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3.2. Il rapporto tra ne quid in loco publico fiat e actio iniuriarum. 3.3. L’inter- ferenza con la pratica delle concessioni ad aedificandum. 4. Concorrenza del rimedio con la operis novi nuntiatio e l’interdetto quod vi. 5. La natura esclu- sivamente proibitoria del ne quid in loco publico fiat. 6. Osservazioni conclu- sive circa la legittimazione attiva del rimedio.

1. Osservazioni introduttive

Il primo interdetto a tutela delle res in usu publico che viene preso in considerazione nel commentario ulpianeo è il ne quid in loco publico

fiat1, la cui formula è riportata in D.43.8.2 pr. Anche nella ricostruzione

dell’edictum di Lenel esso apre la sezione dedicata agli interdetti a tute- la dei beni pubblici2. Come abbiamo già notato, questo è il rimedio in-

terdittale de locis publicis con il campo applicativo più vasto, tutelando

1 Tra gli autori che si sono occupati del regime di questo interdetto si segnalano – oltre

alle trattazioni ormai classiche di REINHARD, Ueber die Interdicte: ‘Ne quid in loco

publico vel itinere fiat’, in Archiv für die civilistische Praxis, 32 (2), 1849, pagg. 199 ss.;

A. UBBELOHDE, Commentario alle Pandette di F. Glück XLIII-XLIV, 2, cit., pagg. 373 ss. e A. BERGER, voce Interdictum, cit., coll. 1653 ss. – i lavori di G. SCHERIL-

LO, Lezioni di diritto romano. Le cose, cit., pagg. 154 ss.; G. BRANCA, Le cose extra

patrimonium, cit., pagg. 169 ss.; L. LABRUNA, Vim fieri veto, cit., pagg. 41 ss.; G. MELIL-

LO, ‘Interdicta’ e ‘operis novi nuntiatio iuris publici tuendi gratia’, cit., pagg. 186 ss. Più di recente si sono dedicati al tema in particolare A. DI PORTO, Interdetti popolari e tutela

delle ‘res in usu publico’, cit., pagg. 506 ss.; J.M. ALBURQUERQUE, La protección o

defensa del uso colectivo, cit., pagg. 55 ss.; R. SCEVOLA, Utilitas publica II, cit., pagg. 75 ss.; N. DE MARCO, I loci publici, cit., pagg. 1 ss.; M. GIANGIORIO, Il contributo

del civis nella tutela delle res in usu publico, cit., pagg. 35 ss.

2 Cfr. O. LENEL, Edictum perpetuum3, cit., pagg. 458 ss. (e allo stesso modo in A.F. RUDORFF, Edicti perpetui quae relicta sunt, cit., pag. 209).

genericamente ogni res in usu publico, diversamente degli altri interdet- ti posti a tutela di specifiche categorie di res, in particolare strade e fiumi.

Proprio il rapporto di questo interdetto con i rimedi specifici conces- si a tutela delle viae riportati nel medesimo titolo 43.8 «Ne quid in loco publico vel itinere fiat» è discusso in dottrina: tale diversità di opinioni ha peraltro un risvolto anche sull’interpretazione della funzione e degli interessi tutelati col rimedio in esame.

In effetti il lungo passo ulpianeo riportato nel frammento D.43.8.2 riporta anche le clausole edittali – e il relativo commento – di tre inter- detti a tutela delle viae: i due interdetti (nella variante proibitoria e re- stitutoria, rispettivamente nei §§ 20 e 35) relativi alla tutela delle condi- zioni di percorribilità delle viae nonché il misterioso, in quanto non cor- redato da alcun commento, interdictum ut via publica itinereve publico

ire agere liceat (§ 45), sui quali ci si soffermerà nel prossimo capitolo.

Parte della dottrina3 riconosce l’esistenza di un unico interdictum ne quid in loco publico vel itinere fiat, di cui il titolo 43.8 fornirebbe la

complessiva disciplina: in quest’ottica gli specifici ordini edittali relati- vi alle viae si configurerebbero come diverse formulazioni di tale unita- rio rimedio interdittale, instaurandosi dunque tra questo e quelle un rapporto di genus a species4. In questa prospettiva si inserisce in parti-

colare la ricostruzione di Di Porto, che ipotizza l’esistenza di un’origi- naria previsione interdittale onnicomprensiva de locis publicis, volta a tutelare interessi essenzialmente pubblicistici, a partire dalla quale in progresso di tempo le ipotesi specifiche avrebbero acquistato autonoma

3 Ad esempio G.I. LUZZATTO, Il problema d’origine del processo extra ordinem,

cit., pagg. 172-173; ma pure P. CERAMI, Contrahere cum fisco, in AUPA, 34, 1973, pagg. 277 ss., spec. pag. 360 e L. DI LELLA, La tutela interdittale dei luoghi pubblici, in M. CLAVEL-LÉVÊQUE, E. HERMON (a cura di), Espaces intégrés et ressources naturelles

dans l’Empire romain. Actes du colloque de l’Université de Laval - Québec (5-8 mars 2003), Besançon, 2004, pagg. 193 ss.

4 In tal senso, implicitamente, A. BISCARDI, La tutela interdittale, cit., pagg. 37 ss. e

G. GANDOLFI, Contributo allo studio del processo interdittale romano, cit., pagg. 98- 99; esplicitamente G. MELILLO, ‘Interdicta’ e ‘operis novi nuntiatio iuris publici tuendi

gratia’, cit., pag. 186 e J.M. ALBURQUERQUE, La protección o defensa del uso colecti-

rilevanza5 e di cui l’interdetto tramandato in D.43.8.2 pr. sarebbe un

residuo.

Appare però maggiormente convincente la posizione di quegli autori che, a partire dalle innegabili peculiarità delle diverse fattispecie, mo- strano di trattare i diversi ordini pretori rinvenibili nel titolo come inter- detti autonomi, sia sotto il profilo della disciplina che sotto il profilo delle rationes che ne suggerirono l’introduzione6.

In effetti, nonostante Lenel7 collochi l’intero frammento – salvo il

paragrafo 45, contenente la formula dell’interdetto ut in via publica

itinereve publico ire agere liceat – all’interno di un’unica rubrica edit-

tale genericamente concernente il ne quid in loco publico vel itinere

fiat, dal tenore del commento ulpianeo non appare una considerazione

unitaria dei quattro interdetti contenuti nel frammento D.43.8.2. Innan- zitutto, da un punto di vista stilistico Ulpiano pare introdurre ciascun rimedio in modo autonomo (con la formula praetor ait…), consideran- dole evidentemente previsioni edittali autonome ed indipendenti; inoltre il commento alle singole fattispecie, come vedremo, pare costruito at- torno a questioni interpretative differenti8.

I dubbi sull’effettiva autonomia di tale previsione potrebbero trovare ragione nell’apparente genericità dei verba edicti con cui il pretore, nel- la clausola del ne quid in loco publico fiat, vieta ogni facere e immittere insistente su luogo pubblico (in loco publico) e non previamente auto-

5 A. DI PORTO, Interdetti popolari e tutela delle ‘res in usu publico’, cit., pag. 510.

Questa ipotesi è evidentemente funzionale alla sua ricostruzione della popolarità di tale interdetto: in tale prospettiva infatti l’autore deduce il regime di legittimazione diffusa (popolare) di tale (presunto) generico interdetto de locis publicis proprio dalla natura popolare dei due rimedi che di esso dovrebbero rappresentarne le species.

6 G. BRANCA, Le cose extra patrimonium, cit., pagg. 170 ss.; G. SCHERILLO, Lezioni

di diritto romano. Le cose, cit., pagg. 154 ss.

7 O. LENEL, Edictum perpetuum3, cit., pag. 458 (§ 237), il quale però riporta le for- mule dei tre interdetti in maniera autonoma. Così anche A. UBBELOHDE, Commentario

alle Pandette di F. Glück XLIII-XLIV, 2, cit., pag. 373.

8 Rudorff presenta i quattro interdetti citati in D.43.8.2 come pienamente indipen-

denti l’uno dall’altro ai §§ 232, 234 (I e II) e 235 (A.F. RUDORFF, Edicti perpetui quae

reliqua sunt, cit., pagg. 209-210). Mostra da ultimo di considerare il ne quid in loco publico fiat quale rimedio autonomo rispetto agli altri interdetti riportati in D.43.8.2

rizzato dalla pubblica autorità da cui possa derivare un danno a qualcu- no: la vaghezza del divieto pretorio lascerebbe aperta l’ipotesi che la formula in esame abbia rappresentato una sorta di clausola generale rispetto alle previsioni speciali in tema di viae publicae contenute nel medesimo frammento. Eppure, un’analisi puntuale del commentario ulpianeo – e dei riferimenti a giuristi più risalenti ivi contenuti – con- sente di mettere a fuoco la particolarità di tale rimedio rispetto a quelli relativi alle viae riportati nei §§ 20, 35 e 45 dello stesso frammento, ov- vero la natura essenzialmente privata dell’interesse tutelato con questo interdetto, esperibile solo a fronte della lesione di un’utilità che l’indi- viduo trae legittimamente dalla res (o locus).

Quella della natura pubblica o privata dell’interesse tutelato per mezzo dell’interdetto ne quid in loco publico fiat è del resto questione centrale per una valutazione complessiva della funzione dell’apparato interdittale a tutela delle res in usu publico e, soprattutto, della sua evo- luzione diacronica.

Da questo punto di vista, la tesi secondo cui i rimedi contemplati da Ulpiano nel frammento in esame sarebbero da considerare come decli- nazioni di un medesimo interdetto pare funzionale a corroborare opzio- ni interpretative che tendono a proporre una visione lineare, in cui il ne

quid in loco publico fiat è assunto come archetipo del modello di tutela

interdittale delle res in usu publico nonché punto di partenza di un’evo- luzione che pare svolgersi logicamente e organicamente dalla sua intro- duzione fino al tempo di Ulpiano. Mi riferisco in particolare alle tesi opposte e speculari di Melillo e Di Porto: la considerazione unitaria della casistica riportata da Ulpiano nel frammento 43.8.2, come relativa a un unico rimedio, permette al primo di disegnare un processo di pub- blicizzazione della tutela pretoria del locus publicus, per cui dalla mera protezione di interessi privati si arriva, grazie soprattutto alla riflessione di Labeone, alla protezione della destinazione pubblica del bene in sé considerato anche attraverso la predisposizione di previsioni ad hoc a tutela della destinazione pubblica delle viae (§§ 20 e 35)9; al secondo,

invece, di prospettare una speculare involuzione in senso privatistico

9 G. MELILLO, ‘Interdicta’ e ‘operis novi nuntiatio iuris publici tuendi gratia’, cit.,

pagg. 188 ss. Seguito, se ho inteso bene il pensiero dell’autore, da J.M. ALBURQUER- QUE, La protección o defensa del uso colectivo, cit., pagg. 57 ss.

della disciplina del (presunto) generico interdetto de locis publicis, in cui la figura di Labeone appare ugualmente centrale, per cui «si passe- rebbe dalla tutela dell’uso comune ad una tutela dell’uso differenzia- to»10.

A mio avviso, una considerazione della casistica relativa al ne quid

in loco publico fiat consentirà di mettere in luce la peculiare disciplina

di questo rimedio, nonché le differenze con gli interdetti relativi a viae e flumina.

Il problema della natura dell’interesse tutelato da questo rimedio sa- rà dunque declinato nell’analisi dei diversi profili della disciplina di tale interdetto, nella speranza di giungere a una valutazione globale del si- gnificato e delle caratteristiche tecnico-giuridiche del rimedio in que- stione.

È opportuno affrontare in via preliminare alcune questioni poste dal- la lettura della formula riportata da Ulpiano nel principium del lungo frammento D.43.8.2:

D.43.8.2 pr. (Ulp. 68 ad ed.) Praetor ait: ‘ne quid in loco publico facias

inve eum locum immittas, qua ex re quid illi damni detur, praeterquam quod lege senatus consulto edicto decretove principum tibi concessum est. De eo, quod factum erit, interdictum non dabo’.

Il divieto si rivolge, come detto, contro qualunque facere o immitte-

re in locus publicus dal quale derivi un danno per qualcuno, a meno che

le condotte non fossero autorizzate da apposite concessioni dell’autorità competente.

La formula edittale11 consta di una sola proposizione iussiva intro-

dotta dalla particella ne seguita dal congiuntivo12. Manca quindi, nella

versione a noi tràdita, la frase principale cui tale proposizione comple- tiva dovrebbe riferirsi: tale particolare costruzione del divieto pretorio

10 A. DI PORTO, Interdetti popolari e tutela delle ‘res in usu publico’, cit., pag. 518. 11 O. LENEL, Edictum perpetuum3, cit., pag. 458. Ritiene genuina la testimonianza ulpianea del testo edittale dell’interdetto anche D. MANTOVANI, Le formule del proces-

so privato romano2, cit., pag. 90.

12 Struttura uguale a quella della formula, riportata dallo stesso Ulpiano in

D.43.12.1 pr., relativa all’interdetto ne quid in flumine publico ripave eius facias, su cui

allontana apparentemente la fattispecie qui considerata dal modello di analisi stilistica dell’editto elaborato a partire dai fondamentali lavori prima di Dernburg e poi di Kaser13. Secondo questo schema interpreta-

tivo, infatti, il ne quid in loco publico fiat dovrebbe appartenere alla classe dei più antichi rimedi interdittali, i cosiddetti zweigliedering In-

terdikten, le cui formule edittali sarebbero articolate in due frasi, la

prima delle quali contiene una stringata espressione della prohibitio e la seconda la promessa della reazione pretoria contro il trasgressore. Nel caso del ne quid in loco publico fiat, invece, all’affermazione del divie- to non fa seguito una delle formule tipiche con cui il magistrato promet- teva un intervento giurisdizionale nel caso di violazione del precetto (vim fieri veto, iudicium dabo e altre)14.

Tale eccentricità nella costruzione della clausola interdittale può es- sere forse spiegata ipotizzando che il testo riportato da Ulpiano e dai compilatori rappresenti un rimaneggiamento (in senso ellittico) della originale formulazione pretoria: secondo il Kaser15, nella redazione

tramandata dal Digesto potrebbe essere caduta l’espressione vim fieri

veto. A mio avviso la chiusa del paragrafo, contenente il diniego della

versione restitutoria dell’interdetto in parola, potrebbe spingere a ritene- re che la clausola contenesse originariamente la promessa dell’interven- to pretorio in caso di violazione del divieto nella forma del interdic-

tum (ei?) dabo: di essa, caduta o forse considerata ridondante, rimane

infatti una traccia nella formula di esclusione della variante restitutoria (non dabo).

Peraltro, come notava lo stesso Kaser, la costruzione del divieto in un’unica frase introdotta da ne e retta da un verbo all’imperativo, poco ricorrente nelle fonti giurisprudenziali (salvo in materia di interdetti)16,

è invece tipica delle previsioni legislative17 tra le quali spiccano, per

13 H. DERNBURG, Untersuchungen über das Alter der einzelnen Satzungen des

prätorischen Edikts, in Festgabe Heffter, Berlin, 1873, pagg. 105 ss.; M. KASER, Zum

Ediktsstil, cit. Cfr. anche le osservazioni di A. BIGNARDI, Controversiae agrorum, cit., pagg. 5 ss.

14 M. KASER, Zum Ediktsstil, cit., pag. 51. 15 M. KASER, Zum Ediktsstil, cit., pag. 33 nota 2. 16 M. KASER, Zum Ediktsstil, cit., pag. 40. 17 M. KASER, Zum Ediktsstil, cit., pag. 50.

quanto qui interessa maggiormente, proprio alcune delle normative mu- nicipali e coloniarie che abbiamo ricordato supra, in particolare, la

Tabula Heracleensis18 e la Lex coloniae Genetivae Iuliae19.

Conviene fin da subito segnalare, però, come in quegli statuti non siano invece rinvenibili previsioni contenenti la formula terminativa ‘vim fieri veto’, caratteristica di altri interdetti a tutela delle res in usu

publico volti a reprimere la violenza personale con cui si impedisca a

un privato l’uso del bene pubblico: una precisa valutazione di questa circostanza sarà possibile solo alla luce di un’analisi complessiva del sistema pretorio di tutela dei locis publicis, ma importa fin da ora notare come in entrambi i casi (zweigliedering Interdikten e previsioni statuta- rie), si tratti di reprimere alcuni comportamenti di facere e immittere in

publico, situazioni cioè concettualmente attigue alla disciplina del damnum scaturente da facere in suo o in alieno, ovvero nei rapporti di

vicinato inter-privati20. I due corpora di rimedi – i più antichi interdetti de locis publicis relativi alla repressione del facere in publico e le pre-

visioni penali relative a strade, corsi d’acqua e luoghi pubblici negli statuti cittadini dell’età dell’espansione territoriale di Roma – sembrano

prima facie affondare le radici nell’esigenza di contemperare esigenze

dei privati e della collettività nelle ipotesi di attività umana idonea a

18 Tab. Heracleensis, linee 68-72: nei quis in ieis loceis inue ieis porticibus quid

inaedificatum inmolitomue habeto,/ neue ea loca porticumue quam possideto, neue eorum quod saeptum clausumue habeto quo minus eis/ loceis porticibusque populus utatur pateantue.

19 Lex Coloniae Genetivae Iuliae, cap. 104 linee 13-17: ne quis limites/

decumanosque opsaeptos neue quit immolitum neue/ quit ibi opsaeptum habeto, neue eos arato, neue e<a>s fossas/ opturato neue opsaepito, quo minus suo itinere aqua/ ire fluere possit (M. CRAWFORD, Roman statutes, I, cit., pag. 409). Circa la rilevanza di questa testimonianza (nonché di quella riportata nella nota precedente) per il ragiona- mento che sto svolgendo, rimando a quanto osservato supra capitolo 1 paragrafo 7.

20 Mostra di considerare unitariamente la fenomenologia delle diverse fattispecie di

facere da cui possa derivare un danno o il timore di esso per i vicini in particolare

G. BRANCA, Danno temuto e danno da cose inanimate, cit., pagg. 341 ss. Utili osserva- zioni in questo senso anche in A. PALMA, Iura vicinitatis, cit., pagg. 111 ss. e in J. PLE-

SCIA, The development of the exercise of the ownership right in Roman law, in BIDR,

modificare strutturalmente le condizioni di utilizzabilità del bene pub- blico.

La struttura della formula di questo interdetto non pare invece im- plicare, come sostenuto da Gandolfi21, una particolare qualificazione

dogmatica delle condotte illecite che esso mira a reprimere. Secondo questo studioso la formula terminativa vim fieri veto ricorrerebbe in quegli interdetti con cui si vietano turbative o molestie nell’esercizio di una legittima facoltà, mentre le altre formule (come quella del ne quid

in loco publico fiat) ricorrerebbero in quegli interdetti proibitori miranti

ad evitare il compimento di attività illegittime. Tale ricostruzione presta però il fianco ad una critica: nel secondo caso, l’illegittimità della con- dotta, ovvero il suo non trovare fondamento giuridico in una facoltà riconosciuta dall’ordinamento, spesso dipende proprio dal fatto che tale attività costituisce un’indebita interferenza nell’esercizio di legittime facoltà altrui. Da questa ambiguità della teoria tradizionale ha preso le mosse Labruna per una rilettura delle fattispecie di interdetti relativi alle res in usu publico – e specialmente del ne quid in loco publico fiat – per giungere a mostrare come esso non sanzionasse genericamente un’attività illecita ma tutelasse innanzitutto commoda goduti indivi- dualmente, e legittimamente, uti civis22: la ricostruzione della disciplina

dell’interdetto ne quid in loco publico fiat fornisce, come vedremo, una prova a mio avviso decisiva a favore di questa interpretazione.

2. Campo applicativo

Chiariti alcuni profili relativi alla formulazione della clausola editta- le, occorre ora concentrarsi sulla disciplina dell’interdetto emergente dal commentario ulpianeo e, in primo luogo, sul suo campo applicativo,

21 Per tutti G. GANDOLFI, Contributo allo studio del processo interdittale romano,

cit., pagg. 99-100, in cui oltre a riproporre la tradizionale distinctio tra interdetti che vietano genericamente molestie e turbative e quelli che inibiscono la commissione di atti positivi, ricollega solo a questi ultimi la necessaria previsione di equivalenti restitu- tori. Si veda sul punto l’equilibrata ricostruzione del problema fornita da A. BIGNARDI,

Controversiae agrorum, cit., pagg. 9 ss.

individuato nella clausola pretoria con l’espressione facere immittere

in (loco) publico.

I paragrafi dal 3 al 5 del frammento D.43.8.2, dedicati al commento del lemma locus publicus nella formula edittale, individuano due mo- menti cruciali nella costruzione del campo applicativo dell’interdetto: prima, la definizione labeoniana23 di locus publicus, poi il tentativo ul-

pianeo di ricondurre il dibattito sull’estensione semantica dell’espres- sione locus publicus all’interno del più generale dibattito sulla qualifi- cazione delle res. Questa sovrapposizione di piani risulta difficilmente riconducibile entro un quadro concettuale unitario.

Il commento ulpianeo al sintagma locus publicus si apre con la nota definizione di Labeone:

D.43.8.2.3 (Ulp. 68 ad ed.) Publici loci appellatio quemadmodum

accipiatur, Labeo definit, ut et ad areas et ad insulas et ad agros et ad vias publicas itineraque publica pertineat.

Ulpiano, riportando il pensiero del giurista augusteo, afferma che la qualifica di locus publicus andrebbe riferita alle piazze (areae), alle aree abitative cittadine (insulae), ai campi e alle vie pubbliche.

La genuinità del passo è stata fortemente sospettata dapprima da Os- sig24, poi da Branca25 che lo reputava di mano bizantina: la dottrina più

recente, soprattutto sulle orme del ripensamento di Orestano26, appare

assumere un atteggiamento maggiormente conservativo27. Quella di

Labeone – qualificata da Ulpiano come definitio28 – è considerata dalla

23 Su cui di recente N. DE MARCO, I loci publici, cit., pagg. 1 ss. 24 A. OSSIG, Römisches Wasserrecht, Leipzig, 1898, pag. 101.

25 G. BRANCA, Le cose extra patrimonium, cit., pagg. 170 ss. seguito (seppur con

maggior prudenza) anche da L. LABRUNA, Vim fieri veto, cit., pag. 43 e G. SCHERILLO,

Lezioni di diritto romano. Le cose, cit., pag. 155.

26 R. ORESTANO, Il ‘problema delle persone giuridiche’, cit., pagg. 303 ss.

27 Per tutti si vedano, da ultimi, A. DI PORTO, La tutela della ‘salubritas’ tra editto

e giurisprudenza, cit., pagg. 139 ss.; G. SANTUCCI, Operis novi nuntiatio iuris publici

tuendi gratia, cit., pagg. 72 ss. e N. DE MARCO, I loci publici, cit., pagg. 6 ss.

28 Definitio per divisionem secondo R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani,

Milano, 1966, pag. 144. Con maggiore precisione, a mio avviso, Carcaterra riconduce la definitio labeoniana nell’alveo delle definizioni ad exemplum (sottospecie delle defi- nizioni denotative) dal momento che il concetto (locus publicus) è qui «dato mediante

dottrina un’interpretazione estensiva del campo applicativo originario dell’interdetto29, anche se la carenza di informazioni circa la concezione

corrente nel I secolo d.C. impedisce di apprezzare sia il senso di tale estensione che il criterio alla base della proposta labeoniana di ridefini-

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