Più problematico risulta stabilire il momento esatto in cui venne terminato il fronte con l’erezione del timpano triangolare.
Abbiamo già detto che l’idea espressa dalla critica è quella che la facciata non fosse mai stata compiuta nella sua forma primigenia a quattro salienti, e che piuttosto avesse subito una brusca interruzione prima di essere completata con il timpano attuale (fig. 40). A rendere tuttavia opportuna una riconsiderazione del problema intervengono alcune fonti figurative finora trascurate dagli studi dedicati alla storia e alle trasformazioni del Duomo d’Assisi. È vero che l’affidabilità di questo tipo di documentazione iconografica va valutata con prudenza, non essendo possibile stabilire se gli artefici fossero mossi da un’effettiva volontà di esattezza nel restituire l’aspetto degli edifici urbani da loro ritratti. Ma, occupandoci delle trasformazioni che la cattedrale subì nel corso dei secoli, sarà utile analizzare testimonianze di tal genere anche soltanto per mettere in tavola quanti più elementi possibili in assenza di date e documenti certi.
La prima di queste fonti figurative è costituita da un gonfalone di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, originariamente collocato, stando alla descrizione di fra Ludovico da Pietralunga, nella cappella di San Ludovico della Basilica Inferiore, ma venduto dai frati ad Anton Ramboux, conservatore del museo di Colonia, attorno al 1835 (fig. 42). Alla morte del possessore, il dipinto fu disperso assieme a tutta la sua collezione ed è oggi conservato nel Priesterhaus di Kevelaer, in Germania. A ritrovare l’opera nel 1911 fu Umberto Gnoli43. Lo studioso lo identificò con quello citato dal Vasari nella Vita del Pinturicchio come opera dell’Alunno, che lo realizzò in occasione di un’epidemia di peste, e ne riconobbe l’assoluta rilevanza e sul piano delle innovazioni apportate all’iconografia dei gonfaloni processionali umbri e su quello della topografia assisiate nel XV secolo. Ad eccezione della minuscola panoramica che lo stesso Niccolò di Liberatore aveva effigiato in uno degli scomparti di
43
U.GNOLI, Il “Gonfalone della Peste” di Niccolò Alunno e la più antica veduta di Assisi, in “Bollettino d’Arte”, 2, 1911, pp. 63-70.
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predella del polittico destinato all’altare principale di San Rufino, quella che, in questo gonfalone, si distende ai piedi del suo santorale d’elezione è infatti la più antica veduta di Assisi a noi pervenuta e ritrae fedelmente la città umbra, racchiusa nelle sue mura trecentesche, come ancor oggi appare dalla valle di Santa Maria degli Angeli. In un successivo intervento, Elvio Lunghi ha chiarito come la commissione del gonfalone a Niccolò Alunno fu conseguente all’epidemia di peste scoppiata ad Assisi nel 148544. Lo studioso, inoltre, rilevava l’attenzione del pittore nel delineare i vari edifici che contraddistinguono lo
skyline assisiate, come la facciata a terminazione orizzontale dell’abbazia di San Pietro45 o quella a due spioventi dell’antica cattedrale di Santa Maria del Vescovado, così come si presentava prima del terremoto del 1832, in seguito al quale il prospetto venne modificato nella forma attuale a capanna.
Il confronto tra l’immagine pubblicata da Gnoli (fig. 44) e una foto più recente (fig. 43) dimostra che il dipinto ha subito dei rifacimenti, non altrimenti documentabili, che hanno alterato anche l’aspetto del paesaggio urbano46
.
Per quanto riguarda la rappresentazione di San Rufino, l’edificio è connotato dalla presenza della cupola (trasfigurata dall’Alunno in forme rinascimentali) elevata in corrispondenza dell’area presbiteriale. La facciata, molto più stretta e slanciata verticalmente, sembra essere contraddistinta già da un profilo a capanna, almeno nell’immagine più recente che dovrebbe essere successiva alle modifiche apportate dagli interventi di ripristino.
Un’altra veduta della città è quella tramandata da un’incisione di Giacomo Lauro e oggi conservata presso il museo della cattedrale (fig. 45). La pianta è dedicata a Monaldo Vigilanti d’Assisi ed è datata al 159947
.
44
E.LUNGHI, Immagini di Assisi nell’arte: vedute della città di San Francesco nella pittura umbra dei secoli XIII-XVIII, Assisi, 1998, pp. 65-70.
45
In passato si credeva che la facciata dell’abbazia di San Pietro fosse stata originariamente realizzata con una terminazione a timpano. La testimonianza offerta dal gonfalone dell’Alunno dimostra invece che la soluzione orizzontale era stata prevista fin dall’inizio. Di recente, è stato notato come anche nell’incisone di Giacomo Lauro che ritrae la città di Assisi (di cui parleremo in seguito), il prospetto dell’abbazia si presenti con il profilo attuale, confutando la tesi di un’iniziale progetto a capanna (E.BRUNELLI –F.REA –G.SENSI, Abbazia di San Pietro… cit., p. 16).
46
F.TODINI, Niccolò Alunno e la sua bottega, Perugia, 2004, p. 324. Sul dipinto si veda anche la scheda IV.41, pp. 569-571.
47
L’attendibilità di questo riferimento cronologico è stata discussa da Alberto Grohmann, che ha fatto notare la contraddizione insita nell’iscrizione che ha tramandato la data: “cum privilegio Summi Pontificis ad annos X”. Il 1599, infatti, non corrispondeva al decimo anno di pontificato del papa Clemente VIII, eletto nel 1592. Grohmann, comunque, analizzando la minuziosa veduta, giunge ad escludere una datazione precedente al 1590. A.GROHMANN, Assisi, Roma-Bari, 1989, pp. 91, 135-138.
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Soffermandoci sulla cattedrale di San Rufino, si noterà come il Lauro abbia registrato i lavori di ripristino, compiuti su disegno del perugino Galeazzo Alessi48, documentati tra il 1571 e il 1588, e motivati non solo dai danni che la chiesa aveva subito nel corso dei secoli dai reiterati eventi sismici, che avevano compromesso soprattutto il fragile sistema di copertura dell’edificio, ma anche per la volontà di adeguamento della struttura ai nuovi canoni stabiliti nel concilio tridentino. Nell’incisione, infatti, compare con evidenza la cupola ottagonale impostata su tiburio eretta in sostituzione di quella medievale. L’inserimento di quest’ampio vano cupolato comportò un’interruzione della partizione dello spazio in tre navate, determinando, in corrispondenza del presbiterio, la demolizione di almeno due pilastri e l’incorporazione di altri due all’interno di quattro massicci appoggi pentagonali (fig. 47). Venne così alterata la pianta dell’edificio romanico, che si trovò quasi ad essere diviso in due corpi: uno longitudinale, all’altezza delle navate, e uno centrale, contraddistinto dalla cupola. Questa cesura è stata in effetti recepita dall’incisione del Lauro. Le modifiche apportate dal progetto dell’Alessi non furono invece del tutto comprese nell’altra pianta della città di Assisi che compare nel Theatrum Urbium Italicarum di Pietro Bertelli49, edito nel 1599 (fig. 46). In questo caso, la cupola e il tiburio appaiono addirittura fisicamente staccati dal corpo principale. I documenti relativi alla fabbrica cinquecentesca tacciono su qualunque intervento connesso alla facciata, che nelle due vedute appare a quattro spioventi. Non si può escludere, in ogni caso, che quest’ultimo aspetto fosse stato acriticamente copiato dai due incisori da una fonte figurativa precedente. Per quanto riguarda il problema dell’affidabilità di queste immagini, va notato che una certa esattezza si può riscontrare nella rappresentazione di altri edifici, come San Pietro e Santa Maria Maggiore. Fa però eccezione Santa Chiara che, almeno nella pianta del Lauro è raffigurata a quattro salienti (e lo stesso accade nel Gonfalone della Peste), mentre in quella del Bertelli appare correttamente delineata a capanna. Inoltre va riscontrata una certa imprecisione nel rendere la larghezza delle strade e delle piazze, che risulta esagerata rispetto agli isolati.
Le due incisioni furono pedissequamente replicate nei secoli successivi, sicché risulta impossibile utilizzare le numerose vedute di Assisi stampate nel XVII e nel XVIII secolo50
48
G.DE GIOVANNI, Le modificazioni dell’Alessi, in La cattedrale di San Rufino… cit., pp. 120-129.
49
A.GROHMANN, Assisi… cit., pp. 140-142; Sull’opera incisoria del Bertelli, si veda P.CLERICI MAESTOSI, Il teatro delle città d’Italia, Roma, 2001.
50
La pianta del Lauro servì da modello per Blaeu, nel Theatrum civitatum et admirandorum Italiae, pubblicato ad Amsterdam nel 1663; per Pierre Mortier nel Nouveau théâtre d’Italie, edito nella stessa Amsterdam nel 1704 e per Cesare Orlandi, autore dell’opera Delle città d’Italia, stampata a Perugia nel 1772. All’incisione di Bertelli
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come fonti attendibili nello studio delle trasformazioni della chiesa. È certo, comunque, che nel Settecento il prospetto della chiesa si presentava già nelle sue forme attuali, come documentano le due testimonianze figurative conservate presso l’Archivio della cattedrale: l’incipit del catasto della mensa capitolare51
, delineato da Giovanni Anastasio Fontana nel 1755 (fig. 48) e l’incisione che correda lo studio sulla chiesa del Di Costanzo, edito nel 179752 (fig. 49).
Per altro verso, i dati materiali sembrerebbero concordare con la veduta del Gonfalone dell’Alunno, confermando una datazione medievale per il timpano, come suggeriscono le buche pontaie che compaiono all’interno del nicchione archiacuto e gli alloggiamenti per i bacini ceramici che si notano lungo i due spioventi (figg. 50, 39). A complicare il quadro, intervengono anche i risultati del suaccennato restauro novecentesco53. Abbiamo già detto, infatti, che l’analisi stratigrafica ha rivelato un vistoso cambiamento nella tecnica esecutiva tra la zona interna e quella esterna dell’arcone ogivale. La prima, tra l’altro, si presenta lavorata a scalpello, ma anche a bocciarda, l’utilizzo della quale non può essere documentato se non per un periodo post-medievale. A questa netta differenza della modalità costruttiva si aggiunge il rilevamento di estesi rifacimenti che interessano ampie zone della superficie muraria esterna54. Risultano rifatti addirittura cinque alloggiamenti per i bacini, eseguiti in calcare chiaro e travertino.
Alla luce di questi fattori, desta qualche perplessità la conclusione tratta dai due tecnici impegnati nelle operazioni di ripristino, secondo i quali le due tipologie edilizie del timpano sarebbero legate e apparterrebbero a una stessa fase costruttiva55.
Non è stata inoltre sinora rilevata la giuntura di colore diverso presente sul lato sinistro del frontone timpanato, che rappresenta un ulteriore indizio delle diverse fasi costruttive della muratura di questa sezione.
Il quadro complesso che emerge dall’analisi materiale permette quindi di stabilire con certezza che la parte terminale della facciata di San Rufino, pur essendo stata realizzata a capanna come sembra suggerirci la più antica veduta di Assisi, quella del Gonfalone della
si ispira invece la veduta dell’Hondius, apparsa nella Nova et accurata Italiae hodiernae descriptio del 1627. Per queste vedute, A.GROHMANN, Assisi… cit., pp. 138-142.
51
Assisi, Archivio di San Rufino, ms. 105.
52
G. DI COSTANZO,Disamina… cit.
53
Si veda paragrafo II.1.
54
È quanto emerge dall’osservazione dei grafici realizzati dalla Tecnireco e conservati, assieme alla documentazione di restauro, presso l’Archivio Fotografico della Soprintendenza di Perugia.
55
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Peste, fu oggetto di interventi di manutenzione e rimaneggiamenti nel corso dei secoli, dovuti a cause di diversa natura. Innanzitutto, vanno considerati i numerosi eventi sismici documentati ad Assisi. Tra il 1345 e il 1604 la città fu infatti interessata da ben 12 terremoti di intensità compresa tra l’ottavo e il nono grado (scala Mercalli), che provocarono ingenti danni sia in città sia nei centri del contado56. Sono quindi diverse le occasioni in cui si sarebbero potuti rendere necessari interventi tesi a rinforzare il fragile sistema di rivestimento dell’edificio che, come sappiamo, si era rivelato fin da subito inadeguato a rispondere al dislivello tra l’altezza della navata centrale e le due laterali. Tant’è che come si è detto, un primo progetto di copertura a botte delle navatelle laterali fu ben presto abbandonato e le arcate a sesto acuto furono affiancate già nel XIII secolo da una serie di archi rampanti57. E le precarie condizioni di staticità della chiesa romanica indurrebbero a rivalutare anche l’originaria funzione dell’arcone acuto che si apre al centro del timpano di facciata, che sembrerebbe più adatto ad agevolare un corretto scarico dei pesi che non ad alloggiare un mosaico o un affresco, di cui peraltro non sussistono tracce (fig. 50).