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Riflessioni conclusive

CAP 2: LA NORMATIVA REGIONALE A TUTELA DEI MINOR

2.4 Riflessioni conclusive

Arrivati al termine di questa prima parte, dedicata all’analisi del quadro delle principali fonti internazionali a protezione dei fanciulli, mi accingo a compiere alcune osservazioni.

Innanzitutto, è emerso che, nonostante siano stati compiuti grandi sforzi per armonizzare i diritti dei minori e pur sussistendo, al giorno d’oggi, una sorta di “base comune generalmente condivisa”, consistente nel ritenere che i fanciulli abbiano diritto ad una protezione “speciale”, l’approccio ai diritti dei fanciulli risente ancora enormemente delle concezioni politiche e sociali nazionali, nonché delle tradizioni giuridiche, peculiari e proprie di ogni Stato.

La dimostrazione più evidente è data dall’incredibile e rapidissimo numero di ratifiche della Convenzione sui diritti del fanciullo, il cui testo finale, tuttavia, rappresenta il frutto di molteplici compromessi ovvero degli ultimi tentativi degli Stati parte, assieme alle innumerevoli riserve, di continuare a salvaguardare le proprie tradizioni socio-culturali.

Se, pertanto, è molto apprezzabile lo spirito all’“internazionalizzazione” dei diritti dell’infanzia che ha diffuso la Convenzione di New York, non bisogna farsi illusioni che ciò sia sufficiente per tutelare in concreto i diritti dei fanciulli.

Le tante riserve, la troppa discrezionalità lasciata agli Stati, la presenza di un sistema di monitoraggio “non polemico” e l’inesistenza, fino a poco tempo fa, di un meccanismo di reclamo quasi- giurisdizionale, hanno reso la Convenzione sui diritti del fanciullo uno strumento adeguato a proteggere i minori solo a parole e “sulla carta”.

La reale importanza della Convenzione sui diritti dei fanciulli è stata quella di essere stata d’ispirazione per altri strumenti adottati a livello internazionale, regionale ed europeo che ne hanno aumentato la portata applicativa e sicuramente innalzato lo standard di protezione.

In particolare, il richiamo piuttosto frequente della Convenzione di New York da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia in maniera esplicita che implicita, ha consentito alla CEDU di evolvere insieme al crescente riconoscimento dei diritti dei minori e di diventare un importante punto

di riferimento per una loro concreta tutela; dall’altro, ha permesso alla stessa Convenzione sui diritti del fanciullo di non essere unicamente uno strumento ideologico e programmatico.

Rimanendo sul piano internazionale e spostandoci sul tema del lavoro minorile, si è osservato che anche nell’ambito delle Convenzioni dell’OIL la costante presenza di c.d. “clausole di souplesse” consente agli Stati di assumere obblighi differenziati e di adattare l’applicazione delle Convenzioni alle proprie esigenze interne o, ancora, di applicare in maniera selettiva le disposizioni.

Si è anche potuta constatare la difficoltà della Corte penale internazionale a tutelare, in tempi congrui, i minori vittime dei gravissimi crimini internazionali di sua competenza, a causa dei limiti funzionali della stessa Corte che mettono in secondo piano le innovative tutele che lo Statuto di Roma prevede a tutela del ruolo delle vittime nel procedimento giudiziario davanti alla Corte penale internazionale.

Il “sistema” delle Convenzioni dell’Aja, invece, che prevede poche dichiarazioni di principio e tante regole pratiche di diritto internazionale privato, si scontra, di frequente, con la prevalenza delle disposizioni della CEDU e della normativa UE, nonché con la difficoltà degli Stati parte nel non far prevalere i loro interessi nazionali nel terreno delicato della sottrazione internazionale di minori, così come in altre situazioni che coinvolgono i fanciulli e le loro famiglie.

La consapevolezza che il diritto minorile in generale debba affrontare tematiche più circoscritte, rendendosi più pragmatico e guadagnando, quindi, in efficacia ha portato, da un lato, ad adottare atti vincolanti a protezione dei minori in ambiti territoriali più ristretti e, dunque, più omogenei e, dall’altro, allo sviluppo di un’importante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, basata sull’analisi del caso concreto, che ha avuto un grande impatto sull’evoluzione dei diritti dei minori all’interno dell’Unione europea.

Dal punto di vista degli strumenti attualmente mobilizzati a tutela dei diritti dei minori, la protezione che si prefigge di assicurare ai fanciulli il Consiglio d’Europa con la CEDU, le altre Convenzioni e l’operato della Corte europea dei diritti dell’uomo è indubbiamente la più ricca.

La CEDU rimane il vero “gioiello” del sistema del Consiglio d’Europa a protezione dei minori, le altre Convenzioni, infatti, scontano i limiti tipici di questi strumenti internazionali che le rendono ben poco efficaci. Molte, ad esempio, hanno ricevuto poche ratifiche (come, ad esempio, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo che sinora ne ha 20) oppure sono state sottoposte a molte riserve e dichiarazioni interpretative. In ogni caso, la loro formulazione in termini spesso vaghi impedisce di considerarle strumenti direttamente applicabili, necessitando di essere incorporate nel diritto nazionale o in quello UE per poter essere ritenute giustiziabili (così come è avvenuto, ad esempio, per la Convenzione di Varsavia e per quella di Lanzarote che hanno ispirato le due direttive UE in materia).

Ai minori è garantito il beneficio di una doppia protezione: una di tipo generale, che è accordata anche agli adulti, e una più specifica, che porta normalmente a vedere i minori solo come degli individui vulnerabili. L’approccio “classico” ai diritti dei minori ovvero l’anima protezionistica nella quale l’obiettivo prioritario è la protezione dei fanciulli e non la valorizzazione dei loro diritti in quanto individui si può notare nella maggior parte degli strumenti che sono stati qui sopra analizzati e anche nell’utilizzo del principio del superiore interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Un elemento importante e costante della giurisprudenza di quest’ultima è stato, indubbiamente, quello di aver esteso il concetto di “vita privata e familiare” e, di conseguenza, anche la nozione di “famiglia”.

Attraverso ciò, rappresentando la famiglia il fondamento della società e il primo posto in cui i minori devono sentirsi ed essere protetti, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sua numerosa giurisprudenza sull’art. 8 della CEDU, è riuscita a circondare di precise garanzie il diritto dei fanciulli di vivere in un ambiente familiare idoneo al loro sviluppo.

Alla CEDU e alla sua giurisprudenza interpretativa è attribuito un rilievo giuridico che non spetta alle altre convenzioni internazionali, in quanto questa convenzione rappresenta da anni ormai un punto di riferimento importante per l’Unione europea quando si tratta di determinare il contenuto e il livello di tutela dei diritti fondamentali.

Si è già avuto modo di notare, tuttavia, che in alcuni casi le pronunce della Corte europea per i diritti dell’uomo si pongono in contrasto con le decisioni, adottate in casi simili, della Corte di Giustizia.

Come vedremo meglio nella seconda parte del presente lavoro, queste (apparenti o forse volute) incompatibilità stanno riducendo e rendendo difficile il dialogo fra le due Corti, aprendo la strada anche ad una tutela differenziata dei diritti dei minori.

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