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Il problema della titolarità delle res in usu publico nella dot-

Con riguardo al primo corno del problema – quello relativo alla na- tura del rapporto di ‘appartenenza’ delle res publicae nel pensiero ul- pianeo – occorre notare come la questione dell’interpretazione del- l’espressione alicuius esse in D.43.1.1 pr. (Ulp. 67 ad ed.) venga nor- malmente ricondotta al più generale problema della titolarità delle res

publicae nel pensiero giurisprudenziale romano.

Lo studio dei problemi di imputazione di relazioni giuridiche nel quadro dell’organizzazione pubblica romana – nota Orestano nel suo fondamentale studio sul problema delle persone giuridiche– è però reso particolarmente complesso dal persistere di una serie di «errori di im- postazione» ricorrenti nella tradizione romanistica ed essenzialmente legati alla prospettiva statalista e proprietaria che ha caratterizzato la dottrina giuridica continentale a partire almeno dal XVI secolo34.

Esemplificativa delle precomprensioni della dottrina più risalente è la nota controversia tra Basilea-città e Basilea-campagna sulla titolarità delle mura cittadine35 celebrata nel 1862-63 davanti a un collegio arbi-

trale formato da alcuni dei migliori civilisti dell’epoca, sia svizzeri

34 R. ORESTANO, Il ‘problema delle persone giuridiche’, cit., pagg. 185 ss. In senso

adesivo L. PEPPE, La nozione di populus e le sue valenze, in W. EDER (a cura di), Staat

und Staatlichkeit in der fruhen römischen Republik: Akten eines Symposiums, Stuttgart,

1990, pagg. 312 ss.

35 Su cui si vedano in particolare E. HIS, Eine historische Staatsteilung. Die Basler

Teilung 1833-35 und der sogenannte Schanzenprozess 1861-62, in Festgabe für Fritz Fleiner zum 60. Geburtstag, Tübingen, 1927, pagg. 75 ss. e soprattutto la recente ricos-

truzione di M. BIERMANN, Das Staatseigentum an öffentlichen Sachen im Gemeinge-

brauch in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-

Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2009. Un’utile sintesi in lingua italiana in A. CO-

DACCI PISANELLI, Le azioni popolari, in Archivio giuridico, 33, 1884, pagg. 317 ss., pagg. 366 ss. Il cantone di Basilea era stato diviso nel 1833 (c.d. Basler Kantonstren- nung) a seguito delle tensioni politiche e sociali tra liberali e conservatori (la c.d. Re- generation) che scossero la Svizzera dopo la restaurazione dell’antico patriziato seguita alla sconfitta del tentativo napoleonico di una Repubblica Elvetica modellata sulla for- ma di governo direttoriale.

(Keller e Rüttimann) che tedeschi (Jhering e Dernburg)36. Le posizioni

maturate in quel dibattito, pur risentendo delle esigenze pratico- applicative che lo avevano generato37, hanno fortemente influenzato la

dottrina successiva38, riconducendo il problema dell’appartenenza delle res publicae – e in particolare delle res in usu publico – a quello del-

l’individuazione del soggetto titolare del corrispondente diritto, tecni- camente o sostanzialmente assimilato alla proprietà privata.

La tesi secondo cui lo stato romano (inteso come persona giuridica) vantasse su tutte le res publicae un diritto soggettivo riconducibile allo schema del dominium quiritario39 è stata in particolare difesa da Dern-

burg40 e Rüttiman41 e accettata poi a livello scientifico in diversi celebri

manuali di Pandette e monografie pubblicate in quel torno di anni42.

36 Per cui si è potuto di recente parlare di quel confronto scientifico nei termini di

una vera e propria ‘lode della Pandettistica’: così nel bel contributo di M.T. FÖGEN, Lob

der Pandektistik, in R.M. KIESOW, R. OGOREK, S. SIMITIS (a cura di), Summa. Dieter

Simon zum 70. Geburtstag, Frankfurt am Main, 2005, pagg. 179 ss.

37 È questo, peraltro, un carattere costante del dibattito romanistico sulla qualifica-

zione giuridica delle res publicae: per restare ai casi più vicini alla nostra esperienza si pensi al dibattito nella romanistica italiana italiana della prima metà del Novecento (cfr. quanto sarà osservato infra nel capitolo 4 paragrafo 2.1) relativo alla qualifica giuridica delle acque in diritto romano, innescato dall’approvazione della legge sulle derivazioni dalle acque pubbliche (decreto luogotenenziale n° 1664 del 1916).

38 Per tutti, l’impostazione di V. SCIALOJA, Teoria della proprietà nel diritto roma-

no, Roma, 1933, pagg. 207 ss., ancora in G. SCHERILLO, Lezioni di diritto romano. Le

cose, cit., pagg. 89 ss.

39 Nel senso che il dominium ex iure Quiritium fu «oggetto di un’elaborazione au-

tonoma che ne fece il perno di tutto un sistema di diritti reali», e che dunque pure le forme proprietarie non civilistiche elaborate nel corso dell’esperienza giuridica romana furono ad esso assimilate «sempre però con la precisa coscienza che i nuovi sistemi analoghi che si creavano, dominium quiritario non erano, e tutto il sistema che li riguar- dava, se era stabilito in analogia col sistema dei diritti reali del ius civile, non era il sistema dei diritti reali del ius civile»: così C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto

romano I, Torino, 2001, pag. 460, ma anche pagg. 164 ss.

40 H. DERNBURG, Rechtsgutachten über den zwischen den Kantonen Basel-

Landschaft und Basell-Stadt obwaltenden Streit bez. der Festungswerke bei der Stadt Basel mit Rücksicht auf die Lehre von den öffentlichen Sachen, Halle, 1862.

41 Il quale, a differenza degli altri protagonisti della controversia, non aveva una

formazione accademica in senso tradizionale, essendosi formato nell’Istituto politico di Zurigo prima di intraprendere una brillante carriera nell’amministrazione giudiziaria

Di contro, i giuristi che si opponevano alla tesi dernburghiana circa la natura privatistica e proprietaria del rapporto tra stato e res publicae, argomentarono proprio a partire dalla distinzione posta nelle fonti tra

res in patrimonio e in usu populi, ipotizzando che rispetto a queste ul-

time si dovesse parlare – piuttosto che di proprietà in senso privatistico – di appartenenza sui generis, fondata su un titolo pubblicistico e dun- que non assimilabile allo schema del dominium privatistico, ma piutto- sto al concetto dell’eminent domain43 del sovrano44. Tale fu in buona

sostanza l’interpretazione proposta da Jhering45 e Keller46 i quali, di

contro alla tesi circa la natura privatistica del rapporto dominicale dello stato con tutte le res publicae, isolarono una categoria di beni – le res in

elvetica, che lo porterà a ricoprire tra l’altro il ruolo di Presidente del Tribunale federale nel 1874. Un’utile ricostruzione dell’ambiente accademico e giudiziario della Svizzera in quel torno di anni in M. LUMINATI, Giudici-legislatori alla maniera elvetica, in Qua-

derni fiorentini per lo studio del pensiero giuridico moderno, 40, 2011, pagg. 304 ss.

42 Riferimenti alla dottrina ottocentesca in A. UBBELOHDE, Commentario alle Pan-

dette di F. Glück XLIII-XLIV, II, cit., pagg. 235 ss. e in F. EISELE, Über das Rechtsver-

hältniss der res publicae in publico usu nach römischem Recht, Basel, 1873, pag. 3.

Nella romanistica novecentesca, in particolare G. SCHERILLO, Lezioni di diritto romano.

Le cose, cit., pagg. 180 ss.

43 La similitudine è in C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni, I, cit., pag. 167. 44 M. BIERMANN, Staatseiegentum an öffentlichen Sachen, cit., pagg. 41 ss. 45 R. JHERING, Der Streit zwischen Basel-Land und Basel-Stadt über die festung-

werte der Stadt Basel, Leipzig, 1862 (= in ID., Vermischte Schriften, Leipzig, 1879, pagg. 143 ss.).

46 Keller, vicino alle posizioni dei liberali, aveva presieduto nel biennio 1833-34 il

tribunale arbitrale che si occupò della prima divisione del Cantone di Basilea nei due sottocantoni di Basilea-città e Basilea-campagna: si vedano le memorie raccolte in F.L. KELLER, Die baseler Theilungssache nach den Acten dargestellt, Aarau, 1834. Egli venne poi ricontattato dall’Halbkantone di Basel-stadt per fornire una sorta di interpre- tazione autentica del lodo divisorio prodotto dal collegio da lui presieduto vent’anni prima (M.TH. FOGEN, Lob der Pandektistik, cit., pag. 181), che sfocerà in due memorie: F.L. KELLER, Rechtsgutachten die Festungswerke der Stadt Basel und deren gegenwär-

tigem Rechtsverhältnisse betreffend, Langenthal, 1861 (non vidi) e ID., Einige Bemer-

kungen über das Gutachten betreffend die Rechte, welche dem Kanton Basel-Landshaft an den die Stadt Basel umgebenden Festungwerken zustehen, in Nachtrag zu dem Gut- achten betreffend die Basler Festungwerke und Erwiederung auf die Bemerkungen des Herrn Geheimen Justizrat und Professor Dr. F.L. Keller in Berlin, Zurich, 1860, An-

usu publico – il cui rapporto con lo stato sarebbe piuttosto qualificabile

come sovranità che come proprietà47. A questa impostazione può essere

ricondotta anche la tesi di Eisele il quale, tentando a distanza di anni dalla controversia di Basilea una sorta di mediazione tra le tesi dern- burghiane e jheringhiane, finiva per interpretare il rapporto di apparte- nenza inerente alle res publicae come proprietà pubblica essenzialmen- te caratterizzata dalla destinazione alla pubblica utilità, patrimoniale o materiale48.

47 Nelle parole di Eisele, Keller e Jhering «behaupten, dass diese Sachen (res in usu

publico) schlechthin in keinem privatrechtlichen Eigenthume stehen, und schreiben

dem Staate an denselben vielmehr Hoheitsrecht» (F. EISELE, Über das Rechtsverhält-

niss, cit., pag. 1). Analogamente si esprimeva ancora V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di

diritto romano14, Napoli, 1960, pagg. 171 ss.

48 F. EISELE, Über das Rechtsverhältniss, cit., pag. 24: «daher nehme ich keinen

Anstand, das Recht des Staats an den öffentlichen Sachen zu bezeichnen als Eigenthum des ius publicum oder als publizistische Eigenthum, und dasselbe zu definieren als da- sjenige Eigenthum, welchem die Zweckbestimmung zum Gemeingebrauch immanent ist». Nella dottrina ottocentesca, una posizione analoga è stata fatta propria pure dal Saleilles (R. SALEILLES, Le domaine public à Rome et son application en matière artis-

tique, I-II, in RHDFE, 12-13, 1888-1889 = Paris, 1889, da cui traggo le citazioni), il

quale trattando delle res publicae da un lato afferma recisamente che «l’État a sur elles un droit de propriété analogue à celui qui appartient à tout particulier sur les biens fai- sant partie de son patrimoine» (pag. 12) mentre dall’altro – trattando delle classifica- zioni delle cose di Giustiniano e Ulpiano – osserva come in questi casi «le point de vue auquel il se place est celui de l’affectation do la chose: il appelle choses publiques celles qui sont affectées à l’usage du public» (pag. 6). Non dissimile da questa è la po- sizione cui giunge Vecting (W.G. VECTING, Domaine public et res extra commercium.

Étude historique du droit romain, français et néerlandais, Alphen aan den Rijn, 1950)

il quale però tende a rimarcare piuttosto contro Eisele (ivi, pag. 33) l’unitarietà del rap- porto tra lo stato e le res publicae, a prescindere dalla loro qualifica come in usu o in

patrimonio populi: esso sarebbe qualificabile come una di diritto di proprietà e dunque

strutturalmente assimilabile al rapporto dominicale privatistico («les droits que l’Etat avait sur ces choses étaient les mêmes dans leur quantité et leur espèce que ceux que le citoyens avaient en vertu de leur droit de proprieté sur le choses qui leur appartenaient», pag. 32), ma pur sempre di diritto pubblico (riconoscendo «une difference entre la puis- sance de l’Etat et celle de l’individu sur les choses, comme tout ce qui concerne l’Etat avait un couleur propre», pag. 33); insomma, «l’Etat selon le droit romain doit donc être considéré comme propriétaire des res publicae, de celles qui sont e de celles qui ne sont pas destinées à un usage public» (pag. 34). Sulla medesima scia pure Eliachevitch il quale, pur affermando che «la question de savoir comment les jurisconsultes romains

Il problema della titolarità delle res in usu publico verrà poi ripreso e ulteriormente sviluppato da Jhering nel quadro del noto dibattito circa natura e, soprattutto, fondamento processuale delle cosiddette azioni popolari49. Contro la tesi (mommseniana e poi) kelleriana circa la pro-

prietà statale delle res in usu publico, che finiva necessariamente per postulare la natura ‘procuratoria’ dei rimedi (in primis gli interdetti de

locis publicis) a legittimazione popolare posti a loro tutela50, Jhering

afferma il carattere reale dei rapporti giuridici tra i cives e questa parti- colare categoria di beni: nel pensiero dei giuristi romani, in altre parole, le res in usu publico verserebbero in una condizione simile a una com- proprietà basata su un titolo pubblicistico, per cui a ogni singolo civis sarebbe riconosciuta una sorta di titolarità pro parte del bene, di cui gli

qualifiaient le droit du populus Romanus sur ses biens est pour nous d’une importance secondaire» (B. ELIACHEVITCH, La personnalité juridique en droit privé romain, Paris, 1942, pag. 11, spec. nota 40), si affretta a ribadire la tesi secondo cui ciò che determina la condizione giuridica delle res in usu publico «c’est le fait qu’ils appartiennent au

populus Romanus» (ibidem), dal momento che «la condition juridique des biens est

determinée par le sujet auquel ils appartaient» (ivi, pag. 12), a prescindere dalla ulterio- re qualifica dei beni come in usu o in partimonio populi (ivi, pag. 14). Nella manualisti- ca accettano questa ricostruzione, tra gli altri, M. GIRARD, Manuel élémentaire de droit

romain, Paris, 1929 (rist. Paris, 2003), pagg. 261 ss.; M. KASER, Das römische Privat-

recht I Das altrömische, das vorklassische und klassische Recht, München, 1971,

pag. 381.

49 Per la ricostruzione delle linee fondamentali di quel dibattito si vedano le origina-

li osservazioni di F. CASAVOLA, Fadda e la dottrina delle azioni popolari, in Labeo, 1, 1955, pagg. 131 ss., secondo cui l’interesse della dottrina di quel tempo per il tema delle azioni a legittimazione popolare «fu direttamente sollecitato dalle rivoluzioni liberali maturate alla metà del secolo scorso (il diciannovesimo) e richiedenti una nuova sistemazione dei rapporti tra Stato e cittadino, dopo la caduta delle costituzioni assoluti- stiche». Analogamente A. DI PORTO, Interdetti popolari e tutela delle ‘res in usu

publico’, cit., pagg. 496 ss. Si veda comunque quanto si osserverà infra nel paragrafo 5

di questo capitolo.

50 T. MOMMSEN, Die Stadtrecht der lateinischen Gemeinden Salpensa und Malaca,

in Abhandlungen der königlich sächsische Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig, 3, 1855, pagg. 363 ss., spec. pagg. 463-464. Non sorprende a questo punto di trovare sulla medesima posizione ‘statalista’ anche F.L. KELLER, Der römische Zivilprozess6, Leipzig, 1883 (rist. Aalen, 1966), pagg. 476 ss. (analogamente già nella trad. italiana della terza edizione Il processo civile romano e le azioni: esposizione sommaria ad uso

interdetti de locis publicis – e specialmente quelli a legittimazione dif- fusa o popolare – rappresenterebbero la traduzione sul piano processua- le51. Il diritto di uso comune di tali beni sarebbe null’altro che il riflesso

della titolarità di un diritto reale sugli stessi riconosciuto in capo alla collettività nel suo complesso52. Pur dovendo riconoscere a questa tesi

di aver dischiuso la possibilità di pensare la disciplina di taluni beni pubblici al di fuori dello schema dell’appartenenza alla persona giuridi- ca statale53 e di aver inserito il problema della qualificazione delle res in usu publico nel più generale quadro di sviluppo costituzionale e so-

ciale di Roma54, occorre sottolineare come, in definitiva, essa non si

distacchi dal tradizionale schema della titolarità soggettiva – in questo caso riferita alla collettività dei cives e non alla persona giuridica sta- tuale – come unico parametro per definire la natura giuridica di un be- ne.

51 R. JHERING, Geist des römischen Rechts aus den verschiedenen Stufen seiner

Entwicklung3, I, Leipzig, 1873, pag. 211 (trad. francese di O. de Meulenaere, Esprit du

droit romain dans les diverses phases de son developpement, I, Paris, 1883, pag. 213).

Evidentemente in quest’ottica non si pone la necessità di postulare un rapporto di rap- presentanza tra l’attore popolare e lo Stato titolare dell’interesse a difendere il diritto sulla res in usu publico, poiché il quivis de populo azionerebbe una posizione giuridica immediatamente riferibile alla propria sfera giuridica.

52 W.G. VECTING, Domaine public et res extra commercium, cit., pagg. 249 ss. Nel-

la più recente manualistica, una prospettiva non dissimile è assunta in M. TALAMANCA,

Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, pag. 181 dove si legge che «l’usus publicus

cui una parte di tali cose [le res publicae] sono destinate sembra essere non tanto una concessione dello stato ai cittadini, quando l’esercizio di un potere che sulle res

publicae stesse spetta ai cives come titolari sulle res in questione nella loro qualità di

membri del popolo inteso come collettività dei cittadini stessi».

53 R. ORESTANO, Diritti soggettivi e i diritti senza soggetto, in Jus, 1960,

pagg. 150 ss. (= in ID., Azione, diritti soggettivi, persone giuridiche, Bologna, 1978, pagg. 115 ss. da cui cito; oggi anche in ID., Scritti. Saggistica, III, Napoli, 1998, pagg. 1401 ss.), pagg. 126 ss.

54 Jhering infatti riconnette tale concezione alla persistenza in età avanzata di para-

digmi elaborati in un’epoca primitiva, quando i membri delle gentes intese come orga- nismi pubblici (o semi-pubblici) possedevano collettivamente i beni dei gentili: R. JHERING, Geist des römischen Rechts3, I, cit., pag. 211 (= trad. fr. Esprit du droit

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