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3. Materiali e Metod

3.3. Analisi dei sottogruppi

4.3.1. Cancro e trombosi

L’associazione tra trombosi e cancro è nota da più di un secolo. Nel 1875, Armand Trousseau, un medico francese, riconobbe e descrisse la trombosi come una complicanza frequente nei pazienti con cancro2.

Oggi è ampiamente riconosciuto che la trombosi è una complicanza consueta delle neoplasie e contribuisce in maniera significativa alla morbilità e alla mortalità in oncologia.

L’incidenza di tromboembolismo venoso (TEV) in pazienti con neoplasia solida risulta 1 su 200; una percentuale variabile dal 4 al 20% dei pazienti neoplastici sviluppa un episodio di tromboembolismo venoso. (Lyman et al., 2013)(Lee AY et al 2003).

Le trombosi neoplastiche si caratterizzano per una maggiore tendenza alla recidiva: in uno studio retrospettivo su 1303 pazienti in TAO ha evidenziato una percentuale di recidive del 27% per pazienti neoplastici contro il 9% dei non neoplastici (J.W.Blom, C.J.Doggen, S.Osanto, 2005).

La prevenzione e il trattamento della trombo embolie in pazienti neoplastici risulta spesso difficoltoso, in considerazione degli alti tassi di ricorrenza, morbilità e mortalità della patologia a fronte delle complicanze emorragiche. Numerose linee guida per la prevenzione e il trattamento delle TEV nel paziente oncologico sono state emanate da società scientifiche nazionali e internazionali (AIOM, ESMO, ASCO, NCCN); non esistono, tuttavia, raccomandazioni da linee guida universali e sicure per ogni paziente essendo la popolazione neoplastica una entità fortemente eterogenea.

In linee generali nei pazienti con cancro la profilassi dovrebbe essere considerata in presenza di condizioni che aumentano il rischio trombotico, cioè

2 Trousseau A. Phlegmasia alba dolens. In: Bailliere J.B. editor. Clinique Médicale de l’Hotel Dieu de Paris, J.B. Bailliere et fils 1865.

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4.3. Eventi tromboembolici venosi

procedure chirurgiche, ospedalizzazione, chemioterapia, terapia ormonale o con farmaci biologici.

Alcune recenti ricerche (Tab.16) (Khorana, Kuderer, Culakova, Lyman, & Francis, 2008) (Sud & Khorana, 2009) hanno individuato un modello predittivo valido, basato su un risk-score, che è in grado di stimare l’entità del rischio trombotico; tale modello si basa sull’identificazione di organi ad altissimo (stomaco, pancreas) e alto (polmone, tratto urogenitale, linfoma) rischio e sull’ inquadramento “biochimico” (leucociti, piastrine, emoglobina) del paziente.

Tab. 16 – Modello predittivo per la trombosi venosa associata alla chemioterapia. (adapted from

Khorana et al. (Blood, 2008, 111:4902)

Anche se le LG più attuali non raccomandano di default l’impiego di eparina a basso peso molecolare nei pazienti neoplastici, sarebbe auspicabile da parte del medico che ha in carico il paziente neoplastico una adeguata stratificazione del rischio dell’individuo, in considerazione non solo dell’istotipo e dalla stadiazione, ma anche delle condizioni generali del paziente, età, iter terapeutico (chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia, terapie biologiche), controllo del dolore e di altri fattori socioeconomici.

Patient Characteristics Risk Score

Site of cancer:

Very high risk (stomach, pancreas)

High risk (lung, lymphoma, gynecologic, bladder, testicular)

2 1

Prechemotherapy platelet count 350000/mm3 or more 1

Hemoglobin level less than 10 g/dl or use of red cell growth factors 1 Prechemotherapy leukocyte count more than 11000/mm3 1

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4.3. Eventi tromboembolici venosi

4.3.2. Allettamento

IL TEV è una delle più frequenti e temibili complicanze che possono verificarsi nel paziente allettato. L’incidenza della Trombosi Venosa Profonda asintomatica, identificata mediante metodiche strumentali, è del 50 % circa (Geerts & Pineo, 2004).

L’immobilizzazione è una conseguenza della progressione delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale come la vascolopatia ischemica cerebrale cronica, le sindromi parkinsoniane, la demenza senile e la malattia di Alzheimer, la cui incidenza aumenta inesorabilmente con l’età.

L’età media della popolazione in studio è 71,7 anni.(Fig.12)

Un allettamento prolungato pone questi pazienti ad aumentato rischio trombo embolico, sebbene la reale incidenza del tromboembolismo venoso sia stata scarsamente studiata.

Non sono inoltre presenti in letteratura studi che abbiano valutato l’efficacia e la sicurezza della prevenzione del tromboembolismo venoso con eparina non frazionata; quindi l’indicazione a utilizzare l’eparina a basso peso molecolare per la prevenzione del tromboembolismo venoso in pazienti allettati per patologie degenerative è in classe D; il suo impiego viene “suggerito”.

Anche in questo sottogruppo di pazienti, come nel caso dei neoplastici, appare sempre più importante la stratificazione del rischio a fronte di una mera applicazione di linee guida sulla Profilassi antitromboembolica (paziente allettato o neoplastico), le quali riguardando una popolazione così vasta ed eterogenea, spesso mancano di significatività nell’offrire indicazioni precise, affidabili e riproducibili sulla gestione terapeutica dei pazienti.

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4.4. Disturbi idro-elettrolitici

4.4. Disturbi idro-elettrolitici

I pazienti affetti da disturbi idroelettrolitici, più frequentemente iponatriemia e ipokaliemia, sono stati 218, il 14% dei ricoveri totali nel reparto di Medicina d’Urgenza Universitaria nel triennio 2011-2014.

I più frequenti si sono rivelati l’iponatriemia (118 pazienti) e l’ipokaliemia (65 pazienti); 26 pazienti presentavano sindrome iperosmolare e/o ipernatriemia e 9

pazienti disturbi misti (iponatriemia e ipokaliemia, ipocalcemia,

ipomagnesemia). (Fig.14)

Dei 218 pazienti solo l’11% presentava un evento acuto che da solo potesse giustificare il ricovero in ambiente medico a causa del disturbo idroelettrolitico: Febbre, Sepsi, Gastroenterite, Polmonite, Infezione delle vie urinarie sono state le patologie più frequentemente responsabili del disturbo elettrolitico. (Fig.15)

La maggior parte di essi, il 53% del totale (115 pazienti), utilizzava farmaci diuretici dell’ansa (furosemide e torasedmide) o diuretidi tiazidici (idroclorotiazide, indapamide) prescritti per lo più come antipertensivi, la cui assunzione quotidiana risultava spesso autogestita dal paziente in base alla comparsa di edemi declivi, all’aumento del peso corporeo o alla contrazione della diuresi. (Fig.15)

Molto frequente si è rivelata la concomitanza di stati acuti di infezione (Gastroenteriti, Infezioni vie Urinarie, Polmoniti, Sepsi) con patologie croniche (14 pazienti- 6%) o con una terapia cronica (27 pazienti- 12%). (Fig.15)

Le patologie croniche più frequentemente associate al disturbo idroelettrolitico sono risultate la vasculopatia ischemica cerebrale cronica (in genere responsabile di iponatriemia) e i disturbi edemigeni come lo scompenso cardiaco congestizio o la cirrosi epatica.

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4.4. Disturbi idro-elettrolitici

Farmaci più frequentemente concausa del disturbo sono non solo i diuretici dell’ansa o tiazidici ma anche antipsicotici come acido valproico, carbamazepina, e SSRI come la paroxetina e la sertralina.

Il 12% dei pazienti (26 pz) risultava essere allettato, con decadimento cognitivo e/o iporessia importante; in questa parte di pazienti la “fragilità” senza dubbio appariva come una concausa importante nello sviluppo del disturbo idroelettrolitico. (Fig.15)

Fig. 14 – Percentuale di pazienti affetti da iponatriemia, ipokaliemia, sindrome iperosmolare,

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4.4. Disturbi idro-elettrolitici

Fig. 15 - Cause e concause del disturbo elettrolitico - numero di pazienti con disturbo elettrolitico

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4.4. Disturbi idro-elettrolitici

Nello studio in oggetto sono stati valutati solo alcuni degli effetti avversi dei farmaci diuretici, come la disidratazione, l’iponatriemia e l’ipokaliemia.

L’utilizzo della terapia diuretica in cronico comporta infatti molti rischi: (Fig. 16) si possono manifestare disturbi idroelettrolitici, evidenziabili con uno stretto monitoraggio degli elettroliti sierici e degli indici di funzionalità renale; se il paziente ha un disturbo edemigeno (scompenso cardiaco, cirrosi epatica) è possibile che si sviluppi una sindrome cardio-renale o epato-renale. E’ quindi necessaria una frequente valutazione dello stato volemico del paziente, nonchè degli indici di funzionalità renale e degli elettroliti, soprattutto se il paziente è anziano, “fragile” e se va incontro a un infezione o un acuzie che comporta una modificazione dell’apporto o dell’escrezione di liquidi.

Le indicazioni alla terapia diuretica nel sottogruppo di pazienti sono risultate essere: (Fig.17)

1. Ipertensione arteriosa (54 pazienti, il 47%) 2. Scompenso Cardiaco (20 pazienti, il 17%) 3. Cirrosi epatica (16 pazienti, il 14%)

4. Edemi declivi (25 pazienti, il 22%)

Una quota non trascurabile di pazienti (22%) assumeva diuretici per la presenza di edemi declivi, in assenza di altre indicazioni, che ha sviluppato un disturbo dell’equilibrio elettrolitico a causa di tale farmaco, con il conseguente ricovero in ambiente medico.

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4.4. Disturbi idro-elettrolitici

Fig. 16 - Effetti avversi potenziali dei diuretici e meccanismi eziopatogenetici. RAAS=renin-

angiotensin-aldosterone system (Ernst, Pharm, & Moser, 2009).

Fig. 17 – Indicazioni alla terapia diuretica cronica domiciliare in pazienti affetti da disturbo

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4.5. Scompenso cardiaco

4.5. Scompenso cardiaco

I pazienti dimessi con diagnosi di scompenso cardiaco sono 422, il 12% dei ricoveri totali. Quasi la totalità dei pazienti presentava la dispnea come sintomo di presentazione del disturbo.

Il 46% dei pazienti (194 pz) non ha subito modifiche alla terapia dello scompenso; i motivi di ricovero in tale sottogruppo sono risultati essere: (Fig.18)

 aritmie cardiache, soprattutto problematiche di controllo della frequenza in pazienti con Fibrillazione atriale cronica, sindromi coronariche acute e subacute (87 pz, il 45%);

 infezioni delle vie aeree, quali polmonite, broncopolmonite, BPCO riacutizzata (54 pz, il 28%);

 disturbi neurologici, quali Ictus ischemico, TIA, sopore di ndd (39 pz, il 20%);

 14 pz problematiche varie (14 pz il 7%).

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4.5. Scompenso cardiaco

Duecentoventotto pazienti (il 54% del totale) hanno subito modifiche terapeutiche inerenti la patologia cardiovascolare, in particolare: (Fig.19)

 Il 27% dei pazienti non assumeva aceinibitore nonostante le indicazioni (scompenso cardiaco con riduzione della FE). Sono stati somministrati Ramipril o Lisinopril.

 Il 53% pazienti assumeva regolarmente furosemide ma con effetti avversi (disidratazione, oliguria, aumento degli indici di funzionalità renale) oppure senza indicazione specifica (ad esempio per il controllo della pressione arteriosa in monoterapia);

 Il 54% dei pazienti ha iniziato terapia con farmaci antialdosteronici come da indicazione delle Linee Guida (Classe NYHA II-IV, EF <35%);

 Il 38% dei pazienti ha iniziato terapia con nitrati, sia in presenza di cardiopatia ischemica sia come controllo della PA.

Fig. 19- Percentuale di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco andati incontro a modifiche

terapeutiche (dall’ammissione alla dimissione. In azzurro le terapie iniziate (non assunte a domicilio), in rosso le terapie interrotte durante il ricovero.

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4.5. Scompenso cardiaco

Le linee guida per il trattamento dello scompenso cardiaco raccomandano l’impiego degli ACE-inibitori in tutte le classi funzionali di scompenso cardiaco (McMurray et al., 2012).

Oltre ai noti effetti sul sistema renina angiotensina è ormai riconosciuto il loro ruolo sul rimodellamento ventricolare sinistro, sul miglioramento dei sintomi e la riduzione di ospedalizzazione e mortalità. Nello studio CONSENSUS (Cooperative North Scandinavian Enalapril Survival Study) e nello studio SOLVD (dieso f Left Ventricular Dysfunction)(nota) in cui sono stati arruolati circa 2800 pazienti (enalapril vs placebo) è stata dimostrata una riduzione della mortalità rispettivamente del 27% e del 16%. (The CONSENSUS trial study group, 1987) (The SOLVD Investigators, 1991)

I farmaci ACEI sono quindi risultati essere sottoprescritti: il 27% dei pazienti non assumeva tale terapia in presenza di indicazioni (ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco).

Il trattamento con antialdosteronici è raccomandato in tutti i pazienti con scompenso in classe NYHA III-IV con FE<35%, già in terapia con ACEi, betabloccanti e diuretici. Nello studio RALES (Randomized Aldactone Evaluation Study) in cui sono stati reclutati circa 1600 pazienti con scompenso cardiaco severo (placebo vs Spironolattone sono state evidenziate una riduzione della mortalità dell’11,4% e una riduzione del rischio relativo di ospedalizzazione del 35% (Pitt P., Zannad F., 1999). Lo studio EMPHASIS- HF (2737 pazienti in NYHA II trattati con Eplerenone) ha evidenziato una riduzione del rischio di relativo di morte e malattie cardiovascolari o di ospedalizzazione del 37%. (Swedberg et al., 2012)

I farmaci diuretici, capisaldi della terapia dello scompenso in quanto in grado di controllare la ritenzione idrica e i sintomi da sovraccarico di volume, sono raccomandati dalle LG soltanto in caso di paziente congesto o con sintomi specifici come la dispnea, indipendentemente dalla FE (McMurray et al., 2012) (Maisel et al., 2010).

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4.5. Scompenso cardiaco

Nonostante i diuretici vengano ampiamente utilizzati nello scompenso cardiaco, non ci sono ancora dati a lungo termine che ne attestino l’efficacia e la sicurezza a lungo termine (McMurray et al., 2012): resta poco chiaro se gli effetti sulla sintomatologia congestizia dei diuretici possano controbilanciarne gli effetti avversi (molti dei quali legati ad all’attivazione neurormonale) nei soggetti trattati continuativamente e già sottoposti a terapia con ACEi e betabloccanti. Le linee guida sul trattamento dello scompenso cardiaco raccomandano infatti un “attento uso della terapia diuretica in pazienti affetti da insufficienza renale” (Roush, Kaur, & Ernst, 2014). Nella pratica clinica si è soliti imbattersi in terapia domiciliari croniche con diuretici, che vengono proseguite anche dopo la risoluzione del quadro congestizio, mettendo il paziente a rischio di ipovolemia, ipotensione arteriosa, squilibri elettrolitici o evoluzione in sindrome cardiorenale.

Il mantenimento di un adeguato stato volemico può essere ottenuto anche mediante la semplice restrizione di liquidi e sodio. L’ipovolemia indotta dai diuretici potenzia anche gli effetti avversi di ACEi e sartanici (Petersen & DiBona, 1992) (Stevenson, Massie, & Francis, 1998).

La classe dei diuretici è risultata essere la più prescritta senza precise indicazioni, così come la classe degli antialdosteronici è risultata essere la meno prescritta in presenza di indicazioni.

Il 53% dei pazienti assumeva regolarmente furosemide ma con effetti avversi (disidratazione, oliguria, aumento degli indici di funzionalità renale) oppure senza indicazione specifica (ad esempio per il controllo della pressione arteriosa in monoterapia).

Il 54% dei pazienti ha iniziato terapia con farmaci antialdosteronici come da indicazione delle LG (Classe NYHA II-IV, EF <35%).

I farmaci nitroderivati sono da prendere in considerazione come un’alternativa agli ACEI o in caso di intolleranza agli stessi per ridurre il rischio

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4.5. Scompenso cardiaco

di ospedalizzazione per Scompenso Cardiaco e il rischio di morte prematura in pazienti con FE<45% e ventricolo sinistro dilatato (Raccomandazione classe II, livello di evidenza B). (McMurray et al., 2012)

I nitroderivati sono risultati essere sottoprescritti; quasi la metà (57% 101 pz) dei pazienti che hanno subito modifiche alla terapia dello scompenso era inoltre affetta da cardiopatia ischemica cronica o pregresse ischemie miocardiche.

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5. Conclusioni

Da una analisi integrata dati è possibile stimare la percentuale di ricoveri potenzialmente evitabili con la somministrazione di una adeguata profilassi antitromboembolica o anticoagulante (il 13,5% circa dei ricoveri totali in 3 anni, 416 su 3085 dimissioni); di questi il 63% affetto da FA con rischio elevato, l'11% presenta indicazione alla profilassi secondaria con antiaggreganti, il 19% soffre di neoplasia solida in fase attiva e con fattori di rischio aggiuntivi e il 7% è allettato con decadimento cognitivo. E’ opportuno in tale contesto sottolineare come i farmaci anticoagulanti orali (Dicumarolici o Nuovi Anticoagulanti Orali) e la terapia antiaggregante (Cardioaspirina, Clopidogrel ed Eparina a basso peso molecolare) siano farmaci largamente impiegati negli ambulatori di Medicina Generale.

A questi vanno aggiunti i 228 casi di scompenso cardiaco coniugato ad una terapia inappropriata o incompleta. Tali pazienti, che rappresentano ben il 54% delle dimissioni con diagnosi di scompenso cardiaco, hanno subito modifiche terapeutiche sulla base di parametri clinici, laboratoristici e radiologici (esami ematochimici, ECG, Rx torace, Ecocolordoppler cardiaco), agilmente eseguibili nel setting ambulatoriale, nel contesto del quale consentirebbero un più accurato

follow-up del paziente.

Con ulteriore riguardo alla tipologia del ricovero è stato inoltre osservato che dei 422 pazienti dimessi con diagnosi di scompenso cardiaco solo il 26% ha presentato di edema polmonare acuto o insufficienza respiratoria acuta (rispettivamente 25 e 84 pazienti), tali da richiedere trattamento con ventilazione meccanica non invasiva e/o ossigenoterapia ad alto flusso. Il rimanente 74% è stato sottoposto durante la degenza ad accertamenti diagnostici, laboratoristici o clinici (eseguibili anche ambulatorialmente) ricevendo modifiche alla terapia domiciliare, con prescrizione di farmaci di largo e consolidato impiego (Ramipril, Lisinopril, Spironolattone, Canrenone,

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5. Conclusioni

Nitrati transdermici). Al sottoutilizzo di questi farmaci consegue un utilizzo inappropriato di risorse pubbliche ospedaliere per trattare le conseguenze della mancata somministrazione di una terapia medica.

Analizzando il sottogruppo dei disturbi idro-elettrolitici (218 pz) si evidenzia che il 53% è stato ricoverato non in seguito allo sviluppo di una patologia intercorrente acuta (diarrea, vomito, infezioni), ma a causa dell’utilizzo inappropriato di alcune classi di farmaci, generalmente di diuretici dell’ansa e tiazidici, prescritti anche senza una precisa indicazione.

Il dato aggregato dei diversi sottogruppi dimostra come 769 pazienti su 3085 siano stati ricoverati in seguito a una mancata profilassi o un'inadeguata terapia medica: si tratta del 25% dei ricoveri totali nel reparto di Medicina d'Urgenza Universitaria nel triennio 2011-2013.

Nel contesto della Sanità pubblica, considerata la degenza media, pari a 5,65 giorni, e il tasso di occupazione dei posti letto, che varia dal 96,57% al 99,82%, possiamo affermare che l’attività di reparto rispetta i tempi di ricovero previsti dagli standard di appropriatezza della Medicina d’Urgenza (5-6 giorni).

Qualitativamente, tuttavia, la tipologia di ricovero non può essere ascritta ad uno standard di “eccellenza”: di fatto le patologie trattate sono a bassa-media criticità clinica, tali da poter trovare un'adeguata e migliore risposta clinico assistenziale nell'ambito della rete delle cure primarie. Sono cioè patologie comuni (fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, malattie cerebrovascolari, ipertensione arteriosa, eteroplasie solide), trattabili con terapia farmacologica titolata in base a parametri clinici o laboratoristici di facile reperimento, anche al di fuori del contesto ospedaliero.

In un contesto nazionale e internazionale di promozione della qualità dell’assistenza, della sicurezza delle cure e dell'uso appropriato e razionale delle risorse, alla luce delle transizioni epidemiologica, demografica e sociale degli ultimi decenni, la conoscenza degli “errori medici” più frequentemente

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5. Conclusioni

commessi può fornire un aiuto valido per la comprensione della cause di inappropriatezza e scarsa qualità dei servizi assistenziali erogati.

Tali errori sono spesso non sono frutto di concomitanze avverse o di casualità statisticamente significative, bensì il prodotto di un agire colpevole, di una non osservanza e della inconsapevolezza delle conseguenza del proprio agire.

L’ignoranza spazia dagli effetti avversi e le indicazioni più comuni di farmaci ampiamente utilizzati, come i diuretici dell’ansa e gli antialdosteronici, alla stima del rischio tromboembolico in una popolazione che sta diventando sempre più anziana, polipatologica e fragile. Anche una “individualizzazione” della terapia, al di fuori della mera applicazione di LG, ha come presupposto fondamentale la conoscenza dei meccanismi patogenetici delle malattie e i meccanismi di funzionamento dei farmaci.

Al cambiamento che ha subito nel tempo il ruolo del MMG, non è probabilmente corrisposto un adeguamento della formazione specifica in medicina generale, né un piano di incentivi idonei all’ammodernamento dei servizi erogati.

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