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CAP 2: LA GIUSTIZIA PENALE UE A PROTEZIONE DEI FANCIULL

Premessa

In questi ultimi anni, la creazione di una giustizia europea “child-friendly” è diventato un aspetto fondamentale dell’agenda sociale Europea. Tre eventi hanno rinforzato tale obiettivo: la pubblicazione nel luglio 2006 della Comunicazione della Commissione “Verso una strategia sui diritti

del minore”470, l’entrata in vigore del trattato di Lisbona nel dicembre del 2009 e il lancio dell’“Agenda

europea per i diritti dei minori” nel febbraio 2011.

Indubbiamente, la “comunitarizzazione” del settore della cooperazione giudiziaria in materia penale, retaggio della precedente disciplina intergovernativa, rappresenta uno dei risultati più significativi raggiunti dal Trattato di Lisbona, capace di dar vita a prospettive interessanti e un tempo impensabili, nonostante tale ambito resti caratterizzato tuttora da profili istituzionali peculiari motivati dall’estrema sensibilità delle questioni sottese471.

È proprio grazie al nuovo quadro giuridico, creato dal Trattato di Lisbona, che la Commissione europea ha presentato, nel 2011, il “Programma dell’Unione europea per i diritti del minori”472 che esprime la volontà e l’impegno dell’Unione nel rafforzamento dei diritti dei fanciulli in tutte le sue politiche e, quindi, non solo nell’ambito civile e amministrativo, ma anche in quello penale.

Il documento, a carattere prettamente programmatico e politico, desidera puntare l’attenzione del legislatore europeo verso l’importanza di costruire una giustizia a misura di minore, in grado di proteggere i fanciulli particolarmente vulnerabili.

Nell’ambito della giustizia penale, come vedremo nel prosieguo, sono state recentemente adottate diverse direttive che, pur non essendo dedicate espressamente ai minori, hanno un impatto anche sui loro diritti.

470 Tale Comunicazione riconosce che i diritti dei minori sono parte integrante dei diritti dell’uomo (che l’Unione europea

è tenuta a rispettare in virtù dei trattati internazionali ed europei in vigore), riconosciuti anche dalla stessa Unione nella Carta dei diritti fondamentali e, in particolare, nell’art. 24. La predetta Comunicazione individuava quattro problemi da affrontare: l’esclusione sociale dei bambini Rom, il traffico di minori, la pedopornografia su internet e la somministrazione ai minori di farmaci non sperimentali ad uso pediatrico. La sua importanza deriva anche dall'aver inaugurato, il 4 giugno 2007, il primo Forum europeo per i diritti dei minori, che ha visto la partecipazione diretta di bambini e di interlocutori esperti di tematiche minorili per uno scambio di informazioni e buone pratiche allo scopo di stimolare l’emanazione di iniziative efficaci in favore dei minori.

471 R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione europea, Giappichelli, 2014, p. 558-9.

472 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al

Comitato delle regioni del 15 febbraio 2011, dal titolo “Programma dell’Unione europea per i diritti dei

Specificatamente rivolta ai minori vittime di reato è, invece, la direttiva 2011/93/UE contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.

Inoltre, dopo che la Commissione europea ha affermato di volere “more safeguards for citizens

in criminal proceedings”473, è stata recentemente adotatta la direttiva 2016/800/UE in materia di diritti

procedurali dei minori indagati o imputati nell'ambito di procedimenti penali.

Questi strumenti rappresentano indubbiamente, almeno “sulla carta”, un passo fondamentale verso una giustizia UE a misura di minore.

La Commissione europea si è anche ufficialmente impegnata, come è stato anticipato nella prima parte del presente lavoro, a favorire l’uso delle direttive del Consiglio d’Europa sulla giustizia

Child-friendly, tramite la loro integrazione nei futuri strumenti giuridici del settore della giustizia civile

e penale.

È quindi la stessa Unione europea a riconoscere l’importanza del lavoro svolto in questi anni dal Consiglio d’Europa a tutela dei minori e culminato nell’adozione delle Linee Guida nel 2010.

Nella prima sezione di questo secondo capitolo si analizzerà, innanzitutto, la definizione del concetto di “vittima di reato” e le sue connesse potenzialità di tutela nell'ambito dei procedimenti penali. Verranno poi evidenziati i principali atti vincolanti dell'UE a protezione delle vittime di reato, concentrandosi su quelli maggiormente significativi per le vittime minori di età. Successivamente verrà operato un confronto tra i diversi approcci seguiti dall’Unione europea e dal Consiglio d’Europa in materia di tutela della vittima di reato.

Nella seconda sezione si proseguirà l’analisi con lo studio delle norme UE a garanzia del minore autore di reato nei procedimenti penali.

Si è ritenuto di analizzare sia le disposizioni UE a tutela dei minori autori che quelle a tutela dei minori vittime di reato poiché si crede fortemente che “tout mineur délinquant est un enfant en

danger; tout enfant en dangeur est un potenziale mineur délinquant” e si desidera, pertanto, porre

l’attenzione sul fatto che questa comune vulnerabilità dovrebbe garantire il diritto, per entrambi i ruoli rivestiti dai fanciulli nel processo penale, ad un trattamento specifico e differenziato rispetto a quello riservato agli adulti474.

473 Si veda Criminal Justice Newsroom, 27/11/2013 su http://ec.europa.eu.

474 Introduzione di Geneviève Giudicelli-Delage al libro la "Minorité à contresens. Enfants en danger, enfants délinquants"

Prima sezione: La tutela dei minori vittime di reato

1.1 L’approdo del diritto penale europeo e del concetto di “vittima”

Non essendosi occupata direttamente, fino agli anni ’90, della materia penale, che era di competenza esclusiva degli Stati membri, l’Unione europea sino allora non si era nemmeno interessata della sorte delle vittime di reato. Nonostante ciò, era chiaro che ignorare il fatto che sempre più frequentemente i cittadini europei possono diventare vittime cross-border e, di conseguenza, andare incontro a molteplici difficoltà per far valere i propri diritti all'interno di un processo sorto in uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza o di residenza, contrastasse con l’idea di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui tutti i cittadini europei possono muoversi liberamente e in sicurezza.

Come affermato dal Commissario europeo Anita Gradin, il destino di chi subisce un reato in uno Stato membro diverso da quello di residenza è molto diverso da quello di chi diventa vittima nel proprio Paese in quanto, nel primo caso, non sempre si conosce perfettamente la lingua dello Stato in cui ci si trova, nè le regole che governano il processo penale di quel dato Paese475.

Al riguardo la Corte di Giustizia, nel caso Cowan476, fece un primo passo avanti, nonostante il diritto processuale penale fosse ancora di competenza esclusiva degli Stati membri, sottolineando che le disposizioni nazionali che prevedono un indennizzo per le vittime di un reato subito nel loro territorio non devono subordinare la sua concessione alla nazionalità dell’offeso e questo poichè quando “the

Community law guarantees a natural person the freedom to go to another Member State, the protection of that person from harm in the Member State in question, on the same basis as that of nationals and persona residing there, is a corollary of that freedom of movement”477.

Con tale pronuncia, tuttavia, non si è affermato nessun principio in base al quale tutti gli Stati membri debbano risarcire le vittime di reato per le conseguenze subite nei loro territori.

Successivamente, il Consiglio europeo di Tampere, del 16 ottobre 1999, sollecitò esplicitamente l’adozione di norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, in particolare riguardo l’accesso alla giustizia e al risarcimento dei danni subiti478.

475 P. ROCK, Constructing victim’s rights; the Home Office, New Labour and victims, Oxford, 2004, p. 513.

476 CdGUE, 2 febbraio 1989, Cowan c. Trèsor public, C- 186/87. In tale caso, la Corte di Giustizia venne adita in via pregiudiziale per fornire un’interpretazione di una normativa penale francese che concedeva un indennizzo statale alle vittime solo nel caso in cui fossero cittadini francesi o di uno Stato con il quale la Francia aveva concluso un accordo in tal senso oppure persone residenti in Francia.

477 CdGUE, 2 febbraio 1989, Cowan c. Trèsor public, C- 186/87, punto 17.

478 Il Consiglio europeo di Tampere è stata la prima riunione dei capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’Unione dedicata specificatamente alle tematiche degli affari interni della giustizia.

A quest'ultima sollecitazione ha risposto la direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004 relativa all’indennizzo delle vittime di reato che è stata emanata nell’ambito del primo pilastro e, di conseguenza, non si è addentrata nel campo penale. Tale atto è, comunque, rilevante in quanto esprime espressamente, nel considerando n. 6, che “le vittime di reato nell’Unione europea dovrebbero avere

il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato è stato commesso”.

Inoltre, nel considerando n. 12, la direttiva richiede a ciascuno Stato membro di istituire dei meccanismi di indennizzo per le vittime di reati intenzionali e violenti commessi nei propri territori e di cooperare tra loro in modo da “consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad un’autorità

del proprio Stato membro di residenza” per ottenere l’indennizzo nello Stato membro in cui sono state

vittime di un reato, ovviando, così, “alle eventuali difficoltà pratiche e linguistiche connesse alle

situazioni transfrontaliere”.

Un mero risarcimento economico, tuttavia, non è di certo in grado di assicurare una completa tutela alle vittime di reato, le quali necessitano soprattutto di protezione nel processo, dal processo e

post processo penale.

A tal ultimo riguardo, bisogna sottolineare che il primo atto di diritto derivato dell’Unione europea ad avere inciso sui sistemi penali nazionali è stata la Decisione quadro del 2001/220/GAI sulla posizione della vittima nel procedimento penale479 che dunque precede anche la sopra citata direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato.

La “vittima”, pertanto, è stato il primo soggetto processuale degno di tutela penale in sede europea, trasformandosi nella “nouvelle étoile de la scène pénale”480.

Come si vedrà nel prosieguo, le tappe fondamentali di questo percorso sono passate tramite il riconoscimento graduale alla vittima tanto dei service rights, quanto dei procedural rights481.

Ciò premesso, bisogna ammettere che l’adozione della Decisione quadro sopra citata è stata alquanto contestata.

479 Decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 20001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale,

pubblicata in GUCE L 82 del 22 marzo 2001.

480 Per un inquadramento generale si veda S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Tori- no, 2012, p. 1; F. TULKENS - F. VAN DE KERCHÓVE, Introduction au droit pènal. Aspects juridiques et criminologiques, Bruxelles, 1999, p. 62.

481 La nota distinzione si deve a A. SANDERS, Victim Participation in an Exclusionary Criminal Justice System, in C. HOYLE - R. YOUNG (a cura di), New visions of crime victims, Oxford, 2001, p. 204.

Dalla lettura del combinato disposto degli articoli 29482 e 31, lettera e) dell'allora Trattato UE, non era chiaro, infatti, se vi fosse una base giuridica che assegnava all’Unione la competenza ad armonizzare le norme processuali penali483.

Non essendoci nei Trattati alcun riferimento alla procedura penale, né ai diritti delle vittime484, la Decisione quadro è stata quindi emanata in un contesto giuridico incerto che ha influenzato negativamente la sua stessa attuazione.

Come è già stato anticipato, il Trattato di Lisbona ha finalmente attribuito all’Unione europea una base giuridica esplicita tanto in materia processuale penale (art. 82, par. 2, TFUE), quanto in quella penale sostanziale (art. 83 TFUE) e, pertanto, attualmente, su entrambi i fronti, il legislatore europeo può adottare “norme minime”.

Per quanto riguarda, in particolare, il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia processuale penale, l’art. 82 TFUE include ora la “tutela dei diritti delle vittime della criminalità” tra gli ambiti in cui è esplicitamente ammessa l’emanazione di norme minime UE485.

Nessun riferimento ai diritti delle vittime è presente, invece, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La protezione dei diritti delle vittime di reato rappresenta una tematica nella quale è possibile osservare l’espansione del diritto dell’Unione europea nel settore penale in quanto, rispetto alle garanzie da riservare all’imputato, come vedremo nel prosieguo, è stato più facile raggiungere un consenso tra gli Stati membri.

Come sopra anticipato, infatti, le vittime di reato hanno rappresentato i primi individui oggetto di attenzione da parte del legislatore europeo in campo penale e ciò anche prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona quando la materia penale veniva disciplinata attraverso lo strumento delle Decisioni quadro, oggi in gran parte sostituite, come vedremo, da direttive adottate nel periodo post- Lisbona486.

482 Tale articolo, modificato dal Trattato di Amsterdam, assegnava all’Unione l’obiettivo di “fornire ai cittadini un livello

elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale” (..) e tale obiettivo doveva essere raggiunto mediante

“il ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale, a norma dell’art. 31, lett. e)”. 483 In particolare non era chiaro se l’Unione europea aveva la competenza ad emanare atti normativi aventi un impatto su aspetti diversi da quelli di diritto penale sostanziale esplicitamente elencati.

484 Lo stesso nesso tra cooperazione giudiziaria e regole comuni sulla posizione della vittima non risultava subito evidente. Sul punto si veda V. MITSILEGAS, EU Criminal Law, Oxford and Portland, 2009, p. 90 ss. e R. SICURELLA, Diritto

penale e competenze dell’Unione europea, Milano, 2005, p. 94 ss.

485 Art. 82, par. 2, del TFUE: “Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni

giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Esse riguardano: a) l'ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; b) i diritti della persona nella procedura penale; c) i diritti delle vittime della criminalità; d) altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in via preliminare mediante una decisione”.

486 Il riferimento è alla Decisione quadro 2001/220/GAI sulla posizione della vittima (oggi sostituita dalla direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), alla Decisione

L'idea di rafforzare il ruolo e la partecipazione della vittima nei procedimenti penali ha sempre creato malumori in una parte della dottrina, convinta che una visione estremamente soggettiva dei fatti, nonché una sorta di duplicazione dell’accusa487 potrebbe finire per violare il principio di non colpevolezza488, mettendo così a rischio la posizione dell’imputato e tutte le garanzie ad esso riservate all’interno del processo penale489.

Per tali ragioni, per lungo tempo, la vittima è stata lasciata in seconda fila nei processi penali degli Stati membri, addirittura quasi trascurata, finché l’attenzione nei suoi riguardi è stata consacrata, sul piano internazionale, dalla Risoluzione 40/34, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU, il 29 novembre 1985490 che ne ha fornito una prima definizione491 assieme all’attribuzione esplicita dei diritti di informazione, risarcimento e assistenza.

Trovare un bilanciamento tra la tutela delle vittime e le garanzie per l’imputato rappresenta ancora oggi il cuore delle riflessioni in materia, fermo restando che neppure attualmente può affermarsi l'esistenza di un vero e proprio diritto della vittima ad un processo penale giusto a carico dell’asserito colpevole492.

La definizione del termine “vittima di reato” merita ora qualche osservazione in quanto, analizzando la normativa europea essa sembra, innanzitutto, ricomprendere sia il significato di “persona offesa”493 che quello di “danneggiato del reato”494, concettiche, ad esempio come nell’ordinamento italiano, possono anche non coincidere.

quadro 2002/629/GAI del Consiglio, del 19 luglio 2002, sulla lotta alla tratta degli esseri umani (oggi sostituita dalla direttiva 2011/36/UE del 5 aprile 2011) e alla Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile (oggi sostituita dalla direttiva 2011/93/UE del 13 dicembre 2011). L'abolizione dell'ex “terzo pilastro” ha portato anche alla comunitarizzazione degli strumenti legislativi. 487 G. TRANCHINA, La vittima del reato nel processo penale, in Cass. pen., 2010, 11, p. 4060 non condivide questo argomento, non ritenendo che “il principio di parità delle parti nel processo si riferisca al numero delle parti costituite in

giudizio”. La parità consiste nella garanzia che il processo si svolga in modo tale da assicurare alle parti l’uguale possibilità di incidere sul convincimento del giudice, attribuendo a ciascuna di esse parità di poteri”.

488 D. KRAUSS, La vittima del reato nel processo penale, in Dei delitti e delle pene, 1983, 2, p. 295: in via di principio, si può parlare di un rapporto tra il reo e la vittima solo quando sia stata accertata la colpevolezza dell’imputato perché prima della condanna non esiste nessuna “vittima innocente”.

489 Come affermato da N. PARISI, Una prospettiva nazionale, europea e internazionale per la tutela della vittima, in

Processo penale e vittima di reato, Università di Catania, 2010, n. 26, p. 12, il processo penale è essenzialmente una contesa

tra l’accusato e lo Stato, il quale si prende cura della vittima ed agisce anche in sua vece, metabolizzando, per così dire, le aspirazioni vendicative del soggetto passivo del reato.

490 General Assembly, UN Declaration of basic principles of justice for victims of crime and abuse of power, 29 November, 1985, A/RES/40/34.

491 Secondo tale Risoluzione le vittime sono “persons who, individually or collectively, have suffered harm, including

physical or mental injury, emotional suffering, economic loss or substantial impairment of their fundamental rights, through acts or omission that are in violation of criminal laws operative within Member states, including those laws proscribing criminal abuse of power”.

492 M. SIMONATO, Deposizione della vittima e giustizia penale. Una lettura del sistema italiano alla luce del quadro

europeo, Milano, Wolters Kluwer - CEDAM, 2014, p. 3 e 17.

493 Colui che subisce la lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice violata e che può esercitare alcuni diritti anche a prescindere dalla costituzione come parte civile.

494 Colui che ha subito le conseguenze patrimoniali o non di un reato e che assume la veste di parte processuale solo quando si costituisce parte civile all’interno del processo penale. Spesso, ma non sempre, coincide con la persona offesa.

In passato tale conclusione derivava dai combinati disposti del considerando n. 6 e dell’art. 9 della Decisione quadro 2001/220/GAI sulla posizione della vittima nel procedimento penalementre attualmente discende dalla lettura del considerando n. 37 e dell’art. 16 della direttiva 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato che ha sostituito la Decisione quadro sulla posizione della vittima495. Tutte queste disposizioni, infatti, prevedono la presenza della vittima già dall’inizio del procedimento penale (posizione della c.d. "persona offesa"), ma contemplano anche il diritto delle vittime ad ottenere una decisione del giudice in materia di risarcimento del danno (figura del c.d. "danneggiato parte civile").

Dal 2001, poi, il concetto di “vulnerabilità” della vittima ha fatto ingresso nel dibattito dottrinale grazie alla già più volte richiamata Decisione quadro 2001/220/GAI che nel suo art. 2, par. 2, prevedeva l’obbligo di ciascuno Stato membro di assicurare che le “vittime particolarmente

vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione”.

Il concetto di “vulnerabilità” non è stato definito dalla Decisione quadro in parola e quindi in dottrina si è cercato di individuare chi potesse rivestire tale status496.

Una vittima vulnerabile è sicuramente un soggetto che, oltre ad aver patito le conseguenze negative di un reato, rimane particolarmente esposto anche ad ulteriori cause di sofferenza ed è quindi un individuo con una particolare predisposizione ad essere ferito497.

Spesso si è parlato anche di “supervittima”498 ovvero di una categoria per la quale non viene attribuito uno specifico e diverso ruolo all’interno del processo penale, bensì un’attenzione particolare in materia di diritti di assistenza e protezione sia all’interno del processo che al di fuori di esso499.

Nel contesto giuridico europeo vi sono diverse fonti che si riferiscono al concetto di “vulnerabilità”, ma esse, come vedremo, non aiutano a far chiarezza.

Basti pensare che, addirittura, in uno stesso strumento normativo si parla sia di vittima

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