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Vecchie e nuove tensioni religiose: il «negotio dei preti riformati»

La legge del 23 settembre 1578 sortì l'effetto di placare il Sant'Uffizio. La congregazione, infatti, per almeno un ventennio, pur continuando di certo a considerare la città Stato come particolarmente a rischio per i propri piani di unificazione religiosa969, non si intromise più

direttamente nei suoi affari intestini; né, a maggior ragione, avallò piani eversivi nei confronti del suo ceto dirigente da parte di nemici “interni”. I cardinali inquisitori, con ogni probabilità per prevenire le possibili reazioni di Filippo II, e non meno ritenendo che questo fosse il miglior modo per tenere sotto sorveglianza un contesto certo pericoloso, ma anche circoscritto e ormai isolato rispetto alle altre città italiane, preferirono per lo più spiare da lontano, verosimilmente grazie ai propri informatori locali, ciò che accadeva nel territorio della Repubblica, oppure nelle sue comunità commerciali all'estero. Basti dire che, quando il nuovo inquisitore di Pisa Francesco Pratelli da Montefiore, nella primavera del 1584, decise di inviare presso gli Anziani un editto di fede con il quale ampliava la propria giurisdizione, il cardinale Giacomo Savelli gli ordinò di non intromettersi nel “dominio di Lucca”, così come era già accaduto al Politi970.

Ad ogni modo, i recenti fatti dimostravano chiaramente come i componenti del clero, qualora non avessero dimostrato fedeltà alle autorità civili, possedessero la capacità di sobillare vasti strati sociali urbani. Senza contare che le relazioni che essi intrattenevano con membri del patriziato, soprattutto in qualità di confessori o addirittura di direttori spirituali, così come le attività di predicazione, erano viste con estremo sospetto dagli oligarchi. I nobili- mercanti, infatti, temevano, e non a torto, ripercussioni sull’unità del loro ceto, oltre che influenze sulle determinazioni del governo repubblicano. Per quanto poi riguarda nello specifico il Leonardi ed i chierici riunitisi intorno alla sua persona, essi erano stati partecipi della congiura Fabbri, e, del resto, la loro stessa nascita era coincisa con un periodo di gravi difficoltà per il Consiglio. Pertanto, i motivi di diffidenza ed inimicizia che i consiglieri nutrivano nei confronti del Sant’Uffizio, e più in generale dei protagonisti della Controriforma, coinvolsero progressivamente anche i “preti riformati”. I quali furono sempre

969 Segnaliamo che la percezione di Lucca come città eretica doveva essere diffusa ben al di là dei vertici ecclesiastici. Tanto è vero che, nella primavera del 1584, il domenicano Nicolò Lorini, durante una predica nella chiesa di S. Spirito a Napoli, si riferì polemicamente ad un luogo in Toscana “che partorisce più figli di Calvino che di S. Pietro”, che tutti i fedeli presenti, in modo istintivo ed immediato, “intesero per li lucchesi”; in Adorni Braccesi, p. 385. La vicenda, che comunque, grazie alle proteste ufficiali dei governanti repubblicani, si concluse con la destituzione dall’ufficio di predicatore del religioso, è riportata in ASLu, OSR, 5, pp. 1647-1654, aprile 1584.

970 ACDF, St. st., HH 2d, c. 587r, 2 aprile 1584. Tra i documenti prodotti dalle magistrature cittadine lucchesi non rimane traccia dell’episodio. Il Pratelli era entrato in carica verosimilmente nell’estate del 1581.

più percepiti come una longa manus della monarchia papale, o se preferiamo una sorta di “cavallo di Troia”, tramite cui gli esponenti della Chiesa potevano scardinare il controllo dell’assemblea pubblica sulla società urbana. Il timore più profondo era che i chierici aumentassero eccessivamente i propri mezzi e strumenti materiali e culturali e, di conseguenza, anche il proprio potere di persuasione. Oppure, soprattutto, che essi si “unissero”, si congiungessero a livello istituzionale con una congregazione romana, ed in primo luogo con i gesuiti, rompendo irrimediabilmente la relativa impermeabilità culturale della città nei confronti della Curia. In altre parole, i patrizi avevano motivo di pensare che “il Leonardi e gli altri padri”, insinuandosi nelle coscienze dei lucchesi, li potessero rendere

“stiavi dei preti”971.

Si originò così un confronto a tratti anche molto duro, che in sostanza contenne non poco l’espansione di Leonardi e compagni, e verosimilmente contribuì a distoglierli dallo stringere rapporti troppo stretti con altri gruppi religiosi. Ma l’avversione che i consiglieri palesarono nei confronti dei chierici riformati non impedì comunque che essi riuscissero a recepire e trasmettere all’interno di Lucca le sollecitazioni culturali provenienti dalla Santa Sede. Varie furono le cause specifiche di attrito che si intrecciarono, a cominciare da quelle di natura patrimoniale ed economica. Ad esempio il 2 ed il 24 agosto 1585 il magistrato dei Segretari segnalò con preoccupazione nell'assemblea pubblica che i “preti del Leonardi” stavano estendendo i propri possedimenti materiali nella città. In particolare erano in corso di svolgimento alcune transazioni relative ad una casa, appartenente “agli heredi” di Francesco del Pane, e ad un giardino, “un horto” di proprietà di ser Federigo Federighi972. La reazione

del governo lucchese fu immediata. I Segretari, in collaborazione con l'Offizio sopra la giurisdizione, di cui facevano parte i tre dottori Gabriele Pieraccini, Giovanni Turri e Fabio Mazzarosa973, si opposero con successo al trasferimento del secondo immobile, mentre

favorirono l'acquisto del primo da parte di un cittadino di governo, Benedetto de Nobili, da loro adeguatamente incentivato e spalleggiato974.

In maniera simile, i membri dell’assemblea consiliare erano attenti a mantenere inalterata la propria competenza nell’assegnare e nel dislocare le rendite ecclesiastiche della città. Sappiamo infatti che, sullo scorcio del 1586, il Leonardi decise di acquisire il beneficio relativo a una cappella intitolata a S. Concordio, e situata all'interno della chiesa di S. Maria, sulla quale il ceto dirigente della Repubblica vantava antichi diritti di patronato975. A tal fine

971 ASLu, OSG, 85, cc nn, 26 maggio 1604. Si tratta delle parole che i Segretari eletti per il 1603 scrissero in una relazione al Consiglio; il corsivo è mio.

972 ASLu, OSG, 73, cc nn. 973 Appendice.

974 ASLu, OSG, 73, cc. nn. L'ultimo passaggio avvenne con certezza il 23 dicembre 1585. 975 Franciotti, pp. 292-293.

egli richiese ed ottenne presso la Santa Sede la conferma del possesso, mediante un breve rilasciato il 15 febbraio 1587976. Ma anche stavolta i consiglieri indussero il parroco a recedere

dal suo proposito, ed a consentire che, il primo di marzo del 1590, la cappella fosse conferita al prete Bernardino Sbarra, in ossequio totale alle direttive del governo977.

Ben più accesa, comunque, fu la questione dei rapporti tra i parroci lucchesi ed i gesuiti, la quale, implicando i chierici regolari che più di tutti incarnavano le “milizie scelte” del papato post-tridentino e ne rappresentavano, per così dire, l’anima, finì per concentrare su di sé l’applicazione dei governanti lucchesi. In effetti, tra le due congregazioni si andavano intensificando i vincoli interpersonali, e persino i trasferimenti degli uomini. Sappiamo ad esempio che, tra il 1579 ed il 1580, due chierici della Beata Vergine, Giovan Battista Cioni e lo stesso Giovan Battista Nannini, vale a dire proprio uno dei protagonisti della congiura del Fabbri, avevano deciso di diventare membri della Compagnia romana978. E nel 1587 anche il

giovane parroco di origine patrizia Orazio di Vincenzo Arnolfini avrebbe preso una decisione identica979. Ma soprattutto i membri del gruppo leonardino stavano mutuando alcuni aspetti

del modello culturale gesuitico, del quale erano propensi a condividere l'impostazione centralizzata e verticistica, decisamente lontana dalla mentalità “cetuale” dei governanti lucchesi. In più, il desiderio di emulazione li spingeva a seguire i chierici regolari di Roma anche dal punto di vista delle occupazioni esplicate, in primo luogo quella pedagogico- didattica, ritenuta indispensabile per guadagnare consenso sociale e, utilizzando le parole del cronista Cesare Franciotti, per conquistare “gli animi di molti concittadini”980. È significativo

che, nella seconda metà degli anni Ottanta, i preti lucchesi elaborassero un progetto di riforma scolastica che si rivolgeva espressamente sia agli strati medi e subalterni della società lucchese, sia, per la prima volta, al ceto privilegiato. In particolare, nel 1588, il padre Ermanno Tucci si recò presso la Santa Sede al fine di osservare i collegi gesuitici e trarne ispirazione per i propri metodi di insegnamento: nell’occasione diversi suoi confratelli, soprattutto tra i più giovani, lo accompagnarono con entusiasmo981.

Queste, a ben vedere, furono le cause dalle quali scaturì il primo “negozio de’ preti riformati”, che, per un momento, sembrò preludere all’ingresso stabile dei gesuiti nella città, e quindi ad un mutamento irreversibile nella sua storia. Cerchiamo quindi di ricostruire l’episodio in tutti i suoi risvolti, con gli occhi rivolti sia alle iniziative di Leonardi e

976 ASLu, CG, RS, 364, p. 294. 977 Franciotti, pp. 336-337. 978 Ibidem, pp. 331, 338. 979 Ibidem, cit., p. 298. 980 Ibidem, p. 357.

981 Il Tucci, in particolare, avrebbe risieduto a Roma dal 20 maggio 1588 alla fine dell'estate seguente; Ibidem, pp. 312, 320.

compagni, sia al corrispondente comportamento dei consiglieri. Il confronto, intanto, fu annunciato da due avvenimenti realizzatisi a distanza di tempo, nei quali tuttavia i governanti dovettero leggere i sintomi di una complicità esistente tra i preti della Beata Vergine ed i preti del Gesù e, contemporaneamente, le prove di una “incursione” promossa della monarchia papale sulla Repubblica. I gesuiti, all’inizio del 1581, effettuarono infatti il loro primo tentativo concreto di insediarsi con un collegio a Lucca. Il 27 gennaio, Ottavio Saminiati, in quel periodo nominato come ambasciatore presso la Santa Sede, comunicò al Consiglio generale che, secondo alcune informazioni riservate, il generale Claudio Acquaviva982 stava

pensando di introdurre all’interno delle mura della città-Stato983 un gruppo di padri, cui

sarebbero state assegnate l’istruzione e l’educazione dei giovani patrizi.

Il 14 febbraio successivo i consiglieri elessero alcuni magistrati984 perché si

occupassero specificamente della “negotiatione”. Tra di essi vi erano i tre Segretari, ovvero Girolamo Lucchesini, Lorenzo Cenami e Giovan Battista Montecatini985, insieme con alcuni

altri membri del Consiglio, quali Bernardino Arnolfini, Nicolao Burlamacchi, Vincenzo Vanni, ed i giureconsulti Agostino Sinibaldi e Salvatore Guinigi986. È del tutto probabile,

infine, che la questione fosse vigilata in modo continuativo anche dai membri dell’Offizio sopra la giurisdizione987. Un organo preposto specificamente a questo genere di incarichi,

nelle cui fila, non a caso, anche a costo di derogare sporadicamente alla norma non scritta della vacanza dell'eleggibilità – un caso comunque unico nel panorama istituzionale lucchese – si sarebbero sempre più avvicendati, anche per più anni consecutivi, alcuni giureconsulti esperti nella gestione pubblica della sfera religiosa. Segnaliamo in particolare Libertà Moriconi, Nicolao Tucci, e, soprattutto, quel Nicolao Pighinucci che, in passato, era stato citato a Roma dal Sant'Uffizio988.

982 M. Rosa, Acquaviva, Claudio, DBI, I (1960), pp. 168-178. Sul generalato in questione Pavone, I gesuiti, cit., pp. 33-45; I gesuiti ai tempi di Claudio Acquaviva: strategie politiche, religiose e culturali tra XVI e XVII

secolo, a cura di P. Broggio, F. Cantù, P. A. Fabre, A. Romano, Brescia, Morcelliana, 2007.

983 Il dominio dello Stato lucchese, specialmente nelle sue parti maggiormente montuose, come la Garfagnana, era da almeno quarant'anni teatro delle missioni gesuitiche, delle quali un vero e proprio protagonista era stato Silvestro Landini. Su tale figura si veda almeno Prosperi, pp. 551-555, e Caponetto, La Riforma protestante, cit., pp. 338-341. La bibliografia principale sul Landini è riportata nel profilo Landini, Silvestro, DBI, 63 (2004), pp. 423-425, in part. p. 425, redatto da chi scrive.

984 In precedenza erano stati deputati, oltre allo stesso Lucchesini, Romano Garzoni, Girolamo de Nobili, i dottori

in utroque Tommaso Giusti, Giuseppe Altogradi, e infine Michele Diodati, ma poi la missione era stata revocata,

in Sommario, cit., p. 186. 985 Appendice.

986 Sommario, p. 187.

987 In un volume dell’Offizio è raccolto il materiale concernete il “negotio dei gesuiti in Lucca” per tutta l'età moderna, compreso questo episodio; cfr. ASLu, OSG, 72, cc. nn., ma all'inizio.

988 Appendice. Si noti che la tendenza ad eleggere gli stessi officiali iniziò proprio con questo decennio. Nel 1581 i componenti della magistratura sulla giurisdizione erano specificamente i dottori in utroque Vincenzo Gregori, Alessandro Trenta e lo stesso Girolamo de Nobili. Il Pighinucci, viceversa, fu eletto nel 1578, ne1 1580, nel 1582 e nel 1583; il Tucci consecutivamente nel triennio 1582-1584; il Moriconi nel 1582 e nel 1583.

Dopo due relazioni piuttosto infruttuose i membri della commissione straordinaria, il 29 marzo, furono in grado di riferire in Consiglio delle novità rilevanti. Essi avevano appurato che i gesuiti, richiedendo a Gregorio XIII l'assegnazione di un beneficio, al momento detenuto dal prelato Cristoforo Turrettini, e relativo al priorato lucchese di S. Giovanni e Reparata, avevano effettivamente cercato di porre le basi materiali per un insediamento. Perciò i magistrati avevano inviato a Roma uno di loro, il “dottor Guinigi”, al fine di convincere Gregorio XIII che la risoluzione avrebbe causato un “pregiudizio ben grande per la strettezza e picciolezza del paese nostro”, dal momento che Lucca era una città “di qualità che non può, senza manifesto pericolo, ricettare simile sorta di huomini”989. Salvatore Guinigi giunse a

Roma il 6 aprile 1581. Egli si consultò dapprima con il concittadino Vincenzo Parensi. Il quale, nell'apprendere quanto era avvenuto, espresse tutto il suo sostegno alla causa, palesando peraltro una indubbia avversione personale nei confronti dei gesuiti. Il Parensi, con espressione pittoresca, affermò infatti che “questi huomini sono di qualità, che quando mettono il piede in un luogo, fanno come il riccio, e cercano sempre di tirare a loro [...]; per questo essi cercano di subornare giovani ricchi, che possino portare molto utile; [...] et di

governare tutte le cose nel temporale et nello spirituale”990. Più specificamente, durante un

secondo colloquio, il Guinigi concordò un piano di azione insieme con il Turrettini e con il Saminiati. Essi, pur non astenendosi dal ricordare al papa “quanta alteratione portino alle città le nuove religioni, et particolarmente alle deboli com'è la nostra”, decisero di dissimulare la contrarietà del governo repubblicano rispetto all'arrivo dei chierici regolari. Viceversa, era necessario far sembrare che fosse il clero cittadino ad avversare la decisione991. Ora, non

sappiamo come la trattativa si evolvesse puntualmente. Si può solo constatare che essa andò sicuramente per le lunghe, tanto che il Guinigi, all'inizio di maggio, fu richiamato a Lucca. In ogni caso la supplica presso il pontefice, avvenuta in un momento imprecisato di quella primavera, ebbe buon esito, se è vero che la compagnia di Gesù si tenne lontana dalle mura della città992.

Ciò, tuttavia, non significa affatto che il nuovo “spettro” fosse esorcizzato tanto facilmente. Al contrario, da adesso, i consiglieri rivolsero un’attenzione spasmodica alla necessità di disinnescare qualsiasi forma di penetrazione da parte di rappresentanti della Curia. Le loro apprensioni riemersero in particolare circa due anni dopo, quando i preti riformati lucchesi si dotarono per la prima volta di una veste giuridica, rafforzando sia la loro identità di gruppo estraneo al ceto di governo, sia il loro ascendente sociale. L'8 marzo 1583

989 Sommario, p. 191.

990 Ibidem, p. 192. Il corsivo è mio. 991 Ibidem, p. 193.

la compagnia della Beata Vergine fu eretta canonicamente dal vescovo Guidiccioni, divenendo l'Ordine dei Chierici regolari della Madre di Dio. In tale frangente i padri, oltre a insediarsi con continuità nella chiesa di S. Maria Corte Orlandini, nei cui locali essi avevano iniziato ad incontrarsi fin dal 1580, si diedero anche delle “costituzioni” scritte, secondo le quali il Leonardi era riconosciuto ufficialmente come loro rettore993. La legittimità

dell’erezione formale, infine, sarebbe stata confermata nell’estate 1584 dal pontefice Gregorio XIII, il quale avrebbe anche disposto che la notizia fosse pubblicata nel duomo di S. Martino, di fronte a tutti i fedeli994.

Ebbene, nei mesi a venire i membri del Consiglio sorvegliarono ogni scambio, anche occasionale o minimo, che i chierici regolari intrattenevano sia con la Santa Sede, sia, più in particolare, con i gesuiti. E soprattutto essi intesero separare la congregazione dal corpo sociale della città. Ad esempio i nobili-mercanti, il 18 agosto 1583, venuti a sapere tramite i Segretari Salvatore Guinigi, Guglielmo Emiliani e Giovan Battista Saminiati995, che i preti del

Leonardi stavano per invitare un non meglio identificabile predicatore gesuita per la quaresima dell'anno successivo, si erano mossi con largo anticipo, prescrivendo ai canonici della cattedrale di rifiutare la proposta996. Poco dopo, verso la metà di settembre, i governanti

repubblicani ricevettero una nuova informazione, secondo la quale le fila dei parroci lucchesi, anche in virtù dell'accoglimento di diversi membri “forestieri”, si stavano accrescendo997.

Nell’ottobre, infine, il soggiorno temporaneo di alcuni componenti della Compagnia di Gesù presso la chiesa di S. Maria Corte Orlandini esacerbò la situazione. I consiglieri pretesero dal Leonardi e dai suoi confratelli una giustificazione ufficiale di quanto stava avvenendo. Questi ultimi, allora, assicurarono che i “padri del Gesù” si trovavano lì solo di passaggio, e che, comunque, non c'era alcuna intenzione di affiliarsi con la loro congregazione998.

Ben presto sarebbero giunti anche i primi provvedimenti punitivi nei confronti di alcuni cittadini, e addirittura gentiluomini, i quali erano ritenuti responsabili in vari modi di sostenere, o anche soltanto di dare eccessivo credito ai “preti riformati”. I primi di essi furono ser Taddeo Giorgi, notaio del vescovo Guidiccioni, il patrizio Pellegrino Garzoni e, infine, l’artigiano Bernardino Garbesi, ossia, emblematicamente, proprio uno dei personaggi che in passato non aveva esitato a denunciare al visitatore Castelli la persistenza dell'eresia nella

993 Pascucci, Giovanni Leonardi, cit., p. 49. L'evento è raccontato in maniera piuttosto dettagliata in Franciotti, pp. 263 e sgg.

994 Pascucci, Giovanni Leonardi, cit., p. 79; Franciotti, pp. 279-281. Il Leonardi partì da Lucca il primo maggio 1584: prima si recò al santuario di Loreto, poi a Roma, dove sarebbe rimasto fino alla fine di giugno. Il breve di conferma di Gregorio XIII fu promulgato il 30 agosto successivo.

995 Appendice.

996 ASLu, CG, RS, 356, p. 279. 997 Ibidem, p. 280.

città; egli, evidentemente, non aveva mai cessato di accordare la propria preferenza a Leonardi e compagni. Il 24 settembre 1583 i tre lucchesi, sotto la minaccia di un'ulteriore pena “di ribellione et taglia di trecento scudi” in caso di disubbidienza, furono condannati dall'assemblea ad un periodo di esilio: triennale per il Garbesi, e biennale per gli altri due. In più il Giorgi subì una carcerazione di due mesi; il Garzoni, viceversa, fu privato dell'opportunità di accedere alle cariche pubbliche per ben un decennio999. Tre anni più tardi,

inoltre, sempre il Garbesi ed il Garzoni furono confinati nelle loro ville di campagna a tempo indeterminato. E nell’occasione la medesima sorte spettò anche a due altri membri del Consiglio, vale a dire Cosimo Bernardini e Galvano Trenta1000. In maniera similare,

d’altronde, l’avversione nei confronti di coloro che non si mostravano fedeli alla linea governativa si può presumibilmente intravedere anche in altri segnali, che solo in apparenza sembrerebbero risultare estranei alla vicenda. In particolare, nella primavera del 1583, il patrizio e notaio ser Iacopo Ciuffarini pubblicò presso i tipi del Busdraghi, con “licentia de' superiori”, una traduzione dal latino in volgare di un manoscritto conservato presso la cattedrale, intitolandola Historia del Santissimo Volto di S. Croce di Lucca1001. L’opuscolo,

tuttavia, era destinato ad una circolazione decisamente breve. Esso sarebbe stato ritirato il primo giugno seguente per decisione dell’assemblea pubblica. La quale, inoltre, avrebbe disposto che tutti gli esemplari stampati fossero conservati nel Palazzo, “in luogo dove non si possino leggere né vedere senza la licenza del Consiglio”1002. Ebbene, la spiegazione di un

decreto così inusitato, nel quale i consiglieri esplicarono una forma di censura “distruttiva”, mirante cioè a eliminare dalla circolazione un libro, e non preventiva, come di consueto1003,

consiste probabilmente proprio nella loro repulsione nei confronti del promotore dell’iniziativa editoriale. Il Ciuffarini era infatti notoriamente devoto dei chierici regolari della madre di Dio, nonché padre di quel Giovanni, che addirittura, di lì a non molto, nel settembre del 1587, avrebbe manifestato il desiderio di entrare a far parte della congregazione1004. Infine,

nella stessa direzione, bisogna aggiungere che il governo lucchese iniziò persino a sospettare

999 Franciotti, pp. 272-273. 1000 Ibidem, cit. p. 305.

1001 tradotta di latino in toscano da Iacopo Ciuffarini nobile lucchese, in Lucca, appresso Vincenzo Busdraghi, 1582. Su di essa Matteucci, Saggio, cit., p. 46. A quanto risulta ne esistono solo due copie, sopravvissute al sequestro delle autorità civili lucchesi, e conservate presso la Biblioteca Statale di Lucca, con ubicazione Busdr.doppi B.ta 16.

1002 ASLu, CG, RS, 356, p. 101.

1003 Si riprendono le classificazioni proposte da Silvana Seidel Menchi in Sette modi di censurare Erasmo, in La

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