Il problema dei rapporti spazio-temporali nell'opera letteraria sono già da lungo tempo al centro dell'analisi critico-letteraria con-temporanea. Anche in ciò l'indirizzo moderno della ricerca paga il suo non lieve tributo alla scuola formalista russa degli anni '20 che, anzi, considerava il tempo narrativo come l'unico importante ele-mento artistico del testo letterario (la deformazione temporale co-me unico tratto del discorso che lo distingue dalla storia). Lo stes-so concetto veniva applicato al montaggio cinematografico intestes-so come momento artistico e qualificante di questa particolare e allora nuova arte.
Non v'è dubbio che la collocazione spazio-temporale (non in senso storico, naturalmente) qualifichi già di per sé un'opera let-teraria. Il tempo in cui si svolge un racconto (storia e discorso) può infatti essere reale o immaginario, può abbracciare un periodo lun-ghissimo o brevissimo (e, come insegna Dostoevskij, ma anche Joyce, ciò non dipende in nessun modo dalla lunghezza del testo), può ancora essere "aperto" o "chiuso" (inserito cioè in un preciso periodo storico oppure no), può essere continuato o interrotto, può seguire una linea orizzontale o arrestarsi lungo una linea verticale infinita,1 dove non esiste né tempo, né spazio e infinite altre possi-bilità create dall'artista stesso. Lo stesso può dirsi dello spazio; es-so può essere ristretto (una camera) o distees-so (racconti di viaggi), geografico o immaginario (nelle fiabe e nei racconti di fanta-scienza), può ancora essere mediato dai personaggi tramite un punto di vista diverso dal narratore e dall'autore, come per esempio
* "Cankar e Dostoevskij: struttura di un cronotopo." Verč, I., Appunti sulla
letteratura russa. Metodi e verifiche. Sassari: Dessì, 1980. 23-43.
1 Secondo Roger L. Cox "a horizontal time represents the passage of time in the ordinary sense, and the vertical time represents Bergsonian dura-tion or interior time" (Cox 1977).
in Kafka.2
Si tratta ora di vedere quale relazione intercorre fra il tempo e lo spazio poetico. Bachtin definisce la dipendenza fra le relazioni spazio-temporali con il termine cronotopo (cf. Bachtin 1975: 234-408). Questa dipendenza va intesa come indissolubilità dello spa-zio-tempo, ovvero, per dirla con Einstein, il tempo come quarta di-mensione dello spazio. La reciprocità dei concetti di spazio e tempo in letteratura svolge comunque una funzione sostanziale per cui si può dire che il cronotopo è una categoria letteraria "formale ricchissima di contenuti" (idem, 235). Definiremo perciò crono-topo qualunque spazio e tempo creati dall'artista e introdotti con funzioni di interdipendenza nel proprio mondo poetico.
Quando si parla di tempo e spazio poetici non si deve as-solutamente pensare alla concezione che l'autore aveva del tempo e dello spazio, bensì al modo con cui questi due elementi fluiscono nell'opera letteraria. Al limite tale modo può essere anche in netta contraddizione con la concezione "filosofica" dell'autore su questo specifico problema. Confondere questi due aspetti del problema sarebbe come confondere lo straordinario mondo creato da Kipling nei suoi romanzi con la sua mentalità imperialista,3 oppure, vice-versa, studiare le campagne napoleoniche in Russia dal romanzo di Tolstoj (cf. Lichačev 1973: 27). Scegliere un determinato spazio e un preciso tempo in cui collocare il racconto significa anche sce-gliere un determinato mondo sociale (la città, la campagna, le isole tropicali, la giungla, la strada principale, la strada di periferia, la casa elegante, la casa di tolleranza, una stanza, le immense pra-terie, ecc.), ma, come giustamente osserva Lichačev, "l'ordinamen-to sociale del mondo poetico dell'opera va distin"l'ordinamen-to dalle concezioni dell'autore sui problemi sociali e non si deve confondere lo studio di questo mondo con un raffronto disorganico col mondo della
2 Sullo spazio "soggettivo" in Kafka cf. Gliksohn 1977: 68-73.
3 Lev Lunc, il preferito fra i componenti il gruppo dei "Fratelli di Se-rapione", proponeva questa riflessione: "Kipling ha scritto dei bellissimi racconti che sono imbevuti da capo a fondo di principi imperialistici (…) Che cosa si deve fare? (…) Sono pericolosi. Bruciarli allora?" (Lunc 1968: 419).
CANKAR E DOSTOEVSKIJ 125
altà. Il mondo dei rapporti sociali nell'opera letteraria esige di es-sere studiato nella sua totalità e indipendenza" (ibidem).
I rapporti sociali nell'opera letteraria di Cankar e Dostoevskij sono mediati attraverso la collocazione spazio-temporale del mon-do poetico in cui si cristallizza la concezione del monmon-do dei perso-naggi. Nel nostro articolo ci proponiamo di osservare in quale modo il cronotopo riflette nell'opera di Cankar (fino al periodo 1903-1904) e in quella di Dostoevskij (nel romanzo Bednye ljudi) i rapporti sociali del mondo poetico creato dall'artista.
Dal punto di vista dello spazio poetico l'opera di Dostoevskij può essere divisa in due grandi parti:
a) opere ambientate in città (Povera gente, Il sosia, Umiliati e offesi, Le notti bianche, Delitto e castigo, L'idiota, L'adolescente, Memorie dal sottosuolo);
b) opere ambientate in provincia (Il villaggio Stepančikovo, Il sogno dello zio, I demoni, I fratelli Karamazov).
Ci occuperemo qui del primo gruppo e particolarmente di Povera gente perché in questo primo romanzo di Dostoevskij la disposizione dello spazio è organizzata sulla contrapposizione fra centro e periferia4 (i termini sono qui usati convenzionalmente), elemento questo che utilizzeremo come confronto alla stessa orga-nizzazione spaziale che si ha nell'opera di Cankar. Se da un lato questa contrapposizione è presente in Dostoevskij quasi esclusiva-mente nelle opere ambientate in città e non tocca, come per esem-pio in Čechov, la provincia ("A Mosca! A Mosca!"), in Cankar essa è presente in ogni spazio raffigurato che ha sempre il suo con-tro-spazio: Vienna e Ljubljana (centro/periferia), Vrhnika (erta/ piazza), oppure, al limite, mondo sloveno/emigrazione. Si tratterà poi di vedere in che modo questa organizzazione spaziale del mondo poetico dei due scrittori esaminati includa in sé anche
4 Un'analisi delle componenti spazio-temporali in contrapposizione nel ro-manzo Povera gente è stata presentata come parte della tesi di laurea all'Università Statale di Mosca dalla studentessa romena Marianna Dor-ka, a cui va il mio vivo ringraziamento per avermi dato la possibilità di prendere visione del materiale ancor prima della seduta di laurea. Cf. Dorka 1976.
ganizzazione temporale (il cronotopo come elemento qualificante dei rapporti sociali del mondo poetico).
I personaggi di Povera gente, Devuškin e Varen'ka, vivono in due mondi completamente diversi. Per Devuškin lo spazio si ri-solve fra il centro e la periferia, per Varen'ka fra la città e la cam-pagna. Entrambi sono comunque legati dalla paura e dall'impo-tenza di fronte a quell' "enorme meccanismo", come fu definito da Dobroljubov (Dobroljubov 1961-1963: VII: 272), della città che li schiaccia. Dice Devuškin:
… la mattina presto mi accade, cara, affrettandomi al lavoro, di dare uno sguardo alla città che si risveglia, si alza, fuma, ferve, rumoreggia, allora, davanti a uno spettacolo simile, talvolta mi rimpicciolisco come se avessi ricevuto un buffetto da qualcuno sul naso curioso, e con un gesto rassegnato me ne vado per la mia strada più silenzioso dell'acqua e più basso dell'erba (Dostoevskij 1956-1958: I: 181).5
Anche per Varen'ka la città si presenta sin dal primo momen-to del tutmomen-to inospitale:
… quando lasciammo la campagna la giornata era luminosa, calda, serena; i lavori campestri erano sul finire; enormi cumuli di grano si ammucchiavano già sulle aie e gli stormi degli uccelli stridenti vi si affollavano intorno; era tutto così sereno, allegro; ma qui, all'arrivo in città, trovammo pioggia, brina gelata e marcia, cattivo tempo, fango e folla di visi nuovi e sconosciuti, inospitali, scon-tenti, arrabbiati (…) Fu triste l'alzarsi il mattino nel nuovo allog-gio, dopo la prima notte; le finestre davano su una palizzata gialla; nella via c'era sempre fango; rari i passanti, e tutti abbondan-temente imbacuccati, tutti avevano molto freddo. A casa nostra si passavano giornate intere d'angoscia, terribilmente noiose (97). L'accettazione di questo stato di cose, pur passivo, non impe-disce però ai due eroi di cercare o semplicemente di voler vedere
5 Tutte le citazioni sono tratte dall'edizione suddetta: nel testo è riportata la pagina relativa. Le traduzioni di Ebe Perego sono tratte da Dostoievski 1956.
CANKAR E DOSTOEVSKIJ 127
una via d'uscita. Ed è proprio lo sbocco anelato che diversifica le concezioni sociali dei due eroi. Da un lato, come già abbiamo os-servato, Devuškin è ben conscio del fatto che la città, pur nell'odia-ta accezione di "enorme meccanismo", è di fatto divisa in due parti ben distinte; il centro e la periferia. La periferia è brutta:
… sono uscito a passeggio lungo la Fontan'ka (…); la gente camminava in folla per il lungofiume e, a farlo apposta, aveva visi paurosi che davano tristezza, contadini ubriachi, donne finlandesi dai nasi camusi, con gli stivali e la testa nuda (…) e sui ponti vi sono donne con panpepati fradici e con mele guaste, tutte molto sporche, bagnate. Che noia passeggiare per la Fontan'ka; pietre umide sotto i piedi, ai lati case alte, affumicate, sotto i piedi neb-bia, sopra la testa pure nebbia (176-177).
Diversissimo, naturalmente, il centro:
… qui tutto brilla, splende; le stoffe, i fiori dietro le vetrine, i cappellini di tutte le fogge, con nastri. Si crede che tutte le cose vi siano state disposte per bellezza, ma non è così; il fatto è che vi so-no persone che comperaso-no tutte queste cose e fanso-no regali alle lo-ro donne. Che via ricca! (…) Quante carlo-rozze passano ogni mo-mento; e il selciato vi resiste: equipaggi molto lussuosi, vetri come specchi, broccati e seta all'interno, servitori di palazzo con spalline e spadino (177).
Per Varen'ka invece, che pure abita in periferia, addirittura di fronte a Devuškin, il contro-spazio non è il centro, ma la campa-gna, la libertà della natura:
Quanto vi sono grata della passeggiata di ieri sull'isola, Makar Alekseevič; che frescura, che bellezza, che verde! Da tanto non vedevo un po' di verde (…) Un cielo senza nubi, pallido, il tra-monto del sole, il silenzio della terra (…) Un alberello, un viale, una scia d'acqua (123).
… Oggi, la mattina, fresca, serena, luminosa, quale se ne hanno poche in autunno, mi ha rianimata e l'ho accolta con gioia (…) come mi piaceva l'autunno in campagna (…) Al mattino mi alzavo fresca come un fiorellino; guardavo dalla finestra; il gelo era pene-trato in tutta la campagna; la minuta brina autunnale era attaccata ai nudi rami secchi; il ghiaccio, sottile come un foglio, copriva il lago su cui aleggiava un vapore bianco; gli uccelli cinguettavano allegri; il sole brillava tutt'intorno con raggi splendenti, e i raggi spezzavano il ghiaccio non più spesso del vetro. Il tempo era luminoso, sereno, allegro (…) E tutti erano tranquilli, tutti erano felici (173, 175).
Se per Devuškin la contrapposizione sta fra il centro "ele-gante" e la periferia "noiosa", per Varen'ka invece essa si pone fra "la minuta brina autunnale" della campagna e la "brina gelata e marcia" della città.
Questi due spazi positivi, il centro cittadino e la campagna, così diversi fra loro, acquistano nella coscienza dei personaggi di-mensioni temporali. La periferia è per Devuškin il disperato pre-sente, da cui è necessario uscire. La soluzione sta lì, all'angolo dell'elegante Grachovaja, dove tutto risplende di luci e dove la gente è allegra; il suo amore per Varen'ka lo proietta nel futuro, verso il centro cittadino:
Perché voi, Varen'ka, siete tanto sfortunata? Voi, secondo me, sie-te buona, bellissima, colta, e perché vi è toccato un destino tanto malvagio? (…) Anche voi, cara micetta mia, dovreste andare in carrozze simili, e un vostro affettuoso sguardo dovrebbe essere mendicato da generali, non da gente come noi, funzionari, non do-vreste indossare un vecchio abituccio di tela, ma abiti di seta e oro, non dovreste essere magra, deperita come ora, ma grassoccia, fresca e rosea come una figurina di zucchero. E io sarei felice allo-ra soltanto potendo gettarvi uno sguardo dalla via attallo-raverso le finestre luminose, perché scorgerei la vostra ombra; anch'io mi ral-legrerei al solo pensare che voi là, grazioso uccellino, siete felice e allegra (177, 178).
CANKAR E DOSTOEVSKIJ 129
alla sua infanzia, ai ricordi di un periodo libero e felice; l'im-possibilità e anche l'incapacità di Varen'ka di inserirsi nella vita dell'"enorme meccanismo" di Pietroburgo possono essere compre-se soltanto nel rapporto quasi mitizzato che l'eroina ha con il mon-do passato, del cui ricormon-do essa vive e da cui trae la forza di con-tinuare. Tutto ciò che c'è di positivo è legato con "l'infanzia tutta d'oro", Varen'ka vive del passato e in esso si riconosce:
Nei miei ricordi vi è un che d'inspiegabile per me, che mi avvince tanto inconsciamente, tanto forte, da lasciarmi insensibile, per al-cune ore, a tutto ciò che mi circonda, e dimentico tutto, tutto il presente. Nella mia vita attuale non esiste sensazione piacevole, o penosa, o triste, che non me ne ricordi una analoga della vita pas-sata, e più sovente di tutto dell'infanzia, della mia infanzia dorata (…) Oh, com'è stata tutta d'oro la mia infanzia! Ecco, ora tra-scinata dai ricordi, ho pianto come una bimba. Ho rievocato tutti gli avvenimenti con vivezza possibile, e davanti a me il passato è così radioso, e il presente tanto confuso, oscuro. Come finirà, co-me finirà tutto ciò? (173, 175).
L'indissolubilità e l'interdipendenza degli elementi spazio-temporali in "Povera gente" è altresì dimostrata dal fatto che nes-suno spazio può essere nell'accezione dei due personaggi staccato dal proprio elemento temporale e viceversa. Per Devuškin il tempo acquista dimensioni spaziali: un possibile futuro è concepibile, con o senza Varen'ka, esclusivamente nel centro di Pietroburgo. Il futu-ro di Varen'ka, che pure gli sta a cuore e per il quale sarebbe dispo-sto anche a sacrificarsi ("anch'io mi rallegrerei al solo pensare che voi, grazioso uccellino, siete felice o allegra") non può realizzarsi, in senso positivo, in nessun altro posto. Varen'ka accetta di partire per la campagna con Bykov, uomo rozzo che si è offerto di sposar-la. Devuškin sa quanto essa ami la campagna, ma ciò nonostante non le dà un briciolo di speranza:
Ma, conoscete almeno il posto dove andrete, diletta? Forse non lo conoscete, e allora chiedete a me. C'è la steppa, là, là c'è la steppa, cara, la nuda steppa; ecco, nuda come il palmo di questa mano, e
là la donna diventa insensibile, il contadino diventa maleducato, ubriacone; là le foglie si sono già staccate dagli alberi, là piove, là fa freddo; e voi andate là! (206).
Per Varen'ka, invece, al contrario, lo spazio acquista dimen-sioni temporali: non è importante la campagna in se stessa, ma la campagna collegata con il passato. E Varen'ka se ne rende perfetta-mente conto. Quasi con disperazione e ben conscia della differenza fra la "sua" campagna e quella di Bykov, Varen'ka scrive a Devuš-kin:
… (Bykov) ha soggiunto che in campagna ingrasserò come una tacchina e a casa sua rotolerò come il formaggio nel burro (198), e ancora riferisce che Bykov la condurrà in campagna, non perché la campagna è tranquilla, "allegra", "serena", non perché in campagna l'autunno, l'inverno sono stupendi, ma solo "perché vuo-le cacciare la vuo-lepre" (197).
Concludendo. si potrebbe schematizzare il cronotopo (nella sua accezione sostanziale di bene e male) di "Povera gente" nel se-guente modo:
CRONOTOPO CONTENUTO CRONOTOPO CONTENUTO
spazio negativo spazio positivo
periferia/presente male
centro/futuro bene
campagna/futuro male
campagna/passato bene
città/presente male
Abbiamo già osservato come Cankar si serva di tre ben definite collocazioni spaziali da cui prende forma il suo mondo poetico: Vienna, Ljubljana e Vrhnika (ciò vale in particolar modo per la produzione che va fino al 1903-1904). Non è questa una scelta casuale, oppure dettata esclusivamente da ragioni di ordine biografico; essa fa parte della precisa volontà dello scrittore che ha costruito l'aspetto spaziale del proprio mondo poetico sulla base di quella "inquietudine" (hrepenenje), di cui e pervasa tutta l'opera
CANKAR E DOSTOEVSKIJ 131
cankariana. Ricorda infatti Zadravec come Cankar avesse incluso fra le scaturigini della sua inquietudine "le cause e le strutture so-ciali" e come le avesse simbolicamente definite con i termini di "erta dei miserabili" (klanec siromakov), "enorme galera" (velikan-ska kaznilnica) e "stanza mortuaria" (mrtvašnica), riferendosi ri-spettivamente al paese natale di Vrhnika, a Vienna e all'ex-zucche-rificio di Ljubljana adibito ad albergo dei poveri (Zadravec 1970-1972: V: 208). Una parte della produzione letteraria di Cankar è tutta imperniata su questi tre momenti e più tardi, specialmente do-po il 1903-1904, quando Cankar avrà fatto ormai coscientemente la sua scelta politica, egli ritornerà all'inquietudine derivante dall'a-more (in senso lato), anche se l'inquietudine sociale rimarrà pre-sente in Cankar fino alla fine.
La contrapposizione centro/periferia (oppure città/campa-gna), ovvero spazio/controspazio, come già in Dostoevskij, si ma-nifesta con estrema chiarezza in ognuna delle componenti spaziali del mondo poetico creato da Cankar:
a) Vienna (enorme galera)
centro/periferia
b) Ljubljana (stanza mortuaria)
c) Vrhnika (erta dei miserabili) erta/piazza/città Queste componenti spaziali del mondo poetico di Cankar non devono comunque essere osservate separatamente. Ognuna di esse è, come cronotopo, perfettamente identica alle rimanenti due. Si dovrebbe anzi precisare che questi tre spazi sono stati da noi scelti come esempi, perché in essi si realizza in modo del tutto ma-nifesto la contrapposizione spazio/controspazio (e relative implica-zioni temporali), ma non sono certamente gli unici di tale tipo pre-senti in Cankar. Fin dalla sua prima opera, Il benefattore (Dobrot-nik), scritta nel 1893, questa contrapposizione appare estrema-mente chiara:
In un ampio giardino si erano radunati molti distinti signori (…) Dietro la palizzata stavano in agguato i mendicanti, le vecchie e
bambini coperti di stracci (Cankar 1951-1959: I: 75).6
La contrapposizione ampio giardino/palizzata non si discosta molto dalla contrapposizione centro/periferia (o altre) e similmente ai potrebbe dire della contrapposizioni fra le ricche carrozze in cui viaggiano i signori e il passo insicuro di un mendicante, stanco af-famato e malato, contrapposizione che appare nel ciclo di poesie Serate viennesi (Dunajski večeri). Quest'ultimo esempio è secondo noi estremamente significativo: attraverso la sineddoche lo scrittore riesce a trasmettere al lettore anche lo spazio rappresen-tato (le "ricche carrozze" sono la parte più appariscente di un mon-do di luci, di ricchezza e di generale benessere, mentre al contrario il "passo insicuro" del mendicante può essere incluso solamente in un contesto di miseria, di fango e di totale abbandono). Manca in questi esempi la componente temporale, ma ciò non toglie che la contrapposizione spazio/controspazio, da cui più tardi si sviluppe-rà in tutta la sua ampiezza uno dei tipici cronotopi cankariani, è presente nell'opera dello scrittore sloveno fin dagli inizi.
Esaminiamo ora più da vicino le contrapposizioni spaziali in-dicate. In Cankar, come già in Dostoevskij, la periferia appare noiosa:
La lunga strada di periferia suggeriva un'impressione terribilmente noiosa, con le sue case a un piano che si risolvevano talvolta in un unico pianterreno, con l'acciottolato pietroso, rovente e in più pun-ti dissestato, con la polvere che si alzava per mezza spanna da ter-ra e si dissolveva a tter-ratti in una nuvola densa, pesante e asfissiante (I: 170).
La periferia, questo posto di "sofferenza, miseria e peccato" (II: 60), è solitamente "grigia", "sporca", le strade sono "diritte e larghe, ma la miseria si sente nell'aria" (II: 317), nelle "camere di periferia l'aria è pesante, anche se le finestre sono aperte" (II: 338),
6 Tutte le citazioni sono tratte dalla suddetta edizione, nel testo sono ripor-tati fra parentesi il volume (in numeri romani) e la pagina (in numeri arabi) da cui la citazione è tratta. (Tutte le traduzioni sono mie, I.V.).
CANKAR E DOSTOEVSKIJ 133
le case sono "vecchie e tetre, anche se sono state appena costruite" (III: 306). La stessa natura sembra impaurita, impotente di fronte alla mostruosità della periferia; un albero in periferia "è pieno di