views of 101 gay fathers on their sons’ and daughters’ experiences’. Dai risultati emersi non si evincono differenze di genere, nonostante i figli siano a conoscenza dell’orientamento sessuale del padre. Anzi nel caso contrario (madre lesbica), la presenza della compagna convivente della madre ha risvolti positivi sullo sviluppo del bambino;

1.2 lo studio di Golombok et al. (2003): la relazione madre-figlio/a è connotata da un buon livello di adattamento, quindi il rapporto è positivo.

2. Differenza di tipo deviante nelle famiglie omosessuali: questa dimensione non è contemplata.

3. Differenza di tipo trasformativo (ovvero trasmissivo/socio-culturale) nelle famiglie omosessuali: Bos et al. (2004). Dal confronto di un centinaio di famiglie omosessuali con altrettante famiglie eterosessuali emerge innanzitutto che le madri omosessuali sono ugualmente competenti di quelle etero. In secondo luogo le prime sono meno preoccupate che i propri figli siano o meno conformi ai ruoli associabili al genere;

3.1 Jill Crisp (2001), indaga il rapporto tra madre lesbica e figlio maschio. Anche se il campione è circoscritto (8 madri), emerge una contraddizione tra la consapevolezza di sé e il rendere pubblica la propria vita privata nella realtà del proprio figlio, e il desiderio che costoro non si sentano fuori luogo o non graditi.

4. Differenza nelle famiglie omosessuali causata esclusivamente dall’oppressione che esse subiscono: Mary Louise Lambert (2002) attraverso il “Minority Stress”29 o teoria dello stress delle minoranze spiega come le famiglie omogenitoriali vivano un continuo disagio poiché vittime di stigmatizzazione;

4.1 Joseph Gregory Kosciw nel 2003 afferma che l’omofobia vissuta male dai figli può essere motivazione e spinta ad una genitorialità positiva;

4.2 la madre sociale è l’oggetto dei due studi di Daphne L. McClellan (2001) e Katrien Vanfraussen et al. (2003), che rispettivamente arrivano, l’una alla conclusione che il fatto che la co-madre non sia né la madre biologica né quella adottiva del/la bambino/a è un incentivo che spinge e rafforza le capacità genitoriali,

28 Genitori come gli atri. Omosessualità e genitorialità, p.105

29 Teoria elaborata da Ilan H. Meyer, psichiatria americana, Professore di Scienze Cliniche

Sociosanitarie e Vice Presidente per i programmi MPH presso il Dipartimento di Scienze medico-sociale a Mailman School of Public Health della Columbia University.

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l’altra, che focalizzandosi sull’inseminazione artificiale e rapportandola alla madre biologica, non trova differenze nella qualità del legame;

4.3 le famiglie adottive omosessuali, e in particolare l’attaccamento madre-figlio/a, sono prese in esame da Susanne Bennett (2001): l’80% dei bambini sviluppano un attaccamento primario con una delle due madri;

Ma come reagiscono i figli quando vengono a sapere dell’orientamento sessuale dei propri genitori? Come vivono la propria situazione familiare ‘diversa’ con la cerchia dei pari? La maggior parte dei bambini ne acquisisce la consapevolezza gradualmente e in modo indiretto (Stevens et al., Golombok, 2003), e quasi tutti i bambini ne parlano tranquillamente con gli amici più stretti, e rispondono alle domande quando li vengono poste.

La distanza che separa la genitorialità e la biologia consente di istituire un ordine simbolico capace di evolvere in funzione delle trasformazioni radicali attraversate dalle strutture familiari, e una di queste è proprio l’omogenitorialità. È il senso della

sessuazione che viene messo in dubbio nella nostra società all’interno di una famiglia

omosessuale, per la quale, la complementarietà sessuale può ottenersi in altri modi. Nel caso della ricomposizione familiare e della cogenitorialità il bambino ha un padre e una madre riconosciuti. Nel caso dell’adozione da parte di single, uomo o donna, il bambino ha un padre e una madre biologica. Nel nostro caso i figli non nascono da un rapporto sessuale e quindi non vi è alcuna complementarietà sessuale. Allora cosa può accadere? Che magari le coppie omosessuali non potendo sovrapporre matrimonio-filiazione-procreazione ci condurranno verso lo sviluppo di un modello nuovo di genitorialità in grado di rispettare sia gli aspetti biologici che sociali. È pur vero che quest’ultima deve essere inserita nel quadro concettuale della multigenitorialità poiché non in grado autonomamente di dar luogo alla riproduzione sociale, e quindi di assicurare il rapporto di filiazione30. Dal 1973 ad oggi, ovvero dal momento in cui l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, ha depennato l’omosessualità dall’elenco delle psicopatologie, anche la variabile dell’identità sessuale si è progressivamente discostata dal semplice riferimento alle pratiche sessuali, e si è avvicinata maggiormente ai fattori relazionali, di vicinanza affettiva ed emotiva.

1.3. L’adozione nel mondo

Continuerei affrontando dal punto di vista culturale il tema dell’adozione a favore delle coppie gay, facendo ‘un giro nel mondo’, e fornendo diverse statistiche che ci possono far capire come il nostro Paese sia tra i rimanenti che non ha ancora trovato delle soluzioni alternative alla questione in oggetto (fonte Wikipedia). Le coppie dello stesso sesso possono accedere alla pratica dell'adozione di minori in 21

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Paesi: Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Austria, Malta, Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda. In altri Paesi non è consentita propriamente l’adozione di minori da parte di coppie dello stesso sesso, ma viene riconosciuto a chi è in coppia con una persona di sesso uguale l'adozione dei figli naturali e adottivi del partner; tra questi vi sono Germania, Finlandia e Groenlandia, attraverso la cosiddetta “Stepchild Adoption”. In particolare le leggi dei paesi dell’Unione Europea che ammettono il matrimonio o l’unione civile tra persone dello stesso sesso sono la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda e la Francia.

In Israele, nel gennaio 2005 la Suprema Corte ha permesso alle donne lesbiche di adottare i figli del o della partner. Per le coppie omosessuali di sesso maschile, ci sono casi aperti presso la Corte Suprema ma non è ancora possibile l'adozione.

Spostandoci in Europa, vediamo che in Austria l'adozione di minorenni da parte di coppie omosessuali è stata legalizzata il 14 gennaio 2015, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale austriaca che ha dichiarato non conforme alla costituzione il divieto fino ad allora esistente. In precedenza, grazie ad una legge promulgata nel 2013, alle coppie omosessuali era consentita solo l'adozione dei figli biologici di uno dei partner, ma non adottare congiuntamente figli non biologici.

In Spagna l'adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso è legale ai sensi del Codice Civile spagnolo così come modificato dalla legge che nel 2005 ha aperto il matrimonio, e con esso l'adozione congiunta di minori, alle coppie dello stesso sesso. In conformità a quanto previsto dal Codice Civile, gay e lesbiche possono adottare bambini anche da persone singole così come è permesso a chi è eterosessuale. A livello regionale nelle comunità autonome spagnole di Catalogna, Aragona, Navarra, Paesi Baschi e Cantabria la possibilità di adottare congiuntamente minori è consentita anche alle coppie dello stesso sesso (e alle coppie di sesso diverso) conviventi.

In Francia l'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali è legale ai sensi del Codice Civile francese così come modificato dalla legge che nel 2013 ha aperto il matrimonio, e con esso l'adozione congiunta di minori sia nella tipologia semplice sia nella tipologia plenaria, alle coppie dello stesso sesso. Inoltre, gay e lesbiche possono adottare bambini anche da persone singole così come è permesso a chi è eterosessuale. La possibilità di adottare congiuntamente minori, essendo prerogativa delle coppie di qualsiasi composizione sessuale unite in matrimonio, non è consentita alle coppie dello stesso sesso (o di sesso diverso) conviventi, le quali però possono comunque beneficiare delle norme del Codice Civile francese che consentono a qualsiasi genitore

Figura 1: Stato legale dell'adozione di coppie omosessuali in Europa

██ Adozione legale

██ Adozione del figlio del partner legale

██ Adozione esplicitamente illegale

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