• Non ci sono risultati.

Eccellenza in medicina e gestione delle patologie umane comuni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Eccellenza in medicina e gestione delle patologie umane comuni"

Copied!
79
0
0

Testo completo

(1)

___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ 1 5 7 9 11 14 16 18 20 22 25 27 31 33 35 36

Indice

1. Introduzione

1.1. Assistenza ospedaliera ... 1.2. Sistema di Emergenza-Urgenza ... 1.3. Cure primarie ... 1.4. Il contesto della Regione Toscana ... 1.5. Epidemiologia dell'errore medico ... 1.6. Tipologie di errori ... 1.7. Strategie per evitare gli errori ...

2. Scopo della tesi

...

3. Materiali e Metodi

3.1. Disegno sperimentale ...

3.2. Linee guida ... 3.3. Analisi dei sottogruppi ...

3.3.1. Fibrillazione atriale ... 3.3.2. Eventi cerebrovascolari acuti ...

3.3.3. Eventi tromboembolici venosi ... 3.3.4. Disturbi idro-elettrolitici ... 3.3.5. Scompenso cardiaco ...

(2)

___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ 41 47 51 53 55 56 61 66 69

4. Risultati e Discussione

4.1. Fibrillazione atriale ...

4.2. Eventi cerebrovascolari acuti ... 4.3. Eventi tromboembolici venosi ...

4.3.1. Cancro e trombosi ... 4.3.2. Allettamento ... 4.4. Disturbi idro-elettrolitici ... 4.5. Scompenso cardiaco ...

5. Conclusioni

...

6. Bibliografia

...

(3)
(4)

1

1. INTRODUZIONE

1.1. Assistenza ospedaliera

I significativi cambiamenti registrati in questi anni in tema di assistenza sanitaria, ed in particolare in quella ospedaliera, hanno richiesto un sostanziale ammodernamento del SSN (Sistema Sanitario Nazionale), partendo da alcune tematiche prioritarie, come l'implementazione della Clinical Governance e la sicurezza delle cure, la ricerca e l'innovazione.

Tutte le strutture sanitarie che concorrono a garantire gli obiettivi assistenziali debbono operare secondo il principio della efficacia, qualità e sicurezza delle cure, dell'efficienza, della centralità del paziente e dell'umanizzazione, nel rispetto della dignità della persona.

Il riequilibrio dei ruoli tra ospedale e territorio e una più adeguata attenzione alle cure graduate costituiscono oggi gli obiettivi di politica sanitaria verso cui i sistemi sanitari più avanzati si sono indirizzati per dare risposte concrete a nuovi bisogni di salute determinati dagli effetti delle tre transizioni -epidemiologica, demografica a sociale- che hanno modificato il quadro di riferimento degli ultimi decenni. Un tale cambiamento strutturale e organizzativo determina una inevitabile ridistribuzione delle risorse, che può essere oggettivamente ed equamente effettuata attraverso la valutazione dei volumi e strategicità delle prestazioni, delle performance e degli esiti clinici.

In questa logica, per promuovere la qualità dell'assistenza, la sicurezza delle cure e l'uso appropriato delle risorse, implementando forme alternative al ricovero ospedaliero, gli obiettivi di razionalizzazione devono riguardare prioritariamente quei servizi e quelle prestazioni che maggiormente incidono sulla qualità dell'assistenza, sia in termini di efficacia che di efficienza. La conseguente riduzione del tasso di occupazione dei posti letto, della durata della degenza media e del tasso di ospedalizzazione consentirà che gli attesi

(5)

2

1.1. L’assistenza ospedaliera

incrementi di produttività si possano tradurre in un netto miglioramento del SSN nel rispetto delle risorse programmate.

Il raggiungimento di tali obiettivi richiede di costruire un sistema basato da un lato sull'integrazione dei servizi ospedalieri, dall'altro sull'integrazione della rete ospedaliera con la rete dei servizi territoriali (Ministero della Salute, Ministero dell’Economia, & Ministero delle Finanze, 2014).

La riorganizzazione della rete ospedaliera porterà a compimento per quelle prestazioni erogabili in più appropriati settings assistenziali i processi di deospedalizzazione in atto, promuovendo un modello di ospedale radicato nel territorio, funzionalmente collegato con le reti assistenziali presenti, anche mediante l’adozione di procedure e protocolli certificati e condivisi con le strutture territoriali, dotato di moderne tecnologie e collegato in rete con le altre strutture ospedaliere di diversa complessità.

L’assistenza è modulata secondo l’intensità di cura richiesta per il singolo paziente, facilitata anche da scelte strutturali, di flussi e di percorsi di tipo flessibile, priorizzando, ove appropriato, modalità alternative al ricovero ordinario, come la dimissione pianificata e protetta e la partecipazione a percorsi assistenziali integrati, in considerazione della disponibilità di strutture intermedie di diretta interfaccia tra l'assistenza territoriale e quella ospedaliera (Ospedali di Comunità).

Il regolamento di definizione degli Standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera (Ministero della Salute et al., 2014) prevede che le regioni provvedano entro il 31 dicembre 2014 ad adottare un provvedimento generale di programmazione per fissare la propria dotazione di posti letto ospedalieri accreditati ad un livello non superiore al parametro nazionale di 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie (Ministero della Salute et al., 2014).

(6)

3

1.1. L’assistenza ospedaliera

Due recenti Rapporti, rispettivamente dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development, 2010) e del Ministero della Salute (Ministero della Salute et al., 2014), consentono di avere una panoramica dell’attività ospedaliera nel nostro Paese, con un confronto con gli altri Paesi europei, valutando contestualmente, per gli ultimi anni, le diversità esistenti fra le varie regioni italiane.

La rete ospedaliera italiana si articola su 645 strutture pubbliche e 541 private accreditate. Con questa rete di strutture (alla quale si aggiungono 73 case di cura non accreditate) sono disponibili 255.274 posti letto (al 2008), di cui 205.896 (80,7%) pubblici e 49.378 (19,3%) privati accreditati.

Nel corso dell’ultimo decennio si è assistito a una riduzione dei posti letto nel nostro paese, fenomeno condiviso dagli altri paesi europei; la media UE si è ridotta da 7,3 per 1.000 abitanti nel 1995 a 5.7 nel 2008 (Fig. 1).

Fig. 1 – Riduzione della disponibilità di posti letto per 1000 abitanti nei Paesi europei dal 1995

(7)

4

1.1. L’assistenza ospedaliera

Alla contrazione dei posti letto i vari sistemi sanitari hanno fatto fronte aumentando l’efficienza nella gestione dei ricoveri, con l’incremento del tasso di occupazione dei posti letto (in particolare in Irlanda, Italia, Norvegia e Svizzera) e la riduzione della durata di degenza.

(8)

5

1.2. Il sistema di Emergenza Urgenza

1.2 Sistema di Emergenza-Urgenza

Il sistema dell'emergenza-urgenza sanitaria rappresenta uno degli ambiti più critici del SSN, in quanto principale responsabile della risposta in tempi brevi al bisogno di assistenza da parte della popolazione. Istituito "recentemente" (DPR 27 marzo 1992) negli ultimi anni e su tutto il territorio nazionale è stato oggetto di critiche o riflessioni a causa del progressivo e costante incremento degli accessi al Pronto Soccorso (PS) che ha determinato un sovraffollamento dell'area di emergenza-urgenza intraospedaliera, con disagi e disservizi anche a pazienti che necessitano, in tempi rapidi, di prestazione polispecialistiche tipicamente ospedaliere. Il significativo afflusso ha riguardato sostanzialmente le patologie di media-bassa criticità clinica che possono trovare un'adeguata e migliore risposta clinico assistenziale nell'ambito della rete delle cure primarie, ove adeguatamente strutturata. Tale fenomeno, che si rileva anche per i servizi cui il cittadino accede telefonicamente (numero 118), determina un ricorso improprio a strutture e servizi che sono riservati alle situazioni o condizioni di reale emergenza. Esso ha diverse motivazioni, di cui la più importante è la percezione del cittadino di un bisogno immediato in relazione a prestazioni non differibili ma non urgenti. Tale percezione sarà molto minore se il cittadino si sente accolto all'interno di una rete di assistenza primaria in grado di anticipare e intercettare il suo bisogno (Ministero della Salute, 2009).

Su tutto il territorio nazionale ci sono 844 pronto soccorso, in cui lavorano 12.000 medici e 25.000 infermieri. Ogni anno gli accessi in pronto soccorso sono circa 24 milioni, 2 milioni al mese, 67.000 al giorno, 2.800 all’ora, 45 al minuto, quasi uno ogni secondo (Società Italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza, 2015)

Diversi studi (Afilalo et al., 2004; Bianco, Pileggi, & Angelillo, 2003; Brim, 2008) sono stati condotti in molti paesi del mondo, per conoscere la popolazione che accede in PS richiedendo cure per problemi non urgenti.

(9)

6

1.2. Il sistema di Emergenza Urgenza

Le caratteristiche individuate, anche se non sempre concordi, nel gruppo dei codici a bassa priorità possono essere riassunte come segue:

 giovane età;

 accesso per decisione autonoma o su consiglio di amici/parenti;  assenza di comorbidità (che comporta in genere l’assegnazione di un

codice più grave indipendentemente dal problema attuale);  durata dei sintomi prolungata;

 livello di educazione medio-alto;

 mancanza di un MMG (medico di medicina generale) di riferimento. Negli studi analizzati sull’argomento, sono state anche individuate le cause principali che portano questa tipologia di utenti a preferire il PS piuttosto che altri luoghi di cura:

 senso di urgenza;

 difficoltà nell’ottenere un appuntamento dal MMG;

 invio in PS direttamente dal personale dei centri di cura primaria (principalmente a ridosso degli orari di chiusura degli studi medici) ;  facilità/rapidità di esecuzione di test diagnostici in PS;

 fiducia nel PS;

 insoddisfazione del proprio MMG;

(10)

7

1.3. Cure primarie

1.3. Cure primarie

La reingegnerizzazione delle cure primarie, in cui è impegnato il nostro Paese, ha visto, in questi ultimi dieci anni, anche se non ancora compiutamente in tutto il territorio nazionale, il passaggio dall’erogazione di prestazioni parcellizzate alla realizzazione di percorsi condivisi tra gli operatori e tra questi e gli utenti, trasformando il paradigma della “medicina di attesa” in “medicina di iniziativa”, orientata alla “promozione attiva” della salute e alla responsabilizzazione del cittadino verso il proprio benessere.

In tale ottica, il MMG (Medico di Medicina Generale) vede rafforzato il suo ruolo attraverso la realizzazione delle forme aggregate delle cure primarie e l’integrazione con le altre professionalità del territorio. In tal senso l’Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale (ACN) del 29 luglio 2009 (Intesa Sindacale CISL, CIGL, 2009) prevede che il medico svolga la propria attività facendo parte integrante di un’aggregazione funzionale territoriale di MMG e operi all’interno di una specifica Unità Complessa delle Cure Primarie (UCCP).

Nell’attuale contesto sanitario, dunque, il MMG e le altre strutture del Servizio Sanitario Nazionale lavorano congiuntamente per fornire una risposta di rete ai bisogni dei cittadini, aumentandone l’empowerment1, responsabilizzando

la persona e il nucleo familiare nel perseguimento del massimo livello possibile di benessere, utilizzando supporti tecnologici informatici in grado di collegare i professionisti e consentendo la condivisione di dati e conoscenze.

L’Accordo datato 8 luglio 2010 prevede che il MMG assuma tra i propri compiti quello di trasmettere e rendere disponibile, tramite la rete informatica, predisposta dalla Regione, i dati relativi al “patient summary”, inteso quale strumento di riepilogo informativo del profilo sanitario di ciascun individuo da

1

Con il termine empowerment viene indicato un processo di crescita, sia dell'individuo sia del gruppo, basato sull'incremento della stima di sé, dell'autoefficacia e dell'autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l'individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. (http://it.wikipedia.org/wiki/Empowerment#Empowerment_e_famiglia)

(11)

8

1.3. Cure primarie

mettere a disposizione, nel rispetto della privacy, di tutto il sistema sanitario favorendo l’integrazione delle varie professionalità, soprattutto in un’ottica di continuità assistenziale h 24 e di sicurezza del paziente quale obiettivo strategico del governo della sanità.

Nel nostro Paese la continuità delle cure è uno dei principali obiettivi del SSN; essa è intesa sia come continuità tra i diversi professionisti integrati in un quadro unitario (lavoro in team, elaborazione e implementazione di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi ecc.), sia come continuità tra i diversi livelli di assistenza soprattutto nel delicato confine tra ospedale e territorio.

Nella gestione integrata della cronicità il MMG è il principale referente e corresponsabile della presa in carico e del percorso diagnostico-terapeutico più appropriato per il paziente stesso, anche nella previsione di un’organizzazione territoriale che contempli la possibilità di disporre di posti letto territoriali e/o servizi residenziali all’interno di apposite strutture di cure intermedie, nonché dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI).

Nell’anno 2009 le cure primarie sono state garantite, sul territorio nazionale, da 46.051 MMG, dei quali 30.139, pari al 65,5%, hanno prestato la propria attività in forma associativa. La media del numero di assistiti per medico nel 2009 è risultata essere di 1.133.

L’ADI è stata garantita a 526.568 persone, con una media nazionale di 877 prestazioni per 100.000 abitanti. L’84% di queste è rappresentato da anziani e il 9,4% da malati terminali. Confrontando questi dati con quelli del 2007 si nota un incremento di circa il 10% delle persone prese in carico.

(12)

9

1.4. Il contesto della Regione Toscana

1.4. Il contesto della Regione Toscana

La Casa della salute (CdS) nella Regione Toscana è un nuovo modello per la sanità territoriale attraverso la quale i cittadini possono disporre di un presidio impegnato e organizzato per la presa in carico della domanda di salute e di cura e, quindi, per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza socio sanitaria. Essa nasce dalla normativa nazionale sulle Unità territoriali di assistenza primaria (Utap) e da quella regionale, che ha previsto l’attivazione delle Unità di Cure primarie (Ucp). In particolare, la CdS è stata istituita con Dgr 28.06.2010, n. 625 “Sperimentazione del modello assistenziale Casa della salute” e si inserisce nell’ottica dell’Accordo collettivo nazionale 2009 come possibile sperimentazione delle Unità di Medicina generale (UMG). Oggi trova collocazione tassonomica nella UCCP (Unità Complessa di Cure Primarie) prevista nei vigenti accordi per la Medicina generale, Pediatria di famiglia e Specialistica ambulatoriale.

Nella Regione Toscana, nell’anno 2011 erano attive 11 Case della salute e 14 in progetto. Le 11 già realizzate avevano bacino di utenza di 121.000 abitanti con il coinvolgimento di:

 91 medici di Medicina Generale;  2 pediatri di Libera Scelta;  59 infermieri;

(13)

10

1.4. Il contesto della Regione Toscana

La sperimentazione della Casa della salute ha l’obiettivo generale di organizzare e sperimentare un presidio integrato socio-sanitario con apertura h24, 7 giorni su 7, capace di costituire un punto di riferimento globale per il cittadino sul territorio per la globalità dei suoi bisogni di assistenza primaria attraverso:

 miglioramento continuo del processo e del percorso assistenziale;  presa in carico socio-sanitaria dei bisogni del cittadino;

 trattamento della cronicità nei suoi vari aspetti;  realizzazione dei principi del Chronic Care Model;

 appropriatezza delle prestazioni attraverso la riduzione degli accessi impropri al Pronto soccorso, la riduzione del ricorso alla specialistica e la riduzione del tasso di ricovero;

 aumento della presa in carico delle problematiche sociali;

 sperimentazione di nuovi modelli di lavoro integrati tra Medici di medicina generale, infermieri, amministrativi, specialisti, assistenti sociali e medici della continuità assistenziale;

(14)

11

1.5. Epidemiologia dell'errore medico

1.5. Epidemiologia dell'errore medico

Si definisce “errore medico” un’omissione di intervento, o un intervento inappropriato, a cui consegue un evento avverso clinicamente significativo.

Non tutti gli eventi avversi sono dovuti ad errori, ma solo quelli evitabili. La stima della frequenza degli errori è difficile: uno degli ostacoli maggiori è il timore di conseguenze amministrative o medico-legali, che spinge chi ha commesso un errore a negarlo e comunque a non comunicarlo; inoltre, non sempre è facile stabilire se un evento avverso sarebbe stato evitabile oppure no.

Gli studi sull’errore in medicina si concentrano prevalentemente sugli eventi avversi consecutivi a trattamenti inappropriati o sull’omissione di interventi necessari; si tratta cioè di errori terapeutici. Gli errori di diagnosi conducono a eventi avversi in modo indiretto, per conseguenti interventi terapeutici sbagliati o per omissione o ritardo di interventi necessari; sono pertanto più difficili da evidenziare e i dati relativi sono più scarsi.

Le stime disponibili, basate sull’incidenza degli eventi avversi evitabili evidenziata da studi prospettici o retrospettivi su cartelle cliniche, devono essere considerate approssimate, potendo essere soggette a bias per difetto -perché molti errori possono non essere svelati- o per eccesso -perché eventi avversi giudicati evitabili potevano invece non essere tali (Thomas & Brennan, 2000). Gli studi maggiori per dimensioni e per accuratezza metodologica provengono dagli USA e dall’Australia; gli studi statunitensi sono due. Nel primo, condotto nel 1984 su 30.121 pazienti ricoverati in 51 ospedali di New York, l’incidenza di eventi avversi iatrogeni era del 3,7%, di cui il 69% evitabili e il 13% ad esito letale (Thomas & Brennan, 2000); nell’ altro, condotto in Colorado e Utah su 15.000 pazienti, l’incidenza di eventi avversi evitabili era del 2,9% negli anziani (65 anni o più), di cui 2,96% fatali, e dell’1,58% nei non anziani, di cui l’1,94% fatali (Brennan et al., 1991).

(15)

12

1.5. Epidemiologia dell'errore medico

I dati statunitensi, estrapolati dai 33,6 milioni di ricoveri ospedalieri annui hanno condotto alla stima di una mortalità annua compresa fra 44.000 e 98.000 decessi (Kohn, Corrigan, & Donaldson, 1999). Dati non lontani provengono dall’Inghilterra (10,8% eventi avversi su 1.014 pazienti ospedalizzati nel 1999, circa metà dei quali evitabili) (Vincent, Neale, & Woloshynowych, 2001).

Infine, una meta-analisi di 39 studi prospettici sull’incidenza di reazioni avverse in pazienti ospedalizzati negli USA (Lazarou J, Pomeranz BH, 1998) ha riportato un’incidenza del 6,7%; in 8 studi le reazioni avverse prevedibili (dose dipendenti e quindi evitabili) erano il 76%. Secondo questo studio, la stima di reazioni avverse estrapolata dall’intera popolazione ospedaliera USA per il 1994 risultava pari a 2.216.000, con 106.000 morti.

Una delle voci più autorevoli della comunità medica, il Journal of the American

Medical Association (JAMA) ha recentemente pubblicato un articolo di Barbara

Starfield, M.D., (Starfield, 2000) in cui si asserisce che l’errore da parte del medico, l’errore terapeutico e gli eventi avversi derivanti da farmaci o interventi chirurgici uccidono 225.400 persone all’anno (Tabb. 1 e 2).

Tale dato fa del sistema sanitario statunitense la terza causa di morte negli USA, preceduta solo dal cancro e dalle cardiopatie. Quest’ultima categoria di decessi, che è anche la più vasta, comprende i pazienti ospedalizzati che muoiono in seguito all’effetto nocivo non intenzionale e indesiderato di un farmaco, che si presenta con somministrazione di dosi normali (Lazarou J, Pomeranz BH, 1998). Anche con l’utilizzo di farmaci approvati e di procedure terapeutiche corrette, in un anno più di centomila persone muoiono in seguito a reazioni indesiderate al farmaco che dovrebbe far loro riacquistare la salute. Inoltre tale resoconto statistico, che riassumeva e analizzava trentanove studi separati, ha riscontrato che quasi il 7% di tutti i pazienti ospedalizzati aveva avuto esperienza di una grave reazione avversa al farmaco, tale da richiedere l’ospedalizzazione, prolungarla, provocare disabilità permanente o avere come risultato il decesso.

(16)

13

1.5. Epidemiologia dell'errore medico

Cause di morte

n° decessi

Cardiopatie 710.760 Neoplasie maligne 553.091 Assistenza sanitaria 225.400 Malattie cerebro-vascolari 167.661 BPCO 122.009 Incidenti 97.900 Diabete mellito 69.301 Influenze e polmoniti 65.313 Morbo di Alzheimer 49.558

Tab. 1 – Cause di morte in USA relative all’anno 2000.

Mortalità legata all'assistenza sanitaria

Effetti avversi dei farmaci 7.400

Infezioni in ambito ospedaliero 12.000

Altri errori prevenibili in ambito ospedaliero 20.000

Interventi chirurgici inutili 80.000

Errori terapeutici 106.000

Totale

225.400

(17)

14

1.6. Tipologie di errori

1.6. Tipologie di errori

Nella concezione si distinguono tre livelli causali di errori medici:

 cause remote, dovute a carenza o cattivo uso di risorse, a cattiva organizzazione dei servizi. Rientrano nella definizione le inadeguate condizioni e il sovraccarico di lavoro, il deficit di supervisione, la comunicazione inadeguata tra gli operatori, competenza o esperienza inadeguate, un ambiente di lavoro stressante in cui vengono apportate modifiche rapide all’organizzazione;

 cause immediate, dovute all’errore del singolo operatore: omissione di un intervento necessario; errori per scarsa attenzione, negligenza; violazioni di un procedimento diagnostico o terapeutico appropriato; inesperienza in una procedura diagnostica o terapeutica invasiva definita; difetto di conoscenza, ad esempio di un nuovo trattamento di documentata efficacia, o dei rischi di effetti avversi di un trattamento in un particolare paziente; insufficiente competenza clinica (il medico non è sufficientemente competente nell’acquisire dati del paziente; insufficiente capacità di collegare i dati del paziente con le conoscenze acquisite); errori di prescrizione;

 insufficienza o fallimento dei meccanismi di controllo che avrebbero dovuto impedire le conseguenze negative dell’errore (per es. mancata supervisione di un esperto durante una procedura tecnica eseguita da un novizio; mancato controllo di una prescrizione; ecc).

Gli studi sull’errore in medicina si concentrano prevalentemente sugli eventi avversi consecutivi a trattamenti inappropriati o sull’omissione di interventi necessari; si tratta cioè di errori terapeutici.

(18)

15

1.6. Tipologie di errori

Gli errori di diagnosi conducono a eventi avversi in modo indiretto, per conseguenti interventi terapeutici sbagliati o per omissione e ritardo di interventi necessari; sono pertanto più difficili da evidenziare e i dati relativi sono più scarsi. Le informazioni sulla frequenza degli errori diagnostici provengono da studi di confronto clinico autoptici e sono pertanto applicabili a patologia potenzialmente fatale (Clinton, Federali, & York, 2001).

(19)

16

1.7. Strategie per evitare gli errori

1.7. Strategie per evitare gli errori

Le strategie per evitare gli errori dovrebbero tendere a eliminare o prevenire le cause remote, a migliorare le prestazioni degli operatori sanitari a contatto con i pazienti e a predisporre barriere che intercettino gli effetti avversi degli errori. Come nella genesi degli errori si associano più livelli causali, così le strategie di prevenzione largamente si sovrappongono.

Un primo fattore sarebbe la conoscenza degli errori più frequenti e gravi, in ospedale o nella medicina di base, che consentirebbe di selezionare strategie mirate di prevenzione. La raccomandazione di riportare i propri errori si trova in molta letteratura (Barach & Small, 1966; Clinton et al., 2001; Vincent et al., 2000).

E in effetti, alcune organizzazioni sanitarie e alcuni Ospedali hanno elaborato sistemi per incoraggiare i propri operatori a riportare in anonimo i loro errori (Mazor et al., 2006). L’ostacolo alla dichiarazione degli errori è il timore di provvedimenti punitivi o di conseguenze medico-legali.

La prevenzione delle cause remote degli errori medici richiede interventi a livello politico e organizzativo a monte degli operatori sanitari a diretto contatto con i pazienti. Essa richiede risorse economiche per l’adeguamento degli ambienti e della tecnologia, coordinamento fra territorio e ospedali. Richiede infine che si realizzi un sistema efficiente di educazione continua e di aggiornamento, che in Italia potrebbe realizzarsi grazie ai programmi del Ministero della Salute attualmente in via di sviluppo.

In questo ambito la trasformazione da ricette cartacee a prescrizioni elettroniche può essere ritenuto un nodo centrale nell’ automazione nel processi di comunicazione sia all'interno delle stesse strutture di ricovero e cura, sia tra i medici di medicina generale.

(20)

17

1.7. Strategie per evitare gli errori

L’adozione di formati digitali rende possibile l'interscambio di informazioni ed automatizza i processi di gestione delle ricette mediche. Ne consegue la possibilità di controllare l’appropriatezza descrittiva e la sicurezza della richiesta in funzione delle allergie del paziente, delle terapie in corso, verificando ad esempio le possibili interferenze farmacologiche, delle linee guida e dei profili di cure nonché, più in generale, del quadro clinico complessivo. La prescrizione elettronica presenta inoltre il vantaggio di consentire un controllo della spesa più facile ed accurato, con una tempistica certamente più breve rispetto ai sistemi tradizionali di elaborazione delle ricette.

E’ chiaro come l’impiego della ricetta elettronica possa quindi un garantire maggiore facilità di accesso alle terapie, migliore monitoraggio e controllo delle stesse, maggiore capacità di prevenzione degli errori clinici, minori costi sociali. In breve essa può funzionare come sistema di controllo che blocca errori di prescrizione prima che essi producano eventi avversi.

Un importante strumento conoscitivo dell’attività ospedaliera è quello rappresentato dal flusso informativo relativo alla Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO), in grado di acquisire informazioni cliniche sui pazienti ricoverati, oltre che elementi conoscitivi di valutazione e programmazione dell’attività condotta presso i presidi ospedalieri.

Un significativo contributo al miglioramento dell’assistenza sanitaria è la valutazione degli esiti di salute generata nel singolo e nella comunità, dell’appropriatezza diagnostico-terapeutica a tutti i livelli del percorso assistenziale (medicina generale, pronto soccorso, medicina d’urgenza, lungodegenza).

In tale contesto è molto importante la stima dell’incidenza di errori medici, in particolare diagnostico-terapeutici.

La comprensione della ragioni profonde dell’inappropriatezza nel ricorso ai ricoveri ospedalieri fornisce un importante contributo alla riduzione

(21)

18

1.7. Strategie per evitare gli errori

dell’incidenza degli errori medici, al miglioramento della qualità assistenziale e alla riduzione della spesa sanitaria. (Ministero della Salute, 2009).

(22)

18

2. SCOPO DELLA TESI

Lo studio descritto analizza cinque sottogruppi di pazienti dimessi dal Reparto di Medicina d'Urgenza Universitaria dell'AOUP (Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana) con diagnosi specifiche relativamente comuni.

Lo scopo principale è quello di comprendere la causa ultima di ammissione in ospedale, alla luce dell’inquadramento diagnostico e terapeutico effettuato antecedentemente al ricovero ad opera non solo del medico di medicina generale, ma anche di altri medici specialisti, sia in ambito ospedaliero, sia extraospedaliero.

Come evidenziato da diversi studi (Thomas & Brennan, 2000; Brennan et al.,1991; Lazarou J & Pomeranz BH, 1998) le percentuali di errori medici diagnostico-terapeutici e di eventi avversi da farmaci risultano essere piuttosto elevate nell'ambito ospedaliero.

Gli obiettivi principali del presente elaborato sono:

1. la valutazione della percentuale di ricoveri che avrebbero potuto essere evitati effettuando una corretta diagnosi e/o prescrivendo una terapia idonea;

2. la comprensione delle ragioni ultime dell'inappropriatezza diagnostico-terapeutica riferita a 5 classi di patologie umane comuni quali la fibrillazione atriale, gli eventi cerebrovascolari acuti, le tromboembolie venose, i disturbi dell’equilibrio idro-elettrolitico e lo scompenso cardiaco.

Le incongruenze diagnostico-terapeutiche che sono state prese in considerazione nello studio riguardano nello specifico:

 la mancata prescrizione di farmaci in aderenza alle Linee Guida internazionali e in assenza di controindicazioni specifiche nel singolo

(23)

19

2. Scopo della tesi

paziente, ad esempio la mancata prescrizione di terapia anticoagulante orale con Warfarin o con nuovi anticoagulanti orali in pazienti affetti da FA con un CHA2DS2 VASc > 2;

 la mancata prescrizione della terapia antitrombotica con eparina a basso peso molecolare in pazienti con uno stato protrombotico o con elevato rischio cardiovascolare: pregresse ischemie cerebrali, vascolopatia ischemica cerebrale cronica, cancro in fase attiva, allettamento e multiple comorbidità;

 la correlazione tra mancata somministrazione di farmaci anticoagulanti o antitrombotici e sviluppo di eventi avversi: affezioni cerebrovascolari acute, tromboembolie venose;

 i disturbi dell’equilibrio idro-elettrolitico riconducibili all’uso inappropriato di farmaci, ad esempio diuretici;

 l'appropriatezza dell’inquadramento diagnostico-terapeutico dei pazienti dimessi con diagnosi di scompenso cardiaco congestizio.

(24)

20

3. MATERIALI E METODI

3.1. Disegno sperimentale

Lo studio è stato condotto presso il reparto di Medicina d‟Urgenza Universitaria dell‟AOUP.

Il disegno sperimentale è quello di uno studio di coorte retrospettivo. I pazienti corrispondenti ai criteri di reclutamento stabiliti sono stati individuati attraverso una ricerca effettuata nel data-base delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) dell‟Ufficio DRG (Diagnosis Related Group), presso la U.O. “Programmazione, organizzazione e controllo delle attività sanitarie” dell‟AOUP.

Il periodo dell‟osservazione è compreso tra gennaio 2011 e dicembre 2013. Di ogni paziente reclutato sono stati registrati l‟età, il sesso, i giorni totali di degenza, la modalità di dimissione (ordinaria o decesso), il DRG, le diagnosi di dimissione.

I pazienti sono stati selezionati in base alla presenza di una specifica diagnosi di dimissione codificata secondo il sistema ICD-10 (International Classification of Diseases), la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS-WHO): fibrillazione atriale (cronica, persistente, recidivante); scompenso cardiaco; malattie cerebrovascolari (ictus ischemico, ischemie transitorie cerebrali, con l‟esclusione degli eventi emorragici), tromboembolie venose (trombosi venosa profonda ed embolia polmonare), disturbi idroelettrolitici (iperosmolarità e/o ipernatriemia, ipoosmolarità e/o iponatriemia, disordini dell‟equilibrio acido-base, deplezione di volume, iperpotassiemia, ipopotassiemia. (Tab. 3)

(25)

21

3.1. Disegno sperimentale

Per ogni singolo paziente è stata analizzata la cartella clinica completa archiviata che include le comorbidità, la terapia domiciliare precedente all‟ammissione in reparto, la lettera di dimissione.

Sono state prese in considerazione le prime sei diagnosi di dimissione presenti nella SDO, sia per la ricerca della diagnosi principale, che ha definito l‟inclusione del paziente in un gruppo diagnostico (fibrillazione atriale, malattie cerebrovascolari acute, eventi trombo embolici venosi, disturbi idroelettrolitici, scompenso cardiaco), che per le comorbilità (ipertensione arteriosa, vasculopatia ischemica cerebrale cronica, diabete mellito tipo II, stenosi carotidea, eteroplasia solida).

Diagnosi di dimissione

Codice SDO

Dal Al Fibrillazione atriale 427.31 427.31 Scompenso cardiaco 428.0 428.9 Malattie cerebrovascolari 434.0 435.9 Eventi tromboembolici ed 452.0 453.9 Embolia polmonare 4515.9 4515.9 Disturbi idro-elettrolitici 276.0 276.9

Tab. 3 – Gruppi diagnostici: criteri di inclusione. I pazienti nella cui SDO figurava nelle prime

6 diagnosi di dimissione il codice corrispondente ad una diagnosi di un sottogruppo specifico è stato inserito nel sottogruppo stesso.

(26)

22

3.2. Linee guida

3.2. Linee guida

Standard di riferimento dell‟appropriatezza sono state considerate le linee guida (LG) Europee della Società Europea di Cardiologia (ESC-European Society of Cardiology) sul management della fibrillazione atriale (Camm et al., 2012) e sullo scompenso cardiaco acuto e cronico (McMurray et al., 2012); le linee guida SPREAD (Stroke Prevention And Educaional Awareness Diffusion) per l‟ ICTUS (Gensini et al., 2012), le linee guida CHEST (American College of Chest Physician) per la profilassi antitromboembolica (Guyatt et al., 2012).

Di ciascuna linea guida sono state selezionate solo alcune raccomandazioni in base ai c.d. “Livello di Prova” e alla “Forza della Raccomandazione”: la prima si riferisce al tipo di studio dal quale è derivata l‟informazione utilizzata e conseguentemente alla validità dell‟informazione possibilmente priva di errori sistematici e metodologici mentre la seconda guarda alla probabilità che l‟applicazione alla pratica clinica determini un miglioramento dello stato di salute. In generale la Forza della Raccomandazione è espressa in Classi: Classe I per le raccomandazioni su cui c‟è accordo unanime tra i diversi studi, quindi una particolare terapia “deve essere prescritta”; Classe II per le raccomandazioni su cui non c‟è un totale accordo, per cui un trattamento “può essere consigliato”; Classe III per gli interventi diagnostico-terapeutici ritenuti non solo inutili ma potenzialmente dannosi. (Tab.4)

Il Livello di Evidenza è invece classificato in A, B o C. Livello di evidenza A indica una particolare raccomandazione sostenuta da prove scientifiche di buona qualità, generalmente studi multicentrici randomizzati o metanalisi; livello di evidenza B si riferisce a studi singoli o non randomizzati; il livello di evidenza C fa riferimento solo a pareri di esperti, studi piccoli, retrospettivi. (Tab.4)

(27)

23

3.2. Linee guida

Le singole raccomandazioni di cui è stato tenuto di conto sono di classe I e livello di evidenza A o B per quanto riguarda il gruppo dei pazienti con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco, di classe I-II per i gruppo delle malattie cerebrovascolari e degli eventi tromboembolici. Per il gruppo dei disordini idroelettrolitici non sono state tenute in considerazione linee guida, sia perché i pazienti selezionati configuravano una popolazione eterogenea dal punto di vista clinico (anziani con comorbidità, politerapie), sia perchè le cause dei disturbi erano frequentemente da ricercare non nella mancata applicazione di linee guida ma nell‟utilizzo sconsiderato di alcuni classi di farmaci.

Tab. 4– Schema generico della struttura della più comuni Linee Guida Europee e Italiane.

Sono state riportate solo le classi di raccomandazione e i livelli di evidenza più significativi.

Livello di Evidenza

A Prove ottenute da più studi controllati randomizzati e/o revisioni sistematiche

B Prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegno adeguato

C Prove attenute da studi di coorte non randomizzati con controlli storici o metanalisi

Forza della Raccomandazione

I L‟esecuzione della procedura diagnostica o terapeutica è fortemente raccomandata

II L‟esecuzione della procedura diagnostica o terapeutica deve essere attentamente considerata

(28)

24

(29)

25

3.3. Analisi dei sottogruppi

3.3. Analisi dei sottogruppi

In totale sono stati arruolati 1512 pazienti suddivisi come segue:

Tab. 5 – Numero di pazienti reclutati nei sottogruppi suddivisi per anno e per diagnosi.

Se osserviamo la tabella (Tab.6), contenente il numero dei pazienti ammessi e dimessi dal reparto di Medicina di Urgenza Universitaria, possiamo notare che il totale dei pazienti arruolati nei differenti gruppi diagnostici è superiore al totale dei ricoveri in un anno, ovvero pari alla metà dei ricoveri nell‟arco dei tre anni (Fig. 2).

Quanto alla ricerca delle singole comorbidità nelle sottoclassi di pazienti, le informazioni sono state estrapolate dalle SDO, ricercando i relativi codici ICD relativi alle patologie ricercate (Tab. 3), e sono state poi verificate effettuando una ricerca sulla copia cartacea della cartella clinica del singolo paziente.

Sottogruppo diagnostico

2011

2012

2013

triennio

Fibrillazione atriale 207 236 189 632

Scompenso cardiaco 115 187 120 422

Malattie cerebrovascolari 19 43 64 126

Eventi trombo embolici Embolia polmonare

29 37 38 114

Disturbi idro-elettrolitici 54 91 73 218

(30)

26

3.3. Analisi dei sottogruppi

anno entrati nel reparto

usciti dal reparto

Ammessi Trasferiti Tot. Dimessi Trasferiti Tot.

2011 1117 35 1152 979 171 1150

2012 1247 28 1275 1121 149 1270

2013 1051 29 1080 985 98 1083

Tab. 6 – Numero di ammessi, dimessi, trasferiti dal reparto di Medicina d’Urgenza

Universitaria, Pisa.

Fig. 2 – Il totale dei pazienti arruolati è 1512, con esclusione dei pazienti trasferiti ad altri

reparti e i deceduti. I sottogruppi più rappresentati sono quello della fibrillazione atriale (632 pz) e dello scompenso cardiaco (422 pz).

(31)

27

3.3. Analisi dei sottogruppi

3.3.1. Fibrillazione atriale

Nei pazienti dimessi con diagnosi di fibrillazione atriale non valvolare è stata verificata l‟aderenza alle linee guida ESC pubblicate nel 2012.

A tal fine sono state registrate le caratteristiche demografiche del singolo paziente (età e sesso) e le comorbidità, utilizzate per calcolare il CHADsVaSc Score: scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, diabete mellito, pregresso evento cardioembolico e malattia vascolare aterosclerotica (pregresso infarto miocardico acuto, riscontro clinico-strumentale di ateromasia carotidea e arteriopatia obliterante periferica), diabete mellito di tipo II e tireopatia.

In particolare è stata verificata l‟aderenza alle linee guida per la popolazione a più alto rischio di evento trombo embolico (CHADsVaSc Score >2); in suddetta classe di pazienti la forza della raccomandazione delle LG riguardo all‟utilizzo della terapia anticoagulante orale è I e la classe di evidenza A. (Tab. 7)

In tutti i pazienti dimessi con diagnosi di Fibrillazione atriale (non valvolare) è stata verificata l‟aderenza alla terapia anticoagulante o antiaggregante prescritta (dal Medico di Medicina Generale o dallo specialista Cardiologo o da altro Specialista) e registrata l‟eventuale assenza di prescrizione medica.

(32)

28

3.3. Analisi dei sottogruppi

Tab.7 – Raccomandazioni delle LG ESC per la profilassi antitromboembolica in pazienti

affetti da fibrillazione atriale non valvolare (Camm et al., 2012). Reccomendations for prevention of thromboembolism in non-valvular AF Antithrombotic therapy to prevent

thromboembolism is recommended for all patients with AF, except in those patients (both male and female) who are at low risk (aged < 65 years and lone AF), or with contraindications.

I A

The choice of antithrombotic therapy should be based upon the absolute risks of stroke/thromboembolism and bleeding and the net clinical benefit for a given patient.

I A

The CHADsVaSc score is recommended as means of assessing stroke risk in non-valvular AF.

I A

In patients with a CHADsVaSc score of 0 (i.e., aged<65 years with lone AF) who are at low risk, with none of the risk factors, no antithrombotic therapy is recommended.

I B

In patients with a CHADsVaSc score ≥2, OAC therapy with:

 adjusted-dose VKA (INR 2-3); or

 a direct thrombin inhibitor (dabigatran); or

 an oral factor Xa inhibitor (e.g. rivaroxaban, apixaban)

... is recommended, unless contraindicated

(33)

29

3.3. Analisi dei sottogruppi

Tab. 8 – Fattori di rischio per ictus ischemico/TIA in pazienti affetti da FA: età avanzata,

sesso femminile, evento ischemico cerebrale precedente, malattia vascolare periferica sono i fattori che espongono a un rischio più elevato di sviluppare eventi trombo embolici.

(Camm et al., 2012). Risk factors for thromboembolism in non-valvular AF Multivariate hazard ratios (95% CI) Age (years) <65 65-74 ≥75 1.0 2.97 (2.54-3.48) 5.28 (4.57-6.09)

Female sex 1.17 (1.11-1.22) sex

Previous ischaemic stroke 2.81 (2.68-2.95) Vascular disease (any)

 Myocardial infraction

 Previous CABG

 Peripheral artery disease

1.14 (1.06-1.23) 1.09 (1.03-1.15) 1.19 (1.06-1.33 1.22 (1.12-1.32) Hypertension 1.17 (1.11-1.22) Heart failure(history) 0.98 (0.93-1.03) Diabetes mellitus 1.19 (1.13-1.26)

(34)

30

3.3. Analisi dei sottogruppi

Fig. 3 – Schema di gestione del paziente con fibrillazione atriale non valvolare: stima del

(35)

31

3.3. Analisi dei sottogruppi

3.3.2. Eventi cerebrovascolari acuti

Nei pazienti dimessi con diagnosi di Trombosi delle arterie cerebrali e Ischemia cerebrale transitoria è stata valutata la presenza di fattori di rischio predisponenti, quali fibrillazione atriale, vasculopatia ischemica cerebrale cronica, pregressi eventi ischemici cerebrali. E‟ stata poi valutata la terapia domiciliare e quella prescritta alla dimissione con anticoagulanti, antitrombotici o antiaggreganti piastrinici. Sono state prese come riferimento le linee guida SPREAD (Stroke Prevenion and Educational Awareness Diffusion) del 2012 (Gensini et al., 2012) e le Linee Guida ESC sulla malattia vascolare periferica del 2011(Tendera et al., 2011). (Tabb.9-10)

Tab. 9 – Raccomandazioni per la prevenzione primaria di eventi tromboembolici in pazienti

affetti da FA e per la prevenzione secondaria di eventi trombo embolici cerebrali in pazienti con pregressi TIA e ictus. (Gensini et al., 2012).

Raccomandazione 10.8

Grado B

In pazienti con fibrillazione atriale non valvolare è indicata la terapia anticoagulante orale (TAO) mantenendo i valori di INR tra 2 e 3.

Raccomandazione 12.3 a

Grado A

Nei TIA e nell'ictus ischemico non cardioembolico è indicato il trattamento antiaggregante con ASA 100-325 mg/die.

Per il trattamento prolungato il gruppo SPREAD raccomanda 100 mg/die.

Raccomandazione 12.3 b

Grado A

Nei TIA e nell'ictus ischemico non cardioembolico è indicato il trattamento antiaggregante con clopidrogel 75 mg/die.

(36)

32

3.3. Analisi dei sottogruppi

Tab. 10 – Raccomandazioni per la prevenzione secondaria in pazienti con malattia vascolare

periferica; PAD=peripheral artery disease LEAD=lower extremity artery disease. (Tendera et al., 2011).

Recommendations Class Level

All patients with PAD who smoke should be advised

to stop smoking. I B

All patients with PAD should have their LDL cholesterol lowered to <2.5 mmol/L (100 mg/dL), and optimally to <1.8 mmol/L (70 mg/dL), or ≥50% when the target level cannot be reached.

I C

All patients with PAD should have their blood

pressure controlled to ≤140-90 mmHg. I A

β-Blockers are not contraindicated in patients with LEAD, and should be considered in the case of concomitant coronary artery disease and/or heart failure.

II B

Antiplatelet therapy is recommended in patients with

symptomatic PAD. I C

In patients with PAD and diabetes, the HbIAc level

should be kept at ≤6.5%. I C

In patients with PAD, a multidisciplinary approach is

(37)

33

3.3. Analisi dei sottogruppi

3.3.3. Eventi tromboembolici venosi

Nei pazienti dimessi con diagnosi di tromboembolia polmonare, periferica o della vena porta è stato valutato il rischio in base alla presenza di uno o più fattori di rischio:

 allettamento;

 emiplegia o paraplegia da danno neurologico;  storia personale di tromboembolia venosa;

 cancro in fase attiva; chemioterapia, radioterapia, terapie ormonali;

E‟ stata inoltre registrata la terapia antitrombotica o anticoagulante eventualmente presente al momento del ricovero.

Sono state considerate standard di rifermento le linee guida guida CHEST (American College of Chest Physician) per la profilassi antitromboembolica (Guyatt et al., 2012), in particolare riferimento a:

 pazienti ospedalizzati, in cui è suggerito l‟utilizzo di LMWH a dose profilattica;

 pazienti con eteroplasia senza fattori di rischio aggiuntivi: nessuna profilassi;

 pazienti con eteroplasia e fattori di rischio aggiuntivi: LMWH a dose profilattica;

Fattori di rischio aggiuntivi sono considerati le pregresse tromboembolie venose, l‟immobilizzazione, le terapie ormonali e gli inibitori dell‟angiogenesi (Tab.11).

(38)

34

3.3. Analisi dei sottogruppi

Tab. 11 – Raccomandazioni per l’utilizzo della terapia antitrombotica con eparina a basso

peso molecolare (LMWH) o non frazionata (LDUH) o antagonisti della vitamina K (VKA) in pazienti ospedalizzati, ambulatoriali con cancro in fase attiva senza o con fattori di rischio aggiuntivi per tromboembolismo venoso. La terapia profilattica con eparina a basso peso molecolare è indicata nei pazienti con cancro in fase attiva solo in presenza di fattori di rischio trombo embolici e con basso rischio di sanguinamento.

Recommendation

Grade 2C

For critically ill patients, we suggest using LMWH or LDUH thromboprophylaxis over no prophylaxis

Recommendation

Grade B

In outpatients with cancer who have no additional risk factors for VTE, we suggest against routine prophylaxis with LMWH or LDUH (Grade 2B) and recommended against the prophylactic use of VKAs (Grade 1B).

Recommendation

Grade B

In outpatients with solid tumors who have additional risk factors for VTE and who are at low risk of bleeding, we suggest prophylactic-dose LMWH or LDUH over no prophylaxis (Grade 2B)

(39)

35

3.3. Analisi dei sottogruppi

3.3.4. Disturbi idro-elettrolitici

Nel gruppo di pazienti dimessi con diagnosi di iperosmolarità e/o ipernatriemia, ipoosmolarità e/o iponatriemia, disordini dell‟equilibrio acido-base, deplezione di volume, iperkaliemia, ipokaliemia è stata registrata la terapia domiciliare e le comorbidità e sono state ricercate le condizioni in cui l‟utilizzo cronico di un farmaco avesse potuto contribuire alla genesi del disturbo causa del ricovero, con particolare riguardo all„utilizzo della terapia diuretica e delle relative indicazioni.

I disturbi elettrolitici sono una causa frequente di ricovero in ambito ospedaliero e le cause sono spesso da ricercare in eventi acuti, quali gastroenteriti, polmoniti, infezioni delle vie urinarie, sepsi. Per tale ragione nel sottogruppo di pazienti dimessi con diagnosi di disturbo idroelettrolitico sono state ricercate nell‟anamnesi personale tutte le condizioni acute, quindi non prevenibili, generalmente correlate a un infezione, che potessero giustificare la patologia in atto.

In alcuni casi la cause del disturbo è risultata essere multifattoriale: generalmente una patologia cronica con terapia diuretica combinata alla temporanea inabilità del paziente di accedere liberamente all‟acqua ha determinato l‟instaurarsi del disturbo.

(40)

36

3.3. Analisi dei sottogruppi

3.3.5. Scompenso cardiaco

Nei pazienti dimessi con diagnosi di insufficienza cardiaca (sistolica, diastolica, destra, sinistra) è stata effettuata una rivalutazione della terapia domiciliare.

Tutti i pazienti arruolati sono stati sottoposti ad anamnesi, esame obiettivo, elettrocardiogramma, ecocolordoppler cardiaco, radiografia standard del torace, esame emocromocitometrico, degli elettroliti plasmatici, degli indici di funzionalità epatica e renale, ferritina e dei peptidi natriuretici (pro-BNP), al fine di confermare la diagnosi di scompenso cardiaco. (Tabb.12-15)

E‟ stata verificata l‟aderenza alle linee guida ESC pubblicate nel 2012 dalla European Society of Cardiology, in particolare riferimento alla somministrazione di ace-inibitori/sartanici, diuretici dell‟ansa, diuretici tiazidici, antialdosteronici, nitrati. (Fig.4) (Tabb.13-14)

In particolar modo è stata valutata l‟aderenza alle LG per quanto concerne la somministrazione di:

 aceinibitori (ACEi) o sartanici (ARB) indicati per tutti i pazienti

con una riduzione della FE<40%. Raccomandazione 1-A;

 antialdosteronici (MRA), indicati per tutti i pazienti in classe

NYHA II-IV con una riduzione della FE<35%. Raccomandazione 1-A;

 nitrati (H-ISDN), indicati nei pazienti con una FE<45% e un

ventricolo sinistro di dimensioni aumentate, oppure con una FE<35%, in presenza di una dispnea NYHA II-IV, nonostante il trattamento con farmaci ace inibitori, betabloccanti.

(41)

37

3.3. Analisi dei sottogruppi

(42)

38

3.3. Analisi dei sottogruppi

Fig. 4 – Opzioni terapeutiche per pazienti affetti da scompenso cardiaco sistolico.

NYHA=new york heart association; ARB=angiotensin receptor blocker; MR antagonist=mineralocorticoid receptor antagonist; LVEF= left ventricular ejection fraction; CRT-P/D= cardiac resynchronization therapy pacemaker/defibrillator; ICD=implantable cardioverter-defibrillator, H-ISDN=hydralazine and isosorbide dinitrate.

(43)

39

3.3. Analisi dei sottogruppi

Tab. 13 – Raccomandazioni relative all’utilizzo di farmaci ACEi, sartanici (MRA) e

betabloccanti (McMurray et al., 2012).

Tab. 14 -Raccomandazioni relative all’utilizzo di nitrati (H-ISDN) (McMurray et al., 2012).

Reccomendations Class Level

An ACE inhibitor is recommended, in addition to a beta-blocker, for all patients with an EF ≤40% to reduce the risk of HF hospitalization and the risk of premature death.

I A

An MRA is recommended for all patients with persisting symptoms (NYHA class II-IV) and an EF ≤35%, despite treatment with an ACE inhibitor is not tolerated) and a beta-blocker, to reduce the risk of HF hospitalization and the risk of premature death.

I A

A beta-blocker is recommended, in addition to an ACE inhibitor (or ARB if ACE inhibitor not tolerated), for all patients with an EF ≤40% to reduce the risk of HF hospitalization and the risk of premature death.

I A

H-ISDN Class Level

May be considered to reduce the risk of HF hospitalization and the risk of premature death in patients with an EF ≤45% and dilated LV (or EF ≤35%) and persisting symptoms (NYHA class II-IV) despite treatment with a beta-blocker, ACE inhibitor (or ARB), and an MRA (or ARB).

II B

A beta-blocker is recommended, in addition to an ACE inhibitor (or ARB if ACE inhibitor not tolerated), for all patients with an EF ≤40% to reduce the risk of HF hospitalization and the risk of premature death.

(44)

40

3.3. Analisi dei sottogruppi

Tab. 15 – Raccomandazioni per le indagini diagnostiche da effettuare in pazienti con

sospetto scompenso cardiaco. (McMurray et al., 2012).

Recommendations Class Level

Transthoracic echocardiography is recommended to evaluate cardiac structure and function, including diastolic function, and to measure LVEF to make the diagnosis of HF, assist in planning and monitoring of treatment, and to obtain prognostic information.

I C

A 12-lead ECG is recommended to determine heart rhythm, heart rate, QRS morphology, and QRS duration, and to detect other relevant abnormalities. This information also assists in planning treatment and is of prognostic importance. A completely normal ECG makes systolic HF unlikely.

I C

Measurement of blood chemistry (including sodium, potassium, calcium, urea/blood urea nitrogen, creatinine/estimated glomerular filtration rate, liver enzymes and bilirubin, ferritin/TIBC) and thyroid function is recommended to:

 evaluate patient suitability for diuretic, renin-angiotensin-aldosterone antagonist, and anticoagulant therapy (and monitor treatment

 Detect reversible/treatable causes of HF (e.g. hypocalcaemia, thyroid dysfunction) and co-morbidities (e.g. iron deficiency)

 Obtain prognostic information.

I C

A complete blood count is recommended to:

 detect anaemia, which may be alternative cause of the patient's symptoms and signs and may cause worsening of HF

 obtain prognostic information.

I C

Measurement of natriuretic peptide (BNP, NT-proBNP, or MR-proANP) should be considered to:

 Exclude alternative causes of dyspnoea (if the level is below the exclusion cut-point HF is very unlikely)

 Obtain prognostic information.

IIa C

A chest radiography (X-ray) should be considered to detect/exclude certain types of lung disease, e.g. cancer (does not exclude asthma/COPD). It may also identify pulmonary congestion/oedema and is more useful in patients with suspected HF in the acute setting.

(45)

41

4. RISULTATI E DISCUSSIONE

4.1. Fibrillazione atriale

I pazienti affetti da Fibrillazione atriale nel triennio 2011-2013 sono stati 632, il 24% circa dei ricoveri totali del reparto; la media delle età è risultata di 82,6 anni (deviazione standard 8,3). (Fig.5)

Fig. 5 – Età dei pazienti affetti da Fibrillazione atriale. Tot pz 632, media 82,4 anni, deviazione

standard 8,25 anni.

Solo una parte dei pazienti affetti dall’aritmia assumeva regolarmente terapia anticoagulante orale (TAO) con Warfarin o nuovi anticoagulanti orali, il 58% (368 pz). (Fig. 6)

(46)

42

4.1. Fibrillazione atriale

Fig. 6 - TAO nella FA. 368 pz, il 58% assumeva la TAO mentre 264 pz, il 42% non assumeva TAO

in presenza di indicazioni.

La distribuzione del CHADsVaSc nei pazienti che assumevano o meno la terapia anticoagulante è risultata omogenea: le classi più rappresentate sono state quelle corrispondenti ad un alto rischio trombo embolico (CHADsVaSc ≥2), sia nei pazienti con che in quelli senza terapia anticoagulante o antiaggregante (Fig. 7).

Ciò non sorprende, data la elevata prevalenza nel reparto di Medicina d’Urgenza di pazienti over 75 (media dell’età 82,6 anni), con pregressi eventi cerebrovascolari (ictus o TIA), malattia vascolare periferica, diabete mellito di tipo II, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco congestizio (Fig. 8).

(47)

43

4.1. Fibrillazione atriale

Fig. 7 – Comorbidità dei pazienti con FA.

(48)

44

4.1. Fibrillazione atriale

L’aspetto di più immediata evidenza e rilevanza ai fini del presente studio è il sottoutilizzo della terapia anticoagulante orale (TAO) nei pazienti che, secondo il CHA2DS2-VASc score, sono ad alto rischio tromboembolico: 264 dei 632 pazienti reclutati con CHA2DS2-VASc ≥2 non erano in terapia al momento del ricovero, quindi circa il 42% (Fig. 6).

Questo dato è in linea con quanto osservato in studi eseguiti su larga scala (De Caterina et al., 2014; Di Pasquale et al., 2013; Gensini et al., 2006) e mostra risultati simili a quelli di una meta-analisi condotta nel 2009, in cui i ricercatori valutarono la proporzione di pazienti con indicazione alla TAO che effettivamente faceva terapia, da cui risultò che solo il 48% riceveva il Warfarin (Baker, Cios, Sander, & Coleman, 2009). Già nel 1997, Whittle et al. evidenziavano come nei pazienti anziani il sottoutilizzo fosse ancora più spiccato (Whittle, Wickenheiser, & Venditti, 1997). In una systematic review del 2010, Ogilvie et al. hanno effettuato una ricerca in letteratura dal 1997 al 2008, includendo nella meta-analisi 54 studi che riportavano i livelli di rischio di stroke e la percentuale di pazienti trattati. Essi evidenziarono un sottoutilizzo della TAO (definito come un trattamento <70% dei pazienti ad alto rischio tromboembolico) nei pazienti con fibrillazione atriale nella maggioranza degli studi. Oltre due terzi degli studi che includevano pazienti con fibrillazione atriale e pregresso ictus o TIA riportavano livelli di trattamento inferiori al 60% (Ogilvie, Newton, Welner, Cowell, & Lip, 2010).

Una fotografia della situazione italiana proviene dallo studio multicentrico osservazionale ATA-AF (AntiThrombotic Agents in Atrial fibrillation), condotto dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e dalla Federazione Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI), che ha analizzato nel periodo compreso tra Maggio e Luglio 2010 la gestione di 7148 pazienti (età mediana 77 anni) con fibrillazione atriale afferenti a 164 reparti di Cardiologia e a 196 reparti di Medicina Interna, rappresentativi della realtà ospedaliera italiana. Tra i 4845 pazienti con fibrillazione atriale non

(49)

45

4.1. Fibrillazione atriale

valvolare, gli anticoagulanti orali erano prescritti nel 55% dei casi; ancora una volta si evidenziava il sottoutilizzo: solo al 56.2% dei pazienti con CHADS2 score ≥2 era stata prescritta la TAO (Di Pasquale et al., 2013).

La TAO in range terapeutico risulta essere, nella profilassi del rischio trombo embolico del paziente con fibrillazione atriale non valvolare, maggiormente efficace rispetto alla terapia antiaggregante, specialmente nel paziente anziano. Nonostante ciò, la TAO risulta sottoprescritta rispetto alle indicazioni; dall’altro lato, la terapia antiaggregante è eccessivamente impiegata (addirittura in pazienti ad alto rischio emorragico): basti pensare che la sola terapia antiaggregante con Cardioaspirina, Clipidogrel o Ticlopidina è stata prescritta in una percentuale non trascurabile di pazienti (21%) con CHADsVaSc ≥2.(Fig 9)

Suddetti dati sono in linea con la letteratura recente, come lo studio di Lip et al 2014, in cui è stato valutato il trattamento antitrombotico nei pazienti con fibrillazione atriale. Tale studio arruolava 3119 pazienti da diversi paesi europei, in un periodo che andava dal Febbraio 2012 al Marzo 2013. Gli autori evidenziavano come la terapia antiaggregante piastrinica fosse ancora comunemente prescritta, con o senza TAO, ed in particolare nel paziente anziano, che risultava complessivamente sottotrattato con anticoagulanti orali (G. Lip et al., 2014).

La terapia antiaggregante era, inoltre, usata più spesso in pazienti con alto HAS-BLED 1, probabilmente a causa della percezione che l’aspirina fosse in

questo senso una sicura alternativa alla TAO, per quanto, come già ricordato, sia ormai chiaro che il rischio di sanguinamento maggiore non sia significativamente differente, soprattutto nell’anziano.

1 Hypertension, Abnormal renal/liver function, Stroke, Bleeding history or predisposition, Labile INR, Elderly (e.g. age .65, frailty, etc.), Drugs/alcohol concomitantly. (Pisters et al., 2010)

(50)

46

4.1. Fibrillazione atriale

Fig. 9 - Terapia nella FA. Del 42% dei pazienti che non assumevano TAO la metà (21%) era trattata

con terapia antiaggregante (ASA o Clopidogrel), l’altra metà non assumeva né tp antiaggregante né anticoagulante.

Nello studio in oggetto, in particolare nella sottoclasse di pazienti che assumevano regolarmente dicumarolici, non è stata valutata l’adeguatezza della terapia anticoagulante, in particolare non sono stati considerati i valori degli INR (International Normalized Ratio), i quali solo se in range terapeutico garantiscono una protezione efficace dagli eventi tromboembolici (tra 2 e 3 nei pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare). E’ quindi verosimile che la percentuale del 58% dei pazienti in TAO sia una sovrastima del valore totale dei pazienti ammessi in reparto con una “protezione” probabilisticamente efficace contro eventi ischemici cerebrovascolari, la complicanza più temibile dell’aritmia non trattata.

(51)

47

4.2. Eventi cerebrovascolari acuti

4.2. Eventi cerebrovascolari acuti

Dei 126 pazienti dimessi con diagnosi di Ictus ischemico nel triennio 2011-2013 circa il 71% presentava indicazioni alla Profilassi antiaggregante con Cardioaspirina, antiaggreganti piastrinici o alla terapia anticoagulante orale in presenza di FA (89 pz, Fig. 10).

Di questi solo il 25% (32 pazienti) effettuava terapia antiaggregante come Profilassi Secondaria (pregressi episodi ischemici cerebrali -TIA o Ictus, diagnosi di vascolopatia ischemica cerebrale cronica) o anticoagulante in presenza di FA.(Fig. 10)

Quasi la metà (58 pz) dei pazienti che sono andati incontro alla complicanza ischemica non effettuava quindi alcuna terapia preventiva. (Fig. 10)

Fig. 10 – Pazienti con eventi cerebrovascolari acuti che avevano o meno indicazioni alla profilassi

(52)

48

4.2. Eventi cerebrovascolari acuti

Da segnalare la elevata prevalenza nella popolazione oggetto di studio di ipertensione arteriosa (23%) e di vascolopatia ischemica cerebrale cronica (23%), Fibrillazione atriale non in terapia anticoagulante (18%), diabete mellito di tipo II (13%) che si configurano, insieme all’età avanzata e alla mancata profilassi antitromboembolica, come i principali predittori di evento ischemico cerebrale acuto. (Figg. 10-11)

Fig. 10 - Comorbidità nei pazienti con evento cerebrovascolare acuto.

In pazienti con una storia di TIA o ictus ischemico, non affetti da Fibrillazione atriale, il trattamento antiaggregante piastrinico per la prevenzione secondaria dell’ictus (non cardioembolico) deve essere prescritta ad eccezione di controindicazioni.

Sebbene la Cardioaspirina si sia dimostrata efficace nella prevenzione secondaria, il trattamento con Clopidogrel si è dimostrato superiore, così come l’associazione Cardioaspirina-Dipiridamolo.

(53)

49

4.2. Eventi cerebrovascolari acuti

Diversi trials clinici randomizzati hanno dimostrato l’efficacia della terapia antiaggregante piastrinica nel ridurre le recidive di Ictus, di IMA (Infarto Miocardico Acuto) e la riduzione della mortalità, soprattutto nei pazienti ad alto

rischio cardiovascolare (Antiplatelet Trialists Collaboration, 1994;

Antithrombotic Trialists Collaboration, 2002; G. Y. H. Lip, Nieuwlaat, Pisters,

Lane, & Crijns, 2010) (Antithrombotic Trialists Collaboration,

2002)(Antithrombotic Trialists Collaboration, 2009).

Fig. 11 – Età dei pazienti con evento cerebrovascolare acuto

Quanto alla scelta dell’antiaggregante, c’è comune accordo sulla superiorità del Clopidogrel o dell’associazione ASA-Dipiridamolo rispetto alla sola ASA, non solo nelle patologie ischemiche cardiache (Waks et al., 2014), come nello studio denominato CAPRIE (CAPRIE Steering Committee, 1996) condotto su

(54)

50

4.2. Eventi cerebrovascolari acuti

circa 19 000 pazienti colpiti da infarto o da ictus ischemico, in cui il gruppo trattato con Clopidogrel ha presentato rispetto a quello trattato con ASA una riduzione relativa del rischio del 9%; circa 10 pazienti su 1000 eviteranno un nuovo evento ischemico a distanza di due anni dall'inizio della terapia con Plavix rispetto a quelli trattati con aspirina.

Appare evidente, quindi, come nonostante le evidenze di efficacia e sicurezza della prevenzione primaria e secondaria della terapia antiaggregante, soprattutto nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, si sia ancora in presenza di un sottoutilizzo della suddetta terapia soprattutto nei pazienti anziani; il sottoutilizzo in questo sottogruppo ha prodotto un effetto avverso rilevante, cioè l’ischemia cerebrale, che ha condotto il paziente al ricovero ospedaliero.

Si può dunque concludere che il 46% dei pazienti ammessi in reparto con ischemia cerebrale acuta avrebbe potuto beneficiare della terapia antiaggregante domiciliare e che tale terapia non solo avrebbe fatto risparmiare il ricovero in ospedale ma avrebbe presumibilmente cambiato il decorso e l’outcome del paziente anche a lungo termine, se pensiamo alle sequele neurologiche dell’Ictus ischemico.

Riferimenti

Documenti correlati

È preferibile iniziare con l’intervento chirurgico (prostatectomia non “nerve sparing”, con linfadenectomia estesa), che in que- sto caso, per maggiore sicurezza del Paziente,

3.1.1 Modulo A – PDTA 1-1 1-N suddiv isione 1-N 1-1 sc eltaRispostaEpisodi 1-N 1-1 sceltaRispostaAzione 1-N 1-1 sc eltaRispostaAttività 0-N 1-N riferito 0-N 1-1

Tabella 3: Caratteristiche principali del test di stimolo alla Pg e al calcio.. 22 Tabella 4: Valori di riferimento del picco di CT e relativo significato clinico. La

La tavola 5.14 mostra con un maggiore dettaglio la classificazione dei 92 casi individuati in Icd-9 e classificati in altri capitoli Icd-10: i trasferimenti più significativi si

Video 2 - http://cms.scivac.it/it/v/11677/2 Esame ecocardiografico Pitt Bull F 4 anni con stenosi polmonare tipo B si evidenzia all’esame bidimensionale l’ipoplasia del

Nelle forme più gravi le alterazioni dell’apparato valvolare sono più evidenti: i lembi appaiono rudimentali, ispessiti, fe- nestrati, ipomobili; anche le corde tendinee sono

Questo articolo ha la finalità di descrivere, in modo sistematico, gli atti di cura del paziente anziano (la gestione) in ambiente ospedaliero relativamente al canone

I selezionati campioni sottoposti alle analisi chimiche sono stati preventivamente puliti superficialmente ed in seguito macinati tramite mulino a ganasce per la