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Le posizioni contrarie e i nodi critici

CAPITOLO 3. Il punto di vista psicologico Studi, ricerche e critiche

3.1. Le posizioni contrarie e i nodi critici

Freud, per esempio, riconduceva la paranoia all’omosessualità. Lo spiega in ‘Comunicazione di un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica’87. A suo parere il paranoico tende a lottare contro l’intensificazione delle sue tendenze omosessuali, ovvero ciò che alla fine rimanda ad una scelta narcisista. L’oggetto della paranoia, secondo lo psicanalista, è il persecutore, cioè colui che il/la paranoico/a ama o lo ha fatto in passato, quindi risulta che il persecutore sia dello stesso sesso del ‘perseguitato’. Inoltre egli sostiene che lo sviluppo di un delirio di persecuzione è determinato da un fortissimo attaccamento omosessuale, dove l’oggetto dal quale ci si vuole sottrarre non è un uomo, ma una donna. È l’attaccamento al proprio sesso che contrasta gli sforzi di indirizzare il proprio amore su un individuo del sesso opposto, a causa delle pressioni che la ‘coscienza morale’ compie impedendo il normale soddisfacimento morale. Utilizzo il termine ‘normale’ poiché Freud quando parla di omosessualità, fa riferimento ad inclinazioni “innaturali” per il sesso femminile (nel caso descritto nel testo), o a ‘deviazioni sessuali’. È il complesso materno dal quale attraverso la paranoia o la nevrosi, la giovane paziente donna nel caso valutato, tenta di emanciparsi, e di svincolarsi così dal suo attaccamento omosessuale, sviluppando una forma di delirio paranoico, dove la madre diventa colei che la perseguita e la sorveglia. A suo dire la paziente si libera dalla sua dipendenza omosessuale attraverso un atto di regressione: invece di associare alla madre l’oggetto dell’amore si identifica con lei, addirittura trasformandosi in quest’ultima. Ecco qui l’origine della sua scelta narcisistica di cui parlavo prima, ovvero della sua scelta omosessuale e di conseguenza la sua disposizione alla paranoia.

In un altro caso, ‘Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile’88, egli

riteneva che l’omosessualità femminile avesse una genesi ed uno sviluppo psichico. In particolare i genitori della paziente in questo caso curato da Freud, volevano ‘ricondurre la figlia alla normalità’, poiché ‘con i mezzi della disciplina familiare non avevano potuto vincere il suo disturbo’. Il padre non sapeva se attribuire alla figlia una natura viziosa o degenerata, o ancora se considera una malata di mente, quindi si rivolse alla psicoanalisi sperando di ricevere aiuto. Non soffrendo di un conflitto interno irrisolto, quello che Freud doveva fare era convertire una delle varianti dell’organizzazione genitale della sessualità nell’altra. Inoltre, secondo il suo parere, non vi erano una vistosa deviazione dal tipico fisico femminile, né la ragazza soffriva di disturbi mentali: si chiedeva quindi se il suo fosse un caso di ‘omosessualità congenita’ o di ‘omosessualità acquisita’. La paziente aveva scelto un oggetto femminile sviluppando un atteggiamento maschile nei suoi confronti, dove la signora amata era un sostituto di sua madre. In poche parole, fu la nascita del fratello la goccia che fece traboccare il vaso, poiché la ragazza si trovava nella fase della reviviscenza

87 Sigmund Freud. Casi clinici 8. Paranoia e omosessualità in due storie di donne. Torino, Biblioteca

Boringhieri, 1977.

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puberale del complesso edipico infantile quando ebbe la sua grande delusione: il suo desiderio di avere un figlio dal proprio padre non poteva essere accettato dalla sua coscienza, quindi poi, ad siccome ad averlo fu la madre, la ragazza profondamente arrabbiata voltò le spalle al padre e agli uomini in generale. Ripudiò conseguentemente il ruolo femminile in genere e si trasformò in un uomo. La madre nei suoi confronti era molto severa perché era gelosa della sua bellezza sbocciata presto e la vedeva come una propria rivale, di conseguenza la figlia fu costretta ad operare questa ‘metamorfosi emotiva’ ricercando un sostituto della madre, e ‘cedendo il passo a quest’ultima’, avrebbe anche eliminato l’ostacolo della cattiva disposizione nei suoi confronti.

Spiegare questo caso è servito ad essere annoverato tra le cause che Freud individuava dell’omosessualità: per evitare i conflitti con l’oggetto del desiderio, l’individuo cede il passo all’amato/a rivolgendo la propria libido altrove e diventando omosessuale; infine il caso è stato classificato da Freud tra le ‘inversioni acquisite tardivamente’, ovvero tratti di un’omosessualità congenita che si fissa e si manifesta solo nel periodo post-pubertà.

È comunque da precisare che Freud riteneva che l’unico caso (come quelli presentati poc’anzi) in cui l’omosessualità dovesse essere classificata come malattia, e quindi curata attraverso una terapia psicoanalitica, era nel caso in cui l’orientamento sessuale di un individuo lo facesse stare male, quindi quando esso fosse vissuto in modo ego distonico: “Quando qualcuno, che per il resto è padrone di sé, soffre a causa di un conflitto interno che non è in grado di risolvere da solo, si rivolge allora allo psicoanalista, gli descrive la propria sofferenza e lo prega di aiutarlo. In questo caso il medico lavora mano nella mano con una parte della personalità patologicamente dimidiata contro l’altra parte con cui essa è in conflitto”89. Egli ammette che l’azione di convertire una delle varianti dell’organizzazione genitale della sessualità nell’altra e la propria esperienza, non era mai facile, poiché occorreva eliminare l’‘inversione genitale’ od omosessualità. Ciò poteva accadere soltanto attraverso il ripristino delle funzioni bisessuali, che permettono alla persona omosessuale di ritrovare l’accesso al sesso opposto, che finora le era stato precluso.

Ma Freud ammette che i successi ottenuti dalla terapia psicoanalitica nel trattare l’omosessualità non erano significativi, perché intervengono esclusivamente delle motivazioni estrinseche nei pazienti che risultano troppo deboli nella lotta alle pulsioni omosessuali. Lo psicanalitica parla addirittura di ‘piano segreto’ quando vuole spiegare e analizzare il passaggio attraverso il quale la persona con tendenze opposte a quelle naturali proprie, tranquillizza sé stessa, ma soprattutto la propria coscienza, abbandonandosi così alle proprie particolare inclinazioni. È durante la seconda fase dell’analisi del caso, che il paziente supera le resistenze e produce così quel cambiamento interno che ci si aspetta da lui, grazie anche ai ricordi dei contenuti che sono stati rimossi e che egli ora rivivendo li elabora. In particolare, il soddisfacimento dell’aspirazione omosessuale della paziente analizzata nel caso, coincideva con quello dell’aspirazione omosessuale, poiché ella si era ‘attaccata’ ad una signora la quale figura le rammentava il fratello un po’ più grande di lei; a scatenare il tutto fu la nascita

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di un terzo fratello, quando la ragazza si trovava nella fase della reviviscenza puberale del complesso edipico infantile, ed è qui che ebbe la sua grande delusione: ella desiderava avere un figlio dal proprio padre, e questo naturalmente la sua coscienza non lo poteva accettare. Ma a partorire fu la sua acerrima nemica, ovvero la madre in questo caso, e da allora la giovane paziente rifiutò di amare mai più un uomo e il genere maschile in generale, dovendo da quell’ora in poi reindirizzare la propria libido altrove, ovvero ora sul genere femminile. È questa la spiegazione analitica che Freud da dell’omosessualità in quanto patologia: dopo quella delusione la nostra ragazza si era trasformata in un uomo e prese la madre al posto del padre come proprio oggetto d’amore.

Infine afferma che la “psicoanalisi non è chiamata a risolvere il problema dell’omosessualità. Essa deve accontentarsi di rendere palesi i meccanismi psichici che sono stati determinanti per la scelta oggettuale, e poi di percorrere a ritroso la via che collega tali meccanismi con le disposizioni pulsionali del soggetto”.

Ciò è testimonianza del fatto che le posizioni di Sigmund Freud sul tema dell’omosessualità siano un segnale di apertura e modernità rispetto alla sua epoca storica. Ma è scontato che dal punto di vista generale, qualsiasi psicoanalista freudiano classico sosterrebbe che un bambino che cresce e si sviluppa all’interno di una famiglia omogenitoriale non abbia la possibilità di elaborare correttamente il ‘Complesso di Edipo’, e cioè l'identificazione del bambino col genitore del proprio sesso e il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto.

Con la morte dello psicoanalista, l’omofobia, invece, ha iniziato ad incalzare. Dal 1939 soprattutto dal punto di vista clinico vennero costruiti diversi approcci quasi persecutori sul trattamento dell’omosessualità, e anche dal punto di vista organizzativo, l’accesso alla formazione analitica era limitato dagli innumerevoli pregiudizi del caso. Occorre attendere il 1980 per assistere ad un cambiamento radicale, se non proprio gli anni ’90, che vede la formazione di una coscienza aperta e ‘liberata’ su questi temi. Basti pensare che nel 1972 l’American Psychiatric Association derubrichi dal DSM-II (Diagnostic and Statistic Manual)l’omosessualità, non considerandola più come una malattia da diagnosticare e curare; sulla scia di questa decisione, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’ha cancellata dal suo manuale diagnostico, l’ICD (International Classification of Disease), nel 1991. Nel Saggio “The Mark of Oppression”90 Paul Parin parla addirittura di ‘difetto congenito’, a causa del quale i pazienti omosessuali dovevano essere ‘guariti’, e resi quindi eterosessuali, ma soprattutto un uomo o una donna, non potendo diventare buoni analisti, non sono proprio ammessi al training per diventare psicoanalisti dall’Associazione psicoanalitica americana (APA)91. In particolare è l’esperienza traumatica della prima infanzia, ovvero è alla fase di separazione dalla madre che si

può ricondurre l’omosessualità, dove si prende coscienza della tendenza omosessuale.

Questo perché sono considerati come vissuti irreversibili, duraturi e immutabili92

90 L’omosessualità nella psicanalisi. 91 Ibidem, Contributo di Paul Moor. 92 Vedi nota n.10.

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(come anche gli avvenimenti accaduti nel periodo della pubertà, o nel periodo di latenza - cioè quella fase di latenza che Freud identifica come il quarto periodo di sviluppo psicosessuale del bambino, successivo alla fase fallica e precedente alla fase genitale, e che serve al bambino per incrementare la socializzazione e sviluppare rapporti amichevoli con i membri dello stesso sesso, focalizzando la sua attenzione sulle attività che caratterizzeranno il suo sviluppo fisico - scuola e atletica - poiché qui la libido è “dormiente” e le pulsioni sessuali vengono sublimate verso altri scopi).

Dal punto di vista di Mario Erdheim (1982) invece, è “l’imago dell’estraneo”, ovvero la rappresentazione dell’estraneo/a a stigmatizzare e marchiare la psiche dell’individuo. Accade che gli omosessuali si dimostrino ammutoliti o seriamente danneggiati di fronte all’estraneo e al diverso, perché accade che il fanciullo è costretto a staccarsi bruscamente dalla famiglia per integrarsi con la società, differenziando per la prima volta l’estraneo dalla figura fidata della madre. Quindi succede così che la fase di ravvicinamento93 e il ‘rifornimento emotivo’ sia prodotta dal confronto-scontro con l’altro. ‘Negli ebrei e negli omosessuali si presenta regolarmente un determinato disturbo dell’adolescenza’94: all’accorgersi della tendenza omosessuale e soprattutto durante il ‘coming out’, l’adolescente si aspetta di essere bandito dalla sua famiglia (perché temporaneamente non vi torna), innescando così un meccanismo di inibizione che gli impedisce appunto temporaneamente di essere nuovamente figlio a causa della sua omosessualità. E ciò accede indipendentemente dal parere favorevole o non della famiglia, e da quel momento in poi egli resta segnato e macchiato dal fatto di non essere degno di essere amato, e quindi accettato. Socarides95 (1968) dopo di lei, estende il suo modello evolutivo identificando l’omosessualità con una fissazione preedipica e una conseguente unione simbiotica con la madre, anche se alla fine non

93 Secondo Margaret Mahler (1985-1987) la nascita psicologica e quella biologica del bambino non

coincidono, ma quello psicologico è un processo le cui tappe fondamentali si svolgono nelle prime fasi di vita, e che proseguono anche dopo. Nel modello Mahleriano, sono previste diverse fasi della “nascita psicologica”. Nelle prime quattro/cinque settimane di vita, il bambino vive una fase di cosiddetto “autismo normale”, caratterizzato dalla mancanza di stimoli esterni. In questo periodo ilbambino ha lunghi periodi di sonno, sonnolenza, e semi-veglia, di durata maggiore rispetto alla veglia attiva. Inoltre, non ha consapevolezza del suo "caregiver" (solitamente la madre), ma ciò che regola il suo ritmo sonno/veglia sono lo stimolo della fame e l'alternanza bisogno-soddisfazione. La seconda fase del modello è detta “simbiotica”, e dura fino al quarto mese. Il bambino comincia ad avere una vaga consapevolezza dell'agente di cure materne, e quindi dell’oggetto che soddisfa i suoi bisogni. Il bambino si comporta e agisce come se lui e la madre fossero una sorta di unità onnipotente, racchiusa dentro uno stesso confine; si tratta di uno stato di non-differenziazione, meglio definito come “fusione

somatopsichica allucinatoria o illusionale onnipotente”, con la rappresentazione della madre. È una

simbiosi impropriamente detta, perché il rapporto non è alla pari, ma il bambino è estremamente dipendente. L'ultima fase del modello è il cosiddetto “processo di separazione-individuazione”, che avviene tra il quarto mese e il terzo anno di vita. L'individuazione riguarda la maturazione e la strutturazione del senso di identità; mentre la separazione ha una dimensione intrapsichica, e riguarda la percezione di essere separati dall'unità simbiotica, oggetto d'amore. Secondo la Mahler, il processo di separazione-individuazione prevede quattro sottostadi: 1) differenziazione e sviluppo dell'immagine corporea (4º-8º mese); 2) sperimentazione (8º-14º mese); 3) riavvicinamento (14º-24º mese); 4) costanza dell'oggetto libidico (3º anno).

94 L’omosessualità nella psicoanalisi.

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ritiene che questa patologia possa essere curata, poiché considera che “la quota di autodistruttività e di ostilità siano enormemente ed intrinsecamente presenti in qualsiasi incontro omosessuale”. Infine, a suo avviso sono le differenze sottili proprie delle esperienze interiori delle persone, il loro senso del Sé e il loro stile di relazionarsi con gli altri che dovrebbero essere i fattori da prendere in considerazione in quanto importanti; è fondamentale seguire un modello di indagine libero da considerazioni di valore.

Diversi altri punti di vista avrebbero scoraggiato il mio, ovvero quello secondo il quale, per esempio, è centrale il rapporto con il padre nelle famiglie eterogenitoriali perché i bambini ‘hanno bisogno di un padre’. Il ‘New families structure Study’96 di Mark Regnerus nel 2012 per la prima volta ha condotto uno studio attraverso l’utilizzo di un campione di circa 3000 adulti tra i 18 e i 39 anni, riportando risultati non positivi per i figli dei genitori omosessuali. I figli di madri lesbiche avevano ottenuto dei risultati molto peggiori in molti relativi a disoccupazione, disimpegno politico, sussidio sociale, psicoterapia per depressione e ansia, abuso sessuale in età infantile e tradimento del proprio partner. Frequenti erano l’abuso di droghe, gli arresti domiciliari e invece più scarni i risultati scolastici. La validità e l’attendibilità di questo studio sono state confutate dalla rivista ‘Social Science Research’97 mettendo in evidenza il fatto che l’utilizzo dell’espressione “madre lesbica” era riferito a qualsiasi donna che avesse avuto una relazione con un’altra donna. Il risultato di questo errore sta nel fatto che di conseguenza ‘i figli di madre lesbica’ potevano aver vissuto da sempre e solo con i propri genitori eterosessuali. Infatti solo il 57% dei figli di madre lesbica aveva vissuto almeno quattro mesi con la madre e la sua partner e il 23% dei figli di padre gay avevano convissuto altrettanti mesi con il padre e il compagno. Fra le critiche comunque sembra essere quella più nota e più citata anche dalla ‘parte avversa’.

Altro autore molto citato su questo versante è Paul Cameron (fondatore del Family Research Institute di Washinton D.C.) che, ai risultati simili a quelli di Regnerus, ha rilevato anche un elevato rischio di abuso sessuale nei figli di omosessuali e ha compilato un’utile paragone con le ricerche avverse.

Donald Paul Sullins98 compie il suo studio utilizzando dati relativi a più di 200000 bambini, riuscendo a reperirne 512 di figli di genitori dello stesso sesso: in questo studio il loro benessere appare nettamente inferiore alla media, anche se i dati si riferiscono a quelli ottenuti nel 1997 (quasi vent’anni fa). Sullins non raccogliere dati sulla ‘durata’ delle famiglie prese in esame, quindi così, per esempio, la presenza di famiglie segnate dal divorzio resta non contemplato.

96 http://www.ionainstitute.eu/pdfs/1-s2.0-S0049089X12000610-main.pdf. 97 http://www.journals.elsevier.com/social-science-research/. 98http://ecgi.ssrn.com/delivery.php?ID=29411412112607511302502510112408507006305503201907 4004085073101009029002070020108007042057100123047057125068091109121019029006126016 0170860820150660870910800201190920530800820070820171060650880080870041270850960990 23085126110030085017006070084094067087&EXT=pdf.

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Lo stesso testo di Giovanna Lobbia e di Lisa Trasforini99 è un inno alla ‘famiglia normale’ e al diritto che viene preteso e gridato dagli adulti. Secondo le autrici non è giusto che un bambino che ha già subito il grave trauma dell’abbandono da parte dei propri genitori venga privato del diritto di essere adottato da una ‘famiglia normale’. Le autrici continuano, affermando sul retro della copertina, che ‘se i bambini in attesa di adozione potessero dire la loro senza dubbio direbbero, magari sottovoce ma di cuore, “voglio una mamma e un papà’. Ora, a discapito di questo, io sostengo che per prima cosa, si dovrebbero ascoltare questi bambini per capire se quello che sostengono sia vero. In secondo luogo, per superare il ‘trauma da abbandono’, l’essenziale credo che sia assicurare un ambiente sicuro, sano, tanto amore e affetto. Chi lo dice che tutto questo non può essere fornito da una ‘famiglia atipica’ composta da due donne o due uomini che si vogliono sinceramente del bene? Sicuramente non si mettono in dubbio le motivazioni che nascono dalla loro ventennale esperienza, né il fatto che il diritto alle genitorialità non sia un diritto primario e che invece lo sia quello di essere figlio, ma che ‘il minore abbandonato è l’individuo che non ha capacità di scelta – che non ha scelto né di nascere, né di essere abbandonato – ma ha il diritto imprescindibile di crescere ed essere educato in una famiglia composta “naturalmente” da una madre e un padre, si. Punto sul mettere in evidenza cosa possa significa realmente essere educati dalla propria famiglia: significa essere istruiti e formati qualcuno, dal punto di vista morale ed intellettuale100. Tutto lo sforzo dell’educazione mira a far senza l’opera dell’educatore genitore, nonché alla completa e assoluta autonomia del figlio, intesa come capacità di regolarsi da sé, in quanto le facoltà si sono debitamente aperte e potenziate, l’apprendimento di ciò che non si educa alla indipendenza ma alla autonomia101.

È in particolare la Psicologia dello Sviluppo che può descrivere le componenti che sono necessarie allo sviluppo del bambino: lo sviluppo fisico e motorio, lo sviluppo percettivo, lo sviluppo cognitivo, lo sviluppo sociale e quello affettivo. Il primo riguarda l’interazione tra fattori biologici e ambientali; il secondo è determinato dalle modalità sensoriali presenti alla nascita e che si perfezionano nel corso della crescita e permettono di mantenere un contatto con il mondo esterno; il terzo è il percorso che permette al bambino di capire il mondo che lo circonda; il quarto è quel processo che aiuta a comprendere sé stessi e gli altri; infine l’ultimo è quell’attaccamento con l’adulto significativo. Ora riassunti questi pochi punti fondamentali, che sono tali anche per le autrici, chi nega il fatto che questi processi di adattamento reciproco possano avvenire nella diade madre-bambino o padre-bambino di una coppia omosessuale?

Altri studi, come quello di Blenchner102 nel contributo “L’omofobia nella

letteratura e nella pratica psicoanalitica”, sostiene che Mitchell (1981) abbia

99 Lobbia Giovanna, Trasforini Lisa, Voglio una mamma e un papà. Coppie omosessuali, famiglie

atipiche e adozione. Ancora S.r.L., Milano, 2006.

100 Dal dizionario del sito ‘Corriere della Sera’.

101 Cfr. p. 49 del contributo di Loretta Bonifazi, Essere figli: tra principio della genitorialità e

autodeterminazione del minore, tratto dalla Rassegna di Servizio Sociale – n°4 – ottobre dicembre 2010.

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scoraggiato attivamente il comportamento omosessuale, sfruttando il transfert positivo idealizzante, cioè basato sull’ identificazione con l’analista, che spesso nasconde una identificazione con l’aggressore, se l’analista stesso rappresenta una figura potente e temuta; Ovesey (1969) raccomandava di chiarire fin dall’inizio che l’omosessualità è una malattia ma che si può curare; Hatterer (1970) parlava addirittura di ‘processo di deomosessualizzazione’ attuato facendo leva sulla vergogna che il paziente provava; Sandor Ferenczi pubblicò ‘Omosessualià Femminile’, dove sostiene la tesi che l’omosessualità non sia una malattia ma una predisposizione psichica.

È proprio questo uno dei tanti motivi per cui la psicoanalisi non gode della

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