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Cap 2 Metodi della filosofia della volontà

Sez.1. La volontà come sfera privilegiata di descrizione

1.a. Un nuovo approccio al problema della costituzione del senso

La prima domanda da porsi è senz’altro questa: perché Ricœur sceglie di trattare come oggetto privilegiato della sua fenomenologia la volontà e la vita pratica della coscienza piuttosto che porre come Husserl l’accento sulla sua funzione rappresentativa e teoretica? Come questo è legato alle esigenze poste nel capitolo precedente? Ricœur fornisce alcune delucidazioni in un saggio molto importante scritto a poca distanza dalla pubblicazione del primo tomo della Philosophie de la volonté: Méthode et tâches d’une phénoménologie de la

volonté.

In questo saggio Ricœur mostra come il metodo descrittivo permetta di mettere in luce il modo in cui la coscienza costituisce gli aspetti pratici della sua vita: nel campo della fenomenologia della volontà si possono chiarire aspetti relativi al senso di questa funzione costituente della coscienza che nell’analisi della semplice rappresentazione rimangono confusi e irrisolti. Sarà proprio questa nuova posizione del problema della costituzione che permetterà di ridimensionare l’idealismo trascendentale. Se nel capitolo precedente si è evidenziato come anche nella sfera della rappresentazione l’idealismo trascendentale sia costretto a fortissime limitazioni, soprattutto quando si tratta di costituire l’alter-ego e il mondo obiettivo e sociale, Ricœur ha intenzione di mostrare come l’analisi della volontà permetta di oltrepassare definitivamente questa possibile interpretazione filosofica; si pone la domanda: «la teoria dell’idealismo trascendentale, non vale forse solo nei limiti della teoria della rappresentazione, della coscienza spettacolare?»88.

Nell’analisi della coscienza spettacolare la trascendentalità della coscienza, cioè il suo costituire il significato delle cose, può ancora essere interpretata in una certa misura come una creazione; la passività del processo genetico può rimanere nascosta o può rischiare di essere confusa con l’insensato dipanarsi di sensazioni in un flusso temporale al quale esternamente si aggiunge, tramite degli atti sintetici, il senso che la coscienza crea. La descrizione di una coscienza pratica e agente nel mondo, implica invece la ricettività di questa coscienza verso una certa passività che non può più essere considerata come creata dalla coscienza e che tuttavia è pur sempre sensata. Dunque, nella passività tipica della volontà, la coscienza si

trova davanti un senso che essa non crea e non domina fino in fondo. La passività che si può rintracciare in questo caso infatti non ha nulla a che vedere con la passività delle cose; non è una relazione di esteriorità, ma esiste per la coscienza. L’analisi della volontà può aiutare a fare emergere una dialettica di creazione ed ascolto interna al cogito stesso. Se il senso della coscienza può non essere creato da questa, occorre porre una limitazione alle pretese di creazione assoluta dell’ego e quindi alle sue pretese di trasparenza. Il senso del concetto di “fondazione” subisce quindi una limitazione rispetto a quello dell’idealismo trascendentale; non implica un susseguirsi cronologico e un ricoprirsi sintetico di alcuni vissuti nel flusso temporale di coscienza, né una creazione di senso, ma quello già citato, metodico, secondo il quale «costituire [significa] spiegare ciò verso cui la coscienza è rivolta, che rimane confuso nella esperienza naturale irriflessa, ingenua di una cosa». Ecco come l’analisi fenomenologica della volontà, scoprendo una passività sensata interna al cogito, può problematizzare ulteriormente la decisione metafisica dell’idealismo trascendentale.

Tale passività della volontà è per Ricœur la sfera dei motivi, dei bisogni, delle emozioni… insomma tutto ciò che si può sussumere sotto il concetto di “involontario”. Arrivare ad una comprensione del legame essenziale e costitutivo tra la sfera involontaria della volontà e quella invece volontaria formata dalle decisioni, dalle azioni, dal controllo di sé, comporta mostrare come nel processo di valutazione e decisione si inseriscano motivi, bisogni, emozioni che la coscienza non si è creata e con i quali essa è in dialogo e certe volte anche in conflitto. Dunque l’analisi del rapporto tra volontario e involontario permette sia di ristabilire un concetto di essere più ricco, che sia in grado di superare la dicotomia sartriana tra presenza e nulla per poter parlare dell’essere dell’atto, sia di ripensare l’idealismo trascendentale husserliano.

1.b. Il pregiudizio logicista della primarietà della coscienza obiettivante su quella volitiva.

Queste considerazioni fanno comprendere l’attenzione di Ricœur nell’evitare il «pregiudizio logicista»89 che egli attribuisce a Husserl, secondo il quale gli atti obiettivanti

sono lo strato primitivo sul quale ogni atto volitivo, desiderante, o in genere ogni altro atto della coscienza è fondato. Abbiamo visto come Husserl non avesse intenzione di ridurre la sfera dei significati pratici, estetici, sociologici o politici alla sfera degli atti teoretici obiettivanti; egli era attento alle emergenze, ai sensi aggiuntivi e irriducibili che queste nuove sfere depositano sul mondo obiettivo, tuttavia riteneva che ogni atto di livello superiore fosse

descrivibile come fondato su di una rappresentazione90. Ricœur ha bisogno di preservare

l’equiprimarietà della coscienza pratica e della coscienza teoretica per evitare che la passività propria della coscienza pratica venga desunta dal modello della coscienza teoretica, il che renderebbe impossibile raggiungere il suo obiettivo, dunque ha bisogno di iniziare l’analisi della volontà in modo diretto, senza partire dall’analisi preliminare di una coscienza obiettivante. La volontà deve essere descritta come pretende di essere in sé.

I logici, nello studio delle preposizioni tramite le quali il linguaggio pretende di significare il mondo, effettuano spesso delle astrazioni che sussumono in casi generali delle proposizioni concrete, ignorando alcune loro caratteristiche: per un logico è sempre possibile giungere a ciò che hanno di simile le proposizioni “tu viaggi”, “io desidero che tu viaggi” e “viaggia!”: può dire che tutte e tre si riferiscono a “il tuo viaggiare”. Ma quest’ultima particella nominale che accomuna dal punto di vista sintattico tutte e tre le proposizioni, non ha la pretesa di enunciare uno stato di cose, di esplicitare un desiderio o di impartire un comando; questa astrazione può avere senso nel caso di uno studio grammatico e logico sulla costruzione della lingua, ma è posteriore e fondata e non anteriore e fondante rispetto alle intenzioni significanti delle frasi singole. Si arriva a questa comunanza astraendo dalla totalità di significato che contengono le tre proposizioni e conservando la parte di significato che riguarda il cosa si enuncia, il cosa si desidera o il cosa si comanda. Se si dice che le proposizioni “noto che piove” e “io desidero che piova” sono costruite sulla proposizione più elementare “piove” si deve intendere con questa ultima non l’enunciazione contemplativa dello stato di cose “sta piovendo”, ma l’astrazione grammatica che serve per costruire la frase, e questa astrazione non è affatto un’enunciazione. Da questa possibilità di astrarre e dalla costruzione sintattica, non deriva affatto che i significati delle proposizioni volitive siano fenomenologicamente fondati sui significati delle proposizioni di una coscienza teoretica che constata stati di cose in modo distaccato.

Dunque secondo Ricœur Husserl utilizza indebitamente questo pregiudizio perché confonde questi costrutti logici astratti con le rappresentazioni teoretiche contemplative distaccate, e confonde la costruzione sintattica con una fondazione fenomenologica. in realtà ogni campo di significazione della coscienza è a suo modo primitivo anche se può essere ricondotto ad un campo neutro non rappresentativo e non volitivo tramite un’astrazione logica91.

90. «Ci imbattiamo in noesi di sentimento, di desiderio, del volere che sono fondate in rappresentazioni, in percezioni, ricordi, rappresentazioni segniche, ecc. […] Si costituisce un senso nuovo che è fondato in quello della noesi soggiacente e nello stesso tempo lo ingloba». E. HUSSERL, Idee 1, p. 289-290.

91. «Ce sens en commun n’est pas du tout une représentation; ce n’est pas du tout un noème complet […] ; c’est un abstrait prélevé sur les noèmes complets de la constatation, du vœu, du commandement ; […] ce “noyau

Nell’analisi della volontà bisogna dunque rispettare la specificità della coscienza pratica non solo tutelando le emergenze rispetto alla coscienza teoretica ma anche evitando di considerare quest’ultima come primitiva. La volontà introduce nel mondo uno strato di senso che non è fondato su quello della rappresentazione ma è, nel suo modo proprio, fondativo.

Volontà e rappresentazione sono a loro modo ugualmente primitivi nella sfera della coscienza, è possibile condurre un’analisi genetica dello strato di senso pratico a partire dallo strato teoretico tanto quanto è possibile condurre un’analisi genetica del secondo a partire dal primo. Questa intercambiabilità (che può essere parziale e problematica) implica la necessità di riscoprire una «esperienza integrale del cogito»92 antecedente a ogni scissione.

«Il ne paraît donc pas contestable que la vie volontaire donne un accès privilégié et irréductible aux problèmes de constitution. Elle a une manière propre d’exprimer la Sinngebung de la conscience : comme le Dieu spinoziste, la conscience est toute entière dans une de ses faces ; c’est l’existence humaine dans son ensemble qui, en percevant, voulant, sentant, imaginant, etc., “donne sens”»93.

Dunque diventa necessario per chiarire il concetto fondamentale di “donazione di senso” cioè di costituzione, parlare del rapporto della volontà con la coscienza oggettivante, mostrando la dialettica contenuta nella possibilità problematica di invertire l’ordine di fondazione. Avvicinandosi in questo modo al nucleo originario del cogito anteriore alle distinzioni, diventa possibile trattare la problematica in modo più completo, senza che sia viziata dalla parzialità di aver scelto un campo privilegiato di descrizione fenomenologica nel quale porre il problema.

Dunque è vero che le analisi descrittive della volontà sono parziali, e che la volontà viene definita proprio in opposizione con gli altri tipi di attività del cogito, come la percezione e il giudizio, ma questa parzialità conscia e tematizzata è in grado di indicare in modo più completo l’esperienza integrale del cogito verso la quale questa parzialità deve essere oltrepassata.

Sez.2. Applicare la fenomenologia alla descrizione della volontà

2.a. L’utilizzo e i limiti della fenomenologia

Eidetica e analisi intenzionale

Abbiamo già visto nelle conclusioni alla sezione precedente come per porsi correttamente il problema della fondazione evitando le riduzioni occorra evitare di prendere la strada corta

de sens”, ce λεκτόν, est alors visé par un nouvel acte qui n’est plus ni consentement ni vœu, ni commandement mais un opération de grammairien ou de logicien». P. RICŒUR, Méthodes et tâches, p. 77.

92. P. RICŒUR, Il volontario e l’involontario, p. 13.

che consiste nel ricondurre tutto subito a un concetto inglobante come l’ego trascendentale o il mondo della vita, e scegliere la strada faticosa della preliminare distinzione tra i concetti, cogliendo ogni concetto nella sua specificità e nella connessione essenziale con altri concetti. Più volte Ricœur critica le analisi riduttive nelle quali è sfociato un certo esistenzialismo fenomenologico94. Questa strada troppo corta «rischia di non cogliere la specificità dei

problemi» e di «confondere i contorni delle funzioni diverse in una sorta di monismo esistenziale indistinto, che al limite conduce a ripetere la stessa esegesi dell’“esistenza”»95.

La fenomenologia deve partire prima di tutto dallo studio della significazione. Ancora prima di ogni analisi metafisica o empirica occorre chiarire ciò che la coscienza parlante intende.

«La crainte de platoniser sur les essences ne doit pas nous faire manquer la tâche de constituer des objet phénoménologiques, en entendant par là les contenus idéaux capables de remplir les intentions signifiantes multiples et variables que le langage met en œuvre toute le fois que nous disons “je veux”,“je désire”,“je regrette”»96.

La fenomenologia non può rinunciare a questa tappa metodica che consiste nel cogliere, senza affermazioni o decisioni preliminari, tramite dei concetti tratti dal linguaggio comune, alcuni oggetti fenomenologici costanti nel pur mutevole flusso dei vissuti, oggetti ai quali ci si può riferire con categorie generali e che si possono analizzare nelle loro caratteristiche costanti. Fare un discorso fenomenologico significa costruire metodicamente questi concetti per poterli descrivere nella loro specie.

Il metodo che Ricœur trae da Husserl per questa fase preliminare è quello della riduzione eidetica. Nelle prime pagine delle Idee97 Husserl descrive come sia possibile comprendere

delle intenzioni significative vuote senza che sia necessario alcun dato di fatto empirico né alcuna esperienza attuale. «Mettendo tra parentesi» il mondo naturale, cioè non facendo rientrare nei presupposti del discorso nulla che esista realmente. Il metodo è quello delle variazioni immaginative, ovvero partendo da un concetto occorre fingersi tanti modi in qui questo concetto vuoto può essere potenzialmente riempito, giungendo così ai suoi significati possibili in maniera del tutto indipendente dai dati di fatto e dall’empiria. In questo modo, tramite un’intuizione generale è possibile cogliere le essenze significanti, cioè le possibilità di riempimento più generali possibili di un determinato concetto.

La riduzione eidetica ha un ruolo fondamentale nella fondazione della fenomenologia, in quanto permette di comprendere ciò che significano i concetti della fenomenologia come “percezione” “vissuto” “fantasia” … In questo modo, evitando l’essenzialismo, è possibile

94. P. RICŒUR, Sur la phénoménologie, p. 159.

95. P. RICŒUR, Méthodes et tâches, p. 68.

96. IVI, p. 69.

fare un discorso sensato sul mutevole flusso di coscienza. Applicando la riduzione eidetica alla sfera della volontà, ai vissuti tipici della volontà è possibile cogliere nella loro essenza i vissuti volitivi del tipo “io voglio” così come gli altri vissuti che questo atto implica. Chiedendosi se è possibile immaginare un vissuto volitivo privo di una determinata proprietà, e immaginando tante variazioni di tale vissuto, si possono intuire le proprietà che appartengono all’essenza significante di un tale vissuto.

Grazie alla riduzione eidetica è possibile condurre un’analisi intenzionale: ogni coscienza è coscienza di qualcosa, e dunque ogni atto di coscienza è intenzionale, sensato. L’io si rivolge alle cose significandole. L’analisi intenzionale permette di cogliere tanto le «componenti effettive» noetiche del vissuto, cioè le caratteristiche essenziali del modo con il quale l’io si rivolge verso l’intenzionato, il modo cioè in cui l’atto costituisce il senso delle cose intenzionate98; tanto i «correlati intenzionali», i noemi, cioè le caratteristiche essenziali degli

oggetti di senso costituiti dall’atto così come sono costituiti dall’atto99. Così si può parlare di

un’analisi noetico-noematica della percezione studiando il senso della percezione e quindi il senso degli oggetti fenomenologici che sono dati nella percezione. L’analisi intenzionale si pone domande come: “cosa pretendono in sé gli atti percettivi prima di ogni decisione metafisica sulla validità di queste pretese?” “Quali guide trascendentali forniscono i correlati noematici delle percezioni?”. Ricœur si propone quindi di fare un’analisi noetico-noematica dell’atto “io voglio”. Come funziona il meccanismo di significazione con il quale l’io significa un progetto, un motivo, una volontà? Quali caratteristiche hanno i correlati di questi atti intenzionali nella loro pretesa di avere senso?

Spiegazione e comprensione

Ricœur introduce un’importante coppia concettuale che gli permette di intraprendere una riduzione eidetica della volontà: si tratta del rapporto tra comprensione e spiegazione. Questi concetti rimarranno un punto fisso del metodo ricœuriano anche se oggetto di ricontestualizzazioni e chiarimenti. Sono introdotti nelle prime pagine della Philosophie de la

volonté dedicate alla riflessione sul metodo.

98. «Ogni vissuto intenzionale, grazie ai suoi momenti noetici, è appunto noetico; esso include per essenza in sé qualcosa come un “senso”, ed eventualmente un senso molteplice, e compie sulla base di questi conferimenti di senso e unitamente a essi operazioni successive che, grazie a quei conferimenti di senso, diventano appunto “sensate”». IVI, p. 224.

99. «Dobbiamo porre la questione eidetica: “che cosa è il percepito come tale”, quali momenti essenziali implica in sé in quanto noema percettivo? Noi troviamo la risposta dirigendo il nostro sguardo puro verso ciò che è dato nella sua essenza, e possiamo descrivere fedelmente, in perfetta evidenza, “ciò che si manifesta” come tale. In altri termini: noi possiamo “descrivere la percezione sotto l’aspetto noematico”». IVI, p. 225.

La comprensione è un discorso che partendo da un concetto unitario, lo frammenta e studia quali altri concetti sono implicati e come questi si comprendono a partire dal concetto unico, come si ordinano gerarchicamente in base alla loro intelligibilità. La spiegazione è invece un discorso che, avendo a disposizione elementi costitutivi semplici e molteplici, cerca di ricostruire il complesso unitario tramite la somma di questi elementi o princìpi semplici, deducendo il complesso dai princìpi semplici mostrando come questo sia possibile senza implicare inizialmente i princìpi del complesso nel semplice da cui si parte.

Ricœur argomenta che possiamo spiegare qualcosa soltanto sulla base della comprensione: prima si comprende qualcosa come fenomeno unitario e dopo se ne cerca una spiegazione che ricomponga questo fenomeno a partire da elementi più semplici che non lo contengono. In questo modo tramite una spiegazione si possono ridurre i fenomeni complessi a somme di elementi semplici. La spiegazione si propone quindi come compito in seguito alla comprensione; la comprensione fornisce intelligibilità propria alla spiegazione in quanto suo

τέλος.

Dunque sebbene l’elemento da spiegare non sia contenuto negli elementi semplici che lo spiegano, e si possa vedere la correlazione soltanto alla fine della spiegazione, l’intero procedere della spiegazione è teleologico e c’è sempre la coscienza da parte di chi spiega del punto a cui la spiegazione vuole arrivare.

L’esigenza della spiegazione non può nascere che da una comprensione preliminare: se noi non comprendessimo che cos’è un arcobaleno non ci sarebbe nessun concetto da spiegare e quindi nulla di cui mostrare la natura di fenomeno ottico “smaterializzandolo” tramite la divisione in tante particelle d’acqua. Anche l’intelligibilità di una spiegazione proviene dalla comprensione, in quanto se una spiegazione si limitasse a produrre tutte le possibili deduzioni dai suoi principi semplici risulterebbe un complesso caotico inintelligibile. Occorre un obiettivo già compreso che fissi il procedere perché qualcosa possa essere spiegato. La spiegazione trae dunque dalla comprensione la sua esigenza e la sua intelligibilità.

Un primo risultato di questa coppia concettuale è la possibilità di applicare la riduzione eidetica in modo proficuo: la riduzione eidetica permette di comprendere le intenzioni significanti della sfera del volontario anteriormente ad ogni esplicazione, decisione metafisica o riflessione esistenziale; in questo modo si può rispettare la specificità della coscienza volontaria rispetto alla coscienza esplicativa e oggettivante. La riduzione eidetica non colloca i suoi discorsi sul piano esplicativo ma deve necessariamente porsi sul piano della comprensione, cioè delle condizioni dell’intelligibilità, e dunque non spiega nulla ma anzi è anteriore alle spiegazioni. Le verità eidetiche pretendono di essere in qualche modo a priori e

di dipendere dalle analisi dei vissuti, dal significato dei concetti; non dall’effettività dei riempimenti ma dalle condizioni per le quali questi riempimenti sono possibili100.

Occorre però aggiungere che Ricœur non considera spiegazioni e comprensioni come opposte e incomunicabili, ma piuttosto è interessato alla possibilità di instaurare tra i due tipi di discorso una dialettica proficua. In un saggio dedicato al tema, di un periodo più tardo del suo pensiero, sostiene: «occorre sostituire all’alternativa brutale una dialettica fine. Per dialettica intendo la considerazione secondo la quale spiegare e comprendere non costituiscono i poli di un rapporto di esclusione, ma i momenti relativi di un processo complesso che possiamo chiamare interpretazione»101. Più volte scrive che «spiegare significa

comprendere meglio». Questo è uno sviluppo del pensiero di Ricœur, ma è importante evidenziare come fin da subito sia rintracciabile l’intenzione di oltrepassare una contrapposizione netta tra le due sfere del discorso. Dunque anche se quello di descrivere e quindi di comprendere è l’obiettivo principale del libro di Ricœur bisogna tenere presente che egli non poteva escludere dalla sua analisi le problematiche relative alla spiegazione e al come questa influisce sulla comprensione.

Infatti la seconda funzione di questa coppia concettuale è quella di aprire la possibilità di un dialogo proficuo con le spiegazioni già date, poiché ogni spiegazione si fonda su una comprensione preliminare, e questo significa che in ogni spiegazione è contenuta una

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